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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Cagliari, Nuoro e Ulassai dedicano una grande retrospettiva a Maria Lai ad un anno dalla sua scomparsa

Valentina Vacca

La frase Ricucire il mondo rammenta una completezza totale che dapprima era andata persa e che ora è riuscita faticosamente a ricomporsi. I mezzi con i quali questo incantesimo è avvenuto, altro non sono che piccoli punti –magari creati con ago e filo- i quali, magicamente e progressivamente, l’uno dopo l’altro, si ricongiungono verso un qualunque punto dell’universo. Non solamente dunque, in quello natio e strettamente personale, ma in una dimensione più ampia e di profondo respiro. Maria Lai fu un’artista che riuscì nel difficile intento di parlare internazionalmente della Sardegna senza adottare un tono campanilista, peccato questo, del quale talvolta si macchiano gli isolani nonché gli artisti in possesso di una forte identità antropologica. Maria Lai si rese la portavoce sensibile di una data tradizione, di un tempo e di una società; ricuciva, dunque, questi tre elementi nelle sue opere, dando vita ad un mondo poetico e ideale dove anche le fate-janas sarde trovarono posto accanto ai fili tessuti dalle donne che praticavano antichi mestieri. Ricucire il mondo dunque, è giustamente il titolo scelto per questa grande retrospettiva che in Sardegna viene dedicata in questo periodo a Maria Lai, ad un anno esatto dalla sua scomparsa. La mostra è trilocalizzata nei centri di Cagliari, Nuoro ed Ulassai. Un suggestivo cammino dunque, che parte dal mare e dalla pianura del Campidano, per toccare poi le montagne barbaricine dell’interno della Sardegna –territori questi con un’ardua eredità alle spalle- alle quali l’artista, nel 1981, “legò” gli abitanti di Ulassai con l’intervento Legarsi alla montagna.

Le mostre di Cagliari e Nuoro possono essere considerate due sorelle che parlano di tempi diversi: l’una parte dagli anni Quaranta e si dipana fino agli Ottanta; l’altra narra invece dell’ultimo trentennio di ricerca artistica di Maria Lai. Sono state realizzate dunque, sulla base di una dicotomia temporale, scelta questa che forse a qualche curatore potrà apparire anacronistica, ma che comunque consente di conferire un certo ordine alle esposizioni, già di per sé abbastanza dense. La parentela delle due mostre è testimoniata dall’installazione che accompagna gli esterni di ambedue gli spazi espositivi: trattasi di Come piccole api operaie, opera realizzata dal designer Antonio Marras –forte di un’importante esperienza artistico-dialogativa con la Lai- e dall’artista piacentina Claudia Losi, da sempre interessata al rapporto tra l’uomo e l’ambiente. L’opera in questione è concepita come un grande intreccio di fili rossi e bordeaux che, dipanandosi dalla facciata del Palazzo di Città di Cagliari (foto 1) –sede espositiva della mostra-, raggiungono le vie circostanti all’edificio; tali fili poi, “cuciono” idealmente questa sede con quella del museo Man di Nuoro, seconda tappa della retrospettiva.

La mostra di Cagliari, curata da Anna Maria Montaldo, si articola in quattro piani espositivi, ciascuno dei quali relativo ad una tematica ben precisa in seno a quella che fu la ricerca di Maria Lai.

