www.unclosed.eu

arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Impulse di Fabrizio Crisafulli a Roskilde, Danimarca

Bjørn Laursen(1)

Propongo di guardare con attenzione l’immagine dell’installazione di luce che è stata realizzata nell’ottobre 2016 dall’artista italiano Fabrizio Crisafulli alla Energy Tower di Roskilde, nei pressi di Copenaghen, avveniristico inceneritore, inaugurato nel 2014, che trasforma i rifiuti in energia (fig.1), e di confrontarla con l’Autoritratto in figura di San Paolo di Rembrandt del 1661, che si trova al Rijksmuseum di Amsterdam (fig.2). Le due opere sembrano molto distanti tra loro. Ma, per certi aspetti, non lo sono affatto. E cercherò di spiegare il perché.
Nel dipinto di Rembrandt l’immagine è in prevalenza scura. Solo una parte del viso e il copricapo sono illuminati da una luce laterale, che colpisce anche un angolo del libro che il soggetto tiene in mano. L’oscurità, che è la dimensione dominante nell’opera, non riguarda solo il fondo, ma, con gradi diversi, anche il viso e il libro. Rembrandt era un maestro della luce impiegata come sostanza della pittura. Questo aspetto della sua arte lo ha occupato fin dall’inizio del suo lavoro. Nell’autoritratto giovanile del 1629 della Alte Pinakothek di Monaco (fig.3), solo la parte bassa del viso è illuminata, mentre la parte alta rimane in ombra. Sorprendentemente, questo sembra immergere il soggetto in una sfera riflessiva, di pensiero. In ambedue i casi la luce proviene da sinistra e illumina il naso.


Lo psicologo americano Howard Gardner, noto per la sua teoria delle intelligenze multiple, di fronte a quest’opera potrebbe forse associare le due dimensioni che il dipinto rappresenta alle due sfere della mente che ha individuato nei suoi studi
(2): quella che chiama intelligenza interpersonale o sociale e quanto invece definisce intelligenza intrapersonale o privata; e legherebbe la prima, la dimensione sociale, a quanto viene richiamato dalla parte bassa, ben visibile, del viso; e la seconda, la dimensione privata, a quanto viene richiamato da quella alta, lasciata in ombra. Pur non usando naturalmente la stessa terminologia di Gardner, Rembrandt era molto consapevole di queste due dimensioni della mente, e dava ad esse forma attraverso la luce. Questo ha una corrispondenza col fatto che, come tutti ai suoi tempi, nelle ore buie del giorno esperiva la luce, data da lumi ad olio, candele, torce, o dai camini, come qualcosa che riguarda  aree circoscritte dell’ambiente che ci circonda. Rembrandt lavorava sul confronto tra le due dimensioni della luce e del buio sia negli interni, ai quali conferiva spesso una dimensione fortemente “teatrale” (indicativo in tal senso il dipinto del 1631 La presentazione di Gesù al tempio, della Mauritshuis dell’Aia, in fig.4, nel quale il gruppo di personaggi al centro della scena è evidenziato da un vero e proprio “spot” di luce, mentre il resto dell’ambiente rimane in penombra), che anche nei paesaggi. Vedi l’incisione in fig.5, nella quale gli eventi atmosferici sono rappresentati drammaticamente attraverso i contrasti di luce e di ombra. Anche nei paesaggi, come nei dipinti di interno, Rembrandt tendeva a dare alla luce un carattere attivo.
In un racconto del 1990, contenuto nella raccolta Rejsen til Ribe (Viaggio a Ribe)
(3), lo scrittore danese Peter Seeberg scrive di un contadino che, per “proteggere” il buio e continuare a percepire di notte il proprio essere parte dell’universo, si rifiuta di far installare la luce elettrica nella sua fattoria.


Il punto di avvio dei laboratori che Fabrizio Crisafulli ha tenuto all’università di Roskilde per gli studenti di Performance Design, in funzione delle installazioni che essi dovevano realizzare per la prima edizione della “festa della luce” (Lysfest, 2013), nel centro storico dell’antica capitale danese, è stato rendere i partecipanti consapevoli della necessità del buio come condizione di partenza per progettare i loro interventi. E l’amministrazione della città si è resa disponibile a favorire questa necessità, spegnendo totalmente, in quell’occasione come nelle edizioni successive della stessa manifestazione (2014, 2015, 2016), l’illuminazione pubblica nel centro urbano.
Ogni anno la Lysfest è stata realizzata con il contributo artistico di un centinaio di studenti guidati da Crisafulli ed ha visto una partecipazione crescente del pubblico, che, nell’edizione del 2016, è stata di circa 25 mila persone, che si muovevano nei tanti luoghi della città storica coinvolti nel progetto  (figg. 6, 7, 8, 9).


