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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Breath Ghosts Blind di Maurizio Cattelan negli spazi di Pirelli HangarBicocca

Patrizia Mania
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Modellate nella dura materia del marmo, le sculture di un uomo e di un cane appaiono dormienti l’una di fronte all’altra. L’uomo in posizione fetale indossa sulla testa un berretto e ha tratti fisiognomici riconducibili come il più delle volte nell’opera di Maurizio Cattelan ad un suo autoritratto. Un refrain quasi irrinunciabile. Un fascio di luce dall’alto illumina il complesso statuario come su un palcoscenico. Il sonno che avvolge le due figure è muto. Non decanta l’aria che le avvolge anche se è ben noto che quel che della vita meglio traspare nel sonno sia proprio il respiro. Qui seppure invisibile è sottinteso e alluso dal titolo: Breath. Primo atto di un viatico che si articola in tre installazioni e che guida il pubblico ad attraversare e interrogare la morte. Letteralmente “messa in mostra” grazie in primo luogo ad un sapiente uso scenico della luce che illumina radente o diffusa e fa apparire. Maestosamente svela.
Questa mostra di Maurizio Cattelan, curata da Roberta Tenconi e Vicente Todolì (1), si propone proprio come un suadente attraversamento di alcune testimonianze e traslati della rappresentazione della morte. Il titolo Breath Ghosts Blind cadenza i tre atti sul tema fornendo ciascuno, in virtù anche dei titoli che li accompagnano, ulteriori possibili suggestioni da coltivare scivolando tra ciò che è evidente e ciò che potrebbe essere e forse non è. Breath che appunto introduce il percorso espositivo mostra come si diceva due figure distese, una di fronte all’altra avvolte nel sonno, invitando a pensare che condividano il respiro che però non c’è. Piuttosto assomigliano nell’algido nitore formale ai calchi pietrificati delle vittime di quella tragica eruzione del Vesuvio del 79 d.C. che, uccise all’istante, mantengono per noi in alcuni casi ancora oggi la testimonianza della vita interrotta subitaneamente. Qui come lì trattengono il fremito della vita cristallizzato nella pietra. Ad unire le due figure più che il respiro sembra essere l’attimo folgorante di essere stati trasformati in pietra. Come per effetto di un incantesimo, le due sagome di bianco marmo di Carrara rifulgono immobili. E se in Breath l’opera e il suo nome dispiegano l’ossimoro di ciò che è per antonomasia la vita (2) - è infatti il respiro che accerta la vita biologica che anima il corpo di tutti gli esseri viventi, cane compreso - sullo stesso crinale di slittamento semantico si collocano i Ghosts che sorvegliano dall’alto facendo da sfondo al complesso statuario.
 Secondo atto della drammaturgia. Non a onor del vero in netta cesura dal primo con il quale si è detto convive fungendovi da parziale sfondo. A farsene interpreti dei piccioni tassidermizzati. Queste forme di anime che le hanno abitate sono appollaiate a migliaia sul carroponte e un po’ ovunque a scrutare dalla privilegiata posizione e con un distacco quasi etereo i visitatori. Silenti, occupano pervasivamente ogni anfratto appena rischiarati da una luce tenue. Presenze inquietanti poste dapprima discretamente a guardia delle sagome pietrificate per poi scoprirsi insediate minacciose in tutto lo spazio delle navate.
Rispetto al tema prevalente della morte quel che mettono in campo è la sua spettacolarizzazione. Per molto tempo gli animali imbalsamati sono stati infatti specchio di un macabro collezionismo di esotismo, dettato dal desiderio di portarsi a casa esemplari di animali irreperibili in Occidente e così anche appropriarsi dell’alterità per tesaurizzarla. Trofei dunque, che però qui, non sono affatto esemplari di animali rari ma comuni piccioni e colombe di quelli che normalmente popolano i nostri centri storici affliggendoli con i loro guani e il loro proliferare senza sosta. Benché aliene, considerare queste specie di volatili esoticamente attrattive richiederebbe un arduo sforzo. Più consono e agevole ritenere invece la loro sinistra presenza nel contesto dei paesaggi urbani.
