In mostra al Palazzo delle Esposizioni i Nuovi Tipi e gli Eroi degli anni Sessanta

Teresa Lucia Cicciarella

A Roma, il Palazzo delle Esposizioni apre le sale a uno dei nuclei centrali del lavoro di Georg Baselitz (1938): il ciclo degli Eroi e dei Nuovi tipi che impegnò l’artista nel corso di circa un anno, nel periodo 1965-1966, di rientro dall’Italia. Qui il ventisettenne pittore tedesco (all’anagrafe Hans-Georg Bruno Kern, in arte Baselitz: in omaggio alla città natale) aveva trascorso sei mesi di studio e lavoro grazie alla borsa conferitagli da Villa Romana, a Firenze. Aveva osservato l’arte italiana, la pittura e la grafica del Cinque-Seicento(1) e vissuto la temperie culturale in cui era ancora vivissima l’eco del dibattito intorno al Manierismo e alle sue molteplici espressioni, frutto di un periodo di aspra ma feconda crisi nel quale molti giovani artisti, allontanatisi dalla norma e dalla compostezza dei maestri, avevano sprigionato forze vitali, personalissime, capaci di sovvertire l’ordine lasciato in eredità da quelli(2).
In Baselitz la relazione con il Manierismo non viene mai del tutto esplicitata, ma nel ciclo oggi in mostra sono le proporzioni alterate dei soggetti, le membra tormentate, l’evidenza di ciò che l’artista ama definire una “pittura molto soggettiva”(3), a testimoniare di uno sguardo che è stato attento al lessico italiano, eccentrico, del Cinquecento manierista, segno di profonda cesura dalla razionalità quattrocentesca e di libertà compositiva. Da questa prima suggestione, tuttavia, la pittura di Baselitz si è distanziata, sviluppandosi e dando luogo a una figurazione neo-espressionista, a una gestualità violenta e a visioni tragiche, scaturite dalla riflessione sul suo tempo e anche dall’incontro rivelatore con il Teatro della crudeltà di Antonin Artaud.
Nelle sette sale al piano terra del Palazzo delle Esposizioni, sono in mostra circa quaranta dipinti e trenta disegni di Baselitz, introdotti da un buon apparato d’archivio e dalla prima traduzione italiana dei due dissacranti Pandämonium Manifestos, redatti con l’amico Eugen Schönebeck.
Lo spirito inquieto di Baselitz, alla vigilia della realizzazione degli Eroi, è ben testimoniato dal grande olio intitolato Feld, campo, appartenente allo Städel Museum di Francoforte, istituzione promotrice della mostra oggi allestita a Roma, con la curatela di Max Hollein e Daniela Lancioni(4) . Nel dipinto, in una sorta di prospettiva radente e senz’aria, campeggiano corpi umani mutili e deformati, mescolati a pietre, bozzi e asperità; di quelli non riusciamo a leggere se non il dramma definitivo e senza possibile risarcimento.
Del resto, lo stesso artista ha dichiarato, in un’intervista di vent’anni fa più volte citata: “I was born into a destroyed order, a destroyed landscape, a destroyed people, a destroyed society. And I didn’t want to re-establish an order: I’ve seen enough of so-called order”(5).
La crisi delle coscienze e dei Paesi nel dopoguerra, si riverbera dunque nell’artista tedesco, negando la possibilità di stabilire un “nuovo ordine”, anche solamente in seno alla pittura, ma dando infine luogo a quella che Baselitz definisce una “liberazione”(6) e che trova corpo negli inaspettati Eroi dipinti nel 1965-’66.
“All’epoca” –ricorda l’artista– si dipingeva in maniera astratta, in maniera tachista; il mio cammino era totalmente diverso. Non era tanto un esperimento, quanto la ricerca di una via di uscita e anche una risposta alle domande del passato”; aggiunge ancora: “una via giusta, una via politica non è mai stata di mio interesse”(7).
