In mostra insieme per la prima volta

 

Valentina Vacca

 

Eclettismo e poliedricità; femminilità e citazionismo; lirismo e tecnica. Sono queste le peculiarità dell’esposizione di Kiki Smith e Betty Woodman allestita presso la Lorcan’O Neill di Roma e visitabile fino al 12 novembre. La mostra crea un incontro che, artisticamente parlando, avviene per la prima volta: infatti, pur essendo legate da diverso tempo da una salda amicizia, prima d’ora le artiste non avevano mai esposto insieme. Varcando le porte della galleria, si percepiscono le prime note di quello che vuole essere un passo artistico a due; quest’ultimo appare agli occhi del visitatore come un dialogo straordinariamente armonico e omogeneo, seppur totalmente diversificato a livello estetico. La congiuntura fra la Smith e la Woodman è difatti particolarmente proficua, ed inoltre sembra aver trovato nelle tre sale della Lorcan O’Neill il suo perfetto spazio vitale.

I lavori delle due artiste americane, entrambe residenti a New York, si articolano e si accordano in maniera completa ed euritmica, pur manifestando essenzialmente delle poetiche differenti ma non distanti. Effettivamente, quella che si compie fra la Smith e la Woodman è una vera e propria sinergia, la quale non poteva che manifestarsi all’improvviso in un’esplosione di colori e atmosfere fiabesche che trasformano la Lorcan O’Neill in una wunderkammer senza precedenti, dove le meraviglie in esso contenute sono il riflesso della pluralità di tecniche artistiche utilizzate. All’interno della mostra infatti, entrambe le artiste dimostrano la loro familiarità con differenti territori di ricerca; fra questi, troviamo la lavorazione della ceramica, la pittura, le opere su carta arricchite dall’uso della foglia d’oro, la scultura, gli arazzi. Tutte le opere tracciano un legame col passato, manifestando una profonda connessione con la tradizione artistica che va dal Medioevo fino all’Espressionismo e al Cubismo.

Per quanto riguarda Kiki Smith (1954), il focus della sua ricerca è sempre stato il corpo nelle sue plurime forme: segnato dal dolore, dalla malattia o dal decadimento, l’ha rappresentato talvolta in maniera iper-dettagliata e maniacale con gli organi interni in evidenza, talora invece in maniera scarna e appena accennata(1). Spesso i corpi della Smith sembrano voler trasmettere l’immagine di organismi secolari e quasi immortali, nonostante appaiano devastati dal degrado e dalla rovina fisica; non di rado, tale tendenza è stata associata alla necessità di esprimere una sorta di commemorazione per le vittime dell’AIDS, fra le quali vi fu anche la sorella(2).

La sua attenzione, dapprima orientata per l’appunto verso l’interno del corpo umano, si è spostata poi, a partire dagli anni Novanta, verso l’esterno, abbracciando anche il mondo naturale e il cosmo(3). L’intento è stato ed è tutt’ora, quello di descrivere il ciclo della vita, nell’ottica di sacralizzare la presenza di un legame viscerale tra genere umano e mondo animale. Kiki Smith prova insomma, attraverso la sua ricerca, a restituire alla collettività un vincolo naturale che il tempo ha cancellato, a trasmettere la narrazione di una relazione innata che l’essere umano oscura e rimuove quasi in toto.

E’ proprio entro questa traiettoria che si collocano i lavori esposti alla Lorcan’O Neill; mai mostrati al pubblico fino ad ora, questi si caratterizzano per la pluralità di tecniche artistiche messe in atto: fra arazzi, sculture e disegni a matita e foglia d’oro, il mondo narrato da Kiki Smith prende forma, descrivendo fiabeschi scenari intrisi di mitologia e spiritualità. Gli arazzi, realizzati in Belgio col telaio Jacquard, mostrano delle dimensioni straordinarie. Essi sembrano volersi collocare a metà strada fra i bestiari medievali e le immagini fiabesche, queste ultime popolate da una fauna che scopre il suo habitat ideale all’interno di atmosfere di elevata liricità. Un’opera come Fortune (2014, Fig1) inoltre, ben ci fa comprendere quanto l’artista sia attenta al dettaglio: lo era in passato quando orientava le sue ricerche sul corpo; lo è ora quando, con profonda minuzia, rappresenta il manto del cerbiatto definendo il pelo uno ad uno conferendogli quel tocco di luminosità che è proprio dell’animale in questione.

