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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Un'analisi sulle funzioni e le modalità d'interpretazione coreutica dei balli popolari del sud Italia (1)

Salvatore Dini
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Abstract
Il saggio illustra una serie di circostanze che hanno portato alla progressiva metamorfosi, depauperazione e quasi estinzione della maggior parte delle tarantelle e si interroga su che senso abbia, ancora oggi, provare a danzarle. Partendo da una particolare prospettiva filosofica perfezionista attraverso cui viene interpretata l'opera del secondo Wittgenstein, si cerca inoltre di mettere a fuoco quali siano gli elementi coreutici costitutivi che ancora caratterizzano le tarantelle e di spiegare un'idea: nei casi più felici, l'esperienza estetica e, ancora di più, la pratica di una tarantella, un po' come un'opera d'arte, ci apre un mondo, ci mette in contatto con forme di vita che lo abitano e lo abitavano e ci trasforma.

This essay illustrates how a series of circumstances led to the progressive metamorphosis, impoverishment and near-extinction of most kinds of tarantella, and questions whether there may still be a meaning in their being danced today. Starting from a specific philosophical perspective of Perfectionism through which the mature work of Wittgenstein is interpreted, the essay focuses on the choreutic constituent elements that still characterize the various kinds of tarantella. The idea elucidated by the essay is that, in the best case scenario, the aesthetic experience and, more so, the practice of a tarantella, will, much like a work of art, open up a world for us, putting us in touch with the life forms living therein, and it will transmogriphy us

Tarantella e tarantismo
Che cos'è una tarantella, come è possibile ballarla e che senso ha danzarla ancora oggi? Se fosse possibile rispondere a tali domande con semplici definizioni o esibendo alcuni frammenti di filmati d'epoca il presente saggio non avrebbe ragion d'essere. Chi scrive infatti è in sintonia con una particolare interpretazione della concezione del linguaggio espressa dal secondo Wittgenstein e ritiene che il significato di un qualunque segno utilizzato e riconosciuto in una comunità non sia definibile in maniera astratta, ma sia costituzionalmente connesso alla vita delle persone che lo utilizzano (2). Ogni termine rimanda cioè naturalmente ad un insieme di pratiche, di interessi, di vissuti, di situazioni emotive che coloro che lo utilizzano hanno esperito e fatto proprio nel corso della loro esistenza. Secondo tale concezione non c'è mai solo una parola, ma c'è sempre la nostra vita con le parole, in cui il linguaggio determina ed è nel contempo determinato dall'insieme delle nostre esperienze. Va tuttavia chiarito che questa complessità intrinseca al significato di ogni singolo termine solitamente non è un ostacolo alla comprensione del linguaggio. Analogamente allo scorrere placido di un fiume, nella maggior parte delle nostre situazioni ordinarie, «[...] nel fluire del pensiero e della vita le parole hanno un significato» (3). Talvolta accade però che questo fluire venga interrotto o che subisca delle improvvise deviazioni e che il significato delle parole diventi a un certo punto problematico e scivoloso. In tali situazioni si manifesta la tendenza a voler ripristinare artificialmente il corso del fiume saltando quell'opera di lenta erosione e modellazione del terreno operata progressivamente dallo scorrere dell'acqua e il significato delle parole viene imposto alla comunità perdendo la sua naturale adesione al contesto. Per un insieme di motivi che verranno precisati in seguito, è proprio questa la situazione che si è venuta a determinare intorno al significato del termine tarantella ed è per questo motivo che per capire che cosa essa attualmente sia bisogna procedere per gradi.
Per cominciare, in prima approssimazione, seguendo il vocabolario della lingua italiana Treccani, con il termine tarantella possiamo indicare una «danza tradizionale e popolare dell'Italia meridionale, caratterizzata dal movimento e dal ritmo vivacissimo, [prevalentemente] in tempo di 3/8 o 6/8, accompagnata da vari strumenti, tra i quali, il tamburello a sonagli, suonato dagli stessi danzatori» (4). Lo stesso vocabolario tuttavia non si limita a tale definizione, ma evidenzia che l'etimologia del termine Tarantella contiene «[...] l'allusione alle convulsioni che si ritenevano provocate dal morso della tarantola o alla danza che in alcune regioni si faceva come cura di quel morso» (5) suggerendo di fatto una connessione tra la tarantella e il fenomeno del tarantismo (6).
Questa allusione non deve trarre in inganno, la tarantella e il tarantismo sono fenomeni distinti (7): «[...] la tarantella che viene danzata durante il tarantismo non è la tarantella profana, ma una liturgia che narra in modo esemplare, e al tempo stesso rivive, il passaggio dalla crisi alla sua risoluzione» (8). Nel primo caso il ballo ha evidentemente una finalità terapeutica ed è prevalentemente individuale o di gruppo, nel secondo invece risponde generalmente ad esigenze sociali o di corteggiamento ed è, nella maggior parte dei casi, di coppia (9).
Nasce così subito un problema per chi si interroga su quale sia la natura della tarantella e su quanto libera sia stata in passato la sua interpretazione coreutica, ovvero di che tipo e quanto stretto sia il suo rapporto con il tarantismo. Su tale questione esistono pareri discordi, c'è chi infatti enfatizza le connessioni tra le due danze derivandole da una comune radice magnogreca a sfondo dionisiaco e chi invece, in assenza di convincenti prove etnocoreutiche che convalidino tale ipotesi, preferisce attenersi alle documentazioni disponibili e rimarcarne le differenze (10). Indipendentemente da tali divergenze è tuttavia opinione comune che non si possa parlare della tarantella profana senza far riferimento, in qualche modo, a quella liturgica.
Non è intento del presente lavoro quello di trattare il fenomeno del tarantismo che, dopo Sud e Magia (11) e soprattutto dopo La terra del rimorso (12), è stato ampiamente indagato (13) fino ad assurgere a esempio paradigmatico in antropologia per una storia religiosa del sud Italia o addirittura a fungere da modello, per molti studiosi italiani, di come condurre una ricerca antropologica sul campo (14), vorrei solo richiamarmi ad alcune conclusioni di De Martino sull'argomento. In estrema sintesi, la tesi espressa ne La terra del rimorso è la seguente: il tarantismo ha costituito per secoli il modo peculiare attraverso cui vasti strati della popolazione meridionale potevano soddisfare, in equilibrio, nei limiti e nelle modalità concesse dalle regole sociali dominanti, una serie di pulsioni altrimenti represse. A partire dal XVII secolo, però, l'insorgere del positivismo medico della scuola salernitana e, soprattutto, le pressioni controriformistiche della chiesa cattolica, che attraverso il culto di San Paolo riassorbono sincreticamente il fenomeno, ne modificano sostanzialmente i vincoli e le modalità di espressione turbando il felice equilibrio tra libertà e costrizione che lo aveva inizialmente caratterizzato e ne determinano la progressiva estinzione. Estremizzando e generalizzando ulteriormente le conclusioni, astraendole in parte dai propri contenuti e adattandole agli intenti del presente scritto, per De Martino insomma la dialettica tra libertà e costrizione che caratterizza il tarantismo ha un suo momento risolutivo positivo fino a quando i vincoli e i canali attraverso cui si struttura il tarantismo sono in qualche misura condivisi e sedimentati nel corso dei secoli tra le istanze controllanti della società e i soggetti controllati. Quando viceversa quegli stessi vincoli sono imposti dall'esterno diventano, mi si passi il termine, alienanti per la popolazione e causano la crisi del fenomeno.
La tesi che intendo sostenere nel presente scritto è che lo schema della conclusione a cui mi sembra pervenga De Martino, almeno nei termini testé espressi (va da sé che un testo complesso come La terra del rimorso si presta a molteplici letture e non è riducibile a una singola proposizione così astratta) può essere esteso, opportunamente declinato, anche alle modalità con cui e per cui ha un senso oggi ballare la tarantella profana. Quando cioè si modificano radicalmente le condizioni in cui sono nate e si sono sviluppate le tarantelle profane si manifesta la tendenza a modificarle o preservarle artificialmente introducendovi degli interessi e delle finalità totalmente estranee alle ragioni per cui può avere un senso continuare a danzarle nel contesto attuale.