I suoi personaggi, di una solidità stupefacente, che stride con la lacerazione dei corpi e la scarna immanenza degli elementi circostanti, sono pittori, partigiani, soldati senza più bandiera; sono ancora pastori, seminatori, uomini dai tratti arcaici. Le loro figure talora tendono a saturare lo spazio pittorico, come accade per il “pittore moderno”, Der moderne Maler (1965), per il “pittore bloccato” di Versperrter Maler (1965) o in Vorwärts Wind (1966). Il pittore bloccato, invalido, è sanguinante e sostenuto da un tronco scuro del quale condivide le ferite e l’isolamento; il terreno stesso gli nega il conforto, intriso com’è, per Baselitz, di una sostanza che diviene rosso sangue.
Negli Eroi, nei Tipi moderni, non c’è retorica ma l’amara constatazione della condizione di un tempo difficile e di una natura matrigna, mutilata e lacera come le loro stesse membra. Eppure il pittore moderno –è forse un segno di speranza– affonda le sue mani nella terra, come per trarre nuovo slancio e rialzarsi, dignitoso e umanissimo come mostrato dallo sguardo che Baselitz gli rende, e che guarda dritto allo spettatore.
Gli Eroi di Baselitz, nella loro tragicità epica, sono al contempo vinti; sono uomini travolti dal dramma ma pronti a ripartire, come mostrato da Ein neuer Typ (1966), il nuovo tipo che rivolto un ultimo sguardo alla bandiera annerita, riprende concentrato il cammino, mostrando a chi lo guarda i palmi delle mani, distesi e grandi. Ed è un peccato che nella tappa romana dell’esposizione non sia presente il grande dipinto appena precedente intitolato Die großen Freunde (1965 – Museum Ludwig, Colonia), di simile concezione e dedicato alla figura di due amici, isolati superstiti circondati da macerie. Il dipinto era stato l’opera centrale e il manifesto della mostra di Baselitz alla Galerie Springer di Berlino nel gennaio-febbraio 1966, evento d’esordio della serie degli Eroi.
Evidente diviene, nelle spesse pennellate e nell’utilizzo veemente del colore e del segno, ciò che Achille Bonito Oliva ha definito, per l’artista, “recupero della lingua madre dell’Espressionismo”(8).
Un recupero pionieristico e rigoroso, eretico di fronte all’astrattismo o, ancor di più, alle patinate immagini proposte dalla Pop Art, e col quale Baselitz traccia un solco che verrà, un decennio dopo, percorso dagli artisti della Transavanguardia. Rispetto a questi ultimi –e Baselitz cita in particolare Cucchi e Clemente– tiene ad affermare la primogenitura della sua scelta linguistica. Scelta che, a ridosso della chiusura degli Eroi, si struttura in un nuovo, insolito formato: quello dei dipinti “fratturati”, nei quali l’immagine è spezzata e ri-assemblata in fasce di figurazione che risultano montate per sfalsamento, come fossero parti di un incongruo palinsesto che rallenta e complica la leggibilità del dipinto. Tale “ostacolo” sembra preludere alla svolta del 1968-‘69, con l’introduzione dei dipinti capovolti e il conseguente sovvertimento della riconoscibilità del soggetto.
Con quelli Baselitz intenderà riaffermare il valore intrinseco della pittura, ricorrendo ai temi classici della storia dell’arte –il ritratto, il nudo, la natura morta e il paesaggio– e operando una scelta dirompente: interrompere il vincolo della rappresentazione e della significazione(9) per rivolgersi totalmente ai valori pittorici e ai rapporti cromatici e compositivi.
