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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

La mostra alle Scuderie del Quirinale

 

Patrizia Mania

 

Orientalizzare la pittura moderna, si potrebbe dire pensando al costante impegno profuso da Matisse nel distillare forme e motivi desunti dal vicino e lontano Oriente alla ricerca delle radici della forma, della sua forma e cifra artistica. Accanto alle ovvia constatazione dell'iscrizione dell'intera produzione matissiana all'interno delle griglie ampie delle fonti decorative da cui il grande artista trasse ispirazione, la mostra Matisse arabesque ha il pregio di costruire un percorso fisico-visivo nello sterminato territorio di suggestioni che l'artista seppe orchestrare dando vita ad una sua propria originale riflessione sulla forma. Ad essere coniugati, in questa bella mostra, sono l'opera di Matisse e un vasto repertorio di immagini decorative selezionate in manufatti diversi tra quelli più plausibilmente accostabili alle traduzioni sviluppate nei suoi lavori, e anche a quelli documentati dalle foto degli arredi e delle collezioni da lui raccolti nel corso degli anni. Già, perché la passione di Matisse per l'"alterità" - dalle civiltà vicine, mediterranee e medio-orientali, a quelle più lontane, Cina e Giappone- non si configura come un estemporaneo avvicinamento, ma rappresenta piuttosto la stessa linfa vitale del suo percorrere e attraversare il mondo e il suo tempo. A Ester Coen, curatrice di questa esposizione ospitata alle Scuderie del Quirinale, va il merito di aver saputo costruire un percorso che sviluppa in parallelo, in una scrittura espositiva che le pone le une accanto alle altre, la storia dei mondi evocati in una parte cospicua della produzione artistica di Matisse - pittura, disegni, costumi - e quella delle sue fonti - ceramiche, tessuti, maschere, mattonelle, tende, piatti - di tutti quegli oggetti che in funzione decorativa costruiscono propriamente l'ambiente, il contesto evocato nella specificità dei mondi celebrati. Mondi a cui Matisse certamente si accostò con quella disposizione d'animo orientalista corrispondente al concetto eloquentemente stigmatizzato da Edward Said nel suo fondamentale saggio sull'immagine europea dell'Oriente dal titolo Orientalism, ma che fu per lui soprattutto perenne occasione di nutrimento e di rinascita.

Nel rendere conto di questa impresa curatoriale sono tantissime le variabili che credo si debbano tenere nel giusto rilievo. Tra esse, non da ultima, la sfida lanciata per tentare di ragguagliare, e necessariamente quindi sintetizzare, un universo complesso e variegato, sottraendosi all'insidia di smarrirsi nella vertigine dell'immenso, vista l'oceanica mole di richiami e di suggestioni potenzialmente attraversabile. Su un altro piano, appare titanica anche la cernita delle opere di Matisse e dei manufatti, tutti provenienti da collezioni museali di grande prestigio, dal Musée Matisse di Nizza, al Musée Matisse di Cateau-Cambrésis, alla Pierre e Tana Matisse Foundation di New York, al Pushkin Museum di Mosca, al MoMA di New York, al Pompidou di Parigi, alla National Gallery di Washington, all'Hermitage di San Pietroburgo, all'Israel Museum di Gerusalemme, al Metropolitan e il Guggenheim di New York, al Philadelphia Museum of Art, alla Tate di Londra, alla Fondazione Agnelli per finire con la Bibliothèque Nationale de France. Un lungo e altisonante elenco di prestatori che misura di per sé la portata di questo evento nato dalla sinergia tessuta intorno alla figura di un artista come Matisse, da ritenersi indubbiamente tra i più grandi testimoni del suo tempo. E, sebbene le opere di Matisse rientrino cronologicamente nella prima metà del secolo scorso l'estrema sua attualità sembrerebbe cogliersi efficacemente proprio nella cifra dell'arabesque che rappresentò costantemente il suo basso continuo. L'ibridazione culturale, tanto cara alle poetiche dei post, in ispecie quelle del postcolonialismo, si plasma nella sua opera come una condizione operativa irrinunciabile a cui fecero seguito esiti che non possono in alcun modo prescinderne. In particolare, il carattere islamico dell'arabesco matissiano, così ben descritto da Rémi Labrusse nel suo saggio ospitato nel catalogo della mostra, si qualifica come un modo esemplare di coniugare la ricerca dell'essenzialità dell'immagine con i ritmi sapienti della decorazione arabesque.

Tra le numerose varietà di figure narrate nel percorso espositivo, una, in particolare, merita a mio avviso un'attenzione in più: quella dell'albero. Aveva scritto Matisse "L'importanza di un artista si misura con la quantità di nuovi segni da lui introdotti nel linguaggio plastico"1. Nel caso della figura dell'albero questi suoi segni trasmutano dall'arabesque al nuovo segno in un cammino multiforme che ne declina varie possibilità intente ciascuna a definire una propria inedita essenzialità formale. Non una ma molteplice la soluzione d'approdo che attraverso una serie di disegni, collocabili tra gli anni '40 e '50, fino al mirabile collage e gouache dal titolo La Danseuse del 1948-'49 accompagna il visitatore nella descrizione quasi di un passaggio cruciale che sposa l'arabesco ai linearismi dell'estremo oriente nell'energia vitalistica dei suoi segni. Se dunque per Mondrian la ricerca sull'albero era stata la strada per giungere all'astrazione; per Matisse sarà tra quelle che lo condurranno all'esaltazione della decorazione.

In certa parte della storiografia del Novecento l'opera di Matisse è stato oggetto di interpretazioni non sempre totalmente accondiscendenti in considerazione precipuamente della sua propensione per il decorativo tacciata di superficialità e disimpegno. Solo lo sguardo scevro da tali pregiudizi rafforzatosi negli ultimi decenni ha consentito di riposizionare la categoria del decorativo in un territorio aperto di riconsiderazione. In tal senso, questa mostra si presenta come un contributo particolarmente incisivo.

E se nel suo recente Il fantasma del decorativo Giuliana Altea constata di come il decorativo goda oggi "di un'attenzione cui si sarebbe detto non potesse più aspirare." e ancora "Se lo si avverte come rilevante rispetto alla contemporaneità, è segno che il discorso che lo riguarda tocca dei centri vitali della nostra cultura (...)si può vedere come una sorta di cartina di tornasole di alcune delle ansie e delle tensioni che continuano ad attraversarlo"2. In quest'ottica, proprio Matisse e l'arabesque di questa sapiente mostra perimetrano una densa, straordinaria, fortificata sfaccettatura che aggiunge un tassello in più all'esemplarità dell'ibridazione culturale.

1

Henri Matisse, "Pensieri sul disegno dell'albero riferiti da Louis Aragon", in Scritti e pensieri sull'arte, raccolti e annotati da Dominique Fourcade, trad.it. Maria Mimita Lamberti, Einaudi, Torino, 1979,pp.131-132. Ripubblicati nel catalogo: Ester Coen (a cura di), Matisse arabesque, Skira, Ginevra-Milano, p.155.

2 Giuliana Altea, Il fantasma del decorativo, Il Saggiatore, Milano, 2012, p.10.