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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Una certa idea dell’arte intorno al ‘68
La mostra è solo un inizio. 1968 alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea

Patrizia Mania

A partire da quel fatidico Sessantotto niente potrà più dirsi come prima. Contro l'autoritarismo, contro il consumismo e soprattutto contro la società borghese. A segnare inesorabilmente un'intera generazione fu un eterogeneo movimento di studenti e intellettuali che saldandosi nelle fabbriche alla lotta di classe mise in crisi in Europa e negli Stati Uniti tutto un mondo. Un anno cruciale, dunque, che nella storia dell’Occidente ha significato ribaltare i valori consueti, contrastare l’insostenibile fragilità benpensante, per avviare una trasformazione con aperture caparbiamente estese al volersi in primo luogo riprendere il gusto di una libertà di pensiero e d’azione che, disarcionando i tabù borghesi, ne alienava la stessa possibilità.
L’arte e la ricerca artistica non restarono immuni e sordi all’ondata di rivolta e nel giro di poco tempo primo e dopo quel cruciale anno andarono ad elaborarsi pratiche partecipative e di messa in opera che stabilirono anch’esse un punto di non ritorno. Certamente non sfugge a chi abbia familiarità storica con il ’68 quanto l’arte sospinta dalla febbre sovversiva in atto cercasse anche di assumere una valenza politica. Nel momento della massima incandescenza della rivolta degli intellettuali e degli studenti,  l’arte e gli artisti si imporranno di fatto una presa di posizione innanzitutto politica denunciando e rifiutando  le strutture istituzionali del potere, e di questo le opere in mostra rendono innegabilmente conto, e inserendo in una partecipazione attiva nei contesti sociali il gesto e l’azione comportamentale dell’artista.
Anticipato dalle inquietudini più oltranziste delle avanguardie storiche con le quali si stabilisce una linea ininterrotta di continuità, quel che innegabilmente si affermò è che non si sarebbe più tornati indietro. Non un solo anno però - pur mitico nel raccogliere una convergenza movimentista di massa-  ma un torno di anni resero possibile questa rivoluzione destinata a rappresentare e a letteralmente mettere in pratica alcuni degli slogan che attraversarono il maggio francese, in primo luogo “l’imagination au pouvoir” o “il est interdit d’interdire”.
Propriamente uno slogan, l’incipit di “ce n’est qu’un début, continuons le combat” è assunto come titolo di questa bella mostra curata da Ester Coen  dalla cui visita non ci si aspetti tanto un’immersione nei fermenti del movimento del’68 quanto piuttosto di venire trasportati - “back to the past”-  indietro nel tempo dentro una certa idea dell’arte.
Una certa idea dell’arte intorno al ’68. Proprio questa sembrerebbe essere stata la spinta seguita nell’imbastire il percorso espositivo di “è solo un inizio. 1968” ospitato dalla Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea. Opere bellissime ed eloquenti di un nuovo modo di pensare l’arte che smarginerà le definizioni tradizionali per dare corso con un’immaginazione critica e oltranzista a nuove materie, nuovi spazi, e soprattutto a nuovi modelli comportamentali ed identitari.
Innanzitutto, le materie - organiche, inorganiche, plastiche - dando per assodata una liceità conquistata ormai da tempo, mostrano di dispiegarsi nelle opere proposte con uno straordinario coefficiente di libertà conseguente il loro porsi in essere come modalità estrema di  possibilità.
Basterebbero da soli i tre lavori di Giovanni Anselmo a restituire la sfida direzionale messa in atto: a partire testualmente da Direzione (1),  passando poi per il granito che divora un ciuffo di lattuga (2)  e infine approdando ai feltri di ovatta  immersi per un capo dentro l’acqua e che in virtù della loro igroscopicità “vivono” trasformandosi  al cospetto di chi li osserva per un tempo la cui durata è nel naturale raggiungimento di un nuovo stadio (3). Ancora più didascalicamente, prendendo a prestito la natura ed assecondandone  i decorsi, si pone il Grass grows di Hans Haacke (4) dove c’è un prato vero su un cono che ineluttabilmente cresce modificandosi di continuo. E ancora le materie di natura, al centro della speculazione di artisti per lo più di area poverista, appaiono con il cotone e  il carbone in due lavori  di Kounellis (5). Su di un versante più narrativo, che è anche quello del modo con il quale si sta al mondo, si colloca il lavoro di Pier Paolo Calzolari Il mio letto così come deve essere (6) dove a fare da letto ci sono le foglie di banano, su cui è appoggiato un ramo di rame coperto di muschio  in alto attraversati dalla scritta  “il mio letto così come deve essere” quasi a delineare una croce. Una cruciforme natura morta reinventata.
