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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Il caso de La Muette a Drancy

 

Daniela De Dominicis

 

Da alcuni anni la Francia sta vivendo rapporti conflittuali con gli immigrati di seconda e terza generazione, per lo più di cultura musulmana, che costituiscono l’8% della popolazione, per un totale di cinque milioni circa.

Nel 2005, la morte di due ragazzini - Zyed e Bouna - in una centrale elettrica per sfuggire ad un controllo di polizia a Clichy-Sous-Bois in prossimità di Parigi - ha scatenato venti giorni di guerriglia urbana in tutte le grandi città del territorio francese, con la proclamazione dello stato di emergenza da parte del Governo ed un impiego di forze che non si ricordava dai tempi della guerra d’Algeria.

Gli episodi più recenti – da Charlie Hebdo agli attacchi terroristici del 13 novembre – hanno drammaticamente riacceso queste tematiche in realtà mai sopite. Hollande ha dichiarato guerra al terrorismo jihadista, ha proclamato un nuovo stato di urgenza e ha chiesto al Congresso modifiche costituzionali per far fronte più agevolmente alle situazioni di crisi.

Sul banco degli imputati, ancora una volta, gli agglomerati delle cité, gli smisurati quartieri dormitorio costruiti ai margini dei grandi certi urbani, primi fra tutti quelli a Nord di Parigi, dove la disoccupazione tocca punte del 45%, lo spaccio di droga colma l’assenza di un’economia alternativa e la propaganda terroristica trova pertanto un fertile terreno di coltura. (Sylvia Zappi, Dix ans après les émeutes, le sentiment d’abandon des banlieues, “Le Monde”, 27/10/15)

Possono l’architettura e l’urbanistica avere avuto un ruolo chiave in tutto ciò?

La politica edilizia di alloggi popolari che ha affiancato e sostenuto le ondate di immigrazione in Francia, da sempre fiore all’occhiello del Governo, si è trasformata ora in un boomerang altamente pericoloso. Queste zone infatti si sono rivelate veri e propri ghetti, aree di confinamento degli indesiderabili, lontane e mal collegate dai centri storici, prive di eterogeneità sociale e definite, per voce del ministro Manuel Valls, zone di “apartheid territoriale, sociale e etnico” (“Le Monde”, 20/01/2015).

Eppure l’idea di dare a tutti un alloggio dignitoso era stato il campo di maggior speculazione teorica del razionalismo fin dal primo dopoguerra quando la questione abitativa era apparsa un problema cogente. Su questo tema si sono misurati grandi architetti (Le Corbusier, Gropius, Mies …), è stato oggetto di confronto nell’ambito dei congressi del CIAM (Congrès Internationaux d’Architecture Moderne), in particolare il secondo, tenutosi a Francoforte nel ’29. Qui ci si è confrontati sulle misure minime di una casa operaia, l’Existenz minimum, su come abbatterne i costi attraverso la prefabbricazione e la standardizzazione e su come ottimizzare gli spazi interni. Sulla base di queste teorie la Repubblica di Weimar ha costruito migliaia di abitazioni operaie, tuttora perfettamente funzionanti e in parte tutelate dall’ Unesco (nella lista del World Heritage Centre ci sono sei quartieri edificati a Berlino tra le due guerre).

Cosa non ha funzionato in Francia?

In primo luogo le dimensioni colossali (il solo insediamento de La Corneuve è per 4000 persone, La Cité des Quatre Mille), la destinazione esclusivamente abitativa che li ha resi delle realtà separate dagli aspetti più vitali della vita associata da sempre legati al commercio e alle relazioni umane che ne derivano e infine averle pensate fin dall’inizio come aree di confinamento.

La Francia è fin dalla seconda metà dell’800 terra di forte immigrazione allorché la rapida vocazione industriale promossa da Napoleone III in competizione con l’Inghilterra, richiama dai paesi confinanti un numero enorme di operai che nel 1881, stando ai dati forniti dal Musée de l’Immigration di Parigi, arrivano ad essere un milione circa, il 3% della popolazione. Un migliaio di industrie si concentrano nella periferia Nord-Est di Parigi, lontano dai raffinati quartieri dell’Ovest, ed è in loro prossimità che gli operai abitano in baracche di fortuna con preoccupanti condizioni igieniche.

Il rinnovamento urbanistico promosso da Haussmann delocalizza le classi meno abbienti in periferia, lasciando il cuore della città all’aristocrazia del secondo impero.

Sono però le teorie di Le Corbusier a sostenere dopo la prima guerra, la logica dello zoning, cioè la divisione funzionale delle diverse aree (zone abitative, commerciali, etc), la separazioni dei ceti sociali (cfr. il piano urbanistico per Algeri) e la creazione di grandi complessi residenziali per 1000 -1500 persone ciascuno (le case torri de Plan Voisin, oppure l’Unité d’Habitation di Marsiglia).

