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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Politica, Arte e Potere; l’Europa attraverso il saggio filmico di Sokurov

Domenico Scudero

Il cinema come altre forme d’arte ha risentito pesantemente delle trasformazioni tecniche determinate dall’avvento del digitale. In particolare il cinema ha sofferto e soffre dell’uso indiscriminato delle tecnologie digitali, dei mega effetti, delle trovate che producono un affaticamento delle stesse storie a favore di un esorbitante rientro economico. Non è certo questo il cinema che possiamo amare sebbene si presti contro la sua stessa natura a diventare un simulacro del tempo vissuto, un epifenomeno che ci ritorna utile per esaminare la psicologia stessa del nostro tempo. Ma il lavoro di indagine psicologica, antropologica, non lo si fa soltanto con l’esempio dell’opera “morta”, quale quella costituita da un film restituito alla memoria collettiva e pertanto esemplare per la comprensione di somma culturale, epistemologica e sociale. Esiste ancora anche un altro cinema che non fa incassi spettacolari ma che interessa direttamente la storia, il proprio tempo, la sperimentazione e la disillusione della stessa tecnica così prominente anche nel mondo cinematografico. Uno di questi film è Francofonia di Aleksandr Sokurov.

Aleksandr Sokurov (1951) è uno dei registi russi maggiormente vicini al lavoro di Andrej Tarkovskij, col quale condivide un intenso misticismo della storia, la ritrattistica della mutevolezza morale degli essere umani e un particolare disagio nei confronti della comune logica sociale. Del suo lavoro basti ricordare la trilogia dedicata ai potenti uomini del XX secolo, Hitler, Lenin, Hirohito, attraverso una chiave disarmonica e grottesca che tendeva a penetrare psicologicamente l’identità di una “grandezza” storica rivista alla luce della miseria esistenziale. Anche le classiche tecniche cinematografiche nel lavoro di Sokurov sono reinterpretate, distorte, costrette a ridefinirsi. In Russian Arch del 2002 il pubblico ha avuto modo di conoscere la stravagante e prodigiosa tecnica registica dell'autore che presentava la sua oramai celebre unica carrellata di steadicam lunga 96 minuti. In Francofonia diversamente dallo studio dei “corpi del potere” l’indagine si svolge nei confronti del sistema culturale e delle abitudini interpretative, coattive nella logica individuale ed espresse in conseguenza della pressione di un’epoca sino alla completa rimozione e cancellazione dell’individuo come soggetto pensante.(1)

Tecnicamente Francofonia riesce a coniugare l’aura di una nostalgia crepuscolare, maturata alla luce di una fotografia fatta di frammenti, schegge alla Breton, e di una luminosità “vintage” frutto della pressante opera del direttore Bruno Delbonnel con una predisposizione al montaggio sperimentale. Non si tratta comunque di sperimentalismo brutale, enfatizzato dalla facile rilettura dei sistemi attuali di realtà virtuale. Si tratta invece di un'innovativa tecnica del montaggio ispirata a Sergej Ejzenštejn e prodotta con un’atmosfera filtrata da una luce alla Jean Vigo e una narrazione alla Jean-Luc Godard.

Ne risulta un film in cui differenti sistemi tecnici e narrativi risultano ibridati, fusi e sovrastrutturati, in un particolare flusso che si sedimenta in svariati livelli di lettura e di interpretazione. All'interno della trama coesistono immagini e filmati d'epoca, documenti e fiction. Le categorie di genere della cinematografia del XX secolo sono disciolte coagulando fotografie, repertori, scene in costume, riprese da reportage, sketch d'arte e frammenti didattici in un artificio subliminale.

Risulta quindi impossibile riunire in un unico sintetico articolo il significato di Francofonia e l’identità tecnica di Alexander Sokurov. Dal flusso delle immagini di una prima visione del film risulta palese all’osservatore che di Francofonia possono prodursi svariate letture ma ciascuna di esse è sempre una introduzione, una semplice prefazione. Come ha notato Jay Weissberg (2) si intuisce che il progetto possa essere più vasto dal semplice dato tecnico e che se la proiezione termina con una chiusura orchestrale priva di crediti e titoli di coda un motivo ci sarà. Come se Francofonia fosse in realtà una generica introduzione a tematiche che saranno discusse altrove, in un probabile corpus filmico vagamente intuibile.

