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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Prato, 25-27 settembre 2015: tre sedi, centinaia di partecipanti, un gran circolare di idee. E adesso?

Teresa Lucia Cicciarella

L’ultimo weekend di settembre ha visto svolgersi, a Prato, un evento nuovo e ambizioso: il Forum dell’Arte Contemporanea italiana (prima edizione, appunto), organizzato dal Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci che si appresta alla completa riapertura in programma entro un anno.

Il comitato promotore del lungo incontro, svoltosi tra venerdì 25 e domenica 27, è stato formato da Fabio Cavallucci, direttore del Pecci e da Ilaria Bonacossa (direttrice del Museo di Villa Croce, Genova), Anna Daneri (curatrice e co-fondatrice di Peep-Hole, Milano), Cesare Pietroiusti (artista e docente) e Pierluigi Sacco (docente di Economia della Cultura), che hanno –anche al termine di una consultazione online, svoltasi sul portale creato ad hoc per il Forum– stilato un corposo programma di dibattiti, articolato in quarantadue temi inerenti ai diversi aspetti della creazione, promozione e valorizzazione dell’arte contemporanea. Obiettivo dell’incontro: fare il punto sullo stato di salute del sistema-arte in Italia e, dopo averne evidenziate le criticità, presentare ipotesi di sviluppo e miglioramento di quello.

Queste le sei macroaree alle quali afferivano i singoli argomenti di confronto: Formazione; Proposta di riforme politiche; Discussione, analisi, approfondimento, denuncia; Comunicazione e rapporto coi media; Rapporto pubblico/privato; Proposta di strategie interne. Evidente, dunque, la volontà di strutturare il dibattito in modo capillare e il più possibile rispondente alle esigenze di chiarezza e rinnovamento di chi l’arte la crea, di quanti la osservano, la vivono o lavorano con essa.

A questo proposito, è apparso particolarmente significativo un pensiero di Pietroiusti (rivolto alla platea riunita al Teatro Metastasio), espresso a chiusura della tre giorni ma di fatto centrale per l’intera questione: “Quello per l’arte è un amore irragionevole che motiva la spinta conoscitiva: siamo tutti, innanzitutto, appassionati di arte e non dobbiamo dimenticarlo”.

Per quanto, infatti, il fare o l’occuparsi di arte siano giustamente guidati da stimoli intellettuali, estetici o di qualsivoglia altra natura, non si deve dimenticare l’aspetto del desiderio, che muove verso oggetti o concetti vicini alla realtà e alle istanze proprie dei nostri giorni e chiama a una cura costante e consapevole di quelli.

Pertanto, collegare queste ‘strutture di desiderio’ alla volontà di migliorare e democratizzare sempre più un sistema che spesso rischia di presentarsi come stantio e autoreferenziale, dev’essere una motivazione pungente, utile a far uscire passo dopo passo l’Italia da quella condizione di “malessere diffuso”, di “una sorta di esercito dopo Caporetto”, in disfatta e acciaccato, come efficacemente indicato da Cavallucci venerdì 25.

Non stupisca il richiamo storico-militare proposto dal direttore del Pecci, giacché il concetto di ‘avanguardia’, da cent’anni e più, dovrebbe averci introdotti a tale paradossale ambito metaforico: a Prato Caporetto è stato, in effetti, un luogo richiamato per absurdum a ricordare anche come, negli ultimi anni, la presenza di artisti italiani alle biennali internazionali sia stata quantomeno scarna. Si rivedano infatti i dati elencati da Cavallucci, riguardanti la partecipazione italiana ad alcune tra le principali rassegne recenti: Istanbul 2013: 1 [Rossella Biscotti]; Sidney 2014: 1 [Rosa Barba]; Berlino 2014: 2 [Rosa Barba, Monica Bonvicini]; Manifesta 2014: 0; San Paolo 2014: 0; Venezia 2015: 4 [nella mostra internazionale: Rosa Barba, Monica Bonvicini oltre a Fabio Mauri e Pino Pascali]; Istanbul 2015: 4 [Giovanni Anselmo, Fabio Mauri, la giovane Elena Mazzi, Michelangelo Pistoletto. Ma troviamo anche Giuseppe Pellizza da Volpedo, o il Liberty di Raimondo D’Aronco].

Eccezion fatta, in parte, per la 13a dOCUMENTA di Kassel, curata daCarolyn Christov-Bakargiev nel 2012 e che aveva registrato una più nutrita presenza di artisti italiani, perlopiù ampiamente storicizzati (basti rileggere un nome cruciale: Giorgio Morandi), è effettivamente da ripensare, sui numeri, a quali possano essere state e siano tuttora le motivazioni di una perifericità evidente e protratta a più livelli (si ripensi, a tal proposito, a tanto entusiasmo profuso intorno alla scelta di nomi stranieri assegnati alla direzione di venti grandi musei italiani: senza nulla togliere agli alti curricula selezionati, rimane il dubbio che molti –anche ai vertici istituzionali– abbiano auspicato o elogiato quasi aprioristicamente l’arrivo di professionisti stranieri).

La questione è stata sollevata in uno dei tanti “tavoli” di discussione pianificati –come metodo di condivisione e scambio orizzontale di saperi e opinioni, pronti a interagire con il pubblico presente– e intitolato esattamente Esterofilia: un problema italiano e coordinato da Francesco Garutti.

