www.unclosed.eu

arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Al MACRO la XIV edizione Fotografia Festival Internazionale di Roma

Simona Antonacci

La stagione autunnale delle mostre romane si è aperta, per il quattordicesimo anno, con il Festival dedicato alla Fotografia. Lo storico direttore Marco Delogu lo cura quest’anno insieme a uno staff di giovani curatori, composto da Alessandro Dandini de Sylva, Carolina Pozzi, Flavio Scollo (anche in questo caso, come l'anno scorso per Delogu, occorre sottolineare l'ambigua potenzialità della duplice funzione di curatore e autore di alcuni di loro).

Ad ospitare il Festival è ancora una volta principalmente il MACRO di via Nizza, a cui si aggiungono le sedi del circuito esterno, come l’Accademia Americana –che presenta tra l’altro la prima retrospettiva italiana dedicata all’attività di fotografo dell’artista americano Cy Twombly, lungamente residente a Roma– e quella Tedesca. Dopo la mostra dedicata l'anno passato adAugust Sander ed Helmar Lerski, la Repubblica di Wiemer torna ad essere protagonista della proposta di Villa Massimo. In questa occasione con il lavoro di due autori: l’ebreo-tedesco Erich Salomon, fotoreporter “indiscreto” deportato in epoca nazista, e il documentatore della vita quotidiana berlinese Friedrich Seidenstücker.

In una Roma affaticata da mesi di profondi subbugli, nella Sala Enel che ora non ha più ragione di essere visto che l’azienda è diventata sponsor dell’(ex) concorrente Museo MAXXI, prende forma un progetto intermittente.

Intermittente perché spinge l’osservatore a seguire un itinerario di senso non omogeneo, che frappone percorsi narrativamente coerenti e giustapposizioni tematiche, legate a Committenze e Premi, che complicano ulteriormente la possibilità di cogliere una unità tra i molteplici strati di un soggetto già sufficientemente vasto, quello del "Presente".Il tema scelto quest’anno dal direttore Delogu è infatti abbastanza vago da rischiare una scarsa attendibilità, ma così radicato nel modello procedurale del fare fotografia che “per statuto” esso si fa garanzia di una qualità dell’offerta sul piano degli esiti visivi.

Potrebbe la fotografia non interrogarsi sul presente?

Essa è comunque portata a farlo, per sua costituzione identitaria e originaria. Come afferma Stefano Velotti nel testo in catalogo, e come suggerito anche dalla rassegna, «La fotografia dice il presente in molti modi»(1).E in questa possibilità di “nominare” i suoi diversi significati e livelli d'osservazione, che si può forseindividuare la chiave di lettura per approcciare e trovare un senso a una proposta curatoriale altrimenti scivolosae sfuggente.

La mostra si apre, invero, con una sequenza in cui sembra di poter rintracciare punti di riferimento per un percorso di senso saldo, che invita a riflettere sul modo in cui ci poniamo come osservatori del paesaggio culturale e fisico che ci circonda.

I segni, le tracce, la resa materica, elementi che da sempre sono protagonisti dello scatto fotografico -non solo in quanto soggetti, ma come strumenti concettuali dell’interrogazione linguistica-sottendono l’indagine di Flavio Scollo, Nicolò Degiorgis, Stefano Graziani. Se nel primo sono le impronte dell’allunaggio a rimandare alla fotografia in quanto linguaggio che evoca la memoria attraverso la traccia, nel lavoro di Stefano Graziani, di delicato ed empatico fascino, è il “lento” evidenziarsi del segno a scandire la temporalità dell’immagine. Ispirata al filmLa grande estasi dell’intagliatore Steiner di Werner Herzog la serie fotografica da lui realizzata con una camera fissa e con una ripresa ampia, ritrae uno sciatore che spicca il volo da un trampolino: sequenza dopo sequenza, questo geroglifico sembra avvicinarsi all’osservatore, assumere una forma e una temporalità, divenendo prima scrittura, poi narrazione. Emergono lentamente dalla luce all’ombra anche le “materie” ritratte dal bolzanino Nicolò Degiorgis - vincitore con Hidden Islam dell’Author Book Award ai Rencontres de la Photographie di Arles nel 2014. Giustapposte e affini, alte formazioni rocciose delle Dolomiti Cadorine e piccoli cumuli di sabbia della cave limitrofe suggeriscono sovrapposizioni percettive e smarrimenti dimensionali, che sembrano rimandare a una loro continuità germinativa.

Nel percorso proposto dalla mostra l’attenzione sembra spostarsi in modo sempre più esteso sui paesaggi urbani e naturali e sui significati visivi e culturali che essi assumono.