Sebbene quindi l’apertura della visione avviene già nello stringato tecnicismo fuorviante, che di fatto rende indigesta la proiezione per un uso meramente cinematografico, lo spettatore si ritrova immediatamente avvinto in una complicata rete di riferimenti storici, critici, politici, artistici, talmente inestricabili e allo stesso tempo semplicemente evocati che determinano, volutamente, una sorta di apatia circospetta in chi sieda intorpidito in attesa di un evento eclatante, una trama eccellente. Ed è vero, come in molti hanno notato, che l’immersione nei flussi d’immagine veicolate dal regista a volte ci restituisce la sensazione di essere dentro un film di Godard, una delle sue histoire, governate dal timbro avvincente della voce narrante. Accade già dalle prime battute di questo capolavoro cinematografico che parla dell’arte e del potere, e non dell’arte totale, ma della totalità dell’arte e del totalitarismo e l’arte. Si tratta infatti, come ha scritto Goffredo Fofi, di un film-saggio che si regge sul rapporto fra l’arte e la storia dell’Europa stessa.(3)

Ci sono, come si accennava sopra, svariate chiavi di lettura e molti enigmi per accedere al contesto culturale del film, oggetto di continue riflessioni e di successive riletture. La prima e più evidente è quella di una storia, la storia che segna terribilmente il nostro recente passato, quello culturale e politico dell’entità che chiamiamo Europa. E qui si offre il primo enigma. Come notato in alcune critiche immediatamente fiorite in rete dopo la presentazione del film presso la 72° Mostra d’Arte Cinematografica la Biennale di Venezia 2015, Francofonia viene proposto con un sottotitolo decisamente politico, Francofonia. An elegy for Europe che non lascia spazio ad alcun fraintendimento. Elegia deriva dal greco frigio, imitativo, «E e lègien», espressione pietistica usata come ritornello nei canti luttuosi in epoca classica. Malinconico e a suo modo denso di senso il sottotitolo riconduce ad una identità mitologica dell'Europa, dalla classicità ellenistica sino alla vacuità della Terza Roma agognata in terra Russa. Il termine «elegia» racconta di una determinata concezione della storia presente in quell'animo russo che traduce lo spiritualismo in animosità dello spirito in mancanza di antagonismo dialettico. Come diceva il grande poeta artista Dimitri Prigov, che nel 1989 a Roma aveva realizzato una mostra collettiva dal titolo Mosca- Terza Roma (Sala 1, Roma 1989), la mancanza di una reale connotazione d'antagonismo politico nella Russia post-sovietica è forse la caratteristica di maggiore difformità dal sistema culturale occidentale (4). E qui allora il termine elegia, che è un termine poetico, nostalgico o luttuoso, lascia intravedere la mancata osmosi fra oriente ed occidente nella cultura europea. Francofonia è quindi il triste lamento luttuoso di una agognata riunione che non è mai avvenuta? E la Russia è davvero Europa o fa parte a sé, è la Terza Roma, dopo Roma e Bisanzio? A giudicare dalle tumultuose cronache politiche degli ultimi mesi, da quel mese di settembre che è della presentazione del film, tante cose sono cambiate nella percezione della stessa identità della cultura europea. E della Russia. Quest'ultima, come se improvvisamente si fosse stancata di rimanere al laccio di una probabile partecipazione al banchetto d'Occidente ha impresso un'accelerazione diplomatica che ha sconvolto equilibri e spaventato gli USA. Anche l'Europa, con la strage del Bataclan a Parigi, il suo centro culturale più riconoscibile nell'ambito contemporaneo, ha dovuto fare i conti con un evento che sembra poter rimettere in discussione dalla base l'identità stessa dei concetti di libertà e progresso civile. Scrive Paolo Mereghetti sul Corriere della Sera: «Rivisto dopo l’incrudelirsi degli attacchi dell’Isis ai simboli dell’Occidente, 'Francofonia' rivela una più radicale lettura dell’arte custodita al Louvre e nei musei europei e la difesa di un’idea dichiaratamente occidentale dei valori culturali.» (5) E aggiunge Sergio Di Giorgi su cinecriticaweb: «L’uscita in sala, anche in Italia, del film di Sokurov non può che confortarci. Sebbene in piccola parte, serve anche a mitigare l’enorme tristezza che proviamo nel vedere quella stessa Francia, terra dei sogni di libertà, cultura, amore per tante generazioni, costretta dall’onda nera della violenza – che in quest’anno interminabile l’ha sconvolta dalle fondamenta – a sospendere diritti e a revocare quelle conquiste e ideali. A entrare, forse per sempre, nella trappola tesa contro il suo popolo, nostro vicino e cugino, dai fondamentalisti di ogni risma, giunti o ritornati da terre lontane, o cresciuti nelle periferie e nelle scuole multietniche, e oggi pure nella politica e nelle urne. Un popolo cui, come tante volte nella Storia, tocca in sorte di pagare il prezzo più alto, anche per gli errori dei suoi governanti.» (6)