Segno e ritmo è il primo territorio esplorato. E’ la sezione dei disegni e delle tempere, caratterizzati da un segno conferito in maniera talmente decisa da essere scambiata spesso per una mano maschile; ma è anche la sezione in cui ci avviciniamo alla tematica del ritmo, della cui importanza le parlò per la prima volta nel 1932 Salvatore Cambosu, illustre intellettuale sardo nonché professore di latino di Maria Lai durante gli anni liceali. Esposto, in questa sezione, un importante numero di disegni a matita –eseguiti a partire dal 1941 fino alla metà degli anni Sessanta- dai quali si evince la conoscenza dell’artista rispetto ad Arturo Martini, suo professore all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Grazie a Martini la Lai, mostra in questi disegni una grande capacità sintetica, che si rende complice per il compimento di un’elaborazione ritrattistica essenziale e senza fronzoli. Ed ecco dunque, i disegni a matita sulla maternità dedicati a Maria Pietra, protagonista del racconto di Salvatore Cambosu Cuoremio, nei qualila Lai riuscì a legare l’identità antropologica alla sensibilità femminile in una sorta di cordone ombelicale indissolubile. Non mancano inoltre, i ritratti a matita degli affetti dell’artista: della madre, del padre e della sorella, ma anche degli intellettuali sardi ai quali fu legata. Si affiancano, nella stessa sala dei disegni a matita, gli acquerelli e le chine su carta. In queste opere l’artista, enunciò nuovamente l’identità antropologica affiancata alla femminilità, ivi espressa nella rappresentazione delle donne sarde intente a compiere gli antichi mestieri tradizionali, come ad esempio fare il pane, portare le brocche con l’acqua, setacciare la farina (foto 2). Una delle parti più interessanti della mostra cagliaritana è senza dubbio quella dei video, inseriti in questa prima sezione: trattasi di collaborazioni fra l’artista e alcuni registi locali, dai quali ci è concesso udire le parole di Maria Lai sull’arte e la sua poetica. Interessante il suo concetto di arte e di opera, estrapolato dal video Contenere la frana: «Noi non siamo autori di un’opera, lo è la società e il tempo. E’ sempre un’opera che mi suggerisce cosa fare. I colori fanno chiasso, meno segni facevo più mi sentivo io».

La seconda sezione della mostra di Cagliari è quella dei Passaggi e legami, dedicata al leitmotiv della produzione di Maria Lai: il filo cucito, espresso in questa sezione nelle Lavagne, nei Libri e nelle Geografie (foto 3; foto 4) Il filo che oltrepassa la materia attraversandola, che crea un passaggio tra un punto ed un altro per poi legarsi reciprocamente lasciando però sempre libera la sua estremità, è una costante della produzione dell’artista, la quale invitò, specialmente nelle sue Geografie – incantate descrizioni di galassie e pianeti inesplorati accanto a meridiani e paralleli- , a riflettere sul concetto di infinito giacché per lei, ogni opera d’arte conteneva una piccola dose di esso. Memori di segni infantili degli anni di scuola, sono invece le sue Lavagne, nelle quali sul velluto nero Maria Lai tracciò col filo bianco il ritmo di arcane figure geometriche puerili, accompagnate da formule matematiche dalla difficile risoluzione. I Libri, che possono essere annoverati fra le opere più interessanti, sono esposti in una sala le cui pareti sono adornate di tessuti rimembranti quelli dei tappeti sardi: al libro di pane, il Libro Beta (1979) realizzato con pasta di pane e spago, si accompagnano tutta una serie di libri cuciti su stoffa. Ma il fiore all’occhiello di questa sezione è sicuramente il filmato Legare e collegare di Tonino Casula, video che costituisce l’unica testimonianza filmica dell’intervento sul territorio eseguito da Maria Lai l’8 settembre 1981, Legarsi alla montagna:qui il filo –stavolta rappresentato da un nastro di jeans- costituì la metafora dell’arte come salvezza per i rancori tra le persone del paese di Ulassai, invitate dall’artista a far passare un nastro azzurro di jeans da una casa all’altra del paese, per poi legarsi, alla fine, alla montagna retrostante. In caso vi fossero stati dei rancori non risolti, il nastro sarebbe dovuto scendere dritto verso la casa del vicino; al contrario, qualora vi fosse amicizia, si sarebbe fatto un nodo a testimonianza di un legame di fratellanza.

La terza sezione esplora Forma e materia. La prima tematica è interconnessa alle tele, realizzate con un segno estremamente essenziale e rappresentanti paesaggi, ovili e greggi. La materia invece, scopre la sua massima espressione nei Presepi e nei Pupi di pane, questi ultimi legati al tema dell’aborto. Il primo presepe fu creato dalla Lai nel 1958 su invito di un altro grande artista sardo, Eugenio Tavolara, straordinario interprete delle arti applicate trasudanti di spirito identitario isolano. L’opera in questione è esposta all’interno di tale sezione; essa è racchiusa entro uno spazio che si pone quasi come una cavità uterina dalla quale si dipanano i fili rossi e bordeaux dell’installazione di Marras e Losi (foto 5). Ma è uno spazio che richiama alla memoria anche le cappelle delle chiese, ove spesso altro non si celano che tabernacoli con i loro presepi: il presepe di Maria Lai, unitamente all’installazione di Marras e Losi, intraprende dunque un dialogo nel quale sacro e profano si incontrano e si declinano in un paradigma di arte e infinito, certezza spirituale e mistero dell’arte, dove in realtà l’una può essere vicendevolmente associabile all’altra.

