Ritaglio di Simonetta Funel

Yvonne Mazurek

Ritaglio, trilogia di cortometraggi di Simonetta Funel, è il frutto di una rigorosa conoscenza del mondo del restauro e di una curiosità insaziabile che sprona a forzare i confini disciplinari tradizionali a favore di una intensità creativa trascinante. I filmati sono testimonianze di opere, tecniche artistiche, contesti storici e contemporanei. E fin qui potrebbe trattarsi di una prassi documentaria congenita al settore.  Ma il lavoro della Funel si presenta con un segno personale. È uno sguardo antropocentrico che restituisce l’intimo rapporto che un restauratore può stabilire con l’opera d’arte. Un rapporto filtrato dall’amore per l'arte, dimensione troppo spesso assente nei consueti modi di trasmettere l’esperienza storico artistica. Ma questa prospettiva nasce dal particolare binomio che la Funel impersona come restauratrice-artista. Soltanto una parte del suo lavoro si avvale infatti di conoscenze tecniche che pongono il rapporto con l’opera su un piano razionale ed empirico. Da questo punto di vista la mano del restauratore è deontologicamente costretta a reprimere la propria creatività per assecondare e risuscitare l’altro da se, riconoscendo il lavoro dell’artista. E’ una regola che la Funel sul piano artistico però non rispetta, facendo emergere così un’aporia costitutiva della sua identità, chiaramente visibile in Immocolata. Qui, solo mentre la macchina da presa indaga il panneggio argentato della scultura è possibile vedere la sagoma integrale dell’opera rispecchiata nella materia. Fra volumi sfaccettati e foglie incise, Simonetta Funel “contamina” il documento. Per affermare la sua presenza, volutamente lascia che il pubblico individui la spia rossa della telecamera. Con apparente indisciplina si cala nel manufatto, riprendendolo dentro, sotto, sopra, vicino e lontano. Così facendo, l’opera e la regista si svelano allo spettatore simultaneamente. Chi osserva è invitato a vivere esperienze inaspettate che accadono senza alcuna apparente intenzionalità, mentre la tensione scandisce tutte le sequenze di questa insolita trilogia.

Il titolo Ritaglio è particolarmente indicativo.  La restauratrice-artista maneggia e assembla le lettere della parola “trilogia” per farle diventare “ritaglio”. Trasforma un nome statico – anche autoritario – in un verbo in prima persona, anche infantile. In maniera analoga, i cortometraggi operano un assemblaggio ed una trasformazione dei dati materici e dei significati dell’opera d’arte. Ma i filmati mostrano uno sguardo metaforicamente strabico, perché la regista tiene sott’occhio l’ambiente umano intorno alle opere, riportando chiacchiere informali, esclamazioni meravigliate ed espressioni calorose di colleghi e amici.  Questa dimensione permette allo spettatore di vivere il restauro in una maniera partecipativa ed  innovativa.

La trilogia consiste in tre filmati di 10-15 minuti ciascuno.  Il primo, Lo studio di Pizzofalcone, del 2014, riprende un laboratorio di restauro nel cuore della città di Napoli.  Il secondo, del 2013, si intitola Fucili e racconta il restauro di due fucili del '500 e '600. Attraverso disegni ed animazioni la Funel filologicamente ricostruisce i meccanismi, l'iconografia delle figure rappresentate nell'intarsio, l’uso in battaglia delle armi, appoggiandosi ad altre opere conservate nel Museo di Capodimonte.  Il terzo filmato, Immocolata, risale al 2004. Dei tre è il racconto più intimo e tratta il restauro di una scultura d'argento ora conservata a Santa Restituta presso il Duomo di Napoli.

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Entrando nello studio di Pizzofalcone, si attraversa un’effimera barriera fra il mondo umano e quello inanimato.  Le scene d'apertura chiariscono il contesto: la città partenopea appare con tutti i suoi rumorosi rimbombi e le sue umili decorazioni natalizie, ancora presenti alla fine di gennaio.  Dentro lo studio si vede il rapporto lirico fra le mani dei restauratori e le mani dipinte. La telecamera sbircia un mondo dove oggetti, immagini, uomini e santi si animano contemporaneamente. Le sequenze sono montate con ritmo sincopato, confondendo realtà e fantasia: un ritratto su cavalletto si trasforma in un osservatore che segue il pubblico nell’illusionistico spostamento dello sguardo da sinistra a destra.

La Funel non riporta la storia di questo laboratorio privato, eppure tra le mani dei protagonisti sono passate opere come La Pietà di Annibale Carracci o i frammenti della tavola di San Nicola da Tolentino di Raffaello conservate al Museo di Capodimonte. Ma l’artista sceglie di sottolineare antiche dinamiche di trasmissione, ancora in atto a Pizzofalcone, dove tre generazioni di restauratori, senza mai perdere di vista il rigore metodologico e scientifico, restano fedeli agli antichi modelli di bottega, lavorano e crescono insieme come in una famiglia. La loro casa ospita animali domestici che risalgono al '600 e dalle tele che cambiano provvisoriamente l’originale orientamento – poste in orizzontale per agevolare la pulitura – appaiono immagini di donne sdraiate come nelle camere di un palazzo.