Infatti c’eravamo illusi. All’indomani dell’attentato alle due Torri gemelle del 2001, avevamo guardato con un qualche fastidio le dinamiche comportamentali degli USA e il precipitoso avventurarsi in una nuova epoca dove le libertà individuali sono sempre più smaccatamente circoscritte all’interno di una funzione prioritaria, la sicurezza. Agli europei talune misure prese di getto dall’amministrazione Bush erano sembrate eccessive. Quattordici anni dopo ci si accorge che anche in Europa può succedere la stessa cosa, ma che anzi sta succedendo sotto i nostri occhi e non possiamo, non riusciamo a trovare il modo perché questo non avvenga. Che le leggi speciali colpiscano la Francia, la nazione europea che più di altre ha conosciuto gli ideali di uguaglianza e libertà, il luogo amico per molti artisti e intellettuali incompresi in patria, lo Stato di quel popolo che per primo ha vissuto una vera rivoluzione, è per molti un segno di disfatta. Un sottotitolo che contenga il termine elegia può risultare lapidario.

L'enigma risiede nel fatto che l'autore pare abbia voluto cancellare successivamente il suo sottotitolo e sostituirlo con un altro che tradotto in italiano suona così: Il Louvre sotto occupazione. Che è naturalmente tutt'altra cosa.

E sull'Europa di oggi?

Non ci sono dei leader umanisti che guidano l’Europa, non ci sono artisti di valore umanista al giorno d’oggi: chiari segni, questi, di rigenerazione societaria. Quindi rigenerazione di sicuro no. Invece è del tutto palese un vuoto mentale assoluto, un vuoto intellettuale assoluto dell’élite politica in Europa ed una assoluta incapacità di intervenire anche a livello vero, fisico: ovvero difendersi e difendere la cultura, la civiltà europea. L’Europa è scoperta…E’ una delusione assoluta, una delusione profonda che provo perché per quanto la Russia possa sembrare lontana, l’Europa è la nostra sorella, la nostra sorella maggiore e se è ammalata anche noi non possiamo stare bene. Aleksandr Sokurov (7)