Non solo le materie della natura risulteranno essere oggetto di appropriazione ma anche le materie plastiche accomodate ad un reimpiego estetico di riciclaggio  come ben stigmatizzano due opere di Pascali facenti parte della collezione della Galleria e qui chiamate in causa 1 MC di terra 2 MC del 1967 (7) e Bachi da setola dell’anno successivo (8). L’una fatto di vera terra compattata in solido - la natura – , l’altra di materiale plastico, fatta di spazzole colorate ricomposte e affidate ad un destino ludico estetico.
Con sfrontata disinvoltura accanto alle materie, organiche e vive, inorganiche e plastiche, gli artisti mostreranno di non disdegnare il ricorso alla fotografia, al video e ad altri media affermando come non sia di per sé il prelievo di componenti naturali o l’uso ardito della plastica a compiere la virata eversiva di quegli anni. Lo confermano i video, le fotografie e il loro critico interagire come ben attesta il lavoro di Emilio Prini Fermacarte con un passo (9).
Si vede bene come alla scelta dei materiali, si sovrapponga inestricabilmente il modo con il quale si registra l’intendimento e l’azione dell’artista. In particolare con il ricorso ai video che offriranno l’occasione di deterritorializzare ulteriormente le dinamiche dell’arte. Ma anche semplicemente ed efficacemente con i Tre modi di mettere le lenzuola di Luciano Fabro (10).
Si accennava prima come accanto alle materie si debbano considerare gli spazi e gli spazi sono sia quelli dove di volta in volta si allestiscono i lavori che quelli dove si ripensa la geografia politica del mondo come ben rende conto il Planisfero politico di Boetti del ’69 (11) e anche la struggente Italia rovesciata di Luciano Fabro (12) che poeticamente incorpora a testa in giù nel cuore del suo verso le sue due isole più importanti: la Sicilia e la Sardegna.
 Sono anche però gli spazi fisici, mentali e ideologici della reclusione psichiatrica nell’eloquente serie di foto di Carla Cerati  Ospedale psichiatrico di Gorizia. Morire di classe (13). E sono soprattutto per quel che riguarda il “fare arte” gli spazi dove l’azione e il comportamento dell’artista prendono forma.  Non casualmente l’anno successivo il precipitato di questi orientamenti troverà infatti nella mostra di Szeeman When Attitudes Become Form il contesto nel quale inverarsi e storicizzarsi al meglio.
La mostra deluderebbe però quanti vi cercassero una ricostruzione storico-filologica. Del resto, in nessun punto del relativo giornale catalogo – tanto corrispondente ai tabloid di quegli anni – si presenta questa mostra come un’antologica, come una puntuale ricognizione su quel che è avvenuto, su quel travaglio politico sociale destinato a cambiare inesorabilmente il corso del tempo facendo di quella data un mito della nostra contemporaneità. Anzi, vengono interpellati i protagonisti della militanza critica nell’arte, in primis Germano  Celant, Lea Vergine, Achille Bonito Oliva, a dare una testimonianza storica ma appunto soprattutto militante della loro partecipazione a quel tempo.
Ecco, forse proprio la militanza è il modo seguito nel tessere la trama di questa mostra: militante è infatti la scelta delle opere gravitanti quasi tutte nell’area dell’arte Povera; militante è l’assertività con la quale la si presenta nel testo di Ester Coen; e infine militante è anche l’opzione per un giornale catalogo alla portata di tutti ma fondamentalmente più di «presa diretta" che di ricostruzione di un clima artistico risalente a cinquant'anni fa. Si è scelto uno sguardo ravvicinato, come se il tempo non fosse trascorso, come se quel tempo fosse ancora in essere,  e ci si è dunque addentrati mostrando alcune delle situazioni artistiche contaminate da quella temperie. Da questa angolatura le assenze di questo o quell'artista, di questo o quell'episodio, o una più efficace circostanziatura si sarebbero dimostrate disfunzionali. Catapultati a ritroso, indietro nel tempo, nella flagranza dell'oggi, lasciando che il passato si rinvigorisca nel presente di nuove possibilità.

[Ottobre 2017]



1) Giovanni Anselmo, Direzione, 1967–1968
2) Giovanni Anselmo,  Senza titolo, 1968 
3) Giovanni Anselmo, Senza titolo, 1968
4) Hans Haacke, Grass grows, 1967–1969.
5) Jannis Kounellis, Senza titolo (pali rosa), 1969. Jannis Kounellis, Senza titolo (carboniera), 1967
6) Pier Paolo Calzolari, Il mio letto così come deve essere, 1968.    
7) Pino Pascali , 1mc di terra, 2mc di terra, 1967. Terra incollata su legno.
8) Pino Pascali, Bachi da setola, 1968.
9) Emilio Prini, Fermacarte (con un passo), 1968.
10) Luciano Fabro, Tre modi di mettere le lenzuola, 1968.
11) Alighiero Boetti, Planisfero politico, 1969
12) Luciano Fabro, Italia rovesciata, 1968. 
13) Carla Cerati, Ospedale psichiatrico di Gorizia “Morire di classe”, 1968.