Contesti di vita e tarantelle.
Terminate le considerazioni sul tarantismo è possibile passare a quelle sulla tarantella profana che da ora in poi denominerò, salvo diverse specificazioni, semplicemente come tarantella, intendendo con ciò riferirmi alla relativa danza profana (farò, solo episodicamente, cenni alla corrispettiva musica). In via preliminare va detto che parlare di tarantella al singolare è improprio: bisognerebbe, come per tutto ciò che è popolare e dunque intrinsecamente connesso a una gamma di variazioni in relazione alle diverse comunità ed epoche a cui si fa riferimento, utilizzare sempre il plurale. La cultura popolare si tramanda essenzialmente per via orale o per imitazione ed è dunque in se stessa multiforme e soggetta a errori/evoluzioni di trasmissione, all'arbitrio e alla creatività di chi ne è portatore e veicolo di diffusione, non è cristallizzata in forme definitive, è un corpo vivo soggetto a una inevitabile e continua trasformazione; ne consegue che i perimetri dei suoi contenuti sono intrinsecamente sfumati e pertanto sono degli oggetti di studio costituzionalmente problematici (15). Così come non ha senso chiedersi quale sia la fabula del vero mito di Dioniso, la ricetta della vera parmigiana di melanzane o la vera storia di Pulcinella (16), altrettanto è improprio interrogarsi su come si balla veramente una tarantella. Tutto ciò non significa però che i contenuti della cultura popolare siano totalmente indeterminati e sfuggano al controllo delle comunità che li hanno generati, anzi, tanto più una tradizione popolare si è mantenuta viva e integra, maggiori sono i vincoli e le regole a cui bisogna attenersi per cercare di entrarne a far parte.
Tuttavia, a differenza di altri oggetti della cultura popolare, come per esempio le musiche che hanno resistito meglio alle dinamiche della modernizzazione, i modi coreutici delle tarantelle hanno quasi tutti subito un grave processo di depauperazione che in vaste aree del sud Italia ha rasentato l'estinzione (17), rendendo quasi impossibile una loro effettiva ricostruzione e riproposizione.
La ragione di ciò e dovuta a svariati motivi tra i quali il fatto che, le danze popolari italiane richiedevano, per loro natura, il coinvolgimento simultaneo di una parte consistente e generazionalmente ampia della comunità che le praticava (18), si svolgevano di fronte a un gruppo di spettatori (erano dei fenomeni pubblici) e pertanto erano particolarmente soggette al controllo, al giudizio degli altri e ad essere aggredite dalle mode. Le tarantelle inoltre erano quasi sempre associate a specifici momenti di festa (19), si praticavano senza determinati interessi economici (20), erano difficilmente documentabili o codificabili (21) e, infine, erano apprese sostanzialmente per imitazione. Non ci risultano infatti per le tarantelle, come per esempio per il tango o altre danze di origine popolare (22), l'istituzione spontanea di momenti o spazi collettivi riservati al loro apprendimento né, tanto meno, vere e proprie scuole, venivano imparate sul campo. L'insieme di questi fattori che hanno contribuito a rendere le danze popolari del sud Italia dei fenomeni sociali particolarmente fragili e a rischio di estinzione può aiutarci a comprendere anche cosa sia una tarantella. Detto in altri termini, di fronte a un fenomeno coreutico in cui sono assenti molte delle condizioni di sopra elencate (ad esempio è caratterizzato da tutti ballerini professionisti, non è frequentato da un gruppo significativo di astanti legati da rapporti comunitari, vede la presenza, quasi esclusiva, di una sola fascia generazionale, ecc.) è ragionevole supporre che, indipendentemente da come venga chiamato dai suoi organizzatori, non sia una tarantella o almeno si discosti sostanzialmente da essa.
Quest'ultima considerazione ci riporta al problema e alla domanda fondamentale del presente scritto: posto che molte delle condizioni storico sociali in cui le tarantelle si sono generate e sviluppate non esistono più, che senso ha e come ballare oggi una tarantella?

L'interesse per la tarantella
Per provare a sviluppare una risposta a tale domanda, cominciamo con interrogarci sul suo senso. La domanda in questione presuppone che ci sia qualcuno interessato a ballare le tarantelle e che non sappia se e come ciò sia possibile. Si tenga al riguardo presente che nonostante attorno ad una tarantella (o a qualcosa che si spaccia per tale), talvolta, si costruisca un evento sociale che coinvolge un numero consistente di persone fino a diventare, in alcuni casi, di massa (23), non significa però che tutti coloro che vi partecipano occasionalmente siano interessati al ballo o alla musica popolare. Per quanto relativamente semplici rispetto ad altre forme di danze o musiche, ballare e, a maggior ragione, suonare adeguatamente le tarantelle presuppone infatti il dominio di alcune tecniche, il possesso di alcune specifiche competenze e, soprattutto, la familiarità con certe situazioni che si acquisiscono attraverso un percorso più o meno lungo di osservazione, pratica e, in molti casi, di studio che la maggior parte degli estemporanei partecipanti all'evento in questione non hanno minimamente intrapreso. Dal già ristretto numero di appassionati per cui ha senso chiedersi se e come si balla oggi una tarantella, dobbiamo escludere poi una parte consistente di coloro che si considerano i portatori naturali di quella tipologia di tarantella e che si limitano semplicemente a danzarla senza sentire l'esigenza di interrogarsi su di essa.
Ne consegue che la domanda che è alla base del presente scritto ha un suo senso autonomo solo per quella ristretta cerchia di appassionati interessati a se e come ballare una tarantella situati nello spazio tra chi è a essa completamente estraneo e chi ne è un naturale portatore, ammesso che ne esistano ancora. Ora questa prossimità al contesto in cui si svolge una danza popolare, senza tuttavia esserne completamente partecipe, di chi si interroga su come ballare una tarantella rende problematica tutta la domanda di partenza che si colloca sul terreno delle contraddizioni pragmatiche esplorate, tra gli altri, da P. Watzlavich e J. Elster (24): chi si chiede se e come abbia un senso ballare oggi una danza popolare rischia per ciò stesso, in qualche modo, di precludersi la possibilità di accedere al mondo della cultura popolare a cui aspira introducendovi un interesse che è ad esso estraneo; insomma, chiedersi se e come abbia senso ballare una tarantella è un po' come domandarsi come essere spontaneo, o, per usare qualche esempio più noto, come fare a non pensare a una certa cosa.
La posizione di chi si sforza di apprendere a ballare una tarantella senza esserne un portatore naturale ha dunque dei tratti prometeici, è un tendere verso qualcosa il cui pieno raggiungimento è costituzionalmente precluso e l'esperienza più comune che si prova quando si tenta, specie inizialmente, di danzare una tarantella è quella della vergogna (25) dovuta alla consapevolezza che non si è ciò che spontaneamente si sente di dover essere e che si è inadeguati rispetto al contesto in cui ci si trova.
Il primo fondamentale problema che avverte nel proprio corpo chi prova a danzare una determinata tarantella è dunque che la sua forma di vita ordinaria gli impedisce di conseguire la semplicità dei movimenti e delle posture proprie dei portatori naturali della tarantella in questione. Proprio quest'ultima sensazione di prossimità che coesiste e si contrappone a quella suddetta di estraneità costituisce il perimetro emotivo all'interno del quale si cerca di interpretare e fare propria una determinata tarantella. Infatti, se è vero che con le dinamiche della modernizzazione la quasi totalità dei contenuti della cultura in cui si è diffusa una tarantella hanno subito un processo di trasformazione e che per un individuo di estrazione borghese è difficile oggi anche solo rappresentarseli in un qualche modo, è altrettanto vero che alcuni residui di quei contenuti, sedimentati in taluni particolari passi, figure o posture riaffiorano nelle danze popolari ed esercitano un loro fascino su chi le osserva e si cimenta a danzarle; non a caso molte delle persone appassionate alle tarantelle hanno origini meridionali e sentono di danzare qualcosa che in qualche misura appartiene loro. Ballare una tarantella è dunque possibile solo se si riesce entrare in contatto con il contesto in cui ci si trova. É un imparare a saper stare in un determinato posto.
