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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

 Philippe Parreno al Palays de Tokio di Parigi con Anywhere, anywhere out of the world

 

L’artista ha radicalmente trasformato lo spazio espositivo parigino in occasione della sua mostra inaugurata il 23 ottobre e visitabile fino al 12 gennaio 2014

 

Valentina Vacca

 

Mai prima d’ora nessun artista vivente aveva potuto beneficiare di tutti i 236000 metri quadri del Palays de Tokio di Parigi per allestirvi una sua mostra monografica; Philippe Parreno è difatti il primo ad aver usufruito dell’intero spazio espositivo e il risultato che ne deriva è una completa e armonica orchestrazione di luci, suoni, filmati e oggetti che si miscelano perfettamente tra loro, dando luogo ad un’esperienza artistica totalizzante e coinvolgente.

Più che un’esposizione, si può affermare che Parreno, al quale non sono di certo sconosciute le dinamiche dello spettacolo in continua evoluzione, sia riuscito a creare all’interno del Palays de Tokio una vera e propria entità artistica grazie alle quale si invertono totalmente i meccanismi allestimento-spazio espositivo. Difatti non appena varcata la soglia del Palays de Tokio, il visitatore ha come l’impressione di trovarsi all’interno di uno spazio fisico non preesistente all’esposizione stessa. Parreno infatti riesce nella difficile impresa di far apparire la mostra come un organismo capace di progettare ad hoc per se stesso l’edificio atto a contenerla. Gli oggetti, i filmati, i suoni e le luci che accompagnano la visita di Anywhere, anywhere out of the world sembrano infatti aver creato essi stessi quell’architettura che in realtà li ospita. Tutti questi elementi dell’entità artistica il cui artefice è Parreno, emanano però una presenza “spettrale”, aggettivo che ben si adatta del resto anche allo spazio espositivo trasformato dall’artista.

E difatti fin dall’ingresso, Parreno utilizza differenti mezzi volti a riconfigurare l’uso dell’edificio e a dare l’idea di spettrale: dal banco d’accoglienza (Le Banque d’accueil, 2013), che in realtà è un muro luminoso nel quale in controluce ogni visitatore può vedere la propria silhouette, fino all’illuminazione che accompagna tutta la mostra, caratterizzata da 56 luci scintillanti (56 Flickering Lights, 2013), ognuna delle quali si accende e si spegne in base ai 56 movimenti della trascrizione per piano Petrouchka di Igor Stravinsky, che si ode grazie a quattro pianoforti presenti all’interno della mostra e suonati in maniera meccanica. In realtà è proprio questa composizione stravinskiana ad assumere il ruolo di filo conduttore dell’esposizione, dal momento che tutto il percorso è scandito dai suoi movimenti: difatti anche con l’installazione Danny la Rue (2013), nella quale per la prima volta Philippe Parreno riunisce tutti quanti i suoi 16 Marquees, siamo davanti a un gioco luminoso di accendi/spegni che si armonizza perfettamente con i movimenti di Petrushka, tanto da trasformare l’installazione in una sorta di spartito musicale visivo.

Parlando di presenze spettrali diramate e orchestrate all’interno della mostra per mezzo di oggetti, suoni e filmati, l’opera che più colpisce in questo senso è sicuramente Marylin (2012): in questo superbo lavoro, Parreno cerca di far rivivere –ma pur sempre in maniera spettrale- l’attrice americana. Il film, visibile all’interno di una sala in cui si avverte un’incredibile sensazione di freddo, mostra la stanza dell’albergo Waldorf Astoria vista proprio con l’occhio della Monroe; il tutto è accompagnato dalla sua voce e dalla sua scrittura, fatta rivivere dall’artista grazie ad un robot.

Accanto ai lavori recenti, l’esposizione ospita anche le opere che più hanno contrassegnato la carriera artistica di Parreno: dai film No more reality (1991) e Alien Seasons (2002) fino a No ghost just a shell (1999), la cui protagonista Annlee è un manga giapponese i cui diritti sono stati acquistati da Parreno e Pierre Huyghe. Nell’ultima sala infine, troviamo un altro lavoro a quattro mani, a cui stavolta collabora Douglas Gordon: Zidane: a 21st century portrait (2006), presentato al Palays de Tokio attraverso 17 schermi corrispondenti a 17 differenti camere che mirano a far apparire il tutto come un superbo montaggio cinematografico.

Lo spettatore che si reca a vedere la grande mostra di Philippe Parreno al Palays de Tokio si troverà alla fine, ad essere parte di una grande coreografia in cui lo spazio stesso è alterato e sembra essere in continua evoluzione. L’esposizione apparentemente monografica è in realtà una sorta di polifonia grandiosa in cui il visitatore viene trasportato armonicamente.