La seconda chiave d'interpretazione e con svariati enigmi nascosti è quella storica. La proiezione si apre con una serie di filmati d'archivio che ritraggono Hitler scortato per le strade di Parigi nel 1940, sorridente e compiaciuto nei grandi, deserti boulevard che conducono al Louvre. La voce narrante del regista spiega brevemente che Parigi è stata occupata e mostra strade desolate sì, ma anche bar discretamente affollati, locali in piena attività, una continuità della vita che è sostanzialmente senza interruzioni. Al di là del problema circoscritto ci si chiede allora come mai sia potuto succedere questo in quel grande paese che è la Francia. Succede, spiega il regista mixando scenari ricostruiti appositamente per ridonare l'impressione di quella storia, perché la conquista della Francia da parte della Germania nazista non è una conquista come le altre. Asservire le campagne francesi, e la grande capitale confinante, per Berlino non ha lo stesso valore che asservire la Polonia, l'Est. Indipendentemente dalla lunga storia di antagonismo e competizione che lega e separa i due paesi confinanti, la stima e il rispetto tedesco nei confronti della Repubblica Francese era indiscutibile. Hitler stesso si era preoccupato di avvisare le sue truppe, con specifici dispacci, ordinando che l'esercito occupante mantenesse un contegno e una dirittura morale, che non fossero distrutte opere d'arte e architetture. Alla luce di quanto avveniva negli altri paesi, dai quali le opere erano razziate, distrutte, e la popolazione seviziata e posta in schiavitù, il trattamento riservato ai francesi era come minimo particolare. E questo era dovuto alla particolare storia di quella nazione, alla consapevolezza che essa fosse in qualche modo parte di una cultura e di una storia che non poteva essere attribuibile all'esclusivo uso nazionale. In qualche modo Francofonia ci dice che la Francia agli occhi di Hitler rappresentava già il modello culturale europeo. Un sistema che solo la Germania supponeva di essere in grado di amministrare in visione di un massiccio riagglomerarsi di tutte le nazioni europee all'interno del nuovo ordine nazista. Qualsiasi altra città è stata bombardata e bruciata mentre i soldati saccheggiavano e mentre i camion dell'esercito portavano via il bottino di guerra. Ovunque ma non Parigi. Parigi è stata il rifugio della salvezza. Nelle vecchie fotografie di Parigi durante l’occupazione tedesca vediamo i militari seduti nei caffè o a teatro. Le ragazze e i ragazzi francesi per strada, in bici o a passeggio. Come se fosse scoppiata la pace, la pace gloriosa. Il film non lo dice chiaramente ma sullo sfondo, sino alle battute finali e all'ultimo fotogramma d'un rosso acceso su un sottofondo orchestrale dell'Internazionale socialista, che va via via slabbrandosi in una dodecafonia, rimane la richiesta di ripensare alla Russia come parte dell'Europa. Lo è infatti Europa questa Russia che ha prodotto San Pietroburgo, la metropoli neoclassica più nordica del mondo, il suo museo l'Hermitage, denso di opere e di storia. Ma nell'idea nazista l'est era dominio degli schiavi. Una domanda si pone il regista: questa concezione è rimasta viva sotto i carboni dei conflitti sospesi con la fine della guerra?

La conservazione del Louvre e della sua gigantesca collezione era sotto la direzione di Jacques Jaujard, un dirigente collaborazionista che durante gli anni dell'occupazione si era impegnato anche a proteggere la resistenza; a causa della minaccia della guerra innescata dall'invasione tedesca di Sudetenland (area al confine ceco-tedesco), il 27 e il 28 settembre del 1938, Jacques Jaujard ordina che le collezioni di opere d’arte siano imballate e trasportate al Castello di Chambord, nella valle della Loira, come era stato previsto nel piano redatto preventivamente dal Dipartimento dei Musei Nazionali di Francia. Anche se il castello di Chambord è stato il deposito principale, altri castelli, specialmente quelli nella Valle della Loira, sono stati requisiti con il consenso dei proprietari per ospitare le collezioni. Jacques Jaujard viene affiancato dall’ufficiale nazista, lo storico dell'arte conte Franziskus Wolff-Metternich. I due, prima nemici, poi collaboratori riusciranno a salvare il Louvre. Sarà grazie alla loro alleanza che molti dei tesori del Louvre saranno salvati dalla brama di possesso dei gerarchi nazisti che nel corso dei mesi avanzavano richieste e programmavano di prelevare forzatamente i tesori del museo.

