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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Fabrizio Crisafulli

Riportiamo qui un estratto dal libro di Fabrizio Crisafulli. Il teatro dei luoghi. Lo spettacolo generato dalla realtà, uscito nel dicembre 2015 per le edizioni Artdigiland di Dublino, con la prefazione di Raimondo Guarino ed un testo della coreografa Giovanna Summo, che ha collaborato con Crisafulli per 10 anni. Il libro tratta del progetto “teatro dei luoghi” che l’artista-regista porta avanti da molti anni, che consiste essenzialmente nell’attribuire al sito nel quale lo spettacolo viene creato e presentato un ruolo generativo, di punto di partenza della creazione teatrale, simile a quello svolto tradizionalmente dal testo. Il libro analizza in dettaglio gli aspetti di questo approccio, in tutte le sue componenti: la drammaturgia, la regia, il lavoro del performer, la parola, il corpo, il movimento, lo spazio, la luce, il suono, le tecnologie. Quello che segue è il paragrafo dedicato al suono.

Da un certo punto in poi della mia ricerca, ho evitato l’uso di musica preesistente o comunque composta indipendentemente dalle prove, e di lavorare invece a partire dalla situazione sonora che si crea nel lavoro vivo, dalle voci degli attori durante le prove, dai rumori ed i suoni prodotti dalle persone e dagli oggetti nel relazionarsi tra loro e nello spazio, dalla reattività e creatività, rispetto a tutto questo, del musicista, del fonico e di tutto il gruppo.


Uno spettacolo nel quale ho affrontato la questione del suono in tale direzione è stato Shō. La bellezza finale, creato in collaborazione con Marcello Sambati e Giovanna Summo, del quale ho curato la regia e il disegno luci (1). Shunkishō, il romanzo di Junichiro Tanizaki cui il lavoro si ispirava, racconta di una danzatrice che, divenuta cieca, dedica la sua vita alla musica. Essendo il tema centrale del racconto la cecità, decidemmo di svolgere tutti, me compreso, la parte iniziale delle prove ad occhi bendati, per capire meglio, come, in quelle condizioni, venga percepita la realtà. Rispetto al nostro sentire lo spazio e la presenza degli altri, questa scelta conferì inevitabilmente un ruolo di primo piano, durante le prove, al tatto (soprattutto rispetto al pavimento) e all’udito. E nello spettacolo si tradusse nel ruolo molto importante svolto dal piano del palco e dai rumori: il palcoscenico (sempre, necessariamente, di legno) era sonorizzato e catturava, amplificandoli, tutti i rumori prodotti dai passi (nella seconda parte dello spettacolo accentuati dall’uso di zoccoli di legno), dalle camminate, dai fruscii delle vesti. Diveniva, conseguentemente, una sorta di strumento sonoro che “leggeva” le azioni, traducendole e prolungandole acusticamente. Erano in questo modo le azioni, per mezzo del palco, a generare la partitura sonora del lavoro. Il palco, a sua volta, con le sue qualità sonore, condizionava i movimenti, la loro energia e i loro tempi, in ragione del rapporto col dispositivo acustico.
In Camera eco(2), anch’esso spettacolo per il palcoscenico, il principale tema affrontato era la riflessione visiva e sonora. Vi erano in esso continue relazioni di scambio, rispecchiamento, ribaltamento tra i suoni, i rumori, le voci reali, da un lato, e i loro corrispettivi registrati, dall’altro.
Nel teatro dei luoghi, l’approccio rispetto al suono ha notevoli specificità. Il lavoro di ascolto è rivolto in notevole misura al “paesaggio sonoro”(3) del sito, all’insieme dei suoi suoni e rumori, visti in relazione al nostro agire sul posto, al senso che a questo agire diamo, e ai rumori che con esso produciamo. Come per la luce e per le altre azioni, anche per il suono assumiamo il “luogo” come matrice.


Nelle azioni di Dammli Stück (4), performance creata ai bordi di un canale d’acqua vicino Zurigo, ad esempio, abbiamo usato diversi richiami di animali, quelli dei cacciatori: fischietti, congegni di legno, piccoli mantici; richiami di uccelli ed animali acquatici effettivamente presenti nel luogo. Il suono si articolava su tre livelli, che interagivano tra loro: i versi reali degli animali del posto, i richiami azionati dalle tre performer e le elaborazioni sonore dei richiami stessi, realizzate in studio. I rapporti tra questi tre livelli del suono creavano scambi, associazioni fantastiche, sovrapposizioni, spiazzamenti, dilatazioni temporali, ambiguità percettive: fattori cui erano affidate, in parte considerevole, le intenzioni poetiche e ironiche dello spettacolo, e il suo carattere immaginifico.
Durante la preparazione della performance Le Acque, realizzata nella Selva di Paliano, un’area naturalistica lontana dai centri urbani, in provincia di Frosinone (5), i rumori del luogo, il vento, l’acqua, il fruscio delle foglie, i versi degli animali, si rivelarono giorno dopo giorno un universo sonoro di grande estensione, con un’infinità di rumori di diversa qualità e profondità, e moltissime sfumature. Il lavoro fu presentato a tarda notte, e la notte sembrava accentuare queste caratteristiche. Durante la preparazione del lavoro, l’andamento di quell’universo sonoro, man mano che lo assimilavamo, aumentò la sua influenza, inducendoci gradualmente a dilatare le azioni nel tempo e nello spazio, a eliminare buona parte delle musiche pensate preventivamente, a entrare in relazione con i suoni della natura, a conferire alla fine allo spettacolo una qualità meditativa, ampia e sospesa.