Volatili e una volpe sono invece i soggetti delle sculture in bronzo, quasi tutte realizzate nel 2016. Le opere richiamano, nei titoli prescelti, la posizione assunta dagli animali nell’esatto momento in cui essi sono rappresentati: è così che l’uccello di vedetta diventa Perch (Appollaiato) o quello che mostra le piume Mantle. Coming day (2016, Fig2) invece, rappresenta una colomba nell’atto di aprire le ali e spiccare il volo; è proprio “il giorno che verrà” ad essere al centro di quest’opera: Kiki Smith riprende il ciclo della vita, riavvolge il nastro del passato per spiccare il volo entro un nuovo futuro dove trova spazio la relazione fra il mondo animale e quello umano.

I disegni, tutti su carta Kitikata, sono realizzati prevalentemente a matita e foglia d’oro e talvolta mostrano l’aggiunta di glitter. La combinazione tra questi elementi è straordinaria, e riflette la capacità dell’artista di padroneggiare le tecniche più disparate, cogliendo elementi del passato e fondendoli con quelli del presente. I disegni rappresentano delle colombe: non si tratta di una serie, bensì –come le ha definite la stessa artista- di frames di una sequenza.

Accanto al mondo lirico e poetico di Kiki Smith, trovano spazio le colorate creazioni dal sapore pop di Betty Woodman (1930), madre della fotografa Francesca Woodman. Alla Lorcan’O Neill, accanto alla sua amica Kiki, l’artista presenta gli esiti della sua ricerca dal 2003 al 2016: questi testimoniano una straordinaria capacità citazionista dal sapore espressionista, in una chiave però del tutto personale che conduce l’artista a fondere insieme scultura e pittura. Del resto la Woodman nasce come ceramista, manifestando da sempre una spiccata attitudine per la decorazione, senza però mai staccare le sue radici dalla storia dell’arte.

La sua è comunque una matrice artigianale, di cui l’artista peraltro va molto fiera: «Vorrei spiegare chi sono io e quali sono le mie origini nel mio rapporto con la ceramica. Sessantasette anni fa, quando ero una studentessa di scuola superiore, modellai una brocca in ceramica. La magia della creta e dello smalto, la loro capacità di trasformarsi da morbidi e malleabili a lucenti e duri tramite il fuoco e la cottura, mi tolse il fiato, come accade tuttora. Da quel momento sono diventata una vasaia. Finita la scuola negli Stati Uniti, nel 1951, sono venuta a Firenze. Qui ho scoperto la ceramica italiana e l’uso della decorazione per abbellire e definire la forma. L’argilla a bassa temperatura permette una gamma di colori che non sarebbe possibile ottenere nel gres e nella ceramica d’ispirazione orientale, a quel tempo oggetto di studio e insegnamento nelle scuole statunitensi. Così adesso racconto un’esperienza di lavoro con la creta e gli smalti che prosegue da allora» (4).

Espressione di questa eccezionale capacità artigianale, sono le tele esposte in mostra: esse contengono al loro interno delle vere e proprie terrecotte, talvolta sospese, talora poggiate direttamente sul pavimento della sala. Queste ceramiche entrano a far parte dello spazio pittorico, lo invadono e con esso si fondono. Quello che colpisce di questi straordinari lavori di Betty Woodman, è la presenza di una tridimensionalità che si immette nell’opera d’arte, con la definizione di uno spazio reale capace di penetrare in quello dipinto e creare con esso un tutt’uno. Come affermato dalla stessa artista, si tratta di lavori nati «cercando di costruire un contesto alle opere, mescolando superficie e forma». In Reversal (2016, Fig3), la ceramica della brocca riprende il motivo decorativo a scacchi bianchi e rossi della tavola, mentre i manici verdi ne richiamano i bordi. Anche in Betty’s room (2011, Fig4) si assiste al medesimo spettacolo creativo, fatto di corrispondenze ed esaltazione delle sinuose forme delle brocche che, con tutta probabilità, vogliono essere equivalenza di una dolce femminilità. Niente dunque è lasciato al caso: nelle sue opere, la Woodman gioca con i bilanci, con gli equilibri e con i toni mettendo a punto una tecnica che si situa a metà fra la pittura –della quale comunque non ne dimentica il nozionismo accademico- e la scultura.