La terza chiave di lettura è quella simbolica. Durante le prime battute del film, proprio mentre lo spettatore inizia a raccapezzarsi all'interno dei continui spaesamenti linguistici sopraggiunge il suono di una chiamata. Un pop-up ci appare all'improvviso sullo schermo e mostra l'interno di una cabina di comando di una nave e una voce anglofona con accento russo inizia a dialogare con la voce narrante. Quando la scena passa dal dettaglio dello schermo del monitor al grandangolo si scopre che il monitor è quello dello stesso regista e che questi sta parlando dal suo studio, nella sua abitazione, via Skype con un amico di nome Dirk, al comando di una nave. La trasmissione satellitare è disturbata, la grande nave rolla sulle onde gigantesche; Dirk lascia intravedere alcune onde, dice di essere preoccupato per il carico del suo mercantile, è un carico di opere d'arte. Durante tutta la durata del film questo collegamento via Skype interrompe diverse volte la visione del film. Dirk, che ascoltiamo fra i disturbi dell'etere, ha la voce rotta dall'emozione, ha paura. Teme che il carico possa essere risucchiato in mare dalle onde. Simbolicamente qui il Mosé-Dirk sta tentando di portare in salvo il carico più prezioso fra i prodotti dell'umanità, l'arte, ma la furia del mare, la storia, mette in serio pericolo la possibilità che le opere si salvino. Se dovessere cadere in mare con il loro contenuto, i container, tutta la storia dell'arte andrebbe perduta. Può succedere, è già successo, sta succedendo anche ai nostri giorni. Recrudescenze iconoclaste rinate da un'ideologia fanaticamente oscura sono in moto ai nostri giorni per cancellare i segni di una storia culturale che si considera nemica. Ma cancellare l'arte prodotta da una cultura, dice il regista, è cancellare la storia, il patrimonio di civiltà che l'uomo ha costruito. Tuttavia poco può essere fatto contro le forze immani della natura. La nave continua il suo pericoloso viaggio verso la salvezza ma è continuamente minacciata da un persistente rollio e conseguente beccheggio. Le alte onde di una tempesta concludono l'ultimo collegamento visibile su Skype.

Una quarta chiave interpretativa è nell'idea caratterizzante della storia dell'arte occidentale. Con delle panoramiche a dir poco vertiginose Sokurov, spesso con l'ausilio delle sue dissolvenze incrociate e del suo caratteristico effetto delay, ci spiega che la timbrica della cultura figurativa occidentale è nell'ossessione del ritratto. In qualche modo sigla la sua stessa appartenenza a questa particolare identità culturale quando ci mostra i padri del Novecento, che purtroppo si «sono assopiti» e ci hanno lasciato in balia del Secolo breve. Tolstoj e Čechov, i padri ritratti dormienti nel letto di morte, sono entrambi pienamente consapevoli di partecipare ad una vita culturale europea.La vita drammatica di Tolstoj è anche strettamente legata allo studio dell'illuminismo francese che lo porterà prematuramente a scrivere La confessione (1882), similare alle Confessioni (1782 -1789) di Jean-Jacques Rousseau. E Čechov con il suo ultimo decennio di vita da uomo di lettere conosciuto, riconosciuto, amante dei viaggi e preso dall’ansia dell’eterno ritorno sembra proprio un nostro contemporaneo. Sono i padri russi del regista, ma “voi dormivate” e non potevate fare nulla, aggiunge tristemente Sokurov. I padri avrebbero dovuto spiegare come si dovesse fare per tenere unita la cultura europea, per completare attraverso il grande romanzo dell’arte quello che la politica non riusciva a definire. L’Europa è nel ritratto dei suoi protagonisti. Dalla severità romana dell’eroico trionfatore delle campagne di guerra al Napolenone egocentrico e narcisista che si aggira nei saloni e nella Grande Galerie dicendo «C’est moi», seguito da Marianne, simbolo della Francia – anche lei in loop con il suo «Liberté, egalité, fratenité». Sono il doppio ritratto opposto fra Russia e Francia la coppia Tolstoj Čechov opposta al Napoleone Marianna. Ritratti dormienti i primi, disperatamente smarriti i secondi perché i padri, coloro che avrebbero potuto tenere insieme l'identità si sono addormentati all'alba del secolo andato. L'identità europea è quindi legata alla conservazione e alla memoria di questi caratteri, se li dovessimo perdere non ci sarebbe più una storia d'Europa, si inabisserebbe come il carico del cargo in mezzo all'oceano, sparirebbe per sempre. E mentre la voce fuori campo indaga sui ritratti vediamo La Libertà che guida il popolo (1830) di Eugène Delacroix e tutta una serie di ritratti di François Clouet (1515 – 1572). Questi lavorò presso la corte reale di Francia, dove realizzò numerosi ritratti a mezzobusto; fu il ritrattista dei re Enrico II, Francesco II e Carlo IX. Il suo ultimo capolavoro è il ritratto della regina Elisabetta d'Austria, opera anch’esso conservata al museo del Louvre. Ma il ritratto supremo, è l’enigma della storia d’Europa, Monna Lisa o la Gioconda di Leonardo da Vinci. (8)

