Domenico Scudero

 

Il senso esistenziale dell'essere dell'Esserci è la Cura"
Martin Heidegger, Essere e Tempo – Prima Sezione

Il senso e la complessità politico-sociale di questa Quadriennale si possono leggere nelle pagine introduttive del catalogo in cui, in Tracce di un confronto. Commissione giudicatrice, Giuseppe Penone, autorevole artista italiano di quella generazione "benedetta" dalla storia, lamenta la sua contrarietà sulle modalità di realizzazione e di ideazione di questa sedicesima quadriennale; "Ho espresso subito un parere contrario a una mostra di più curatori in cui le opere degli artisti sono un'illustrazione del tema curatoriale"(1). E ancora: "Ritengo che le opere debbano avere una loro autonomia e necessità e che non debbano essere asservite a un pensiero che le omologa"(2). Tuttavia aggiunge Penone pur non condividendo "non ho ritenuto insistere nella mia posizione e ho accettato la volontà espressa dalla maggioranza..."(3).

In questa breve considerazione si legge tutta la contraddittorietà e la molteplicità focale della Quadriennale 2016 che come ricorda Bernabé nella sua introduzione da Presidente della stessa, ha la sua ragione d'essere nel sostenere e far conoscere l'arte italiana contemporanea. La critica mossa da Penone sarebbe legittima nel momento in cui l'Ente Quadriennale vivesse in un'epoca in cui il riconoscimento dell'opera fosse palese e di comune sentire nella società e nella politica. Purtroppo non è così. Questa Quadriennale disegna un paradossale paesaggio di bieco spaesamento, di ottundente miopia visiva da parte delle istituzioni e di ovvia frustrazione per chi vi abbia lavorato nella constatazione di quanto poco sia considerato il lavoro nel contemporaneo. Mai nella storia della Quadriennale si era potuto vedere un così massiccio intervento di giovani preparati culturalmente e criticamente alla gestione di una mostra istituzionale d'arte contemporanea; mai prima d'ora si era vista una quadriennale scevra da quel polveroso senso di provincialismo che attecchiva inesorabilmente anche sulle opere di maggiore interesse e mai come oggi l'indifferenza verso questa realtà è stata così forte, sfrontata. Ciò che lamenta Penone lo si può comprendere: si tratta della voce di un artista che la maggior parte degli addetti ai lavori, degli artisti stessi, considera uno dei padri tutelari del contemporaneo, così come lo sono stati Boetti, Fabro, Manzoni, Mauri, e come lo sono ancora Pistoletto, Lombardo, Calzolari. Sono esponenti di una generazione che ha vissuto la sobrietà e l'autorevolezza dell'opera, anche dopo aver subito anni di discredito o di praticantato. Oggi non è più così. Qualora si arrivi al culmine della carriera artistica si riesce a cogliere al più un vago senso di ebbrezza dovuto alla mondanità, spesso abbastanza imbarazzante quando non solamente modaiola o peggio coatta, che vi gravita intorno. Se facciamo eccezione per quei pochi che vivono e lavorano nello stesso ambito nessuno sa e capisce cosa realmente sia o faccia un artista contemporaneo. Ed è inutile chiarire che un simile contesto non può manifestare alcun apprezzamento che non sia l'aporia stessa del successo, la sua spirale vorticosa. La società, quella reale, vede nell'arte soltanto un capriccio. E la politica, quella che conta, osserva il "fenomeno" dell'arte solo ed esclusivamente da una prospettiva utilitaristica.

Sappiamo bene che nella sua origine esistenziale l'opera non può essere mera funzione a meno di non voler costituire un utensile. La mancata libertà dell'opera lamentata da Penone ha origine nella discrasia fra società civile e mondo della creatività fra i quali, come in uno spessore censorio, si è inserita la politica e la sua espressa volontà di usare l'arte. Ma, evidentemente, non si tratta di voler dimenticare l'autonomia e l'autorevolezza dell'opera, anzi, forse mai come in questi anni le opere dei maestri storici dall'arte italiana sono state amate, discusse, idolatrate dagli artisti, dai critici, dai curatori; purtroppo si tratta di una sorta di canto del cigno nella società contemporanea poiché possiamo dire che dopo quella generazione "povera" nessun movimento e nessun coagulo di artisti, nemmeno la Transavanguardia, ha potuto scalfire l'indifferenza manifestata dalla politica e di riflesso dalla società civile.

