La mostra documentaria “Pour mon camarade Reale” all’Archivio di Stato di Napoli

 

Brunella Velardi

 

In occasione della Domenica di Carta, l'Archivio di Stato di Napoli ha aperto le sue porte con incontri e visite guidate che hanno raccolto un pubblico piuttosto vario di curiosi e appassionati. Nella stessa mattinata si è inaugurata all'Archivio la mostra documentaria a cura di Fortunata Manzi "Pour mon camarade Reale. Pablo Picasso, Eugenio Reale e le grandi retrospettive italiane del 1953", omaggio al senatore del Partito Comunista Eugenio Reale, di cui l'istituzione napoletana custodiva parte dei documenti e, nel 2014, ha acquisito una ulteriore sezione. Il Fondo Mostra Picasso, sul quale lo Stato ha esercitato il diritto di prelazione scongiurandone la vendita al Musée Picasso di Parigi, raccoglie le corrispondenze del senatore con l'artista e con i comitati che si costituirono a Roma e a Milano per l'organizzazione delle retrospettive. Il ruolo di Reale, uomo politico e intellettuale attento e sensibile, fu centrale nella realizzazione di quelle che si possono definire a tutti gli effetti delle grandiose manifestazioni propagandistiche. Il rapporto con Picasso era infatti iniziato in seguito alla sua iscrizione al Partito Comunista Francese, e per il tramite di Reale il PCI volle portare il protagonista della scena artistica europea in Italia. A questo proposito dobbiamo ricordare che se all'estero l'affermazione di Picasso come il più grande interprete del XX secolo era ormai avvenuta, il suo rapporto con l'Italia rimase controverso proprio fino al '53. Il torto subito nel lontano 1905, quando alla Biennale di Venezia avevano rifiutato un dipinto che aveva inviato su proposta di Ignacio Zuloaga, pittore spagnolo e membro della commissione, Picasso non lo aveva dimenticato nonostante le Biennali del ’48 e del ’50 avessero ospitato rispettivamente ventidue (più sei esposte nel padiglione greco) e tredici opere.

Deve essere questo un dato significativo per comprendere perché, all'occasione offertagli da Reale di allestire a Roma la più grande mostra al mondo mai dedicatagli, Picasso abbia deciso di prestare solo opere realizzate tra il 1920 e il 1953 stesso. Una scelta che lasciava fuori in toto i periodi blu e rosa e buona parte dei capolavori cubisti. Ciononostante, quello che per il PCI era un formidabile strumento di propaganda, fu salutato da Palma Bucarelli, alla quale venne subito proposto il progetto, come un'opportunità unica e irrinunciabile per la Galleria Nazionale d'Arte Moderna e per la cultura italiana in generale. La Bucarelli dovette battersi strenuamente perché il Ministero, frenato dal governo De Gasperi, avallasse la mostra in Galleria. La ventilata possibilità di allestire le opere di Picasso tra gli affreschi cinquecenteschi della Farnesina avrebbe avuto l’unico effetto di spostare l'attenzione dell'opinione pubblica dalla valutazione critica del lavoro del maestro spagnolo alla polemica che avrebbe acceso l'accostamento tra antico e contemporaneo. La prima grande mostra che la capitale dedicava a Picasso doveva tenersi nella più autorevole sede che Roma aveva da offrire, e doveva essere parte dell'azione culturale ed educativa dello Stato italiano. Nonostante i tempi strettissimi (solo due mesi furono impiegati per l'intero iter organizzativo), la mostra si fece in Galleria ed ebbe un successo clamoroso di pubblico e di critica(1), alimentato dal coinvolgimento dei più grandi nomi della critica d'arte e del mondo della cultura di allora nel comitato esecutivo: tra questi Lionello Venturi, che ne curò il catalogo, la Bucarelli, Brandi, Lavagnino, Guttuso, Argan.

Intanto si erano già da tempo avviate le trattative per il trasferimento della mostra a Milano, dove Fernanda Wittgens, allora Soprintendente alle Gallerie della Lombardia, ebbe per parte sua non poco filo da torcere, ancora una volta in merito alla sede. Qui le resistenze politiche si spostavano sul piano della programmazione culturale: l'Ente Manifestazioni Milanesi, che si occupava dell'offerta culturale del comune di Milano, aveva previsto negli ambienti di Palazzo Reale la Mostra del Libro; si faceva quindi strada la possibilità di allestire la mostra di Picasso nel Padiglione Arte Contemporanea progettato da Ignazio Gardella e inaugurato pochi anni prima. Gli spazi del Padiglione risultavano però del tutto insufficienti tanto a Reale quanto alla Wittgens, mossa dalla stessa intenzione di dedicare a Picasso il più prestigioso luogo espositivo della città che aveva dimostrato la Bucarelli. Quando si decise di rinunciare alla Mostra del Libro, l'ulteriore proposta di far rientrare tutte le opere nella sola Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale perché convivessero con la mostra “Pittori della Realtà in Lombardia” fu respinta dalla Soprintendente, che forte anche dell'insuccesso di quell’esposizione, riuscì alla fine a ottenere la disponibilità dell’intero piano reale del Palazzo.