La quarta e ultima sezione della mostra cagliaritana affronta i concetti di Spazio e tempo, coniugati nei Telai ai quali Maria Lai lavorò a partire dalla metà degli anni Sessanta. Dapprima realizzati in legno e plastica per poi successivamente inglobarvici ulteriori materiali poveri tra cui la stoffa -anche quella tipica dei costumi e dei tappeti sardi-, Maria Lai giunse, con i Telai, a far convivere perfettamente entro la medesima opera d’arte, il senso identitario antropologico che da sempre accompagnò la sua poetica, con le tendenze contemporanee apprese al di là del mare che circonda la sua isola.

La seconda tappa della retrospettiva su Maria Lai è quella ospitata presso il Museo Man di Nuoro, piccolo capoluogo sardo celebre per essere stato il genitore territoriale per un cospicuo numero di intellettuali ed artisti, tra i quali ricordiamo Grazia Deledda, Sebastiano Satta, Francesco Ciusa. Alla facciata si “ricuce” l’esposizione cagliaritana per mezzo dell’installazione composta da fili metallici e di lana, Come piccole api operaie I. Anche in questo caso, come del resto era avvenuto a Cagliari, l’opera ha origine intra muros: stavolta, all’interno di una sala attraversata dai fili di lana, trovano spazio nelle pareti oggetti e opere d’arte che furono care a Maria Lai e che lei stessa regalò ad amici e parenti (foto 6).

Curata da Barbara Casavecchia e Lorenzo Giusti, l’esposizione consta dei lavori dell’artista realizzati dagli anni Ottanta al Duemila, e non manca inoltre, di dare ampio spazio agli interventi dell’artista sul territorio. L’immediato corollario di tale enunciazione, lo troviamo fin dalla prima sala dell’esposizione nuorese, interamente dedicata all’azione Legarsi alla montagna. Esposte infatti, vi sono le foto in bianco e nero di Berengo Gardin, le quali -rielaborate per mano di Maria Lai per mezzo del tocco di blu ovunque appaia il nastro dell’azione-, svolgono il ruolo di documenta omnia dell’intervento del 1981. Presente inoltre, all’interno di una teca, un pezzo di quel nastro di jeans che originariamente era lungo ben ventisei km; a questo, vengono affiancate due sculture: Nastro azzurro (2002) e Sassi con nastro azzurro (1988). La prima sezione prosegue con la descrizione, mediante vario materiale documentario, di altri tre importanti eventi: Reperto (Villasimius, 1982), per il quale Maria Lai chiese ai ragazzi delle scuole di realizzare con materiali poveri dei futuri reperti archeologici; L’alveare del poeta (Orotelli, 1983), performance tenutasi nel paese natio del suo amico scrittore Salvatore Cambosu ed infine Essere e tessere (Aggius, 2008), happening basato sul tema della tessitura tanto caro alla Lai.

La seconda sezione della mostra allestita al Man parla un linguaggio infantile, talvolta interconnesso col teatro; descrive giochi puerili che respirano entro territori misteriosi, impregnati di miti e leggende. Ed è così che ritroviamo i Libri cuciti, stavolta con parole infantili. Libri che riportano entro le loro pagine di stoffa, di tela grezza o di jeans e per mezzo del filo, spartiti musicali e fiabe magiche e misteriose (foto 7). Tra queste, si ricordano Tenendo per mano l’ombra (1987), che fu anche una scrittura scenica, Il dio distratto (1994), ispirato al racconto del Sardus Pater di Salvatore Dessì e Curiosape (2002), che diventò poi un soggetto teatrale. Da tutti i libri, sia che siano spartiti sia che siano fiabe, pende sempre, verso l’infinito inesplorato, il filo. Presenti, in questa seconda sezione, anche le Lenzuola create dal 1980 fino al 2011. Un territorio straordinario di scrittura con ago e filo per Maria Lai, entro il quale l’artista immaginò di scrivere infinite storie. Emerge, nelle Lenzuola, il ricordo della nonna che era solita rammentarle, rievocazione questa alla quale si accompagna anche quella dell’antica tradizione tessile femminile. E poi ancora, il teatro: già toccato nei Libri cuciti, l’artista cominciò a metà degli anni Ottanta a interessarsene, specialmente in seno ai laboratori scolastici. Elaborò così alcuni costumi, alcuni dei quali esposti in questa sezione. La spiegazione di concetti profondi attraverso l’impiego di parole semplici, spesso enunciate anche grazie ai giochi, si riflette in mostra nel nucleo delle Carte. Fra queste spicca il mazzo I luoghi dell’arte a portata di mano (2002), con cui Maria Lai si pose l’obbiettivo di ridurre la distanza fra fruitore e opera d’arte contemporanea attraverso una serie di domande che, inevitabilmente, portano lo spettatore al pensiero e alla riflessione sulla natura dell’opera e sul ruolo dell’arte nella vita di ognuno. Chiudono questa seconda sezione della mostra nuorese, dei filmati relativi ad alcuni interventi ambientali fra cui L’albero del miele amaro (Siliqua, 1997).