L'arte contemporanea messa in scena da questa Quadriennale è molto reale, realista direi, e si dibatte in un dialogo socio-politico di grande complessità ma di questo non si ritrova alcun segnale nel dibattito politico e nella società vissuta. Quest'arte è paradossale. La maggior parte dei curatori chiamati in causa in questa edizione ha titoli e curriculum come non se ne sono visti mai, e aggiungerei, accade perché gli autori fanno parte di una generazione giovane, precaria, disturbata dall'incertezza e in lotta perpetua contro il discredito: ciascuno di loro vanta titoli che nemmeno i vetusti cattedratici possono equiparare. Dottorati, specializzati, con master internazionali: e gli artisti con curriculum di mostre prestigiose, residenze presso sedi che un tempo avrebbero sbalordito, gallerie che si occupano costantemente del loro lavoro. Questa, confessiamocelo, è la realtà, altra cosa l'idealismo. Qui si situa lo spessore analitico di questa Quadriennale. Si tratta di una mostra concepita realisticamente contro l'idealismo, quello stesso che fa pensare alle leggi senza considerare la ricaduta concreta nel tessuto sociale e costruisce una società in cui benefici e regole valgono per alcuni e non per tutti. La realtà e la pratica di quest'arte non prevede alcuna considerazione da parte del sistema politico, anzi ne considera il suo disinteresse come scontato. Ed ecco perché il pensiero di Penone, è un pensiero che appartiene ad un altro mondo, un mondo forse anche più interessato agli artisti, o quanto meno impegnato a riconoscere il valore del pensiero sull'arte, la sua autorevolezza. Ma non è il nostro presente. Oggi non è più così. Quello che adesso caratterizza il mondo dell'arte contemporanea è una sorta di regime d'apartheid ghetto dal sistema sociale; un mondo dell'arte o meglio vari mondi dell'arte in cui esistono regole, miti e leggi anche non scritte che la società civile disconosce, non comprende e non vuole nemmeno comprendere, proprio perché la politica contemporanea non ha lungimiranza, non ha spessore culturale. Una politica rimbecillita che misura il mondo con codici aziendali e postille da assicuratore prezzolato non può comprendere un'opera che è anche un grande regalo(4), una mostra che è anche un viaggio drammatico nell'estetica contemporanea(5). Come potrebbe capire questa realtà così densa di significato una politica che si basa sulla funzionalità egocentrica dei protagonisti e dalla cui mente è spesso depennato qualsiasi significato dell'impegno "civico"?

D'altra parte la mancata autorevolezza socialmente riconosciuta dell'opera, costringe gli artisti ad una risposta disperata, vorace e necessaria: partecipazione a mostre che hanno un coefficente teorico, o anche tecnico, con un curatore che dia una lettura delle opere all'interno delle problematiche reali del nostro tempo e fare sì che questo coefficiente sia condiviso. Per questo la mostra Quadriennale di Roma mi ha stupito, perché al di là delle celebrazioni ha esposto l'arte concreta di questi anni, ha mostrato gli artisti che davvero stanno lavorando con intenzionalità chiare e li ha disposti dentro contenitori estremamente ragionati, solidamente concepiti. Ci sono, all'interno di questa Quadriennale momenti complessi che avrebbero avuto bisogno di uno spazio decuplicato e che proprio in mancanza di questo assumono una aura compressa, che potrebbe disturbare esteticamente. Una così vasta ridondanza, come nel caso della new media art/post media art curata da Domenico Quaranta può di certo disorientare; eppure basterebbe da sola la scultura di Quayola a motivare una spazialità di gran lunga maggiore. Oppure cosa dire della complicata e lucida lettura della contemporaneità transgenerazionale di Simone Ciglia e Luigia Lonardelli che propongono con la stessa levità il monumentale Baruchello e l'ironico, donchisciottesco Matteo Fato; su tutto si erge la negazione ad esistere legiferata dalla politica (a-politica), la scritta Nope al neon di Claire Fontaine. Questo a documentare di come la cura critica dei nuovi curatori non è esiliata dal contesto culturale del presente ma che anzi si manifesta attraverso la pressante concreta realtà del nostro quotidiano. Un'opera desacralizzata potremmo dire, necessaria per riconoscere l'emergenza di problematiche altrimenti non esattamente percepite nel nostro quotidiano, come quelle richiamate dal mitico Corrado Levi e da Marcello Maloberti proposti da Ehi, voi! di Michele D'Aurizio.

Non si tratta infatti soltanto di ridefinire i contorni pubblici di quest'arte attuale, ma come suggerisce in catalogo Luigi Fassi, il problema di oggi è nel concetto stesso della democrazia, svilita e rimaneggiata dalla sua traduzione in chiave tecnologica.

Lì dove si percepisce in uno stordimento emotivo palpabile quale sia la forza costruttiva della nuova vitalità che attraversa la cura critica nel suo lavoro parallelo e sincronico all'opera d'arte è nell'allestimento Ad occhi chiusi ... realizzato da Luca Lo Pinto con la partecipazione di Ra Di Martino, Roberto Cuoghi, Giorgio Andreatta Calò, Nicola Martini, Stargate, Martino Gamper ed un'opera di Emilio Villa. In una sala percettibilmente emozionata da un sottofondo sonoro gli artisti hanno realizzato un'opera complessa che misura esattamente le dimensioni dello spazio. Simmetrie ragionate, fra vuoti e pieni, allineamenti, relazioni, la partecipazione di questa "collettiva" di stampo vintage -a tratti suprematista- è per me emblematica. La sua visione all'interno delle variegate differenze del nostro tempo ha un fascino sublime e di certo potrà sembrare eccessiva se non si facesse quasi manifesto di una metodologia curatoriale che prevede il riassemblaggio del concetto di mostra, come viva installazione coordinata. Rimane a conferma di quale sia la reale identità dell'opera d'arte contemporanea la straordinaria foto "fiction" di Rä Di Martino, in cui riconosciamo, ma soltanto "noi", Paolo Canevari e Elisabetta Benassi in abiti demodé presenziare un evento d'arte. Si tratta per l'appunto di un sogno, di una fiction che ormai sappiamo riconoscere e in cui disperatamente cerchiamo di resistere.