Anche in Numina, lo spettacolo realizzato a Cerveteri, il silenzio notturno della necropoli aveva portato ad una sorta di dilatazione spaziale e temporale del percorso, che aveva passaggi lunghi e semibui tra un’azione e l’altra. Questo offrì al pubblico l’opportunità di camminare, osservare, “abitare” il luogo. I percorsi, i passaggi, le pause divennero componenti del lavoro a tutti gli effetti. Anche in quel caso, lasciammo affiorare i rumori della natura, inserendoli nella struttura del lavoro e nel suo contesto fantastico. Combinandoli con altri suoni: campionamenti effettuati in loco; voci dal vivo e registrate; richiami di caccia con i quali cercammo, anche in quel caso, di creare una relazione con i versi degli animali presenti nel luogo.


Specifiche soluzioni sonore sono a volte derivate da certi attributi del luogo, o da sue divisioni funzionali, come quelle tra interno ed esterno. Nella performance realizzata in una sala dell’ex-lanificio che è sede della Fondazione Pistoletto a Biella (6), vi era ad esempio un momento nel quale Giovanna Summo, autrice con me del lavoro, apriva uno dopo l’altro tre grandi finestroni che davano sulle cascate che costeggiano l’edificio. L’irruzione violenta, per gradi, del rumore dell’acqua all’interno della sala creava una variazione di atmosfera e della percezione dello spazio interno e delle azioni, e contrassegnava un passaggio drammaturgico aprendo una relazione con l’esterno, con la campagna, con le memorie dell’edificio industriale e dei motivi (l’uso del torrente come fonte di energia) della sua localizzazione.


In altri casi, importanti spunti sonori sono venuti da elementi appartenenti al sito, come, ad esempio, le macchine in un luogo produttivo. Nella performance Il Bianco, prima citata, realizzata in un laboratorio per la lavorazione dell’alabastro a Volterra, utilizzammo nelle azioni le macchine da lavoro normalmente impiegate dagli operai (un tornio, un compressore), facendole intervenire nella determinazione dei ritmi, del tessuto sonoro e della struttura complessiva della performance. Un pezzo di danza venne costruito in relazione al ritmo del tornio. Un altro ancora, in rapporto al compressore, il cui uso influenzò anche i testi e suggerì frasi e motti di spirito come quelli – riferitici dagli alabastrai – legati all’atto di scuotersi la polvere di dosso alla fine della giornata; ed ispirò delle azioni incentrate proprio sui getti di aria compressa, il loro rumore, lo scuotimento delle vesti(7).


Durante la lavorazione di Die Schlafenden
(8), spettacolo del 2013 realizzato alla Tonhof di Maria Saal, in Carinzia, lavorammo tutto il tempo avendo attorno i cavalli che si trovavano in un avvallamento adiacente. Sentivamo, nel corso della giornata, la loro presenza, il galoppo, i nitriti, e potevamo osservarli nelle pause delle prove. Fin dall’inizio si avvertivano le potenzialità generative della loro presenza rispetto al lavoro. La vicenda narrata nel romanzo di Kawabata si svolge in una opprimente “casa chiusa”. Nel romanzo è molto importante, dal punto di vista del suono e non solo, il rapporto tra interno ed esterno. La presenza dell’esterno, sebbene circoscritta a pochi momenti della narrazione, è molto forte, e si rivela in temporanee irruzioni dei rumori della natura, in particolare delle onde del mare, nella casa. È come il reale che si ripresenta in quel luogo appartato ed “astratto”. Quando ho letto il libro, ho sentito l’irrompere del rumore delle onde in quell’ambiente stagno ed equivoco come una forza immanente, ed anche come una specie di memento o di monito rispetto agli avvenimenti ambigui della casa e a chi li conduce. Inquietante come un avvertimento. Alla Tonhof, nel fare il lavoro di campionamento dei rumori del luogo registrammo anche i versi di un cavallo. Li utilizzammo, all’interno dello spettacolo, con un ruolo ed un senso per alcuni aspetti simili a quelli del rumore delle onde nel romanzo. Come una forza dirompente, proveniente dall’“esterno”(9). C’era un momento nel quale la registrazione del cavallo fiancheggiava un’azione di Simona Lisi, che condivideva con Angie Mautz il compito di impersonare i diversi risvolti della figura della maitresse della casa. Si combinava con i suoi gesti e con i rumori amplificati dei suoi passi. Succedeva anche che, durante la performance, si potevano sentire i cavalli correre e nitrire fuori. Non li avevamo fatti allontanare del tutto. Erano ancora in un terreno vicino. La percezione della loro presenza e della loro energia ben rendeva, durante lo spettacolo, il senso di una forza “esterna” ed immanente. A volte, i cavalli “rispondevano” alla registrazione usata all’interno. I rumori campionati svolgevano quindi contemporaneamente la funzione di sollecitare e di assimilare i rumori reali, esterni, dei cavalli veri, integrandoli come una traccia sonora – autonoma e appartenente al luogo – dello spettacolo.


