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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Dal 15 novembre al 15 dicembre 1977 si svolse in varie sedi veneziane la "Biennale del dissenso"

Fabio Isopo

In una mia intervista di qualche anno fa chiesi a Carlo Ripa di Meana, direttore della Biennale nel 1977, come era nata l'idea di un'edizione dedicata al dissenso d'oltrecortina. Con dovizia di particolari mi espose la gestazione di questo importante evento: " Varie coincidenze favorevoli: era stato concluso l'accordo di Helsinki che ne costituiva il retroterra giuridico internazionale e la leva formale in termini sempre di politica internazionale. Il maggior partito di opposizione in Italia sembrava veramente impegnato ad approfondire l'ipotesi eurocomunista, che era prima di tutto una grande apertura al dibattito interno al movimento comunista e intanto alla testa dei socialisti era arrivato Craxi con una personale lunga attenzione, ben oltre la disponibilità di Nenni, all'avanzata contraddittoria dell'impero sovietico dopo la svolta di Ungheria. Ci sembrò che il momento era propizio ad affrontare un tema così importante. Mi trovavo quindi, come presidente della Biennale di Venezia, con le carte in regola. Noi riuscimmo, cavalcando l'onda, a mostrarci al mondo intero nel tumultuoso esordio affrontando un tema internazionale, cantato dagli Inti Illimani ed evocato dai Murales di Matta: la questione del Cile, l'America latina e la sua cultura. Ero quindi in condizioni ottime perché avevo esordito con il Cile e subito dopo con l'edizione sulla Spagna e la fine del franchismo. Incassato il " si" convinto dei socialisti decisi di portare la proposta del dissenso culturale e ci fu quasi unanimità nel consiglio direttivo e io uscii con l'annuncio che avremo dedicato la Biennale a questo importante fenomeno. Questo suscitò un'immediata resistenza sovietica che si espresse nelle modalità diplomatiche. L'ambasciatore Rijov si recò dal ministro degli affari esteri Forlani, per affermare che quello della Biennale era un atto ostile verso l'Unione Sovietica e partì una marcia indietro dei comunisti che mi avevano sostenuto. La protesta fu guidata da un finissimo letterato, alto funzionario della RAI e dirigente del partito Adriano Seroni e poi seguita dai 7 membri comunisti del direttivo tra cui Ennio Calabria, Citto Maselli, Mario Baratto italianista di Cà Foscari, che cominciarono a distanziarsi e a dare una consegna di non gradimento a tutto il loro universo che era imponente per numero di giornali, quotidiani, cattedre universitarie e radicamento nel mondo culturale. Una situazione che convinse rapidamente Andreotti, che non cercava l'incidente con l'Unione Sovietica, a continuare l'Ostpolitik. C'era una lobby filosovietica enorme fra gli industriali, da Agnelli che aveva industrie a Togliattigrad fino a Marinotti con la Snia viscosa. Tante presenze filosovietiche fortissime le troviamo anche nella stessa Venezia, per esempio Bruno Visentin leader repubblicano e primo uomo della Olivetti (la posta in gioco era la fornitura informatica per l'Olimpiade prevista nel 1980 a Mosca).Mi toccò forzare la mano davanti all'ennesimo attacco pubblico dell'ambasciatore sovietico, che andò non soltanto da Forlani ma anche da un mio cugino (ambasciatore del tempo), minacciando di bloccare delle commesse di gigantesche petroliere affidate ai cantieri di Marghera”[1].

Il sostegno del PSI e di Bettino Craxi, unico uomo politico italiano a partecipare alla giornata inaugurale (certo felice di poter mettere in imbarazzo il maggior partito della sinistra italiana), consentì al direttore della Biennale di portare a compimento l'operazione e superare gli ostacoli eretti dal mondo culturale e dalle grandi imprese italiane del tempo impegnate in Urss[2]. Una folle enorme sfidò il gelido autunno veneziano del 1977. Per un mese, dal 15 novembre al 15 dicembre 1977 verrà presentato un intero universo culturale nei suoi molteplici aspetti.

La Biennale del 1977 diede certamente un' accelerazione al fenomeno del dissenso. Il giorno della partenza del programma, il 15 novembre del 1977, a Leningrado e l'indomani a Mosca in due gallerie ci furono due vernissage non ufficiali di artisti che erano stati esclusi dal regime. Nelle stesse giornate ci fu sulla Piazza Rossa un sti-in dei comitati locali che manifestavano solidarietà al regista armeno Paradzanov, arrestato nel 1974 dal regime sovietico con l'accusa di omosessualità. Con la Biennale si intuì che c'erano degli interstizi, purtroppo non ci furono grandi seguiti in patria, a distanza di anni rimase un'occasione persa.