L’ultima sezione della mostra nuorese prende in considerazione la tematica della musica e il filone creativo dei Telai (foto 8). Soprani che interpretarono i suoi spartiti cuciti, ma soprattutto, nel 1988, in occasione dell’inaugurazione della mostra A matita, la cantante Ille Strazza diede la voce a Maria Pietra, personaggio del racconto di Salvatore Cambosu Cuoremio. Una nenia triste e struggente di una madre che ha perso il suo bambino –come la Madre dell’ucciso di Ciusa perse suo figlio adulto- e che, per colmare questo dolore, trova conforto nel creare dei pupi di pane. Da sempre legata a questo racconto di Cambosu, il quale le narrò la storia per permetterle di ridare fiducia all’arte dopo un periodo critico, Maria Lai si identificò in Maria Pietra proprio perché la protagonista generò arte partendo dal dolore. In quest’ultima sezione della mostra, risuona la voce dell’artista mentre racconta questa storia che fu sempre motivo per lei d’ispirazione[1]. Riguardo i Telai, già visti a Cagliari, sono collocati nell’esposizione nuorese quelli creati tra gli anni Novanta e Duemila, a testimonianza di una tradizione identitaria atavica della quale Maria Lai non mancò mai di rendersi interprete indiscussa.

La retrospettiva si conclude a Ulassai, paesino natio di Maria Lai collocato nel cuore del territorio Ogliastrino. Un paese con una posizione particolare, situato nel bel mezzo di due grandi massicci rocciosi di origine calcarea, il Tacco di Ulassai e il Monte Tisiddu. E’ la montagna a cui l’artista nel 1981 “legò” i suoi abitanti, proprio ispirandosi ad una storia narrata nel paese secondo la quale, durante la frana di un costone, due bambine morirono mentre una riuscì a salvarsi grazie proprio ad un nastro azzurro che teneva fra le mani e che le permise di essere notata dagli abitanti del paese. Curata da Cristiana Giglio, l’esposizione è allestita all’interno della Stazione dell’Arte[2], museo di arte contemporanea inaugurato nel 2006 e al cui progetto prese parte la stessa artista (foto 9). Trattasi dell’esposizione, tra le tre, che più si accosta alla poetica di Maria Lai e al suo linguaggio. I motivi di tale affermazione, li rintracciamo in più di un elemento, in primo luogo nella scelta curatoriale di riallestire la mostra inaugurale del 2006 secondo l’originario progetto concepito dall’artista stessa. Ad accoglierci, nelle vecchia rimessa dei treni, vi è la suggestiva installazione Invito a tavola (2002): una tavola imbandita offre ai suoi commensali pani e libri aperti realizzati in terracotta, invece di piatti colmi di cibo (foto 10). L’opera, cardine nella ricerca artistica di Maria Lai, esprime il concetto di libro in virtù di un prezioso nutrimento per l’anima e lo spirito, e altro non è che metafora dell’arte stessa. Interessante anche la scelta di porre, nella medesima sala dell’Invito a tavola, un pannello recante delle frasi di Maria Lai, alcune delle quali estrapolate dalle sue carte.L’ex sala d’attesa della stazione si è tramutata nel suggestivo spazio ospitante le Geografie: ancora una volta lo spettatore si interroga davanti ai pianeti –a volte piccoli, a volte grandi, in maniera da riflettere il nostro micro e macro universo- e le galassie sconosciute tracciate dal filo libero di Maria Lai. E’ un filo che ogni tanto si spezza per poi ritrovarsi e svolazzare libero verso l’infinito, un filo che talvolta è rosso come quello impiegato nei costumi sardi, e talvolta è bianco e nero in ottemperanza alla vita e alla morte. Infine, il progetto originario della Lai per la Stazione dell’arte prevedeva anche un omaggio ai suoi tre grandi maestri: Arturo Martini, Salvatore Cambosu e Giuseppe Dessì. A testimonianza dell’influenza del primo, vi è la Scultura che respira (2002), nella quale l’artista alternò pieni e vuoti, segno dunque di una ricezione positiva degli insegnamenti di Martini. A Dessì è dedicato invece il libro cucito del 1990 con la fiaba de Il dio distratto. Pagine di tela e velluto ospitano una scrittura per immagini che descrive suggestivamente il racconto di Salvatore Dessì ispirato proprio a Maria Lai. Per omaggiare Cambosu infine, Maria Lai scelse ancora una volta Maria Pietra e il suo Cuoremio, declinandolo stavolta in una scultura di terracotta smaltata. Nello spazio esterno collocato al centro degli edifici, inizia invece il percorso espositivo a cielo aperto per mezzo di Fiabe intrecciate (2007), scultura in acciaio dedicata ad Antonio Gramsci, nella quale la Lai riuscì a far dialogare la leggenda del nastro azzurro di Ulassai con la fiaba che egli scrisse alla figlia Giulia dal carcere, quella del topolino e la montagna[3].

