www.unclosed.eu

arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

I fazzoletti intrisi delle nostre lacrime metteranno le ali e voleranno lontano per sviluppare profonde radici di giustizia

Lucilla Meloni ha incontrato Gea Casolaro vincitrice del concorso per il Parco Eternot a Casale Monferrato

 

Il Comune di Casale Monferrato ha deciso, per non dimenticare i suoi morti per la fibra di amianto, di creare nell’area dove sorgeva la fabbrica Eternit, ora bonificata, il Parco Eternot.

La Ditta Eternit, che si estendeva su circa 94.000 mq, iniziò la sua produzione nel 1907 e nel 1986 la terminò; responsabile di migliaia di morti causate dal mesotelioma pleurico, patologia riscontrata non solo nei lavoratori della fabbrica ma anche in soggetti ad essa estranei, alla Ditta si deve anche il drammatico inquinamento ambientale.

Il Parco Eternot è un luogo della memoria nato anche per accogliere un’opera d’arte, un monumento contemporaneo non agli eroi che hanno fatto la storia, ma ai lavoratori e ai cittadini caduti a causa dell’ingiustizia e dell’amoralità di un sistema di produzione capitalistico che qui, come altrove, ha posto come unico valore il profitto, a scapito della dignità e della stessa vita umana.

Il concorso pubblico ha visto la partecipazione di 90 artisti in una prima fase e dei cinque selezionati che, dopo un sopralluogo a Casale Monferrato, hanno avuto un mese di tempo per presentare i loro progetti. L’opera di Gea Casolaro è risultata vincitrice.

Abbiamo intervistato l’artista, che ci ha raccontato la genesi del progetto di Vivaio Eternot.

Il vivaio verrà impiantato all’inizio di settembre e il parco, con l’opera, saranno inaugurati il 10 dello stesso mese.

Lucilla Meloni: Hai immaginato di creare un vivaio, ripetendo un antico gesto simbolico, che evoca la fondazione di un sito, o di un luogo speciale come “Il Giardino dei Giusti”. Un progetto, Vivaio Eternot, che si collega idealmente ai Parchi della Rimembranza, disseminati nelle nostre città. Hai trasformato un luogo che ha dato la morte in un luogo di vita. Raccontaci la sua genesi e il suo sviluppo.

Gea Casolaro: L’ispirazione per questo lavoro mi è venuta da un racconto di Jean Giono del 1953, L’uomo che piantava gli alberi, considerato uno dei primi testi ecologisti. Narra di un uomo che dopo la morte della moglie e del figlio, si ritira a vita solitaria in montagna per dedicare la sua vita al rimboschimento del territorio, piantando ogni giorno cento ghiande, fino a fa rifiorire tutta la regione.

Contrappore alle migliaia di morti l’idea di un vivaio, mi è sembrata la cosa più sensata. La residenza e i sopralluoghi a Casale Monferrato, finalizzati ad approfondire la conoscenza del territorio e della sua realtà prima della presentazione del progetto, mi hanno permesso di individuare la pianta ideale per il Vivaio Eternot: nei giardini pubblici della città mi sono imbattuta in una pianta di cui non avevo mai sentito parlare prima, la Davidia Involucrata, detta albero dei fazzoletti. Nessuna pianta avrebbe potuto simboleggiare meglio la storia di Casale. Il titolo completo dell’opera, prende spunto dai vari nomi della Davidia che viene chiamata anche albero dei fantasmi o albero delle colombe: I fazzoletti intrisi delle nostre lacrime metteranno le ali e voleranno lontano per sviluppare profonde radici di giustizia - Vivaio Eternot.

