A Carrara si parla dei problemi di conservazione delle Media Art

 

Valentino Catricalà

 

Come preservare l’impreservabile? E’ questa una domanda che affiora tutte le volte che ci poniamo davanti al problema di come restaurare e conservare l’arte in rapporto alle tecnologie: la Media Art, la New Media Art, le arti elettroniche, le digital art…e così via.

Il problema è che a differenza dell’arte “non tecnologica”, nell’arte “tecnologica” ci rapportiamo con media industrialmente determinati, che hanno nella loro stessa essenza l’idea di obsolescenza: il fatto che ogni medium immesso sul mercato, ogni tecnologia, è pensato sin dall’inizio con un periodo predeterminato di invecchiamento.

Come riattualizzare una installazione realizzata con un computer degli anni Sessanta? Quali sono gli elementi intercambiabili e quali invece costituiscono l’equipaggiamento funzionale della stessa, come potrebbero essere cavi elettrici o alimentatori? Quali sono pertanto sostituibili o riproducibili nel caso di cattivo funzionamento? Quali oggetti “tecnologici” una volta divenuti obsoleti possono essere cambiati senza alterare l’originale concezione di un lavoro e quali invece possiedono un valore estetico oltre che funzionale? Ovvero: quali elementi sono e devono rimanere “autentici”? Domande complesse che accompagnano rilevanti problemi etici.

E proprio questi problemi etici, pratici e operativi è doveroso iniziare oggi a ricercare. Soprattutto in Italia, soprattutto in un Paese che ha investito molto in preservazione dei beni culturali dell’arte classica e molto poco in preservazione dei beni culturali nel settore contemporaneo e new media. A tal punto da non aver creato una vera e propria cultura intorno a queste tematiche. Se nella maggior parte dei musei internazionali troviamo almeno una sezione dedicata ai new media, se non addirittura un centro interamente dedicato, come può essere lo ZKM di Karlsruhe, in Italia la maggior parte dei musei non ha un reparto che accolga i rapporti arte e tecnologie o, come direbbero gli anglosassoni, i Time-Based Media.

Una necessità che proprio questa giornata di studi cerca di colmare. Nell’ambito del programma Open Day 2016, l’Accademia di Belle Arti di Carrara ha organizzato una giornata di studio dedicata al tema della conservazione e restauro dei media digitali, curata da Domenico Quaranta per la Scuola di Nuove Tecnologie dell’Arte.

La giornata inizia subito con un tema di estremo interesse. Cosa fare dell’arte una volta restaurata? Come riattualizzarla? Un esempio è il progetto Arte Riprogrammata presentato da Azalea Seratoni, del quale è uscito da poco il libro Arte riprogrammata. Un manifesto aperto (Johan & Levi, 2015). Un progetto che cerca di riattualizzare, attraverso le tecnologie digitali, le opere della storica stagione dell’Arte Programmata. L’Arte Programmata è qui uno spunto per pensare e realizzare nuovi progetti che proseguano quello spirito sperimentale sulle tecnologie iniziato negli anni Sessanta e che qui si avvale non solo dell’esperienza degli artisti dell’epoca ma anche di esperti del settore. Un atteggiamento del genere ha bisogno di una forte ricerca sull’Arte Programmata e una forte conoscenza delle problematiche di preservazione.

Partire da gruppi di artisti quali il Gruppo T, dalla loro esperienza e da ciò che ci possono ancora dare. Per partire da essi bisogna, tuttavia, conoscerli e capirne le problematicità conservative che essi aprono. È ciò che fa Alice De Vecchi nell’analisi del restauro del degli ambienti creati proprio dal Gruppo T.

Dagli anni Sessanta a oggi, andata e ritorno. È così che Domenico Scudero ci parla della sua esperienza di curatore presso il Museo MLAC dell’Università La Sapienza di Roma. Le problematiche di preservazione sono strettamente connesse con quelle di riattualizzazione. Si preserva sempre per il futuro, per la possibilità di accesso all’opera per le future generazioni. Quali problemi apre a livello curatoriale il rapporto con le tecnologie? Molti gli artisti citati e molte le questioni aperte da Scudero ancora tutte da risolvere. Questioni sulla riattualizzazione che si collegano al tentativo di sistematizzare le basi per una teoria della preservazione delle media art da parte del sottoscritto nell’intervento seguente. Tentativo di ritrovare le radici teoriche all’interno delle teorie classiche del restauro e di aggiornare tali radici nel panorama artistico contemporaneo. Una ricerca che si collega a una pubblicazione di prossima uscita dal titolo Media Art. Prospettive delle arti verso il XXI Secolo. Storie, teorie, preservazione (Mimesis, 2016).

Ad ampliare l’esperienza curatoriale su un altro versante è Marialaura Ghidini. Da tempo coinvolta in progetti curatoriali online, come il progetto or-bits.com, Marialaura si interroga sulle problematiche di preservazione e recupero dei materiali nell’arte realizzata in rete. Ciò che fino agli anni Novanta si chiamava net.art, e che oggi ha assunto molte forme diverse difficili da determinare, oggi pone alcune problematiche di estremo interesse. A dimostrare ciò, troviamo molti esempi di nuove piattaforme che collegano archiviazione ed esposizione delle opere: come a dire che oggi la differenza tra produzione, archiviazione e accesso non ha più spessore.

Dal virtuale al fisico, o forse del fisico-virtuale, troviamo il progetto sulla rete di archivi proposto da Alessandro Ludovico. Da anni coinvolto nella direzione della rivista Neural, del quale è anche fondatore, e da anni coinvolto in progetti artistico-curatoriali, Alessandro cerca di rispondere a come cercare una organizzazione dal basso da parte di archivi privati, e non, presenti sul territorio italiano e internazionale. Qualsiasi tentativo di preservazione da parte di Musei e istituzioni si inserisce sempre in logiche di potere e di imposizione di protocolli, creando spesso archivi statici o magazzini. Dinamizzare la memoria attraverso un movimento dal basso e autorganizzato fra gli archivi può essere un’alternativa interessante all’”effetto magazzino” della cultura.

A chiudere la giornata un intervento Skype con l’artista, un fondamentale incontro con un creatore dei contenuti che necessitano archiviazione. Davide Quayola, giovane artista ma che vanta già un curriculum di tutto rispetto a livello internazionale, ha spiegato tutte le necessità e i problemi che un artista incontra nel processo creativo, produttivo e conservativo per far fronte a un percorso che caratterizza la storia dell’uomo sin dall’antichità: invecchiamento della memoria, delle tecnologie, dei concetti e delle idee: in questo senso preservazione come atto di resistenza, come resistenza alla perdita e all’accesso per il futuro.

 

Conservazione e restauro dei media digitali

A cura di Domenico Quaranta

Giornata di studi

Accademia di Belle Arti di Carrara, 27 maggio 2016

Domenico Quaranta Introduzione
Azalea Seratoni, Arte ri-programmata: un manifesto aperto
Alice De Vecchi,Dispositivi spaziali programmati. Questioni conservative degli ambienti del Gruppo T
Domenico Scudero, Musealizzare la New Media Art
Valentino Catricalà Preservare il tempo. Le Media Art fra cinema e arte contemporanea
Alessandro Ludovico, Archivi Distribuiti, far emergere la conservazione collettiva

Marialaura Ghidini La performatività del web: formati di documentazione e reinterpretazione dell'arte sul web
Davide Quayola, Problematiche di conservazione nella pratica artistica