A chiusura della mostra romana, s’incontra la grande sala dedicata ai Remix Painting del 2007-2008, ciclo segnato dall’ibridazione e dalla ri-concezione di quanto affrontato negli Eroi e nella forma combinatoria dei quadri fratturati. In esso, tuttavia, non si ritrovano l’urgenza e la tensione pittorica degli esordi; inoltre, la riconoscibile rappresentazione di Hitler o dell’aquila germanica, o ancora della svastica, unita al segno mosso e, in alcune opere, anche a rimandi al dripping di Pollock, pare paradossalmente indebolire le singole opere, denotate da una stesura pittorica fluida, meno drammatica, e spesso ridondanti. La serie, presentata da Gagosian a New York(10) nel 2007, appare piuttosto distante dalla forza e dalla brutale e accesa gestualità che emana dalle tele degli eroi senza nome del Baselitz di cinquant’anni fa. Tele che si confermano essere di cruciale importanza nella poetica di un artista tra i più significativi dei nostri tempi.

aprile 2017


1)Importante era stata, ad esempio, la suggestione esercitata sull’artista dalle incisioni del bolognese Giuseppe Maria Mitelli (1634-1718), dai temi popolareschi raffigurati con uno stile realistico e talora tendente al grottesco. Di Mitelli, si sa che Baselitz aveva acquistato una serie di piccole stampe dedicate alle arti e mestieri, rappresentati attraverso figure isolate al centro dell’immagine, circondate dagli strumenti caratteristici del lavoro. Un’eco di tale schema, si ritroverà nella serie degli Eroi.v. < http://baselitz.staedelmuseum.de>
2)v. U. Wilmes, «Deep, dark time» in, U. Wilmes (a cura di), Georg Baselitz. Back then, in between, and today, pp.55-57. Catalogo dell’omonima mostra, München, Haus der Kunst, 19 settembre 2014-1 febbraio 2015. Stiftung Haus der Kunst München e Prestel Verlag, 2014.
3)Il concetto è stato più volte ripreso da Baselitz nel corso della Conferenza stampa di presentazione della mostra: Roma, Palazzo delle Esposizioni, 4 marzo 2017.
4)La mostra di Francoforte, “Georg Baselitz. Die Helden”, inaugurata nel giugno 2016, è stata curata da Max Hollein e Eva Mongi-Vollmer; è stata in seguito allestita al Moderna Museet di Stoccolma a cura di Magnus af Petersens e, dopo l’attuale tappa romana al Palazzo delle Esposizioni (curata da Max Hollein e Daniela Lancioni: 4 marzo-18 giugno 2017), sarà trasferita al Guggenheim di Bilbao, con apertura da luglio a ottobre 2017.
5)T.d.A.: “Sono nato in un ordine distrutto, in un popolo distrutto, in una società distrutta. E non volevo ristabilire un ordine: avevo visto fin troppi cosiddetti ordini”. G. Baselitz intervistato da D. Kuspit, «Goth to Dance» in Artforum, n.33, summer 1995. L’intervista è riportata in D. Gretenkort (a cura di), Georg Baselitz: Collected Writings and Interviews, Ridinghouse, London 2010, p.242.
6)“Negli Eroi, la pittura si era liberata”: così G. Baselitz nel corso della conferenza stampa, Roma, Palazzo delle Esposizioni, 4 marzo 2017.
7)Citazioni dalla stessa conferenza stampa.
8)Riflessione di Achille Bonito Oliva nel corso dell’incontro «L’eroe della pittura», Roma, Palazzo delle Esposizioni, 15 marzo 2017.
9)“For example, I decided in 1969, or from 1969 onwards, to dispense with narrative and content and deal only with the things that painting normally uses: landscape, the nude, the portrait, the still life and so forth. That is a decision which defines a certain path and has a constricting effect. But in terms of the overall image, I think it pays off”. G. Baselitz cit. in F. Dahlem, G. Baselitz, Georg Baselitz, Benedikt Tashen Verlag, Koln 1990, p.94.
10)Georg Baselitz. «Remix Paintings», 9 novembre-22 dicembre 2007, Gagosian Gallery, New York.