Una quinta identità di Francofonia è nell’idea del museo quale luogo privilegiato della nazione. I musei ci dice il film non sono sempre esistiti ma sono nati con la consapevolezza che la storia sia frutto di una predisposizione alla civiltà e quindi della fiducia nel futuro. Il museo è l’idea illuminista della catalogazione e conservazione ragionata dello scibile, un’enciclopedia di dati concreti. Nel film questo soggetto viene trattato in svariate tecniche di ripresa. Ci sono diversi framenti derivati dalle stesse pagine web e dagli archivi del Museo del Louvre. Una in particolare risulta assai indicativa ed è molto vicina ad alcuni progetti espositivi realizzati da artisti contemporanei: lo studio delle piante e dei disegni preparatori per lo sviluppo dell’impianto costruttivo dell’edificio. Con una tecnica che mixa antiche prassi di sovraimpressione a copia-incolla del Computer-Aided Design il regista costruisce le dinamiche di acquisizione spaziale del monumentale Louvre presentandolo con lo scrupolo di uno storico dell’arte e la perizia di uno studio d’architettura. Lo vediamo crescere sotto i nostri occhi come un Vaticano stilizzato in forma di Robot. Percepiamo l’esigenza costruttiva per contenere le migliaia di sculture dell’epoca dell’espansionismo napoleonico e la necessità di inglobare edifici e cortili in un unico complesso scavandone i sotterranei e mettendoli in comunicazione. Durante la proiezione di questi frammenti vediamo anche alcuni quadri vedutisti in forma proto romantica. Sono i lavori di Hubert Robert, pittore amante delle antichità, amico di Fragonard e divenuto primo conservatore del Musée Royal. Negli anni successivi alla rivoluzione di cui fu partecipe, Hubert Robert fu incaricato di realizzare la fondazione del Museo Nazionale. Tuttavia Napoleone, che aveva un'idea simbolica del museo come mausoleo della sua auratica potenza illuminata, nel 1808 destituì l'artista amante dell'antichità «romantica» dall'incarico. Robert morì lo stesso anno. Una figura quella di Robert che ci è molto familiare perché rappresenta in qualche modo la prima reale apparizione del curatore d'arte moderna nel sistema museale.

Anche Jacques Jaujard, l'eroe che aveva salvato la collezione del Louvre, e in particolare la Gioconda dalle grinfie di Hitler, organizzando il più vasto esodo di opere d'arte mai organizzato sino a quel momento, e in condizioni di assoluta precarietà, morirà in solitudine e solo parecchi decenni dopo la sua morte gli sarà dato riconoscimento per il valore di ciò che aveva fatto. Lo storico tedesco Franziskus Wolff-Metternich, il nemico che gli era stato alleato per difendere le opere del Louvre dagli appetiti nazisti, gli sopravviverà per una decina d'anni.

Anche qui i confini tra documentario e fiction decadono per cercare quella rivelazione che determina la comprensione dell'idea di museo come luogo privilegiato della volontà alla coesistenza. E alla fine di tutto il percorso filmico l'enigma in forma di domanda postoci dal regista di Francofonia è proprio se il senso del museo non sia quello di garantire la coesistenza, la convivenza delle difformità laddove la forza animalesca e la caduta agli inferi dell'umano spingerebbero per istinto e attrazione della morte verso la cancellazione delle diversità. Che il museo sia la forma architettonica superiore e in qualche misura mistica, la cattedrale di un credo laico e progressista contemporaneo. E questo ci rende consapevoli che le oscure forze del sonno della ragione cercheranno di cancellarne passato e presente e che noi che ne siamo consapevoli siamo qui per difenderne la sopravvivenza.

