Una grande mostra per la riapertura del Centro Pecci

 

Lucilla Meloni

Il Centro Pecci, rinnovato dall’intervento architettonico di Maurice Nio, che ha ampliato le sale del museo in precedenza disegnato da Italo Gamberini, inaugura la sua apertura con una grande mostra, curata dal Direttore Fabio Cavallucci.

Il titolo indica la complessità del concetto di cui si tratta e se la complessità, collegata ad un’idea di universalismo, appare come un paradigma epistemologico da cui non si può prescindere nella riflessione contemporanea, questa mostra è come una sorta di viaggio all’interno della storia umana, vista però “da lontano” e in relazione alla sua posizione nella storia dell’universo.

Sembra poi una coincidenza sostanziale che proprio in questi giorni dovesse arrivare su Marte una sonda partita dalla Terra qualche anno fa, perché è proprio dallo spazio che prende le mosse la riflessione di Cavallucci.

View of the Planet Earth, un video della Nasa del 2016, registrato dalla Stazione Spaziale Internazionale, potrebbe essere l’introduzione concettuale alla mostra, ipotizzando che solo la rappresentazione di una visione della Terra inquadrata da lontano, che permetta l’applicazione di “un esercizio della distanza”, possa delineare il senso e lo stato del nostro presente.

La fine del mondo, scrive il curatore, va intesa come “la fine del ‘nostro’ mondo”: “La fine del mondo rappresenta qui il tentativo di dare un nome a un sintomo molto diffuso: lo stato di incertezza, la condizione di sospensione, l’incapacità di comprendere i grandi cambiamenti presenti, che ci fanno pensare che la situazione che abbiamo conosciuto finora sia ormai terminata”.

L’esposizione si presenta come un percorso articolato in differenti nuclei tematici, organizzati non in senso cronologico, poiché, come specifica Cavallucci: “questi disturbi del tempo sono propri della nostra epoca, nella quale il concetto di storia come susseguirsi cronologico di fatti è messo in crisi da un eterno presente informatico che abbraccia tutto” .

Una fine del mondo che tuttavia non esclude il tentativo umano di riposizionamento nella storia e nel tempo, come indicano le opere collocate nello spazio dedicato al presente: il “ventre della balena”.

E’ a partire dalle riflessioni del curatore che la mostra si dispiega: nata da un progetto ambizioso, propone una sorta di viaggio esperenziale in cui le opere sfiorano i molteplici aspetti di ciò che possiamo definire concettualmente come “mondo”. Natura e cultura, storia e preistoria, cronaca e politica, mondo organico e inorganico, racconto individuale e narrazione collettiva, il tempo del presente e quello del paleolitico inferiore, incontrano lo sguardo e il corpo dell’osservatore, che in un percorso polisensoriale ne vive le suggestioni.

Le opere di oltre 50 artisti internazionali danno corpo alla visione curatoriale e la declinano secondo diverse attitudini.

Entrando nel Museo, in quell’architettura che Cavallucci definisce come una specie di “navicella spaziale”, inondata dalla luce naturale, si incontra per prima l’opera di Thomas Hirschhorn: Break Through. Dal cascame che irrompe dal soffitto sfondato, simbolo dello sconquasso e di un fatto traumatico, si diparte il viaggio dell’osservatore, che si troverà a un certo punto ad avventurarsi nell’installazione di Henrique Oliveira, titolata Transcorredor: passerà per stanze, caverne e grotte e dovrà camminare incurvato in un tronco cavo che lo condurrà all’uscita. Attraverserà, poi, varie epoche geologiche e siderali, rifletterà sulla storia dell’arte davanti alle opere di Boccioni, di Duchamp e di Fontana e sulle sue origini al cospetto della Venere di Savignano di epoca paleolitica; si confronterà con i temi della contemporaneità: dallo scioglimento dei ghiacciai (Present Form Exposed II, di Darren Almond) alla riflessione sulla forza di seduzione esercitata sui popoli dalla religione (Magnetism, di Ahmed Mater), alla violenza cieca della natura simboleggiata dalla lotta animale nel video di Adel Abdessemed: Usine, alla violenza politica nel lavoro delle Pussy Riot: I can’t breath. Altre opere gli parleranno di origine del mondo e di poesia, come Map of Mythological Creatures di Qiu Zhijie, come il trascolorare della luce che illumina le 35 immagini che compongono l’opera di Olafur Eliasson: The Domadalur Daylight Series (North).

Infine nell’opera di Cai Guo-Qiang, Head On, si troverà in mezzo a un branco di 99 lupi a grandezza naturale che si scagliano in aria l’uno contro l’altro e che alla fine sbattono contro un muro di vetro: una riflessione sul concetto di gruppo e sulle dinamiche sociali ad esso interne.

Il bel catalogo, edito da Silvana Editoriale, documenta tutti gli eventi in corso e fa parte, a pieno titolo, della mostra stessa: ne diviene un’estensione. Progettato da Cavallucci, ospita, oltre alle schede dei lavori in mostra e al saggio del curatore, testi di numerosi autori.

La mostra è accompagnata da molti eventi collaterali, oltre a un fitto calendario di conferenze e performance, si segnalano le mostre: La fine del mondo – Prologo a cura di Stefano Pezzato, che vede la dislocazione di importanti opere della collezione Pecci in prestigiose istituzioni culturali toscane; Contemporary Tuscany, che traccia per la prima volta un percorso di arte urbana nell’area pratese; La Torre di Babele, ospitata nelle ex officine Lucchesi a Prato e curata da Pietro Gaglianò; TU35/2016, che presenta 10 lavori di altrettanti giovani artisti toscani.

Per concludere: il Centro Luigi Pecci sembra ritrovare il suo splendore iniziale e riconquistare un’importante posizione.

Ottobre 2016