Il tutto è accompagnato poi da sgargianti tinte dal sapore fauve. Non per niente, è Matisse il ricordo predominante dell’artista a livello citazionista, e specialmente La Desserte rouge. La Woodman descrive interni domestici con tavole imbandite allo stesso modo dell’artista francese, valorizzando gli ambienti con la presenza delle sue terrecotte. La profonda conoscenza della storia dell’arte e il legame con essa è rivelato in tutte le opere in mostra non solo dall’imminente ricordo di Matisse, ma anche dall’attenzione che l’artista pone rispetto alla definizione prospettica. Non si dimentichi infatti, che la Woodman è molto legata all’arte italiana e specialmente a quella rinascimentale, dal momento che negli ultimi quarant’anni ha vissuto fra la Toscana e New York. Di quest’esperienza toscana non può che farne tesoro, assicurando in tutti i lavori una salda conoscenza della prospettiva.

Anche nei disegni, Betty Woodman dimostra di avere a cuore la compenetrazione scultura-pittura: l’impiego di materiali quali caolino e terracotta accanto agli inchiostri e agli acrilici, non fa che risaltare questo intento.

Entrambe le artiste rivelano nei loro lavori un filo conduttore intrinseco, che altro non è che l’Italia. Ed è questa la ragione, con tutta probabilità, per la quale hanno scelto Roma come sede espositiva per la loro prima mostra a due. La Smith del resto, non è nuova alla Lorcan’O Neill, essendo questa la sua terza presenza all’interno della galleria romana. La prima, registratasi nel 2005 con l’esposizione On and about, ebbe come protagoniste le sue sculture a tematica femminile. La seconda volta in cui la Smith scelse la Lorcan come sede espositiva fu invece nel 2010, quando vi presentò una ricca serie di sculture e disegni su carta.

Stavolta vi torna in una veste inedita, rendendosi protagonista insieme a Betty Woodman di un’esposizione organica che senza dubbio avrebbe potuto incontrare delle difficoltà nel mantenimento di un’omogeneità espositiva. A tal proposito, la Lorcan’O Neill ha fatto un ottimo lavoro: infatti, le opere delle due artiste si bilanciano perfettamente, riuscendo nel difficile intento di stabilire un equilibrio tra di loro. Alle vivaci tele della Woodman, fanno da contrappunto le atmosfere fiabesche della Smith dai colori saturi: esse trovano i loro punti di contatto nel gioco di equilibri, nella compenetrazione fra mondo umano –e dunque anche quello domestico- e regno animale. Stabiliscono il loro vincolo, realizzano una congiunzione artistica e le conferiscono autorevolezza, impiegando una gran varietà di tecniche artistiche e tenendo ben teso il fil rouge italiano.

Questo primo incontro artistico insomma, si può dire sia perfettamente riuscito. Attendiamo impazienti il prossimo dialogo Woodman-Smith.

1) NOCHLIN, LINDA. «Unholy postures. Kiki Smith and the body. Kiki Smith, a gathering, Walker Art Center, Minneapolis, MN, 2005». In, Reilly, Maura (a cura di), Women artists, Thames and Hudson, London, 2015, p. 293

2) Ibidem

3) SILBERMAN, ROBERT. Kiki Smith, in «The Burlinghton Magazine», n. 1245, December 2006, p. 877

4) AAVV. Il sole in casa. La vita quotidiana nella ceramica popolare italiana dal XVI al XXI secolo, Sillabe, Livorno, 2015, p. 31

Ottobre 2016