Comprendere o semplicemente intuire quali aspetti ci affascinano dell'ambiente in cui si svolge una tarantella e sforzarsi di esser consapevoli di quali parti di noi proiettiamo nel ballo snaturandolo rispetto al contesto in cui è inserito è, a mio avviso, la principale abilità richiesta per trovare le ragioni di perché danzare oggi una tarantella e di come eseguirla.
In questo senso mi sembra che la condizione del ballerino di tarantella possa essere interpretata mettendola in analogia alla particolare forma di perfezionismo filosofico elaborata da Stanley Cavell. Si tratta di un paradigma molto complesso che in parte fa da sfondo al presente scritto e che in questa sede può solo essere accennato (26). Secondo tale concezione filosofica (che non è propriamente una teoria, ma piuttosto un peculiare atteggiamento o modo di essere compatibile con diverse teorie filosofiche) lo stato di perfezione verso cui il soggetto tende non è già dato a priori, ma è determinato e conseguito dal soggetto stesso attraverso una progressiva riconfigurazione del proprio essere che, a seguito di determinate esperienze, vive uno stato di crisi del proprio ordinario, si vergogna (27) di se stesso avvertendo come inadeguata la propria condizione ed è sollecitato pertanto a trovare una sua nuova forma di esistenza.
Questa particolare postura filosofica, ancorché espressa da Cavell in una forma complessa e comprensibile solo agli studiosi di professione, non ha in se stessa nulla di elitario e può essere assunta da tutti coloro che non si trovino in situazioni di deprivazione culturale e sociale estreme. Non a caso Cavell e coloro che si muovono seguendo il suo paradigma individuano e descrivono movimenti perfezionisti all'interno di prodotti popolari come i film holliwoodiani o le serie televisive (28).
È mia convinzione che tale concezione, opportunamente declinata, possa rivelarsi feconda non solo per analizzare oggetti inerenti al “popular, ma anche per quelli relativi al “folk” (29).
Seguendo tale registro, riuscire a ballare una tarantella significa appunto entrare in familiarità con una forma di vita che chi danza percepisce, limitatamente a taluni aspetti, come più autentica rispetto alla propria condizione ordinaria e che costituisce pertanto una sollecitazione a riconfigurare la propria forma di vita.

Forme di vita e tarantella
Dopo aver esaminato le tensioni che caratterizzano la condizione di colui che è intenzionato ad apprendere una o più tarantelle, passiamo a considerare come attualmente esse vengono ballate e a provare a vedere com'è possibile interpretarle seguendo il registro perfezionista a cui si è accennato. Non è mia intenzione analizzare le forme coreutiche delle diverse tarantelle, né descrivere particolari posture o passi. Basterà per gli scopi del presente lavoro fare alcuni cenni generali sulle varie tipologie di tarantelle. L'insieme delle tarantelle è molto articolato al suo interno, tra quelle di coppia possiamo distinguerne alcuni ceppi fondamentali che, a loro volta, si suddividono ulteriormente (30). In maniera abbastanza ovvia, più un'area geografica ha mantenuto viva la sua tradizione coreutica e maggiori saranno le variazioni e differenziazioni del modo in cui viene ballata la tarantella sviluppata in tale area. Quando invece si assiste a una tarantella danzata su una vasta zona geografica con lo stesso stile e la medesima forma coreutica, come ad esempio la pizzica pizzica, questo è un chiaro indice che la tarantella in questione si è ad un certo punto persa e poi è stata recuperata e, in buona parte, reinventata, il che, sia detto di passaggio, non è necessariamente un male assoluto; per dirla con le parole di S. Portelli: «[...] tutte le tradizioni sono almeno in parte inventate, sono tutte prodotto di intrecci fra materiali culturali eterogenei che confluiscono in unità poetiche capaci di durare. La domanda da porsi allora non riguarda tanto l'autenticità incontaminata delle origini quanto le ragioni per cui certe invenzioni sono diventate tradizione e altre no» (31).
Per assurdo, per ragioni che chiarirò in seguito, non è detto che una tarantella parzialmente reinventata non possa assolvere meglio la funzione per cui veniva originariamente ballata, di una considerata incontaminata solo perché, sulla base dell'esempio di pochissimi anziani testimoni che ancora la danzavano, alcuni studiosi l'hanno preservata e reinnestata grazie alla costituzione di alcune scuole.
Torniamo ai vari tipi di tarantelle (32) e prendiamo in esame quelle di coppia, come ad esempio (per citare solo quelle maggiormente praticate) le calabresi (33), le pizziche- pizziche (34) o le tammurriate (il ballo sul tamburo) (35), che mettono in luce in maniera più chiara le tesi che intendo dimostrare (le quali però, a mio avviso, possono valere, entro certi limiti e opportunamente adattate, anche per quelle di gruppo). Tutte le tarantelle testé citate consistono essenzialmente in un rapporto tra due ballerini che, circondati da musicisti e spettatori, si inseguono descrivendo una circonferenza che, in talune circostanze, può venire tagliata. Questa situazione è caratterizzata da una serie di elementi che, a mio avviso, sono fondamentali per valutare esteticamente una tarantella: i singoli ballerini, la coppia di danzatori (per semplificare ipotizzo che siano di sesso opposto), lo spazio circolare, gli spettatori e i musicisti; tutti questi elementi entrano poi in una serie di rapporti reciproci.
Partiamo dal soggetto danzante: ogni ballerino danza o dovrebbe danzare per se stesso e nel ballo esprimere parte di sé; il problema è che cosa esprime e in che forma. A mio avviso una delle motivazioni più frequenti che spinge oggi un ballerino di tarantelle a danzare è il divertimento: come è stato in precedenza accennato, le tarantelle nascono, si sviluppano e si nutrono all'interno di un clima di festa e in tutte le feste attualmente assolvono, prevalentemente, a una funzione ludico-ricreativa (36). Ne consegue, dal punto di vista estetico, che se un ballerino non esprime nella danza il piacere che prova nel compiere la sua attività non esemplifica una delle ragioni fondamentali per cui si sviluppano le tarantelle e che dunque dovrebbero contenere e riuscire ad esibire. L'importanza di saper esprimere il proprio divertimento nel ballo popolare è tale che, per assurdo, se un visitatore occasionale improvvisa una tarantella divertendosi e rispettando il contesto in cui si trova è, per ciò stesso, piacevole a vedersi ed esemplifica, in qualche modo, a livello embrionale, il ballo in questione meglio di chi l'ha studiato, ma è attento quasi unicamente a seguire un insieme di regole, guardando magari infastidito i ballerini circostanti; è questo il motivo per cui vedere i bambini ballare è, quasi sempre, gradevole e interessante. Ne risulta paradossalmente che spesso chi ha il dominio della sintassi e della forma di una tarantella ne ha smarrito i contenuti e, di converso, chi possiede la spontaneità di alcuni dei vissuti che l'hanno originata ne ignora la struttura e le specifiche modalità espressive. Naturalmente un ballerino di tarantelle non dovrà esprimere unicamente o necessariamente il proprio divertimento, ma potrà e dovrà mostrare tutta una gamma di propri elementi interiori compatibili con le feste (37) e più in generale con i contesti in cui si svolgono i balli in questione (38). Insomma, come nelle opere d'arte, sedimentate nei modi coreutici di una tarantella ci sono una serie di forme di vita del mondo in cui la danza si è sviluppata che un ballerino dovrà in qualche misura echeggiare e avere in un certo modo provato, per esemplificarla esteticamente.
Veniamo ora al secondo elemento presente nelle tarantelle considerate in precedenza, la coppia dei danzatori: le tarantelle (profane) non si ballano da soli e, per dare un senso alla sua danza, un ballerino dovrà entrare in una certa sintonia con il partner (i danzatori che colti da raptus, entrano in qualcosa che assomiglia a una trance non ballano propriamente una tarantella e quelli che per spettacolarizzazione mimano forme di tarantismo fanno qualcosa di blasfemo). Una coppia di danzatori che quando ballano stabiliscono una effettiva sintonia sono, in quanto tali, gradevoli esteticamente e la loro tarantella evocherà alcune forme di vita popolari che l'hanno generata.