Nell’ultima edizione della Lysfest, mentre nel centro storico lavorava con gli studenti, Crisafulli ha realizzato una sua opera: la grande installazione alla Energy Tower citata all’inizio dell’articolo. Per realizzarla, ha operato secondo la sua poetica della “luce attiva”
(4) . L’artista è nato a Catania, alle falde dell’Etna, dove ha vissuto fino a 17 anni. La visione delle colate laviche e delle esplosioni notturne del vulcano, quando viveva lì, è stata, come ha avuto modo di dire in alcune occasioni, uno degli elementi che probabilmente hanno influenzato la sua idea della luce come materia e come sostanza. Come elemento con una sua forza autonoma e non solo strumento funzionale alla visione(5). In certe sue installazioni, come quella realizzata nel 1998 al ponte romano di Parma, è evidente un uso della luce di tipo “energetico”, facilmente associabile all’idea della lava. Le linee di luce seguono le linee dell’architettura, ridisegnandone allo stesso tempo la visione (fig.11). Questa è una modalità operativa che l’artista segue spesso, per la quale a volte impiega strumenti a bassa tecnologia, ma utilizzati in maniera molto innovativa, come le lavagne luminose, la cui luce viene filtrata da speciali “gobos” fatti a mano, costituiti da vetri dipinti di nero, scalfiti per far passare la luce secondo il disegno desiderato.
Vedendo un intervento che i suoi studenti hanno realizzato con le lavagne luminose nelle rovine sotterranee della chiesa romanica di St. Laurentii a Roskilde, nell’ambito della Lysfest del 2013 (fig.12), mi è venuto in mente quello che John Miller Kennedy, docente di Psicologia all’università di Toronto, definisce “vedere col tatto”. Kennedy si riferisce alle modalità percettive dei non vedenti, che sono state a lungo oggetto dei suoi fondamentali studi su questo argomento
(6), ma a me è venuta in mente vedendo l’opera. Perché le linee di luce che percorrevano le rovine avevano una qualità “tattile”, come l’avevano le linee di luce del ponte romano di Parma.
Mi viene immediato il confronto tra questi lavori di Crisafulli e un disegno che Eriko Watanabe, una giovane artista non vedente giapponese, mi ha regalato alcuni anni fa a Berlino, realizzato con una tecnica particolare, passando una penna a sfera su uno speciale foglio di plastica poggiato su un piano di gomma (fig.13). Un cieco “vede” questo lavoro col tatto. Nelle modalità percettive dei non vedenti, come ha dimostrato Kennedy, una importante possibilità di “vedere” si attua attraverso le linee. Attraverso il contatto tattile con le linee, gli spigoli, di un oggetto, per percepirne la forma. Se Watanabe sembra volerci insegnare a vedere decodificando le linee con la punta delle dita, Crisafulli ci insegna a “toccare” con gli occhi, decodificando le linee di luce. Crisafulli ha una grande esperienza nello studio della luce, sul piano teorico e su quello operativo. Ha seguito molto da vicino la ricerca teatrale italiana degli anni ’70, in particolare la cosiddetta “scuola romana”, il lavoro del regista Giuliano Vasilicò e quello dello scenografo Goffredo Bonanni, per i quali la luce era molto importante. Ha continuato e continua questa ricerca con la sua compagnia. Ha condotto per oltre trent’anni laboratori incentrati su questo tema nell’ambito dei suoi insegnamenti nelle Accademie di Belle Arti italiane (Catania, Urbino, L’Aquila, Firenze, Roma), e in molti altri luoghi del mondo, e lo fa, a partire dal 2013, all’Università di Roskilde in Danimarca, che nel 2015 gli ha conferito la laurea ad honorem per la sua ricerca.
La luce è centrale nel suo lavoro teatrale e installativo, dove è elemento linguistico e poetico usato con grande misura e delicatezza, in relazione alle azioni, ai suoni, agli spazi ed ai luoghi
(7). Lo dimostra ancora una volta Impulse, la grande installazione che ha creato per l’ultima edizione della Lysfest (2016), alla Energy Tower, lungo la strada che congiunge Roskilde con Copenaghen, e che, come ho accennato, ha realizzato mentre seguiva il lavoro di oltre 100 studenti di Performance Design in sedici diversi luoghi del centro storico della città.


