www.unclosed.eu

arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Riflessioni in libertà sulla mostra Enrico Castellani Richard Long and Jeff Wall

alla Galleria Lorcan O’Neill di Roma

Anna D’Andrea

“Inaugura oggi 4 luglio 2014, la nuova sede della Galleria Lorcan O'Neill di Roma con una mostra di Enrico Castellani, Richard Long e Jeff Wall”. L’annuncio è pubblicato su L'Uomo Vogue del 4 luglio 2014 e su numerosi altri giornali.

Il nuovo spazio espositivo è situato in un edificio rinascimentale del centro storico di Roma, strutturato su più livelli per un totale di oltre 500 metri quadri. Sono le scuderie e l’antica corte di Palazzo Santacroce con all’interno una fontana barocca che raffigura la nascita delle bellezza e ai piani alti una terrazza dove il Cardinale custodiva le sue statue antiche. Il tutto restituito a nuovi splendori da Lorcan O’Neill con grande eleganza british e quell’impeccabile low profile che solo pochi possono permettersi.

"Sin dall'infanzia ho sentito parlare di Roma, una città di favola e fantasia” dichiara il gallerista di origini irlandesi arrivato nella capitale nel 2003, “pronto a una nuova avventura con cui inaugurare i miei quarant’anni”. La nuova avventura è una galleria a Trastevere dove ha esposto artisti del calibro di Tracey Emin, Gary Hume, Richard Long, Anselm Kiefer, Jeff Wall, Kiki Smith, molti dei quali per la prima volta in Italia, e che ora sarà dedicata esclusivamente ai giovani artisti.

Dopo più di 10 anni sente il bisogno di fare un altro salto e cambiare, lo fa per i suoi collezionisti, per regalare loro un po’ della grande magia di Roma e per i suoi artisti, perché desidera offrire loro il meglio. Il suo sogno è: “far conoscere i bravi artisti italiani all’estero. Non da morti, ma da vivi!” Nella vastità degli spazi bianchi della galleria le opere hanno il giusto respiro e la luce migliore e gli artisti incrociano i loro dialoghi fuori dai vecchi comparti di pittura, scultura o fotografia.

Per cambiare Lorcan ricomincia da Richard Long e Jeff Wall, i primi artisti che aveva portato in mostra nella sua galleria oltretevere, con loro inaugura i nuovi spazi, fedele a se stesso e alle proprie scelte e forse chissà anche con una punta di scaramanzia, perché squadra che vince non si cambia. Enrico Castellani è la new entry tra virgolette, tra i più grandi artisti italiani, vive ritirato in campagna non lontano da Roma, la sua ultima mostra personale presso un’istituzione pubblica della capitale nel 1994 al Museo Laboratorio di Arte Contemporanea della Sapienza Università di Roma, seguita nel 2006 dalla partecipazione a un programma di private fund raising per l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia in coppia con i Capricci di Paganini eseguiti da Uto Ughi. Una scelta che può dirsi local, ossia basata sulla valorizzazione della diversità territoriale in cui avviene, che presenta curiose analogie con il lavoro dello stesso Long, tra i maggiori esponenti della land art: le sue erranze solitarie, volando alto sulle vette oppure scivolando nel fango della terra, l’atto di raccoglierne frammenti da ricomporre in forme primordiali. Un lavoro site specific portato all’ennesima potenza, che non si esaurisce nel pieno rispetto delle specificità del sito da cui le nuove configurazioni di senso scaturiscono, ma capovolge il rapporto di sudditanza tra figura e sfondo e la circostanza di luogo in cui e per cui è stata concepita diventa sostanza attiva, fisica e primaria dell’opera.

Anche Castellani è un artista che ricomincia, che ama i silenzi e quel “bisogno di assoluto che ci anima” (Azimuth n° 2, 1960). Presenta e non rappresenta la pittura che riflette su se stessa e sui elementi costitutivi, ossia la tela, il telaio e i chiodi. Detesta usare matite, pennelli e colori, si ferma un passo prima della tabula rasa e offre alla luce pretesti per giocare con la sua ombra, creando ineffabili tessiture in movimento.

Wall si autodefinisce "un pittore della vita moderna", costruisce architetture di immagini in scala monumentale attraverso scatti fotografici meticolosamente studiati nei minimi dettagli, dove nulla è lasciato al kairos. Mette in scena brani di realtà congelata nel protrarsi dei tempi di posa, un breve differire sufficiente a sventare l’inganno dell’attimo rubato, con quel mood che ho già sentito da qualche parte, forse nelle piazze di De Chirico.

Mi colpisce l’audacia degli accostamenti e mi concentro su una chiave di connessione plausibile. La mia amica mi ragguaglia sul fatto che le gallerie private non sono tenute a osservare un concept, mi dice che la mia è un’impostazione di pensiero antica e superata e mi informa che alla Maison Rouge di Parigi hanno già sostituito il curatore con un semplice software più economico, pronto a eseguire gli ordini e che non si dà tutte quelle arie, il programma decide la collocazione delle opere tenendo conto solo delle dimensioni, basandosi sul metodo Montecarlo, nota località balneare dedicata al gioco d’azzardo. Decido di porre il quesito al personale della galleria: “scusi ma questa è una mostra?” Un ragazzo molto gentile con gli occhiali grandi mi risponde: “secondo il mio parere di studente di storia dell’arte sì, perché i tre artisti hanno in comune qualcosa che potremmo definire come l’attitudine al mettere in forma”.

Realizzo di essere davanti a uno dei più autentici scorci della Roma del Seicento, quando gli scenari barocchi più sontuosi si spalancano come per caso da meandri di vicoli stretti e bui, un artificio che usa la sorpresa per amplificare stupore e meraviglia, che oggi gli esperti della comunicazione pop sintetizzerebbero nella locuzione: effetto wahoo!