La riflessione sui piccioni non è peraltro nuova per Cattelan, quasi ossessiva anzi si direbbe la sua reiterazione. Materializzatasi una prima volta in occasione della 47. Biennale di Venezia del 1997 quando Germano Celant invita l’artista a partecipare al Padiglione Italia. Cattelan, in questa loro prima sortita, li chiamerà Tourists, essendogli l’idea stata suggerita da una visita agli spazi del Padiglione in tempi precedenti l’apertura della Biennale stessa quando osserva come gli spazi e le intercapedini tra gli spazi siano stati colonizzati da questi volatili. Non da meno e per le ragioni sopra dette, l’immagine del piccione è facilmente collegabile a quella dei turisti che si fotografano accanto a monumenti immancabilmente accompagnati da piccioni, involontari e invadenti testimoni della visita. Decide così di riprodurli allocandoli un po’ ovunque, e così contaminando lo spazio complessivo e obbligando le opere di Ettore Spalletti e Enzo Cucchi - gli altri due artisti invitati nell’occasione - a farvi i conti dal momento che, così come accade nella realtà, i piccioni stanno ovunque e a nulla valgono eventuali tentativi di perimetrarne e circoscriverne la presenza in un posto solo. Qualche anno dopo, nel 2011, sempre alla Biennale di Venezia, il lavoro viene riproposto con un nuovo titolo, Others, e con nuovi esemplari, migliaia, collocati negli spazi interni ed esterni del Padiglione centrale ai Giardini. “Intrusi” li definì Bice Curiger che quell’anno curava proprio la 54. Edizione della Biennale (3). 
Diventati fantasmi, i Ghosts, sono ora qui ancora una volta a osservare dall’alto il mondo di sotto.  Da sfondo a immenso - paradossalmente corale - assolo amplificano la loro spettrale presenza nel vuoto delle navate. Per infine più oltre diradarsi in pochi ma non irrilevanti esemplari nell’ultima installazione con la quale si chiude il cerchio: Blind.
Terzo atto. La luce da offuscata si fa diffusa raggiungendo quasi abbagliante l’acme drammaturgico. Man mano che si procede verso l’ultimo cubico spazio un’enorme scultura si staglia a cospetto del visitatore che, percependone il sovradimensionamento in uno spazio che a fatica la contiene, ne resta quasi schiacciato. Ad apparire estremamente definito nel suo nero rivestimento è un grande monolite rettangolare attraversato nella sommità dalla sagoma di un aereo. Assecondando una certa propensione alla spiritualità connaturata al lavoro di Cattelan (4) sembrerebbe che abbia qualcosa a che vedere con la Pietra Nera oggetto di devozione della Mecca e, suggestionati dagli arditi guizzi semantici del suo autore, offra per questo verso un ulteriore scarto non trascurabile. In primo luogo perché il richiamo all’attentato che l’11 settembre del 2001 squarciò le torri gemelle a New York è pressoché testuale e poi perché l’intera opera sovrasta e sopraffà nella sua grandezza lo spettatore come spesso accade ai fedeli a cospetto degli edifici e dei monumenti di culto.
Un’iconografia potente rafforzata dalla materia che la riveste: resina color nero opaco. Il titolo Blind si conferma anche qui eloquente prestandosi ad una lettura polivalente che non si arresta a ciò che realmente e monumentalmente vediamo. Chi è cieco? A quale cecità si allude? Quella che non vede l’ostacolo e vi impatta? Quella che travisa il senso e invasata legittima le peggiori efferatezze? Invero il rimando evidente all’attacco alle torri gemelle ci mostra quel che non abbiamo mai visto e mai avremmo potuto vedere: il surreale preciso chirurgico incastrarsi dell’aereo nella pancia del grattacielo. Quasi un’incudine - forse un omaggio al mestiere dell’arte -che si eleva reificandosi plumbea eliminando lo sciame di polveri, di rovine, di detriti, di fuoco, di frammenti che l’impatto nella realtà provocò.
Espungendo dunque anche qui la vita, i suoi palpiti, le sue atmosfere, la sua anima per rappresentare metafisicamente la morte. L’istante in cui la vita si è fermata.
In definitiva, solidi monumenti alla sopravvivenza metafisica che fissano e cristallizzano l’attimo del transito della vita nella memoria della morte.
 
Ottobre 2021

1) Roberta Tenconi e Vicente Todolì (a cura di), Maurizio Cattelan, Breath Ghosts Blind, Pirelli HangarBicocca, Milano, 15 luglio 2021 – 20 febbraio 2022.
2) “…soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente” (Genesi 2,7).
3) Bice Curiger, a cura di, Illuminazioni, catalogo della 54 Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, Marsilio, Venezia, 2011, p.56.
4) Cfr: Fiammetta Griccioli, “Blind, 2021”, scheda dell’opera, in, Roberta Tenconi e Vicente Tosolì (a cura di), Maurizio Cattelan, Breath Ghosts Blind, catalogo della mostra Pirelli HangarBicocca, Marsilio, Milano, 2021, p.208.