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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Intervista a Enzo Cosimi

 

Natalia Gozzano

 

Enzo Cosimi, coreografo e danzatore, esponente della «Nuova danza italiana» dei primi anni Ottanta, è uno dei protagonisti indiscussi della danza contemporanea in Italia.

I suoi esordi si orientano in un terreno di ricerca che vede una fervida collaborazione e contaminazione fra poesia, musica, arte, danza. A New York, dove si trasferisce nel 1981, Cosimi entra in contatto con alcuni dei principali esponenti della scena artistica visiva, musicale, performativa. L’esperienza americana gli offre lo stimolo ad approfondire ancora di più le sue conoscenze dell’arte visiva e a proseguire lo sviluppo di una danza intessuta di differenti linguaggi.

Tornato in Italia, è impegnato in una ricerca sulla danza quale espressione di una cultura aperta agli sconfinamenti ed è tra i firmatari del ‘Manifesto 1992 Danza come arte contemporanea’ insieme a Donatella Capraro, Lucia Latour, Massimo Moricone, Marcello Parisi, Giorgio Rossi e Virgilio Sieni 1. Nell’arco di trent’anni ha prodotto coreografie messe in scena nei maggiori teatri e festival sia in Italia che all’estero. E’ stato coreografo ospite per il Teatro alla Scala di Milano e per il Teatro Comunale di Firenze. La sua prima creazione, Calore (fig. 1) del 1982, viene selezionata nell’ambito del progetto RIC.CI (Reconstruction Italian Contemporary Choreography Anni 80'/90'), ideato a Torinodanza nel 2011 per la cura di Marinella Guatterini e riallestito nel 2012. Il suo ultimo lavoro, Sopra di me il diluvio (fig. 2), è stato presentato nel giugno 2014 alla Biennale di Venezia dove ha vinto il Premio Danza&Danza come migliore produzione italiana dell’anno.

Rispondendo a una forte esigenza di una danza come emozione e immagine ad un tempo, Enzo Cosimi nei suoi lavori ha spesso coinvolto – direttamente o come fonte di ispirazione - gli artisti visivi. Ha lavorato insieme a Luigi Veronesi, Aldo Tilocca; con Fabrizio Plessi ha realizzato Sciame, la prima opera di video danza italiana. Fonti visive dichiarate della coreografia La stanza del principe (fig. 3) sono Joseph Beuys, Andy Warhol.

Cominciamo la nostra conversazione con Enzo Cosimi parlando del rapporto fra i danzatori e l’arte, della sua esperienza di docente, delle sue fonti di ispirazione.

EC: L’interesse che nutro per l’arte è per me una sorta di DNA: mi viene naturale rifarmi a un determinato pittore, a un certo quadro… Ho notato invece che i giovani danzatori, generalmente, hanno grosse lacune, soprattutto verso l’arte contemporanea. Eppure è fondamentale conoscerla, soprattutto in quest’epoca in cui gli artisti visivi entrano nella performance e in cui la nuova coreografia prende molto dalle arti visive e viceversa. Non è un caso che un artista come Tino Sehgal sia anche coreografo ed abbia esposto – tra le altre sedi - alla Tate Modern di Londra e alla Biennale d’Arte di Venezia e di Berlino.

Oggi più che mai un danzatore dovrebbe conoscere l’arte e le sue profonde contaminazioni: è importante sapere qual è stato il percorso della coreografia degli ultimi decenni e non ignorare fenomeni come la “non danza” di Jérôme Bel o l’opera di Marina Abramovich, solo per fare due esempi. Spesso i giovani invece, almeno sulla base della mia esperienza, anche con danzatori professionisti, non si rendono conto di quanto li circonda, della storia recente della danza.

Il livello di conoscenza delle arti visive è piuttosto basso; invece, dal mio punto di vista, è fondamentale. Per esempio, dovendo costruire una visione in cui la tensione svolge un ruolo importante, io rimando spesso a determinate opere d’arte in cui si esprime quel certo grado di tensione. Dunque a mio parere è essenziale che i giovani danzatori conoscano almeno le basi della storia dell’arte.

NG: Perché, dovendo portare l’esempio di un’immagine che evochi tensione, fai riferimento a un’opera d’arte e non a qualcos’altro?

EC: Perché le arti visive mi hanno influenzato enormemente. Non è un caso che negli anni io abbia lavorato con moltissimi artisti visivi e credo che il mio lavoro, anche quando lo firmo in toto (video, scene, costumi), sia il risultato di un’elaborazione sulle arti, il prodotto in cui converge questo mio interesse per la visione in un senso ampio. Il mio lavoro ha sempre un DNA visivo: mi interessa la visione, non il passo.

Per esempio, per Il pericolo della felicità, con i costumi di Miuccia Prada, (figg. 4-5) l’incontro con Luigi Veronesi (fig. 6) è stato fondamentale, nonostante in un primo momento il suo linguaggio di pura astrazione mi fosse sembrato non adatto al mio lavoro. Invece proprio quel rigore, quell’astrazione, hanno permesso di far emergere il temperamento del mio lavoro, di metterlo a fuoco. E’ stato meraviglioso lavorare con un artista come Veronesi che, nonostante la sua esperienza e i suoi 84 anni, non voleva lo chiamassi “maestro” e mi diceva che era lui che metteva la sua opera al mio servizio.

Ho lavorato con artisti diversi quali Fabrizio Plessi, Giorgio Cattani, e molto anche con Aldo Tilocca che vive a Berlino. Per Roma, una coreografia presentata a Londra alla Tate Modern in una retrospettiva sull’arte povera, il progetto visivo è stato firmato insieme a Tilocca.