I dirigenti politici del PCI erano prudenti, realisti e d'accordo con le conclusioni di Giorgio Amendola durante una direzione del partito nel marzo del 1977:" Se dobbiamo arrivare a un contenzioso con l'URSS il terreno scegliamolo noi e non facciamolo scegliere a transfughi, tipo Ripa di Meana. Attenti a non perdere la nostra egemonia culturale (...) ed essere trascinati dagli altri dove vogliono. Dobbiamo votare contro il programma di Ripa di Meana per recuperare terreno”[3]. Insomma le preoccupazioni per la Biennale del dissenso non derivavano soltanto dai legami con l'Unione sovietica, ma venivano vissute anche in chiave di politica interna e mantenimento dell'egemonia culturale[4]. L'esperienza veneziana fu comunque l'occasione per il PCI di sganciarsi dal giogo di Mosca, ma non venne sfruttata. La convinta condanna del partito di via delle Botteghe oscure nei confronti della manifestazione veneziana del 1977 mostra ancora il forte legame del PCI con l'Unione sovietica e confuta, a mio parere, le parole coraggiose di Berlinguer espresse durante il XXV congresso del PCUS.

La Biennale organizzata da Carlo Ripa di Meana acuì ulteriormente il livore tra i due partiti della sinistra italiana, contribuendo come dicevo pocanzi, a ridefinire l'immagine del Partito socialista italiano agli occhi degli osservatori politici, come il partito dei dissidenti, baluardo della difesa della libertà e della democrazia[5]. Un socialismo che potremmo definire alleggerito, che con la guida di Craxi si avviava a perdere ogni riferimento ai valori della classe operaia, un guscio vuoto che abbandonava la tradizione per aprire a un pragmatismo sconcertante, disincantato e aggressivo. Niente fini, tutto era mezzo per raggiungere l'obiettivo,come l'utilizzo strumentale del dissenso.“Il perdurare del legame tra Botteghe oscure e Mosca, era in qualche modo, consono al leader del PSI: permetteva infatti ai socialisti di mantenere il primato del volto democratico della sinistra, mettendo all’angolo i comunisti, puntando sulle loro contraddizioni di forza politica in mezzo al guado, e tentando così di sfruttare le incongruenze del Partito comunista italiano per riconquistare un ruolo centrale in seno al movimento operaio italiano”[6]. Craxi puntava a destabilizzare il Partito comunista italiano per ottenere uno sbocco in un governo di centro – sinistra, ove però il partito socialista avrebbe potuto partecipare non più come gregario, ma da interprete principale[7].

La dirigenza comunista considerava la Biennale una provocazione del PSI che, al pari di altre prese di posizione, aveva il solo scopo di mettere in difficoltà il PCI e portare la sua non opposizione al governo ad una fine prematura. La Biennale era considerata, in definitiva, un evento non solo antisovietico, ma anche anticomunista[8].

Sulla stampa sovietica apparvero molti articoli ostili alla Biennale e in particolare come dice Marco Clementi, venne dato un certo risalto a un articolo nel quale si dava la parola a Massimo Zuppelli, pittore bresciano che aveva preso parte alla precedente edizione della Biennale e secondo il quale “i quadri dei dissidenti erano una parodia dell'arte, al contrario dei veri pittori sovietici, presenti due anni prima. Egli, che si dichiarava comunista, accusava i mercanti d'arte di ignorare le iconografie legate al mondo del lavoro facilmente fruibili anche dalle persone umili e di preferire le mode, come la pop - art o la body – art”[9]. La macchina della censura sovietica era avviata, la segreteria del PCUS aveva progettato misure eccezionali per opporsi alla campagna antisovietica in Italia. Il programma, ci dice Adriano Guerra, prevedeva: “un’iniziativa da portare avanti a livello governativo (Ministero degli Esteri) per mettere in guardia il governo italiano sulle conseguenze che l’iniziativa veneziana avrebbe potuto avere nel campo delle relazioni tra i due paesi; una lettera da inviare al Partito comunista italiano per indurlo a intervenire nei confronti degli organizzatori, identificati nei servizi della propaganda imperialista; una missiva da inviare ai partiti fratelli della Bulgaria, della Polonia, dell’Ungheria, della Cecoslovacchia e della Repubblica democratica tedesca per informarli dell’iniziativa e per invitarli a prendere misure affini; un piano di iniziative propagandistiche – infine – da attuare sia nell’URSS, con la mobilitazione di giornali e riviste, che in Italia, in particolare organizzando una settimana del cinema sovietico, e inviando nel nostro paese per conferenze propagandistiche scrittori e giornalisti”[10]. Tutto questo però non riuscì a fermare la Biennale del 1977.