Contrapporre alla morte la vita, con l’attenzione, la tenacia, la pazienza a cui ci obbliga il prenderci cura di qualcosa di vivo da trasmettere alle generazioni future, molto più che un classico monumento statico. Esattamente questo era il pensiero: la trasmissione alle generazioni future, non attraverso un oggetto da contemplare, ma tramite delle piantine di cui prendersi cura, per farne dono a chi (Enti, Comuni, Associazioni, Tribunali, Ospedali) si sarà distinto per il lavoro di bonifica dall’amianto, per le cure delle malattie da esso causate, per aver fatto giustizia sui reati che riguardano l’uso sconsiderato di questo materiale. In questo modo il Vivaio Eternot, oltre ad essere un monumento vivo, sarà anche un monumento diffuso, perché le sue piante si potranno ritrovare in ogni luogo dove si sarà agito concretamente nella lotta all’amianto. In questo modo, il monumento celebra non solo le vittime dell’Eternit, ma anche l’impegno di tutte le persone che si battono perché di amianto non si muoia più. Un monumento attivo in tutti i sensi.

L. M. E’ una grande assunzione di responsabilità per un artista veicolare attraverso un’opera d’arte il dolore, il farsi depositario di questo sentimento... Come hai vissuto questo tuo ruolo? Questo tuo diventare, di fatto, voce di una coscienza collettiva?

G.C. Penso che la risposta a questa domanda sia più vasta: io credo che tutti gli esseri umani si debbano prendere delle responsabilità, rispetto al luogo in cui si trovano e agli esseri che lo abitano. Questa responsabilità, ognuno di noi la esprime con i propri mezzi e le proprie capacità, ovunque si trovi, lavorando al meglio, per il bene comune. Non penso ci sia nessuna differenza tra essere artisti, medici, agricoltori o insegnanti.

L. M. Comunque sei tu, in quanto artista, l’artefice a cui è stato chiesto di realizzare un’opera d’arte…

G.C. La bellezza di questa esperienza a Casale Monferrato sta proprio nel vedere collaborare tante persone, con le più diverse competenze, con un unico obiettivo comune: ottenere giustizia per le tantissime morti che si potevano evitare, e fare di tutto perché i decessi causati da questo materiale non si ripetano più nel mondo. Un obiettivo questo, ancora lontano da venire, visto che il cemento-amianto si produce ancora su vasta scala in molti continenti, che l’incubazione del tumore da esso causato può essere anche di 30-40 anni e che quindi è difficile rendersi ben conto della portata del disastro dato che quello installato in passato nelle nostre case, scuole, uffici, sta iniziando a sbriciolarsi ora, diffondendo le sue fibre invisibili e mortali ovunque. Per questo la bonifica è fondamentale ed è su questo che il Vivaio Eternot pone l’accento: il modo più utile per celebrare i morti, è preoccuparsi dei vivi.

L. M. Vivaio Eternot, pur nascendo all’interno di una drammatica realtà sociale, e senza tradirla, da questa riesce a staccarsi per trasformarsi in un atto simbolico: un ponte verso altri luoghi e altri futuri.

Immagino gli alberi dei fazzoletti in fiore, immagino i giovani che dal loro osservatorio spediscono le piante... Il lavoro include l’idea dell’aver cura delle cose, di proteggerle per farle vivere e sopravvivere.

Potrebbe essere, quest’opera, una metafora dell’arte, in un presente che implode su se stesso?

G. C. Ho sempre pensato che la poesia, con qualunque mezzo si esprima, sia salvifica, nel senso letterale di “rendere salvi”: un vero e proprio salvagente. Ogni giorno nel mondo si producono centinaia di tragedie causate dal lato mostruoso dell’essere umano. Ecco, io credo che nostro dovere sia contrapporre alla barbarie e allo scempio, tutta la nostra umanità, proprio nel senso dell’Umanesimo: rimettere al centro l’essere umano e tutta la sua immensa poetica capacità creatrice, come strumento per combattere la morte.

“A pensare che tutto ciò era frutto delle mani e dell’anima di quell’uomo, senza mezzi tecnici, si comprendeva che gli uomini potrebbero essere efficaci quanto Dio in altri domini oltre a quello della distruzione” (1).

1) «Quand on se souvenait que tout était sorti des mains et de l'âme de cet homme – sans moyens techniques – on comprenait que les hommes pourraient être aussi efficaces que Dieu dans d'autres domaines que la destruction». Jean Giono, Œuvres romanesques complètes: L'Homme qui plantait des arbres, vol. V, pag. 762, Paris, Gallimard, 1980.