Dotata di non minore tenacia rispetto alla Bucarelli e in parte agevolata dall'enorme successo della mostra romana – che aveva conquistato la benevolenza di Picasso – nonché dal molto maggiore tempo a disposizione per l'organizzazione, la Wittgens ampliò notevolmente il numero di opere in mostra: ottenne da musei, gallerie e collezionisti d'Europa, Stati Uniti e Russia lavori che testimoniavano le ricerche precedenti al 1920 e, soprattutto, ottenne da Picasso il prestito di Guernica, contro il parere di Alfred Barr, allora direttore del Museum of Modern Art, dove il capolavoro era esposto. Pochi giorni prima dell'inaugurazione, Fernanda Wittgens scriveva a Reale: «Condizione indispensabile per avere pubblico è che i giornali possano dire che la mostra differisce in parte da quella di Roma […] a cominciare dal “Corriere” già tutti ci avevano fatto sapere che non avrebbero dato pubblicità all’iniaizativa milanese in quanto ne era stata data a sufficienza a quella romana»(2); ulteriore elemento sul quale poté fare leva fu la presentazione congiunta delle grandi tele di impegno civile e politico: oltre a La Guerra e La Pace già esposte alla GNAM, Guernica e Il massacro in Corea, dipinto quest'ultimo del quale a Roma fu proibita l'esposizione al pubblico per volere di alte cariche dello Stato poco inclini a concedere un taglio troppo spiccatamente politico alla mostra.

Scenario delle quattro opere fu proprio la Sala delle Cariatidi, ancora segnata dai crolli ben visibili del bombardamento del '43, e per la quale lo stesso Picasso suggeriva di non restaurarla, affinché «rimanesse a perenne testimonianza degli orrori della guerra»(3). (Sulla stessa linea di pensiero, durante i lavori di restauro svolti nella sala tra il 1999 e il 2012 si è optato per un intervento leggero che non ha cancellato del tutto le tracce della guerra(4)).

La riuscita fu tale che la mostra milanese ebbe ancor più successo di quella romana, decretando, pur tra aspre polemiche, la definitiva affermazione della grandezza di Picasso in Italia. La mostra su Reale e Picasso negli splendidi ambienti dell’Archivio di Stato di Napoli raccoglie corrispondenze, articoli di giornale, cartoline, fotografie, cataloghi, e rivela, pur attraverso la prospettiva di un personaggio esterno al mondo dell’arte, il dietro le quinte di un’organizzazione complessa e nella quale entrarono in gioco fattori assai diversi. L’allestimento racconta lo sviluppo delle due esposizioni che portavano in sé un carico ben più denso di sottotesti di qualunque altro avvenimento simile. Si trattava delle più imponenti mostre del più grande artista vivente, e il fatto che il Partito Comunista ne fosse l’artefice dimostrava che quella tra strategie propagandistiche era una guerra senza esclusione di colpi.

“Pour mon camarade Reale” viaggia su questo doppio binario, museologico e politico, e così facendo spalanca una finestra su un decennio ricco di esperienze e riflessioni per molti versi ancora attuali, in cui la ricostruzione dell’identità culturale del paese dopo le distruzioni della guerra trovava un momento fondamentale nelle politiche dei musei pubblici. Basta ricordare il grande convegno di Museologia di Perugia del 1955, in cui veniva in più interventi messa in luce la funzione educativa dei musei, ma anche le pionieristiche esperienze di didattica dell’arte, proprio per iniziativa di Palma Bucarelli e di Fernanda Wittgens, i nuovi assetti museografici di Scarpa, Albini, De Felice.

Tutto questo si legge tra le righe nella mostra dei documenti di Eugenio Reale, che, dopo le ricognizioni fatte in occasione delle mostre di Picasso ospitate nuovamente alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna nel 1998 e a Palazzo Reale nel 2012, ha il merito di aver aggiunto un tassello fondamentale nella ricostruzione di quella vicenda, restituendo un ritratto vivido di chi ne fu l’ideatore.

1)E. Foelkel scrive su “Le ultime notizie”: «Domenica scorsa sono arrivati in quattromila a Valle Giulia, che hanno dovuto far intervenire la polizia e sospendere la vendita dei biglietti di ingresso. Vado per chiedere al banchetto d’entrata qualche riproduzione a colori, qualche cartolina con le famose donne sedute, o coricate, o qualche feroce gatto. Esaurito, esauritissimo» ; Mario De Micheli su “L’Unità”: «a Roma non si è mai vista tanta gente ad una Mostra», e Aldo Pacor su “Il Corriere di Trieste” «Qui a Roma, la mostra è giunta a squarciare il velo ombroso, a scardinare pregiudizi ignoranti, a riordinare le idee sulla validità dell’artista», cit. in E. Scquizzato, Picasso e l’Italia. Un itinerario attraverso le mostre (1905-1970), Tesi di Laurea specialistica discussa presso l’Università Ca’ Foscari, Venezia, A.A. 2014/2015.

2)Lettera del 4 settembre 1953, in A. C. Cimoli, Musei effimeri: allestimenti di mostre e musei in Italia (1949-1963), Il Saggiatore, 2007, p. 110

3)Cfr. A. Masoero, Pablo ritorna tra le Cariatidi, in Il Giornale dell’Arte, n. 323, settembre 2012.

4)G. Carbonara, M. Palazzo, La Sala delle Cariatidi nel Palazzo Reale di Milano. Ricerche e restauro, Gangemi, 2012.

Ottobre 2016