Fin dall’inizio in Francia le sperimentazioni razionaliste, ben lungi dall’essere la concretizzazione di un miglioramento sociale, acquistano valenze diverse, decisamente inquietanti.

Il complesso de La Muette per esempio: prototipo degli insediamenti abitativi sociali di impostazione razionalista, costruito a Drancy, a Nord di Parigi tra il 1932 e il 1936 (architetti Marcel Lods e Eugène Beaudouin). E’ qui che vengono edificati i primi grattacieli francesi, cinque torri di sedici piani, affiancati da edifici in linea di 3-4 piani, a corte e a pettine, per un totale di 700 unità abitative. La carta vincente di questa struttura è la tecnica innovativa ed economica con la quale viene realizzata. Si tratta del sistema inventato da Eugène Mopin: telai di acciaio ricoperti di pannelli prefabbricati realizzati nel cantiere stesso, riempiti di cemento gettato in opera senza bisogno di mattoni, intonaco, impalcature, né di maestranze specializzate, con nastri trasportatori a distribuire il materiale lì dove necessita.

Ebbene, questo gioiello tecnologico, prima ancora di essere utilizzato come abitazione, viene requisito dai nazisti - che nel frattempo avevano occupato la Francia- e adattato a campo di concentramento. Ad orientare questa scelta, la lontananza dalla città, l’isolamento assoluto del quartiere e la facile trasformabilità dei piccoli alloggi in celle di detenzione. E’ il più grande campo di concentramento francese ed è dalla stazione di Drancy-Bourget che sono partiti i 67 000 ebrei (su un totale di 74 000) deportati a Auschwitz-Birkenau.

Il difficile recupero degli immobili si è risolto con la decisione radicale del loro abbattimento nel 1976 (si è mantenuto soltanto un edificio a corte) tra un’infinità di polemiche sui costi dell’operazione (“Architecture d’Aujourh’hui”, ottobre-novembre 1976). La memoria del luogo è affidata dal 2012 all’edificio costruito da Roger Diener che conserva la documentazione storica della Shoah.

E’ solo dopo la seconda guerra mondiale tuttavia che si procede ad una intensa politica edilizia finalizzata a sanare le condizioni disagiate delle periferie e nel 1944 viene istituito il Ministero della ricostruzione e dell’urbanistica. In tutta la Francia si pensa ad una pianificazione di ampio respiro che però si scontra con la precarietà politica della Quarta Repubblica. In realtà l’obiettivo diventa ben presto quello di un’edificazione veloce, intensiva, a bassissimo costo e nell’aprile del ’53 il Governo promuove a tal fine il concorso Opération Million. A vincere è il gruppo Georges Candilis – Shadrach Woods – Alex Josic, i primi due, architetti del CIAM la cui fama è oggi completamente eclissata, cui però si devono migliaia di alloggi popolari, gli HLM (habitation à loyer modéré). L’emergenza si acuisce nel 1962 con gli effetti della decolonizzazione (solo l’aeroporto di Le Bouget riceve 3000 rimpatriati dall’Algeria al giorno). I più poveri vengono alloggiati a La Corneuve (cfr. docu-film di Yamina Benguigui, 9.3 Mémoire d’un territoire, 2008).

Con la legge del 10 luglio 1964 si riorganizza la regione parigina e vengono create sette aree urbane separate: Parigi, Hauts de Seine, Val de Marne, Essone, Val d’Oise, Yvelines e Seine Saint Denis. A quest’ultimo viene attribuito il numero 93, già del dipartimento di Constantine in Algeria.

Tutte le costruzioni che caratterizzano queste periferie sono realizzate con pannelli in cemento armato realizzati con il brevetto Camus, pannelli più noti con la sigla KPD con la quale vengono diffusi dalla Russia in tutti i paesi del mondo socialista (Germania Est, Cina, Cile, Cuba). Milioni e milioni di case assemblate velocemente, tutte uguali su cui ironizzano diversi film (Cfr. Gabriele Neri, Caricature architettoniche, 2015).

Il disastro sociale creato da queste realtà abitative è documentato dalle cronache.

Negli ultimi dieci anni il governo francese ha investito in 600 quartieri definiti Zone urbane sensibili (ZUS) circa 48 miliardi: 151 mila immobili sono stati demoliti, 136 mila ricostruiti e 320 mila restaurati (Sylvia Zappi, op.cit.). Una metamorfosi formale che però non arriva a cambiare la natura delle cose.

La demolizione della famosa Barre Balzac, l’enorme edificio in linea, l’ultimo ad essere abbattuto de La Cité des Quatre Mille nel 2010 (cfr. Mehdi Meklat e Badrou Abdallah Quand il a fallu partir, 2015) ha lasciato per ora al suo posto soltanto un terreno incolto.