Ho lavorato spesso sull’integrazione dei suoni del sito. A volte anche per assimilare rumori “trovati” che di per sé potevano essere molesti. È successo, ad esempio, in Dentro il giardino(10), lavoro finale di un laboratorio di teatro dei luoghi condotto nello storico giardino degli aranci di Sermoneta, addossato alle antiche mura del paese, affacciato sulla pianura Pontina. Un grande giardino a terrazze, con una rete di percorsi pedonali e scalette. Il problema “sonoro” che si presentò in quell’occasione era legato al fatto che da una delle case della cinta muraria che delimita il giardino sul lato interno, proveniva spesso il suono di un televisore, tenuto ad alto volume. Come avemmo modo di accertare, apparteneva ad un prete. Andammo a chiedergli di tenere spento il televisore, senza ottenere risposta. Alla fine, trovammo una soluzione per integrare quella preesistenza nel lavoro: creammo in quella zona un’azione finale di tutti i partecipanti, in cima alle scale che conducevano a quella che avevamo individuato come l’uscita per il pubblico. Durante le prove, realizzammo una ripresa video di quell’azione. Nello spettacolo la proiettammo, senza sonoro, sul fronte delle case, non lontano dal punto da cui provenivano i rumori televisivi, sullo sfondo rispetto al gruppo, che si trovava più vicino al pubblico. Era importante il fatto che la proiezione sullo sfondo fosse senza sonoro. Il video muto, nel quale non si capiva cosa gli appartenenti al gruppo dicessero, oltre a
“raddoppiare” l’azione dal vivo, cosa che aveva senso nel contesto del lavoro, era in grado di “assorbire” i rumori provenienti dalla casa (e, come si è verificato, anche da altre abitazioni), che si avvertivano nella parte finale del percorso. Assimilati allo spettacolo, i rumori televisivi contribuirono all’esito finale anche sul piano dell’ironia, con quella associazione tra il non dir nulla e la televisione e con quella provenienza dei suoni da mura medievali, così espressiva della condizione del luogo.

 

1) Roma, Teatro Sala 1, 15 dicembre 1998.

2) Dublino, Samuel Beckett Centre, 13 gennaio 2001.

3)Cfr. R. Murray Schafer, Il paesaggio sonoro, Ricordi/LIM, Roma, 1977; B. Truax, Handbook for Acustic Ecology, A.R.C. Publications, Vancouver, 1978.

4)Uznach (Svizzera), festival Treffen der Freilichttheater, riva dela Dammli, 5 settembre 2010.

5)Paliano (FR), primo Festival di teatrodanza nella Selva di Paliano, riserva naturalistica, 19 giugno 1998. La performance venne presentata a tarda notte. Le azioni si svolgevano sulle rive e sull’isolotto di uno dei laghi della riserva.

6)Trapezio, Biella, Festival Internazionale delle Arti, Cittadellarte/Fondazione Pistoletto, 25 settembre 1999. Il lavoro metteva in relazione tra loro i caratteri della struttura produttiva storica con quelli dell’odierno spazio d’arte. Il titolo derivava dal nome della grande sala dove la performance venne creata, che ha pianta trapezoidale.

7)Il Bianco, Volterra, festival “Volterrateatro”, antichi laboratori di alabastro, 22 luglio 1998: percorso di installazioni ed azioni teatrali nei laboratori di alabastro del centro storico di Volterra.

8)Maria Saal (Austria), Tonhof, 24 agosto 2013.

9)Nello spettacolo la presenza dell’“esterno” era anche data dalle luci che avevamo collocato fuori dall’edificio e che in certi momenti facevamo filtrare all’interno attraverso le finestrelle e le fessure nel legno.

10) Sermoneta (LT), “VII Cantiere di Teatro d’Arte”, Giardino degli aranci, 9 settembre 2006.