16a QUADRIENNALE D’ARTE / 16th ART QUADRIENNALE

Palazzo delle Esposizioni, Roma

13 ottobre 2016 – 8 gennaio 2017

Altri tempi, altri miti

a cura di: Simone Ciglia e Luigia Lonardelli, Michele D’Aurizio, Luigi Fassi, Simone Frangi, Matteo Lucchetti, Luca Lo Pinto, Marta Papini, Cristiana Perrella, Domenico Quaranta, Denis Viva

I Would Prefer Not to / Preferirei di no

Esercizi di sottrazione nell’ultima arte italiana

a cura di Simone Ciglia e Luigia Lonardelli

Mario Airò, Rosa Barba, Massimo Bartolini, Gianfranco Baruchello, Claire Fontaine, Matteo Fato, Anna Franceschini, Chiara Fumai, Invernomuto, Cesare Pietroiusti, Nicola Samorì, Luca Trevisani, Luca Vitone.

Ehi, voi!

a cura di Michele D’Aurizio

Alessandro Agudio, Francesco Cagnin, Costanza Candeloro, DER Sabina (Sabina Grasso), Alberto Garutti, Gasconade, Massimo Grimaldi, Dario Guccio, Corrado Levi, Marcello Maloberti, Michele Manfellotto, Beatrice Marchi, Diego Marcon, Momentum, Francesco Nazardo, Carol Rama, Andrea Romano, Davide Stucchi, Patrick Tuttofuoco, Francesco Vezzoli, Italo Zuffi.

La democrazia in America

a cura di Luigi Fassi

Alessandro Balteo-Yazbeck, Gianluca e Massimiliano De Serio, Nicolò Degiorgis, Adelita Husni-Bey, Renato Leotta.

Orestiade italiana

a cura di Simone Frangi

Riccardo Arena, Blauer Hase, Danilo Correale, Curandi Katz on Masako Matsushita, Nicolò Degiorgis Alessandra Ferrini, Francesco Fonassi, Invernomuto, Maria Iorio e Raphaël Cuomo, Armin Linke e Vincenzo Latronico, Giovanni Morbin, Giulio Squillacciotti e Camilla Insom, Diego Tonus, Carlo Gabriele Tribbioli e Federico Lodoli.

A occhi chiusi, gli occhi sono straordinariamente aperti

a cura di Luca Lo Pinto

Giorgio Andreotta Calò, Roberto Cuoghi, Rä di Martino, Martino Gamper, Nicola Martini, Stargate (aka Lorenzo Senni), Emilio Villa.

De Rerum Rurale

a cura di Matteo Lucchetti

Nico Angiuli, Rossella Biscotti, Beatrice Catanzaro, Michelangelo Consani, Leone Contini, Luigi Coppola, Danilo Correale, Riccardo Giacconi con Andrea Morbio, Adelita Husni-Bey, Marzia Migliora, Moira Ricci, Anna Scalfi Eghenter, Marinella Senatore, Valentina Vetturi.

Lo stato delle cose

a cura di Marta Papini

Adelita Husni-Bey, Giorgio Andreotta Calò, Alberto Tadiello, Cristian Chironi, Margherita Moscardini, Elena Mazzi e Sara Tirelli, Yuri Ancarani

La seconda volta

a cura di Cristiana Perrella

Alek O., Lara Favaretto, Martino Gamper, Marcello Maloberti, Francesco Vezzoli.

Cyphoria

a cura di Domenico Quaranta

Alterazioni Video, Enrico Boccioletti, Mara Oscar Cassiani, Paolo, Cirio, Roberto Fassone, Giovanni Fredi, Elisa Giardina Papa, Kamilia Kard, Eva e Franco Mattes, Simone Monsi, Quayola, Federico Solmi, Marco Strappato, Natália Trejbalová.

Periferiche

a cura di Denis Viva

Emanuele Becheri, Paolo Gioli, Carlo Guaita, Paolo Icaro, Christiane Löhr, Maria Elisabetta Novello, Giulia Piscitelli, Michele Spanghero.

 

 

1) Giuseppe Penone, in “Tracce di un confronto. Testimonianze della commissione selezionatrice per la 16° Quadriennale“, in Catalogo Sedicesima Quadriennale d'Arte, Palazzo delle Esposizioni, Roma, Edizioni Nero, 2016, pag.18

2) Ibidem

3) Ibidem

4) Si veda in questo stesso numero 12 di unclosed.eu il testo di Miriam Elettra Vaccari, For You!

5) Un esempio di quali distanze ci siano fra mondo della politica e sistema di pensiero nel contemporaneo lo si trova nell'intervista Il sogno del Kouros di Anna D'Andrea a Alberto Zanazzo, su questo numero 12 di unclosed.eu.

Ottobre 2016