Olivo Barbieri prosegue il suo ultradecennale progetto site specific, dedicato all’indagine sulla forma delle città del mondo, recuperando il primo soggetto ritratto in questa serie, nel 2003: quella Roma i cui simboli sono così riconoscibili da divenire sagome del conosciuto. La realtà si fa plastico passando attraverso una visione che è imprescindibilmente mediata da ciò che sappiamo. Interventi grafici anche nel lavoro di Fabio Barile, che sovrappone gli appunti tecnici del geologo Antonio Moretti alle immagini di paesaggi regionali abruzzesi, che si caricano di significati e presagi pensando al terremoto del 2009. Risuonano echi di visioni, percezioni, modelli costruttivi nel decennale viaggio fotografico compiuto dal barese Domingo Milella –da Bari ad Ankara, dal Medio Oriente al Messico e molto oltre-. Nella sua scacchiera di immagini nitide sembrano risuonare affinità elettive e formali tra luoghi distanti geograficamente e culturalmente. Uno sguardo che elude la centralità e che percorre i margini della visione, quello di Federico Clavarino, così come a suo modo elusivo è quello di Giovanna Silva, che ritrae la città di Al Monshah in Egitto in una sospensione metafisica e senza tempo.

Dal paesaggio, alle persone, alla comunità che abita il presente, con i contadini ritratti da Francesco Neri e con il diario fugace, frammentario, sospeso, naturalmente intimo di un’adolescente nel poetico lavoro di Allegra Martin. Un ritratto/autoritratto offuscato come quello che affiora dal ricordo è quello realizzato congiuntamente dalla fotografa Sabrina Ragucci e dallo scrittore Giorgio Falco, mentre sembra un tentativo di riscatto quello messo in scena dall’“illustratore di storie” e interprete trasformista Paolo Ventura. L’artista milanese teatralizza, in un’immagine che lo vede affiancato da un se stesso interpretato da suo figlio, l’interrogazione su ciò che rimane di un “sé” che è stato presente, ma che ormai è possibile solo nel ricordo e nella messa in scena. Sfuggenti come gli attimi e come le identità sono invece le persone ritratte dal fotografo Paul Graham nel suo progetto The Present: le grandi strade americane, soggetti privilegiati della storia del mezzo fotografico, sono riprese in modo inedito con scatti a brevissima distanza l’uno dall’altro, ricreando e cristallizzando un’esperienza visiva abituale.

Se questo nucleo della rassegna sembra ancora coerente, la presenza di altre mostre che vi dialogano trasversalmente e la presenza dei Premi disperde la possibilità di un raccordo unitario. Tra questi, si segnala il progetto di Pietro Paolini, con cui si arriva all'attualità del presente inteso come risultato dei fatti della storia.Il fotografo, membro del collettivo fiorentino Terraproject e vincitore l’anno scorso del Premi Graziadei, prosegue il suo lavoro dedicato alla persecuzione dei dissidenti politici del movimento Union Patriotica avvenuta in Colombia tra il 1986 e il 2006. Tra fotografie e materiali documentari, il lavoro di Paolini integra la ricostruzione cronachistica dei fatti con un percorso tra i ricordi delle famiglie delle vittime, scegliendo di considerare il “fare fotografia” come un modo di interrogare il presente, denunciandone le storture e le verità tragiche.

Infine, e anzi tornando al principio, il discorso sul presente sembra condurre di nuovo a Roma, a una città tanto stratificata e molteplice nella sua identità da poter essere osservata con sensibilità tutt’affatto differenti.

Delicato, potente e al contempo aderente al dato reale, il lavoro realizzato dal fotoreporter internazionale Paolo Pellegrin per la Commissione Roma. Intercettando uno dei temi più spinosi dell’attualità della città, Pellegrin sceglie come soggetto una famiglia Rom, ritratta in una dimensione ora intima, ora collettiva. Tutt’altra Roma quella invece raccontata con lucida oggettività da Hans-Christian Schink, che percorre un sentiero duplice attraverso l’urbe razionalista dell’Eur e quella archeologica degli acquedotti. Personalissimo, infine, il cammino di Mohamed Keita, rifugiato approdato diciassettenne a Roma nel 2010 e accolto, dopo due settimane trascorse alla stazione Termini, dal Centro Diurno Civicozero (Save The Children): con una macchina usa e getta che gli viene regalata, comincia l’avventura del suo sguardo, forse il più lucido tra i molti che hanno provato ad accarezzare la città.

 

1)G. Velotti, Il presente della fotografia e la dialettica del controllo, in Fotografia Festival Internazionale di Roma. Il Presente, catalogo della mostra a cura di M. Delogu, 9 settembre 2015 – 17 gennaio 2016, MACRO e altri sedi, Roma, Quodlibet, Roma 2015, pag. 13.