Passiamo ora ad analizzare che tipo di rapporti si stabiliscono tra la coppia di danzatori e il contesto rappresentato dal pubblico e dai suonatori. Cominciamo dal pubblico che accalcandosi e disponendosi in cerchio intorno ai danzatori ne delimita lo spazio coreutico; come è stato già in parte accennato, è una componente essenziale per la tarantella, che ne consente la sopravvivenza e la trasmissione genetica nel tempo. Parte del pubblico, per solito quello più vicino ai danzatori, è infatti costituito a sua volta da coloro che si apprestano, a seconda della tarantella in questione, a subentrare alla coppia che sta ballando o a sostituirne uno dei suoi elementi o, ancora, a danzare al brano successivo (39); si tratta di una fase decisiva per la vita di una tarantella: ogni spettatore-danzatore infatti potrà osservare le altre coppie di ballerini, confrontarsi mentalmente con esse, cercare di fare propri alcuni atteggiamenti, posture, passi, capire con chi gli piacerebbe danzare nelle prossime occasioni o chi vorrebbe conoscere. E' attraverso questo processo di imitazione, introiezione, riproposizione da cui ogni ballerino è portato e di cui è portatore che la tarantella si trasmette tra le generazioni e incorpora, nel tempo, le forme di vita della cultura popolare. Fino a una trentina di anni fa questo era praticamente l'unico momento in cui era possibile apprendere la tarantella; oggi, con la proliferazione dei filmati e l'istituzione di corsi di danza, la situazione è sostanzialmente mutata. Sotto certi aspetti, la diffusione di scuole e corsi di ballo popolare, essendo inevitabilmente mutate le condizioni sociali in cui le tarantelle sono nate e si sono nei secoli sviluppate, hanno consentito ad esse, in alcuni casi, di sopravvivere, riacquistare linfa vitale e hanno reso possibile a molte persone, che non vivono nei territori d'origine delle danze popolari, di accostarsi ad esse e provare a compiere l'esperienza di danzarle. Tuttavia, i corsi sono come delle scale che una volta utilizzate vanno buttate. Per capire cosa significa veramente ballare una tarantella, bisogna infatti osservare le danze popolari il più possibile nei loro territori d'origine o comunque nei contesti di festa e assumere la condizione emotiva del migrante; e come un migrante, dopo aver intrapreso un viaggio rischioso dalla sua patria, per integrarsi dovrà entrare nella sua nuova realtà in punta di piedi, esporsi alla benevolenza, diffidenza o il pregiudizio di chi lo ospita, osservare e cercare di capire cosa succede attorno a lui, così l'appassionato di tarantelle dovrà inerpicarsi all'alba alle pendici del monte Somma, raggiungere paesini isolati dell'Aspromonte, individuare di notte trulli sperduti negli olivi secolari della Valle d'Itria, per avere il piacere e il privilegio di partecipare alle feste, entrare in contatto, osservare e, per gradi, conoscere (40). E alla fine del loro percorso che li ha portati a farsi accettare e accogliere nella loro nuova realtà, tanto il migrante quanto il danzatore, non saranno più gli stessi di prima e avranno integrato nuove forme di vita nel loro modo di stare al mondo. Tornando ai corsi va tenuto presente anche che, perfino quelli migliori realizzati nei luoghi d'origine delle tarantelle e con insegnati autoctoni, contengono un grande pericolo: intervenendo artificialmente sui meccanismi di trasmissione delle tarantelle, operano una sorta di eugenetica; correggendo i ballerini, impedendo loro di compiere errori, proponendosi come modelli forti, esportando i balli in nuovi contesti, hanno reso le tarantelle una sorta di organismi geneticamente modificati, in cui i danzatori diventano progressivamente sempre più tecnici e i modi coreutici si fanno sempre più raffinati e stilizzati. Il risultato è che si perde l'imprecisione e la spontaneità che invece caratterizza i balli, ormai pressoché estinti, che si trasmettono per sola imitazione.
Ma ritorniamo al rapporto coppia-pubblico per procedere a qualche considerazione di tipo estetico. Ogni coppia che balla al centro del cerchio è consapevole di essere osservata e questo inevitabilmente incide sul modo in cui danza. In un certo senso quindi ogni tarantella è una sorta di spettacolo, ma mentre in una esibizione si balla fondamentalmente per il piacere e il divertimento del pubblico, in una tarantella, la coppia danza o dovrebbe danzare essenzialmente per il proprio gusto o comunque per esprimere quell'insieme di emozioni e sentimenti in sintonia con i contesti in cui è inserita; ne consegue che se l'intento dei ballerini è quasi esclusivamente quello di ben apparire al pubblico, simulando divertimento, attrazione o rapimento reciproco, la tarantella apparirà affettata e inautentica. Di converso, i ballerini non possono ignorare il pubblico che oltre ad essere il veicolo di diffusione della tarantella ne è anche il custode, il soggetto che con il suo giudizio ne controlla l'andamento, la contiene. Gli spettatori non descrivono solo il perimetro circolare dello spazio coreutico, ma anche, in rapporto costante con i danzatori, ne selezionano nel tempo le forme di espressione coreutica e garantiscono che esse siano connesse alla cultura popolare delle località in cui si sviluppano. Pertanto, ogni coppia di danzatori, con il suo specifico modo di in interpretare il ballo, rappresenterà, in maniera più o meno adeguata per il cerchio di astanti, la tarantella in questione.
Veniamo infine a considerare l'ultima componente della tarantella, forse quella più importante, senza la quale essa non potrebbe nemmeno essere concepita: la musica e i musicisti. L'aspetto musicale delle tarantelle, che è stato studiato e documentato molto più delle corrispondenti danze (41), può essere in questo scritto solo appena sfiorato e richiederebbe un lavoro a sé stante. Mi limiterò ad alcune considerazioni che riguardano il rapporto tra musicisti e ballerini nonché ad alcuni cenni sull'effetto emotivo che i suoni delle tarantelle hanno su chi le ascolta e le danza.
Cominciamo con il dire che la storia attraverso cui si generano, si trasmettono e si evolvono le musiche delle tarantelle si intreccia continuamente con quella dei suoi modi coreutici. Come le danze anche i suoni delle tarantelle sono infatti delle espressioni artistiche che esemplificano le forme di vita delle località in cui sono nate e si sono sviluppate; dentro la particolare espressione della percussione di una tammorra o della tonalità di un canto, dell'odore di un'erba aromatica o della combinazione di sapori di una pietanza della cucina popolare, echeggia la terra e la popolazione che le ha generate. Troppo lungo e complesso sarebbe render conto del processo attraverso cui tutto ciò si verifica, ma è un fenomeno che qualunque danzatore di tarantella non potrà non sentire presente nel proprio corpo, specie quando balla. Tutto ciò fa da premessa e sfondo a quanto seguirà sul rapporto tra i musicisti e i danzatori.
Com'è noto a tutti gli appassionati di balli popolari, una tarantella che si rispetti non solo verrà ballata con la musica dal vivo, ma vedrà i suonatori collocati con il pubblico, a ridosso dei danzatori, nella circonferenza che delimita lo spazio coreutico. Questo avviene perché quanto detto per il rapporto ballerini-pubblico, vale anche per quello danzatori-musicisti. Quando si verificano le condizioni più felici, infatti, i musicisti non suonano per conto loro a prescindere dal contesto e da quello che fanno i danzatori, ma, in un rapporto simbiotico di rimandi reciproci con tutti gli elementi che concorrono a determinare una tarantella, traggono vitalità dalla partecipazione del pubblico e la alimentano seguendo e suggerendo, nel contempo, le evoluzioni dei ballerini.
È molto difficile spiegare, a chi non ne abbia fatta diretta esperienza, quel progressivo tripudio di movimenti, suoni, sguardi, tensioni, emozioni che, nei casi più felici, progressivamente, si instaura nella tarantella tra spettatori, musicisti e ballerini (42).