Francofonia è l'espressione di un'idea mitologica della cultura come indice supremo di una identità e di una civiltà: l'Europa. Questa Europa che può tradursi in opera - e che probabilmente ha la sua «opera» suprema nella Gioconda - non è un insieme di stati e di nazioni connessi attraverso un sistema di ferree regole economiche, ma è invece un complesso sistema costituito da una storia di valori riconoscibili, dagli abissi delle oscurità del male all'apice della legalità democratica. L'Europa è la sua arte e il museo è il suo scrigno prezioso; ma quest'Europa è più vasta di come si vorrebbe rappresentarla politicamente e la Russia è il suo tabù. La Russia separata a seguito della spartizione del mondo compiutasi a Jalta in Crimea nel 1945, quando si gettarono le basi per la divisione dell'Europa fra occidente europeo atlantico (USA e GB) ed oriente panslavo (URSS). Una divisione che sebbene disarticolata dalla fine della Guerra fredda nel 1989 con la caduta del muro di Berlino oggi marca ancora la frattura psicologica dell'Europa e che non a caso si manifesta con la crisi ucraina e con la secessione della Crimea. Francofonia denuncia la necessità di ricomprendere la reale identità della cultura europea, mai riunitasi politicamente ma palese storicamente, e la misura di una volontà a mantenerne unita, coesa, la storia. Per evitare che i flutti ondosi del caos della storia contemporanea possano farla inabissare. (9)

(1) M. Pezzella,A. Tricomi, (a cura di) I corpi del potere. Il cinema di Alexandr Sokurov, Milano, Jaca Book, 2012

(2) Jay Weissberg in Variety, Sept 3, 2015.<<http://variety.com/2015/film/festivals/francofonia-review-alexander-sokurov-venice-film-festival-1201585728/>>

(3) Goffredo Fofi, Francofonia di Aleksandr Sokurov ci ricorda la necessità della memoria, Internazionale 28 dic 2015, <<http://www.internazionale.it/opinione/goffredo-fofi/2015/12/28/francofonia-aleksandr-sokurov-recensione>>

(4) Dimitri Prigov, Un’immagine elevata del sé, intervista a cura di Domenico Scudero, <<http://www.luxflux.org/n19/artintheory3.htm>>

(5) Paolo Mereghetti sul Corriere della Sera web <<http://cinema-tv.corriere.it/cinema/mereghetti/15_dicembre_15/sokurov-quel-viaggio-nell-arte-louvre-cuore-valori-europei-1bf02f3c-a3da-11e5-900d-2dd5b80ea9fe.shtml>>

(6) Segio Di Giorgi, Francofonia, in Cinecriticaweb <<http://www.cinecriticaweb.it/film/francofonia>>

(7) Aleksandr Sokurov, intervista rilasciata a Luca Pellegrini per Radio Vaticana, <<http://it.radiovaticana.va/news/2015/12/21/al_cinema,_francofonia_nuovo_capolavoro_di_sokurov/1195855>>

(8) Hans Belting, Facce. Una storia del volto, ed. it. Carocci, Roma 2014 (ed. or. Faces, Eine Geschichte de Gesichts, Verlag C.H. Beck oHG, Munchen 2013). Parte Seconda Ritratto e maschera. Il volto come rappresentazione. pp 121 - 19.

(9) Il tabù di una Russia come parte dell'Europa è sempre stato molto forte dal dopoguerra in poi. Anche i più illustri teorici dell'identità europea in qualche modo evitano di affrontare il problema. Si veda ad esempio Edgar Morin, Mario Ceruti, La nostra Europa, Raffaello Cortina Editore, Milano 2013. In questo saggio manifesto scritto da due autorevoli intellettuali impegnati ad identificare l'idea di Europa come nazione della complessità, sebbene si citino alcuni intellettuali russi comi padri spirituali, si dimentica di discutere quali sia il rapporto fra Europa e Russia. Si veda anche: Karl Dietrich Bracher, Il Novecento. Secolo delle Ideologie, ed. it. Laterza 1984 (ed. or. Zeit der Ideologien, 1982, Stuttgart). Si veda anch Zygmunt Bauman, L'Europa è un'avventura, ed- it. Laterza, Roma-Bari, 2006 (ed. or. Europa. An Unfinished Adventure, Polity Press Cambridge-Malden, Mass)