NG: Dove ti sei formato?

EC: Ho cominciato a ballare non prestissimo, a 17 anni, ma ebbi un esordio direi fulmineo. Vinsi una borsa di studio di due anni al Mudra di Bruxelles, la scuola di Maurice Béjart. Però dopo sei mesi sono scappato; nonostante alcune lezioni interessanti, il tipo di danza che si faceva non mi piaceva. Sebbene mi stessi ancora formando come danzatore, avevo delle idee mie e non mi ritrovavo in quelle del Mudra. Poi da lì sono andato negli Stati Uniti dove sono rimasto per due anni, studiando fondamentalmente la tecnica Cunningham, il balletto ma anche tante altre tecniche. Ero onnivoro, facevo lezioni di vari tipi di danza, andavo a fare lezioni al Bronx… sono stati anni densissimi, molto formativi per gli incontri con tanti artisti diversi; era l’inizio degli anni ’80, un’epoca straordinaria. Sono stato fortunato perché ho potuto frequentare la scena artistica downtown newyorkese più interessante di quegli anni e ho potuto così conoscere artisti eccezionali come Laurie Anderson, Robert Longo, Glen Branca, artisti che venivano dalla musica, dalle arti visive, dalla performing art. Direi che quella è stata la mia vera formazione.

Anche il balletto classico mi ha dato molto (a New York frequentavo le classi di tecnica e vi trovavo artisti come Lucinda Childs e Michail Baryšnikov); sicuramente l’architettura nelle coreografie di Balanchine ha profondamente influenzato la mia concezione dello spazio.

Quindi, è stata importante la formazione accademica ma per me decisivo è stato soprattutto aver potuto vivere in un ambiente così stimolante come quello della New York dei primi anni ’80: quel fermento incredibile mi ha segnato come artista coreografo.

Mi dispiace dover dire che qui in Italia non c’è un’attenzione adeguata verso l’arte contemporanea: per vedere una mostra di rilievo bisogna andare in altre capitali e non credo sia solo una questione di mancanza di fondi. Mi ricordo le polemiche e le critiche che suscitò il MAXXI quando fu inaugurato; ma come ha detto Zaha Hadid in un’intervista, il MAXXI è uno spazio per un’arte contemporanea che va oltre il quadro tradizionalmente inteso, è uno spazio per l’arte sonora, per coreografie, installazioni…

Qui in Italia, per molti l’arte contemporanea non si distacca dalla concezione tradizionale dell’opera d’arte e, per fare solo un esempio, è molto raro che si veda una mostra di un artista come Olafur Eliasson. Ed è un vero peccato perché per chi fa danza, per chi si occupa di danza, la storia dell’arte è una disciplina fondamentale.

Nel 1999 feci uno spettacolo ispirato a Francis Bacon (Bacon. Punizione per il ribelle) (fig. 7) e - sembra incredibile - molti non sapevano chi fosse. Entrare nel segno della pittura di Bacon per me è stato molto importante perché ha cambiato il mio modo di elaborare sul corpo: fino a quel momento facevo un lavoro soprattutto muscolare; invece osservando, studiando la pittura di Bacon ho iniziato a indagare il movimento in relazione sia al sistema nervoso che muscolare. Ne è un esempio La stanza di Aldo (fig. 8), ispirata all’opera di Aldo Busi, una coreografia che mette in risalto proprio questa relazione con il sistema nervoso.

La conoscenza della pittura di Bacon ha cambiato anche il mio modo di lavorare musicalmente, avvicinandomi alla musica elettronica. Il sistema nervoso è meno leggibile del sistema muscolare e dunque le partiture elettroniche risultavano le più adatte a visualizzare l’ignoto, il non visibile. E’ stato uno stravolgimento che si è verificato proprio sullo stimolo dell’opera di Bacon. E’ stata una vera folgorazione.

NG: In che modo avviene questa elaborazione dell’immagine artistica in rapporto alla danza?

EC: Il nervo agisce in modo molto più fulmineo del muscolo; il lavoro che faccio col danzatore si concentra su questa modalità e si ispira non a una narrazione ma alla figura, alle contorsioni delle figure di Bacon. Già Andrea Fogli, altro artista visivo a cui mi sento vicino, mi aveva suggerito di guardare all’opera di Bacon, perché quello su cui stavo lavorando - il movimento che attraverso la tensione e la contorsione muscolare e nervosa arriva a stravolgere la forma - aveva molti rimandi a quel tipo di pittura. Per me è importante cogliere la percezione sensoriale (nell’accezione proposta da Gilles Deleuze) dello spettacolo. Le mie creazioni partono fondamentalmente da uno stato mentale: mi interessa stravolgere le cose, cambiare i connotati del racconto. Partire da un gesto narrativo e poi trasformarlo in qualcosa di astratto o, viceversa, far diventare parlanti dei gesti astratti.

1 L. Bentivoglio, Italia ’80, la Nuova Danza, in Il suono del teatro, programma/catalogo degli Incontri Internazionali di Rovereto, La Grafica, Mori 1985. Eadem, Introduzione al convegno «La Giovin Italia – Nuova danza ‘85», Roma, Teatro La Piramide, 25 novembre 1985, Atti del convegno, Roma 1985. D. Bertozzi, Nuova danza italiana: primo catalogo, in Sottotraccia, n. 0, 1986, pp. 12-14. D. Levano, Nuova danza italiana / Danza d’autore, in Danza e Ricerca. Laboratorio di studi, scritture, visioni, anno V, n. 4, 2013, pp. 117-162.