Similmente a quanto asserisce L.Wittegenstein a proposito del “vedere come” l'esperienza estetica della tarantella trascende la descrizione di un insieme determinato di regole sociali, figure, passi o posture ed è una specie di appropriazione di una particolare prospettiva visiva (43) in cui quelle regole, quelle figure, quei passi, quelle posture echeggiano ed evocano un insieme di vissuti e forme di vita con cui bisogna essere in qualche modo venuti a contatto per poterli interpretare.
Prima di procedere alla parte conclusiva del presente lavoro, vorrei dire ancora una cosa sull'effetto che i ritmi e i suoni delle tarantelle provocano in chi le ascolta e le balla. Molto, forse anche troppo, e talvolta un po' a sproposito si è scritto sulla capacità delle tarantelle di indurre una sorta di stato di trance in chi le ascolta e le balla e di come tale stato abbia un effetto terapeutico (44). Ora, senza enfatizzare troppo i termini e senza avere la pretesa di fornire spiegazioni, posso solo testimoniare che il suono delle tarantelle induce un impulso cinetico specie in chi le balla e le suona e che tale impulso contribuisce a creare quell'insieme di emozioni e “stati di cose” che ho cercato sino ad ora di descrivere. Mi sento solo di fare una considerazione estetica al riguardo: ancora una volta, i danzatori che esagerano tale fenomeno risultano affettati e ridicoli agli occhi di chi abbia un minimo di esperienza dei balli popolari. All'opposto però dei ballerini che non l'avvertano nel proprio corpo mentre ballano e che non provino un senso profondo e stabile di liberazione dopo una notte di festa con le danze popolari, non avranno realmente preso parte ad una tarantella e ne saranno in qualche modo restati fuori.

Il rimorso del rimorso: Improvvisazione, libertà e vincoli nelle tarantelle
Prima di terminare il presente scritto vorrei fare un'ultima serie di considerazioni che mi porteranno a concludere dal punto in cui ero partito.
Sino ad ora non ho praticamente fatto riferimento a tempi, ritmi, posture, figure e passi perché essi variano in relazione a ciascuna specifica tarantella e non è mia intenzione (e non so) dare indicazioni tecniche per dire o ricostruire come ballarle (45), mi interessa invece capire che cosa sono, perché mi appassionano e quali aspetti dobbiamo guardare e preservare affinché abbia oggi ancora un senso continuare a danzarle.
Fatta questa precisazione, è fondamentale per comprendere cosa sia una tarantella compiere qualche riflessione di ordine generale. Tutte le tarantelle di coppia che ho sino fino a questo momento preso in esame, combinano posture, figure e passi in maniera più o meno libera in relazione, tra le altre cose, alla maggiore o minore presenza di sequenze fisse, a quanto uno dei due ballerini debba seguire specularmente i movimenti dell'altro, alla possibilità di prolungare nel tempo la danza, alle variazioni di ritmo. Benché, come per i bambini a cui piace sentirsi narrare in continuazione la stessa filastrocca, parte del gusto di ballare una danza popolare risieda nel gioco della ripetizione di una determinata sequenza, uno degli elementi di fascino che caratterizza il danzare una tarantella consiste proprio nel fatto che, a differenza degli Alli Galli, non si sa mai che cosa possa succedere. L'improvvisazione nelle tarantelle non è il risultato inintenzionale dell'ignoranza. Tanto più, anzi, un danzatore conoscerà la tecnica e la forma di una tarantella, tanto più potrà decidere consapevolmente di trascenderle. E la libertà costitutiva delle tarantelle non si limita solo alla possibilità di combinare passi e figure in differenti sequenze come una lingua che può mettere insieme sillabe e parole in modo da strutturare diversi frasi e proposizioni, ma si estende, entro certi limiti e in determinate condizioni, alla possibilità di coniare nuovi termini e utilizzare nuove intonazioni, ovvero di variare passi, figure e perfino, in misura minore, alcune posture. Però, proprio come la tipicità di un dialetto di rimandare alla sua zona d'origine sta non tanto nei singoli termini o detti di cui si compone, quanto nel modo di pronunciarli e nella sua particolare cadenza, così la specificità di ciascuna tarantella e il suo legame con la terra in cui è nata non sta tanto nei suoi passi e nelle sue figure, che pure contribuiscono in maniera essenziale a identificarla, ma soprattutto nella sua particolare postura. Il corpo solitamente non mente e rivela l'interiorità di una persona molto meglio della parola ed è per questo che dall'osservazione di una particolare postura possiamo stabilire quanto un danzatore sia in sintonia con la tarantella che sta interpretando (46). Il fatto che, come si è appena detto, le tarantelle siano dei balli liberi, non significa infatti che un ballerino stando sul tempo possa compiere arbitrariamente tutte le variazioni che gli passano in testa. Ancora una volta la condizione del danzatore di tarantelle è una condizione mediana che oscilla tra libertà e costrizione, tra creatività e vincolo. Come ogni sistema di segni, infatti, per esprimere e comunicare qualcosa a qualcuno le tarantelle devono definirsi entro certe particolari forme e operare all'interno di una serie di limiti. La domanda decisiva per un danzatore allora è: quali sono questi limiti?
Chi ha avuto la pazienza di arrivare fino a questo punto nella lettura saprà già dove cercare la risposta. I limiti in astratto non esistono, non c'è nessun passo in se stesso che non si possa compiere. Come è stato continuamente sottolineato, le tarantelle sono dei fenomeni pubblici che nascono e si sviluppano in determinate comunità. Dunque gli unici soggetti che possono determinare concretamente i limiti entro i quali dovrà attenersi il ballerino, sono il partner, il pubblico, i musicisti e il contesto che contiene quella singola tarantella. Ancora una volta sarà ciascun ballerino, in base a ciò che sente e che vuole esprimere grazie al suo buon senso, a scegliere come danzare e quali licenze permettersi con quel partner, quei musicisti, quegli spettatori e la sua tarantella sarà tanto più espressiva quanto più riuscirà ad entrare effettivamente in sintonia con tutto quel contesto.
Il problema dei vincoli da porsi quando si cerca di danzare una tarantella si avverte prevalentemente quando ci si trova di fronte a una danza che, attraverso varie modalità, è rinata dopo che si era precedentemente estinta. In tale situazione si assiste solitamente a due opposte tendenze: quella di concedersi qualunque tipo di licenza privilegiando atteggiamenti esibizionistici o quella di attenersi rigidamente alle forme espressive dei pochissimi anziani, spesso originari di paesi abbastanza distanti tra loro che ancora danzano la tarantella in questione. Ritengo che siano entrambe sbagliate; voler riportare in vita una tarantella imitando, rigidamente, i pochi modelli ancora disponibili è un po' come generare degli zombies o, meglio, una specie di Frankenstein; e come i pezzi ricuciti dei diversi cadaveri del personaggio di Mary Shelley si muovono goffamente nel mondo cercando un rimedio alla loro infelicità, così questi ballerini danzano mestamente, isolati dal contesto circostante, le loro tarantelle.
Tralasciando tutti i problemi derivanti dal fatto che il modo di danzare dei pochissimi anziani modelli che interpretano o hanno interpretato tale tarantella è significativamente influenzato dalla loro età, è a mio avviso proprio un errore metodologico cercare il senso del ballare una tarantella riproducendo dei singoli passi o determinate figure, spesso filtrati oltretutto dall'analisi e la scomposizione di filmati che inevitabilmente producono un effetto di straniamento dell'intera danza. Si verifica in questo caso una situazione analoga a quella che, secondo la particolare lettura di Wittgenstein a cui si ispira il presente lavoro (47), viene ripetutamente descritta nelle Ricerche Filosofiche (48). Secondo tale interpretazione infatti, le Ricerche Filosofiche metterebbero costantemente in luce tutta una serie di paradossi in cui inevitabilmente si incorre quando per un qualche motivo il linguaggio ordinario entra in crisi perdendo la sua aderenza naturale al contesto in cui è utilizzato e si cerca di ricostruirne artificialmente il senso attraverso ipotesi di tipo metafisico.