Enrico Crispolti, curatore durante la Biennale della mostra La nuova arte sovietica: una prospettiva non ufficiale, in un'attenta analisi sul ruolo del dissenso afferma che: "purtroppo nell'URSS, nell'ambito della situazione artistica si è verificata una dannosa saldatura di interessi di conservazione accademica e autodifesa del corpo burocratico e lo spazio lasciato alla ricerca nuova e libera (che spesso non ha alcuna intenzione né di contestare né di rovesciare alcun sistema, alcun ordine costituito, ma chiede soltanto spazio culturale e agibilità professionale), è estremamente ridotto e si può conquistare solo con operazioni alternative e ingegnosi stratagemmi. Non forze eversive, sono invece forze che aspirano a una libertà di proposizione e a uno spazio di riappropriazione individuale o collettiva”[11]. Il suo intervento continua qualche giorno dopo l'inaugurazione della Biennale sulle colonne dell'Unità vedendo la manifestazione veneziana come un'ipotesi di dialogo e non solo in senso antisovietico. Il suo pensiero, intellettualmente autonomo e scevro da ogni influenza, trovava addirittura punti di accordo con quello di Antonello Trombadori (molto critico nei confronti della manifestazione veneziana) che qualche giorno prima su Repubblica aveva scritto: " Uno dei modi di disarmare l'antisovietismo consiste proprio nell'assumere sempre nei confronti della realtà sovietica un libero e sincero rapporto critico, fino all'aperto rifiuto di ciò che nella sua struttura socialista col socialismo non ha nulla a che vedere”[12].

"Il duello a sinistra" continuò sempre più duro per anni, tra giustificazioni strumentali e argomenti autentici. Con gli occhi di oggi,si può dire che il duello contribuì a distruggere entrambi. I socialisti affogarono nel sistema della corruzione degli anni 80, i comunisti pagarono il prezzo di non aver chiarito sino in fondo la natura del proprio distacco dall'Urss e la ricerca di altre prospettive del socialismo.

 


[1] Cfr. Intervista a Carlo Ripa di Mena 11/10/2011

[2] Cfr. Carlo Ripa di Meana e Gabriella Mecucci, L’ordine di Mosca. Fermate la Biennale del Dissenso, Liberal edizioni, Roma 2007, introduzione

[3]Cfr. APCI, Intervento di Giorgio Amendola, Direzione 5 Marzo 1977, mf 296, fas.0785

[4] Cfr. Dino Messina, Argan l’antibiennale comunista. Una mostra sull’avanguardia russa, “l’unica arte rivoluzionaria, Corriere della sera, 30 luglio 2008

[5]Cfr. Intervista a Simona Colarizi il 30/06/2014

[6]Cfr. Valentine Lomellini, L’appuntamento mancato. La sinistra italiana e il Dissenso nei regimi comunisti (1968 – 1989), Le Monnier, Firenze 2010, p.p. 130 – 131

[7]Cfr. Z. Ciuffoletti, M. Degl’ Innocenti, G.Sabbatucci, Storia del PSI (3). Dal Dopoguerra a oggi. Laterza, Roma – Bari 1993, p.227

[8]Cfr. Cfr. Valentine Lomellini, op. cit., p.138

[9] Cfr. Marco Clementi, Storia del dissenso sovietico (1953 – 1991), Odradek, Roma 2007, pp. 241 – 242

[10]Cfr. Adriano Guerra, Comunismo e comunisti, dalle “svolte” di Togliatti e Stalin del 1944 al crollo del comunismo democratico, edizioni Dedalo, Bari 2005, pag. 287

[11] Cfr. E. Crispolti G. Moncada, La nuova arte sovietica: una prospettiva non ufficiale, Marsilio, Venezia 1977 p. 9

[12] Cfr. Antonello Trombadori, La Repubblica, 14 novembre 1977