La Energy Tower è un impianto waste-to-energy radicale e innovativo, disegnato dall’architetto olandese Erick van Egeraat, con un impianto illuminotecnico progettato da Gunven Hansen. L’edificio,  di oltre 100 metri di altezza e 150 di larghezza, visibile da chilometri di distanza in un’area pianeggiante, è oggi una importante presenza simbolica nel territorio, in dialettica con l’altra presenza storica rappresentata dalla Domkirke, la cattedrale di Roskilde, dalla quale dista circa 3 chilometri. La Domkirke è il più grande edificio religioso della Danimarca, patrimonio UNESCO dell’umanità, ed è stata in tutte le edizioni della Lysfest oggetto degli interventi di Crisafulli e dei suoi studenti (fig.14).
Alla Energy Tower, l’artista ha creato una composizione di luci colorate in movimento (figg.1 e 15), ispirata alla stessa funzione della struttura –quella di produrre energia– e concepita anche come segnale su vasta scala del fatto che qualcosa stava accadendo in città: gli interventi di luce creati dagli studenti. L’installazione era organizzata per composizioni dinamiche, determinate dalla combinazione della luce con la struttura architettonica, la costellazione delle sue aperture circolari, le stesse emissioni di vapore dalla ciminiera. Le immagini erano concatenate nei loro movimenti in maniera “musicale”,  con successioni di “larghi” e “fughe”, di crescendo e di diminuendo. Crisafulli ha impiegato oltre 200 fonti LED, regolate da un sistema computerizzato, sulla base di una partitura da lui preventivamente elaborata (vedi, nelle figg. 16 e 17, lo schema delle successioni delle luci, di suo pugno). Le dimensioni dell’intervento, permettevano di apprezzarne anche da molto lontano le variazioni temporali, le pulsazioni, i ritmi (in un determinato momento, ad esempio, masse di luce e di ombre percorrevano in 3 secondi, con effetto stupefacente, gli interi 150 metri della struttura), e a distanza ravvicinata era possibile percepire un’infinità di sfumature nel confronto tra le parti illuminate e quelle scure, nei loro movimenti e nelle loro successioni. Sono questi caratteri che, insieme alla consapevolezza culturale e alla sofisticata cura del dettaglio che Crisafulli mette nel suo lavoro, che, pur nelle forme astratte, dinamiche e tecnologicamente avanzate di quest’opera, mi hanno fatto pensare a Rembrandt e alla grande pittura del passato.

 

1) PhD, Docente alla Roskilde University (Danimarca), artista visivo, Premio RUC Innovazione 2015.

2) Cfr. H. Gardner, Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell'intelligenza, Feltrinelli, Milano; 1987; Id., L'educazione delle intelligenze multiple, Anabasi, Milano, 1994.
3) Opera non tradotta in italiano.

4) Tra gli scritti di Crisafulli sulla luce nel suo lavoro, vedi Active Light, Artdigiland, Dublin, 2013 (edizione italiana: Luce attiva, Titivillus, Pisa, 2007);  «Ein Flissender mechanismus», in Aa.Vv., Dry Clean Show, Steirischer Herbst, Graz, 2003; «Light as Action», in Performance Design, a cura di D. Hannah e O. HarslØf, MTP, Copenhagen, 2008; «Organic Light: Self-Analysis of Research in Progress»,  in Theatre Arts Journal  (www.taj.tau.ac.il), Tel Aviv, aprile 2016.
Cfr. inoltre S. Tarquini, La luce come pensiero. I laboratori di Fabrizio Crisafulli al Teatro Studio di Scandicci, 2004-2010, Editoria&Spettacolo, Roma, 2010; N. Tomasevic, Place, Body, Light: The Theatre of Fabrizio Crisafulli, Artdigiland, Dublin, 2013; e la lectio magistralis tenuta da Crisafulli in occasione della laurea ad honorem conferitagli dall’Università di Roskilde nel settembre 2015, di prossima pubblicazione in «Theatre Arts Journal» e, in italiano, in «Teatri delle diversità».

5)Questo ed altri aspetti mi hanno fornito gli spunti sulla sua storia personale che ho utilizzato nel disegnare un suo “ritratto” a matita (fig. 10), nel quale vi sono riferimenti, oltre che ad alcuni suoi lavori, anche alle bellissime marionette degli anni ’50, che ho potuto vedere nella sua casa romana, regalategli dal padre quando era bambino, da lui a quel tempo usate per realizzare spettacoli destinati ai compagni più piccoli.

6)Cfr. J. M. Kennedy, Drawing and the Blind: Pictures to Touch, Yale University Press, London, 1993.

7)Di particolare interesse è il suo approccio ai luoghi, rispetto al quale Crisafulli ha elaborato specifiche modalità di intervento, teorizzate in libri come: Teatro dei luoghi. Il teatro come luogo e l’esperienza di Formia (1996-98), a cura di R. Guarino, Gatd, Roma, 1998; Il teatro dei luoghi. Lo spettacolo generato dalla realtà, Artdigiland, Dublin, 2015; Lingua stellare. Il teatro di Fabrizio Crisafulli, 1991-2002, a cura di S. Lux, Lithos, Roma, 2003; Fabrizio Crisafulli: un teatro dell’essere, a cura di S. Tarquini, Editoria&Spettacolo, Roma, 2010; N. Bionda, Spazio e luogo dell’azione teatrale, Zona, Arezzo, 2008. Vedi inoltre, on line, il video Luogo, corpo, luce. Il teatro di Fabrizio Crisafulli, a cura di E. Cillo , 2016 (www.youtube.com/watch?v=dRsuATNk7Ew).