Il percorso si conclude dentro il paese di Ulassai, dove l’artista realizzò numerosi interventi sul territorio: La strada delle capre cucite (1992), L’arte ci prende per mano (2003), Il gioco del volo dell’oca (2002), Telaio soffitto in legno (1982), La casa delle inquietudini (2005), Il muro del groviglio (2005), La strada del rito (1992).

La retrospettiva dunque, ha il suo epilogo nel luogo in cui tutta l’arte di Maria Lai ha preso vita: Ulassai e la sua montagna. La creatio legata indissolubilmente all’identità e al suo mistero ha trionfato. Come voleva la stessa Lai, la quale d’altro canto desiderava che di lei rimanesse nient’altro che la storia di questo affascinante paese[4].

 


[1]La storia di Maria Pietra narrata dalla voce di Maria Lai è disponibile anche su http://www.sardegnadigitallibrary.it/index.php?xsl=626&id=37638

[2] L’edificio era una stazione vera e propria; tale linea ferroviaria ha collegato Ulassai, Jerzu e Cagliari fino al 1956, anno in cui è stata dismessa.

[3] «Un bambino dorme. C’è un bricco di latte pronto per il suo risveglio. Un topo si beve il latte. Il bambino, non avendo latte, strilla, e la mamma che non serve a nulla corre dalla capra per avere del latte. La capra gli darà il latte se avrà l’erba da mangiare. Il topo va dalla campagna per l’erba e la campagna arida vuole l’acqua. Il topo va dalla fontana. La fontana è stata rovinata dalla guerra e l’acqua si disperde: vuole il maestro muratore; questo vuole le pietre. Il topo va dalla montagna e avviene un sublime dialogo tra il topo e la montagna che è stata disboscata dagli speculatori e mostra dappertutto le sue ossa senza terra. Il topo racconta tutta la storia e promette che il bambino cresciuto ripianterà i pini, querce, castagni ecc. Cosí la montagna dà le pietre ecc. e il bimbo ha tanto latte che si lava anche col latte. Cresce, pianta gli alberi, tutto muta; spariscono le ossa della montagna sotto il nuovo humus, la precipitazione atmosferica ridiventa regolare perché gli alberi trattengono i vapori e impediscono ai torrenti di devastare la pianura. Insomma il topo concepisce un vero e proprio piano di lavoro, organico e adatto a un paese rovinato dal disboscamento». Cfr. A. GRAMSCI, Lettera IV il topo e la montagna, in A. GRAMSCI, L’albero del riccio, a cura di Giuseppe Ravegnani, Editori Riuniti, Roma, 1989

[4] «Vorrei che di me rimanesse questo: la storia di Ulassai», Maria Lai in Ansia d’infinito, regia di Clarita di Giovanni, Edizioni Condanghes, 2009