Il mondo ripreso è conviviale. I confini intellettuali sono sfumati. Si guarda, si chiede, si racconta, si gioca.  Bambole riflettono accanto alle persone.  La telecamera sembra danzare quasi ad assecondare la musica suonata da un angelo, mentre i rumori del laboratorio diventano un controcanto. Un teatrino marino di cartapesta viene soccorso come da un naufragio. Una minuscola ghigliottina di legno taglia la testa di terracotta di un piccoloLuigi XIV davanti alla sua Maria Antonetta e agli ospiti del laboratorio.

A Pizzofalcone il tempo scorre lentamente. Spesso l’esercizio di guardare a lungo, senza intervenire sulle opere, per poi verbalizzare ciò che si vede, riafferma l’importanza dello sguardo quale atto conoscitivo. Forse una possibilità che si aprirà anche per il pubblico del filmato?

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Fucili è un cortometraggio raffinato. Inizia con l’immagine di un lanzichenecco animato che cammina e fischia sbandierando il titolo, di cui la stampa xilografica è conservata presso il British Museum di Londra.  Seguono riprese degli animali realizzati in corno di cervo e legno, che mostrano incisioni cinquecentesche di Etienne Delaune conservate a Capodimonte.  È particolarmente efficace il modo in cui viene montata la sequenza che senza alcun pedante commento didascalico mostra visivamente la sovrapposizione tra le incisioni servite da modello e le figure rappresentate nell’intarsio. Tramite le immagini si approda così ad una comunicazione culturale intelligente ma leggera – altra possibile chiave di lettura del filmato–che manca attualmente nelle più consuete modalità della comunicazione museale.  

Anche qui, il Cinquecento si intreccia con la realtà del laboratorio, dove il rumore del trapano ci riporta al presente.  Il restauratore regge il fucile, maneggiandolo con grande familiarità e affetto e, quasi fosse lui il veterano, racconta lungamente i particolari del meccanismo a ruota.  La Funel non riesce a contenere il suo entusiasmo ed esclama “Mamma mia!”, regalando una grande freschezza con questa immediatezza.

In una seconda sequenza animata di Fucili, un nobiluomo mostra il meccanismo dello sparo a miccia con i rumori dei cavalli sullo sfondo.  In seguito, ritroviamo questi cavalli negli arazzi fiamminghi della collezione d’Avolos che raffigurano la Battaglia di Pavia del 1525. I famosi manufatti tessili, nella loro morfologia decontestualizzata ed oggi così lontana da noi, ci sono restituiti attraverso riprese di frammenti giustapposti e, come in un film di azione, individuiamo i combattimenti corpo a corpo, le armi, gli animali, i paesaggi.

Anche qui entriamo nello sguardo del restauratore.  Scopriamo sul retro i colori meglio conservati degli arazzi e così possiamo immaginare l’aspetto cromatico originale del davanti. Il filmato si conclude con fotografie delle cuciture di risarcimento, non solo come documento del percorso di restauro, ma per suscitare una sensazione visiva che ricorda opere informali come quelle di Burri o Perilli negli anni 50.  Cosi la regista-restauratrice lega l’antico al contemporaneo in un’esperienza sensoriale e concettuale.

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Immacolata stimola lo sguardo sui materiali mentre veicola l’intimità  dell’esperienza estetica, solitamente negata in sede museografica. Il campo visivo dello spettatore è integralmente saturato fino ai limiti della forma per poi svelare aspetti più profondi nascosti nell’opera. Appaiono le ambiguità. Nella prima scena guardiamo i chiodi del piedistallo e sentiamo i rumori che potrebbero sembrare quelli di un incudine o quelli di una campana che ci chiama in chiesa con particolare urgenza. Ma il piedistallo non regge nulla e la statua è smembrata, de-costruita come in un percorso di ricerca. La telecamera fissa poi l’immagine di angeli e demoni - esseri effimeri e non afferrabili – annuncio del versante oscuro della Vergine Immacolata. La musica diventa spaventosa durante il lungo viaggio endoscopico. Uno specchio posto nel vuoto della scultura riflette in negativo il volto della Madonna che rivela il suo lato diabolico con gli occhi inquietanti e lo sguardo freddo della sua terribile bellezza. La cifra trasgressiva del filmato termina con l’istallazione dell’opera nello spazio sacro della chiesa di Santa Restituta. Dopo l’inquieta adorazione la telecamera ribalta il punto di vista e l’artista cede il suo sguardo a quello della Vergine che si riappropria per sempre di tutta la sua regale distanza.