Ancora più in generale, tale prospettiva filosofica implica che le singole azioni messe in atto dagli esseri umani: «[...] sono intrinsecamente l'espressione di forme di vita, per cui la comprensione dell'esperienza altrui non può mai ridursi a una forma di simpatia con esperienze date per acquisite, ma richiede il lavoro immaginativo in cui facciamo nostro l'orizzonte delle forme di vita effettive che strutturano tali esperienze» (49).
Allo stesso modo, quando una tarantella entra in crisi e si è estinta, piuttosto che imporsi dei limiti artificiali e riprodurre rigidamente quei pochissimi e decontestualizzati esempi sopravvissuti, conviene accettare l'idea di danzare qualcosa di parzialmente reinventato, cercando il senso del ballo nel tentativo di reinterpretare e dare nuova forma alle motivazioni per cui esso veniva originariamente danzato. In fondo, se si cerca ancora di ballare le tarantelle è perché, per dirla con le celebri parole di C. Pavese, «[...] un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti» (50).
Torniamo allora a De Martino da dove eravamo partiti: se si crede che le tarantelle non debbano cessare come il tarantismo per dei limiti imposti artificialmente da autorità esterne alle comunità in cui quel fenomeno si era determinato, se non si desidera, per dirla alla Stifani, che il tarantismo cessi perché i terreni di campagna sono « [...] tutti pieni di veleni che con tutti i minerali e concimi e sali tutti li animaletti muoiono, e quasi che moriamo anche noi ... mentre, una volta, tutti i terreni erano sani e le tarantole erano molte» (51), se si ritiene auspicabile che le tarantole sopravvivano almeno nelle nostre case e nelle nostre strade e continuino a tessere le loro tele tenendo unite le persone, allora sono la qualità dei legami comunitari che i danzatori devono difendere ed ostinarsi a ballare.
 20 gennaio 2021

1)  Vorrei ringraziare il prof. Piergiorgio Donatelli e il dott. Vincenzo Santoro per aver visionato il testo e avermi dato preziosi suggerimenti per migliorarlo. Uno speciale ringraziamento va inoltre alla prof.ssa Natalia Gozzano, per il costante supporto che mi ha fornito durante la stesura e la revisione del lavoro, nonché alla dott.ssa Fausta Rotondo, alla dott.ssa Amalia Pistilli e a tutti gli amici danzatori che si sono confrontati con me durante l'elaborazione dello scritto.
2) Per l'interpretazione di Wittgenstein in questione si veda: Stanley Cavell, The Claim of Reason. Wittgenstein, Skepticism, Morality, and Tragedy, Oxford University Press, Oxford 1979; ed. it., La riscoperta dell'ordinario. La filosofia, lo scetticismo, il tragico, Carocci, Roma 2001; Piergiorgio Donatelli, Wittegenstein e l'etica, Laterza, Roma-Bari 1998; James Conant - Cora Diamond, Rileggere Wittgenstein, Roma, Carocci, 2010.
3) Ludwig Wittgenstein, Zettel, Einaudi, Torino, 1986, pag. 38 § 173 (I ed. Zettel, Blacwell, Oxford, 1967).
4) Vocabolario della lingua italiana, diretto da Aldo Duro, Treccani, Roma 1994, ad vocem Tarantella, vol. IV, pag. 735 (parentesi quadre mie).
5) Idem.
6) L'etimologia del termine tarantella è in genere derivata da quella di Tarantola o dalla città di Taranto (Cfr. Carmelina Naselli, “L'etimologia di «Tarantella»”, in Archivio storico pugliese, IV, fasc. 3-4, 1951, pp. 218-27. In tale breve, ma documentato lavoro l'autrice perviene all'estensione semantica del termine tarantella ricostruendo il modo in cui esso è stato utilizzato a partire dal secolo XI in una serie di autorevoli fonti scritte).
7) In Salento, dove il fenomeno del tarantismo è rimasto più persistente tanto da essere crepuscolarmente ancora osservabile da Ernesto De Martino alla fine degli anni cinquanta del secolo scorso, per distinguere le due danze ballate sostanzialmente sulla stessa melodia, venivano assegnate due diverse denominazioni: «pizzica tarantata» per il ballo utilizzato a fini terapeutici, «pizzica-pizzica» per quello ludico sociale (o almeno queste sono le espressioni fornite dal celebre barbiere e violinista di tarantate Luigi Stifani). Per una ricostruzione storica dell'uso del termine “pizzica-pizzica” e “pizzica-tarantata” si veda: Giuseppe Michele Gala, La pizzica ce l'ho nel sangue, in Vicenzo Santoro-Sergio Torsello (a cura di), Il Ritmo Meridiano, Edizioni Aramirè, Lecce 2002, pp. 116-120.
8) Diego Carpitella, L'esorcismo coreutico-musicale del tarantismo, in Ernesto De Martino, La terra del Rimorso, Il saggiatore, Milano 1961, pp. 335-372: pag. 336.
9) Abbastanza numerosi sono tuttavia i casi di tarantelle profane di gruppo, come ad esempio quella pastorale del Pollino o quella carnevalesca processionale di Montemarano in Irpinia.
10) Nella prima direzione vanno P. Pellegrino e P. De Giorgi nonché soprattutto A. Costa che giunge ad ipotizzare una sostanziale continuità e rapporto di filiazione tra danze orfico-dionisiche, tarantella liturgica e tarantella profana, nella seconda G. M. Gala. Quest'ultimo, attenendosi prudenzialmente alle documentazioni disponibili, individua le origini della tarantella profana nel bacino delle danze a sfondo ludico sociale praticate inizialmente in epoca medioevale e umanistico-rinascimentale che verranno successivamente influenzate e modificate in età moderna e contemporanea dalle principali danze sociali ballate dai nobili nelle corti europee (valzer, polke, mazurke,) ed emulate prima dalla borghesia e poi dai contadini (cfr. Paolo Pellegrino, Il ritorno di Dioniso, Congedo Editore, Galatina 2004; Pierpaolo De Giorgi, L'estetica della tarantella, Congedo Editore, Galatina 2004; Armida Costa-Barbara Costa, La tarantella, Newton Compton, Roma 1999; Giuseppe Michele Gala, La pizzica ce l'ho nel sangue, cit, pp. 109-143; Giuseppe Michele Gala, Danza popolare e questioni storiche, Edizioni Taranta, Firenze, 2011-12, spec. pp. 173-226.). Va da sé che chi propende per la prima direzione è maggiormente incline a interpretazioni quasi completamente libere delle tarantelle profane.
11) Ernesto De Martino, Sud e Magia, Feltrinelli, Milano 1959.
12) Ernesto De martino, La terra del rimorso, cit.
13) Il numero di pubblicazioni inerenti al tarantismo è estremamente ampio ed è in continua crescita nel corso degli anni, basti pensare che la bibliografia sul tema di G. Mina e S. Orsello, ferma ai lavori editi fino al 2006, conta più di mille titoli (cfr. Mina Gabriele - Orsello Sergio (a cura di), La tela infinita. Bibliografia degli studi sul tarantismo mediterraneo 1945-2006, Besa, Nardò 2006). Per una bibliografia sul tarantismo aggiornata al 2014 si veda Vincenzo Santoro, on line: http://lnx.vincenzosantoro.it/bibliografia-sul- tarantismo/ (u. v. 14/06/2020).
14) Il successo di un testo come La terra del rimorso è stato tale che in alcuni studiosi e accademici salentini (di nascita o di elezione) è da diversi anni in atto, per reazione al pensiero dominante, secondo diverse direzioni e orientamenti, un processo di sostanziale o parziale revisione delle conclusioni a cui era pervenuto De Martino. Si vedano, per esempio, al riguardo i seguenti saggi: Paolo Pellegrino, Il ritorno di Dioniso, cit.. Luigi Chiriatti, Morso d'amore. Viaggio nel tarantismo salentino, Capone Editore, Lecce 1995. Georges Lapassade, Essai sur le trance, Delarge, Paris 1976; ed. it. Saggio sulla trance, trad. di G. Lapassade, Feltrinelli, Milano,1980.