E’ da notare, tuttavia, come punto critico dell’intera organizzazione del Forum, il serrato sovrapporsi di tavoli di discussione e, ancora, delle sessioni conclusive ospitate dal Teatro Metastasio, dedicate alle relazioni sintetiche dei lavori e degli spunti di dibattito evidenziati dai singoli gruppi di lavoro. Il folto pubblico presente a Prato, dunque –più di mille utenti registrati, oltre quattrocento relatori/partecipanti ai tavoli, riporta l’organizzazione– ha dovuto operare scelte istantanee e obbligate, per partecipare a uno o più momenti di discussione. Questi hanno avuto luogo in due notevoli sedi storiche pratesi: il palazzo Banci Buonamici e la sede della Monash University, strutturati in serie piuttosto articolate di sale e saloni che hanno ospitato i dibattiti della durata di due ore e trenta ciascuno.

Confrontando opinioni tra colleghi storici dell’arte, curatori, artisti o appartenenti ad altre professionalità vicine all’ambito artistico, si è notato un rilevante entusiasmo propositivo e progettuale ma, di pari passo, la volontà di cercare di capire qualcosa di più o di comporsi una panoramica generale sugli esiti del dibattito e le conseguenti proposte.

A questo proposito è stata Ilaria Bonacossa, nel corso della mattina conclusiva dei lavori – domenica 27– a porre più volte l’esigenza di produrre, a partire dal Forum, “un documento importante” e propositivo, annunciando come nelle due settimane immediatamente a ridosso dei lavori i partecipanti a ciascun tavolo sarebbero stati invitati a produrre “un riassunto, una definizione, un risultato”. In poche parole, una chiusa propositiva e programmatica legata a ciascuna sfera di discussione affrontata.

Purtroppo, ad oggi –si fa qui riferimento alla metà del mese di ottobre– sul ben strutturato portale web dedicato all’evento non è stata ancora registrata pressoché alcuna relazione o nota finale ai lavori del Forum. In particolare, un unico testo conclusivo è stato presentato per il tavolo Separare la politica dalla cultura: un’urgenza, coordinato da Christian Caliandro e centro di un acceso dibattito, che ha in parte (e non inaspettatamente!) visto come elemento accentratore il critico Achille Bonito Oliva.

Tra le proposte scaturite dal gruppo di lavoro, ferma restando la volontà di distanziare l’ambito della creatività dalle ingerenze della politica attuale italiana (di per sé complessa e distante dalla nostra sfera d’interesse), quella di stimolare una rinnovata partecipazione sociale, sia da parte degli artisti quanto del pubblico e di generare, in modo positivo e laborioso, un nuovo terreno fertile a partire dalle oggettive criticità della società e dell’arte italiane. Nelle conclusioni ordinate da Caliandro e presenti sul sito web (http://www.forumartecontemporanea.it/) leggiamo ancora: “Dobbiamo pretendere (non chiedere, né elemosinare) che lo Stato torni a finanziare le attività culturali, rifiutando qualunque supposta giustificazione storica della dismissione e della deresponsabilizzazione rispetto al supporto pubblico della cultura”.

Quest’ultimo aspetto era già stato al centro di uno tra i primi appuntamenti del Forum, ossia il gruppo di discussioni afferenti alla macroarea della Formazione: tra tutti, si vuole qui ricordare il momento di confronto dedicato alla Storia dell’arte nelle scuole: la grande assente e coordinato da Annalisa Cattani.

In esso, preso atto del momento di grande rivolgimento attraversato dal sistema scolastico-formativo, si è sviluppato, come vera linea guida, il proposito di chiedere, e farlo a gran voce, che la storia dell’arte torni a nutrire lo spirito critico delle nuove generazioni, tornando a essere strumento conoscitivo realmente utile a saper affrontare gli eventi e gli eterogenei stimoli della contemporaneità socio-politica.

Chiuso il Forum, molte rimangono le curiosità, le esigenze d’espressione: esigenze che pare potranno trovare spazio nei successivi sviluppi dell’evento, descritto da Pierluigi Sacco come piattaforma in fieri e aperta, che ha mirato a “osservare il processo di intelligenza collettiva di un processo complesso quale il sistema socio-economico-culturale dell’arte italiana”. “La cosa più importante da fare” –ha infine concluso Sacco, tra i più autorevoli protagonisti dell’evento– “è avanzare delle proposte, dando carattere di stabilità a questo Forum e affinando la capacità di produrre politiche e azioni concrete e realistiche”. Come non concordare?

Certamente il terreno su cui operare presenterà le necessità del ristabilire la centralità della formazione (intellettuale, pratica e professionale) –per artisti, storici dell’arte e critici, curatori e operatori culturali– del rapporto con la comunità e, assolutamente non in ultimo, la necessità della collaborazione tra le istituzioni e i diversi attori, pubblici e privati, del ‘sistema’ dell’arte contemporanea italiana. Ammesso che ‘sistema’ sia ancora la giusta sigla da adoperare, giacché ne paiono evidenti i limiti e i pericoli sottesi al presentarsi, talvolta, letteralmente come sistema in sé ‘concluso’.