15) Sulle difficoltà intrinseche alla natura dei contenuti della cultura popolare e alle metodologie attraverso cui descriverli si veda: Leonardo Piasere, L'etnografo imperfetto. Esperienza e cognizione in Antropologia, Laterza, Bari 2002.
16) Sulle varie versioni del mito di Pulcinella si veda: Domenico Scafoglio-Luigi Maria Lombardi Satriani, Pulcinella. Il mito e la storia, Leonardo, Milano 1992.
17) Cfr. ad esempio al riguardo, Giuseppe Michele Gala, La pizzica ce l'ho nel sangue, cit., pp. 111-116.
18) Nella più limitata delle circostanze la famiglia allargata, più spesso un insieme variamente esteso di reti parentali e amicali se non, nella maggior parte dei casi, di un intero paese che si riuniva per celebrare particolari eventi. I balli avevano pertanto momenti più rari e occasionali rispetto alle musiche per essere praticati e dovevano essere riconosciuti e conservati da un insieme relativamente numeroso di soggetti.
19) La tipologia delle feste popolari connesse alle tarantelle è estremamente varia e spazia dai momenti episodici di aggregazione spontanea, agli anniversari, ai matrimoni e alla celebrazione di determinate ricorrenze pagane (come ad esempio il carnevale) o religiose legate prevalentemente al culto mariano e dei santi cattolici. Solo a titolo di esempio si vedano al riguardo: Giuseppe Michele Gala, Il lungo ballo della follia. Diffusione e tipologia dei balli carnevaleschi, in Franco Castelli - Pierpaolo Grimaldi (a cura di), Maschere e corpi. Percorsi e ricerche sul carnevale, Edizioni dell'Orso, Alessandria 1999, pp. 495-519; Ettore Castagna, U sonu. La danza nella calabria Greca, Squilibri, Roma 2007; Patrizia Gorgoni - Gianni Rollin, Tammurriata. Canto di popolo, Altrastampa Edizioni, Napoli 1997.
20) Non risulta infatti da nessuna fonte di cui sono a conoscenza che le danze popolari costituissero una forma, nemmeno secondaria, di reddito. Diverso è il caso dei musicisti popolari che, tradizionalmente, suonavano in alcune circostanze a pagamento e in altre gratuitamente per il proprio e altrui divertimento; particolarmente interessante, anche se legato al fenomeno del tarantismo, è l'episodio narrato da A. Kisher e due volte citato ne La terra del rimorso, in cui si afferma che, in taluni momenti, per far fronte alla domanda di musicoterapeuti da parte della popolazione più povera, nella zona di Taranto nel XVII secolo l'amministrazione locale si facesse carico della spesa per essa istituendo appositi pubblici funzionari (cfr. Athanasius Kircher, Magnes sive de arte magnetica opus tripartitum, Typographia Ludouici Grignani, Roma 1641, pag 761, cit. in Ernesto De martino, La terra del rimorso, cit. pp.137-138).
21) La consuetudine di effettuare riprese, specie negli strati popolari, è un fenomeno degli ultimissimi anni, pertanto le fonti accessibili agli etnocoreutici sono essenzialmente diari e descrizioni da parte di occasionali viaggiatori (si veda, ad esempio, al riguardo: Giorgio di Lecce, I viaggiatori Europei del 700 e le tarantelle del Sud d'Italia, in Fabio Mollica [a cura di], Aspetti della cultura di danza nell'Europa del Settecento: atti del Convegno Bologna e la cultura europea di danza nel Settecento, Bologna, 2-4 giugno 2000, Ed. Società di Danza, Bologna 2001, pp. 90-113) e, con molte cautele, alcune illustrazioni da cui è quasi impossibile evincere la struttura e i modi coreutici della danza rappresentata; diversa è invece la situazione per le musiche in cui è relativamente frequente il caso di musicisti popolari che pur ignorando le regole della grammatica musicale si sono inventati autonomi sistemi per trascrivere e conservare una melodia (si veda ad esempio l'originale modo di trascrivere le melodie musicali elaborato da celebre violinista di tarantate L. Stifani in Luigi Stifani, Io al Santo ci credo, diario di un musico delle tarantate, Edizioni Aramirè, Lecce 2000, pp.135-136 e pag. 141).
22) Sulle origini popolari del tango, sulla sua diffusione tra le diverse classi sociali e sui luoghi in cui veniva praticato ed appreso si veda il documentato testo: Hugo Lamas-Enrique Binda, El tango en la sociedad portena, 1880-1920, Héctor Lorenzo Lucci Ediciones, Buenos Aires 1998.
23) Emblematico è il caso della Notte della taranta a Melpignano. Per chi fosse interessato ad approfondire la storia e le dinamiche attraverso cui nel Salento, a partire dagli anni settanta fino ai giorni nostri, si è sviluppato tale fenomeno, specialmente dal punto di vista dei personaggi, gruppi musicali e soggetti che le hanno poste in essere, si consiglia la lettura di Vincenzo Santoro, Il ritorno della taranta, Squilibri, Roma 2009. Sul fenomeno della neopizzica si vedano anche: Giuseppe Michele Gala, Sonu, saltu, cantu, coloribus. Balli tradizionali in Puglia tra storia e società, in «Rivista della Federazione Italiana di Tradizioni Popolari», Il Folklore d'Italia: La Puglia, n. 2, 2007, pp. 10-39: pp. 13-15 e Vicenzo Santoro - Sergio Torsello ( a cura di), Il Ritmo Meridiano, cit..
24) Cfr. John Elster, Sour Grapes, Cambridge University Press, Cambridge, 1983; ed. it. Uva acerba, La Feltrinelli, Milano 1989 e Paul Watzlawick - Janet Beavin-Jackson Donald de Avila Helmick, Pragmatics of Human Communication, W. W. Norton & Company, New York City 1967; ed. it., Pragmatica della Comunicazione Umana, Astrolabio, Roma 1971.
25) Cfr. nota 27 del presente lavoro.
26) Si veda Stanley Cavell, Conditions Handsome and Unhandsome: The Constitution of Emersonian Perfectionism, University of Chicago Press, Chicago 1990; ed. it. Condizioni Ammirevoli ed Avvilenti: La Costituzione del Perfezionismo Emersoniano, Armando Editore, Roma 2014.
27) Qui la vergogna non è da intendersi in senso conformista come la percezione della propria incapacità ad adeguarsi al mondo nella propria vita ordinaria, ma al contrario come una sollecitazione a riconfigurare la propria forma di vita. Sulle diverse nozioni di vergogna si veda Martha Craven Nussbaum, Hinding from Humanity: Disgust, Shame and the Law, Princeton University Press, Princeton 2004; ed. it Nascondere L'umanità. Il disgusto, la vergogna, la legge, Carocci, Roma, 2005.
28) Cfr. Cavell Stanley, Pursuits of Happiness: The Hollywood Comedy of Remarriage, Harvard University Press, Cambridge (MA) 1981; ed it., Alla ricerca della felicità. La commedia hollywoodiana del rimatrimonio, Einaudi, Torino, 1999 e Sandra Laugier, Etica e politica dell'ordinario, LED, Milano 2015, spec. pp. 175-198.
29) Più in generale, sul complesso rapporto tra “folk” e “popular” studies e sulla necessità di dover riformulare le categorie classiche utilizzate dai ricercatori di demologia a seguito dei repentini processi di metamorfosi dei loro oggetti di studio è in atto una profonda riflessione tra gli antropologi di cui non si può render conto in questa sede. Per una panoramica su tali problemi si veda: Pietro Clemente, Il punto sul folklore, in Pietro Clemente - Fabio Mugnaini (a cura di), Oltre il folklore. Tradizioni popolari e antropologiche nella società contemporanea, Carocci, Roma 2001, pp. 187-219.
30) Per i criteri tassonomici con cui vengono ripartite le varie tarantelle si veda Giuseppe Michele Gala, Danza popolare e questioni storiche, cit., pp. 172-176.
31) Sandro Portelli, Prefazione a Vincenzo Santoro, Il ritorno della taranta, cit., pag. 8.
32) Per un quadro generale delle danze tradizionali italiane si veda: Anton Giulio Bragaglia, Danze popolari italiane, ENAL, Roma 1950; AA. VV., La danza tradizionale in Italia, Tipografia il Bagatto, Roma 1981; Giuseppe Michele Gala, Danza popolare e questioni storiche cit..
33) Sulle tarantelle calabresi si veda: Ettore Castagna, U sonu. La danza nella calabria Greca, cit. e Giuseppe Michele Gala, Appunti sulla tarantella in Calabria, in «Rivista della Federazione Italiana di Tradizioni Popolari», Il Folklore d'Italia: La Calabria, n. 1, 2006, pp. 5-14.
34) Sulla pizzica-pizzica si veda: Giuseppe Michele Gala, La pizzica ce l'ho nel sangue, cit. e Id., Sonu, saltu, cantu, coloribus. Balli tradizionali in Puglia tra storia e società, cit., pp. 10-39.
35) Sulle tammurriate si veda: Patrizia Gorgoni-Gianni Rollin, Tammurriata. Canto di popolo, cit..
36) In realtà questo era molto meno vero in passato. Come si è già in precedenza accennato, la tipologia delle feste in cui sono nate (e in cui ancora si collocano) le tarantelle è estremamente varia, si passa da momenti di aggregazione spontanea a quelli di determinate ricorrenze pagane o religiose (cfr. nota 19 del presente lavoro). Ogni tarantella pertanto sviluppava una serie di specifiche funzioni relative alle feste a cui era connessa.
37) Ancora oggi, sempre più raramente e comunque in maniera differente rispetto al passato, è possibile assistere a tarantelle intimamente connesse alle feste religiose in cui sono inserite. In queste circostanze, piuttosto che cercare di imitare le gestualità in qualche misura ancora intrise di motivazioni mistico rituali che caratterizzano gli ormai rari portatori naturali di tali danze, è quasi sempre meglio limitarsi ad osservarle nella maniera meno invasiva possibile. Per i problemi relativi ai processi di secolarizzazione a cui sono soggette attualmente le feste religiose si veda: Natale Spineto, La festa, Laterza, Roma-Bari 2015, spec. cap. I e II.
38) Mi è capitato ad esempio di partecipare a una tarantella in una cerimonia civile di lutto per la scomparsa di una persona. É ovvio che in tali circostanze, l'esternazione del proprio divertimento non costituisce la maniera più appropriata per danzare la tarantella in questione.
39) Com'è noto a tutti gli appassionati, ogni tarantella (specie quelle in cui ballano, al centro del cerchio, poche coppie o una coppia per volta) dispone o disponeva di alcune modalità specifiche con cui disciplinare questo passaggio: in alcune, come ad esempio la tarantella calabrese, esiste una figura, “u mastru i ballu”, che, godendo di prestigio sociale all'interno della comunità, stabilisce, volta per volta, la composizione delle coppie e la durata del ballo (cfr. Ettore Castagna, U sonu. La danza nella calabria Greca, cit.), in altre è il buon senso della coppia subentrante a stabilire il momento della sostituzione, in altre ancora (ad esempio le tammurriate) esistono alcuni specifici momenti del ballo in cui si può subentrare ad uno dei ballerini.
40) Se, quanto ed eventualmente come la particolare natura di tale conoscenza perfezionista possa essere messa in rapporto con la prospettiva dell'osservazione partecipante utilizzata in antropologia è un problema complesso che sconfina dal perimetro del presente lavoro. La questione è resa ancora più articolata per le diverse sfumature che la categoria di osservazione partecipante riveste tra gli studiosi di antropologia, nonché per le inevitabili differenze che caratterizzano l'atteggiamento dell'appassionato di danza da quello dell'antropologo o dello studioso di demologia. Per un'analisi critica, a sua volta oggetto di dibattito, relativa alla metodologia della osservazione partecipante e più in generale alle principali categorie dell'antropologia si rimanda al classico testo di Clifford Geertz, Local knowledge. Further essays in interpretative anthropology, Basic Book, New York, 1983; ed it. Antropologia interpretativa, Bologna, Il Mulino, 1988. Su tali argomenti si veda anche Pietro Clemente, Il punto sul folklore, cit..
41) I documenti, prevalentemente registrazioni sonore, delle musiche appartenenti alla famiglia delle tarantelle e i relativi studi su di esse sono numerosissimi. Un importante archivio di documenti relativi alla musica popolare del sud Italia è liberamente accessibile all'indirizzo http://www.archTviosonoro.org/ grazie alla Rete degli Archivi Sonori in cui confluiscono i principali fondi e raccolte sia pubblici che privati. Per un approfondimento del repertorio musicale inerente alle tarantelle dell'area campana si veda il testo di Roberto De Simone, Canti e tradizioni popolari in Campania, Lato Side, Roma 1979, che costituisce un vero e proprio classico di genere.
42) A determinare lo stato di cose descritto concorrono ovviamente tutta una serie di elementi più generali che trascendono le tarantelle e sono presenti in tutti i momenti di festa a cui sono associati musiche o balli. Per i processi sentimentali e mimetici che intervengono nelle feste in presenza di ritmi musicali e per i legami che essi instaurano tra i partecipanti a tali eventi si veda: Paolo Apolito, Ritmi di festa. Corpo, danza, socialità, Il Mulino, Bologna 2014.
43) Il concetto di «vedere come» è sviluppato prevalentemente da L.Wittgenstein nella seconda parte delle Ricerche Filosofiche (cfr. Ludwig Wittgenstein, Philosophische Untersuchungen, Basil Blackwell, Oxford 1953; ed. it. Ricerche Filosofiche, Einaudi, Torino 1967) e nelle Osservazioni sulla filosofia della psicologia (cfr. Ludwig Wittgenstein, Bemerkungen uber die Philosophie der Psychologie, Basil Blackwell, Oxford 1980; ed. it. Osservazioni sulla filosofia della psicologia, Adelphi, Milano 1990) ed è particolarmente esemplificativo della serie di paradossi in cui si incorre quando si prova a render conto del significato di un segno astraendolo dalla vita delle persone che lo utilizzano.
44) Cfr. nota 13 del presente lavoro.
45) Per una descrizione di come vengono ballate attualmente le tarantelle e in particolare la pizzica- pizzica, si vedano: Giuseppe Michele Gala, La pizzica ce l'ho nel sangue, cit. e Katya Azzarito, Guarda come balla. Trasformazioni e innovazioni della pizzica- pizzica, Progedit, Bari 2016.
46) Nella stessa direzione di questa constatazione empirica fondata sull'esperienza e il buon senso sembrano andare anche i recenti studi sulle neuroscienze e i neuroni specchio che suggeriscono come il rapporto tra particolari esperienze emotive e le corrispondenti espressioni posturali in un individuo siano di natura circolare, per cui assumo una determinata espressione perché ho una certa emozione, ma altre volte ho una certa emozione in quanto assumo una determinata espressione (Cfr. al riguardo Giacomo Rizzolatti- Corrado Sinigaglia, So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio, Raffaello Cortina editore, Milano 2006). Dunque riuscire ad assimilare una determinata postura in una tarantella, da un lato, è possibile solo condividendo parti della propria vita con il contesto in cui si è sviluppata tale tarantella, ma, dall'altro, osservare una particolare postura e provare ad assumerla costituisce a sua volta un modo per entrare a far parte di tale contesto ed essere capace di condividerlo (a tale riguardo si veda: Natalia Gozzano, Vedere con il corpo. Spunti sull'apporto del neurocognitivismo all'insegnamento della storia dell'arte nell'Accademia nazionale di danza, Recherches en danse, n. 5, 2016, on line: http://journals.openedition.org/danse/1374 [u.v. 08/06/2020]).
47) Cfr. nota 1 del presente lavoro
48) Ludwig Wittgenstein, Ricerche Filosofiche, cit.
49) Piergiorgio Donatelli, Etica, Einaudi, Torino 2015, pag. 392.
50) Cesare Pavese, La luna e i falò, Einaudi, Torino 1950, pag. 9.
51) Luigi Stifani, io al Santo ci credo, cit. ,pag. 42