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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Il nuovo spettacolo della Compagnia Cuocolo/Bosetti prende il via dal Museo di Palazzo Chiericati di Vicenza

Natalia GozzanoIcoPDFdownload

“Ya no hay locos, ya no hay locos”. È una canzone di Paco Ibañez che allude all’oppressione delle diversità, alla normalizzazione, alla mancanza di libertà.
Arte e libertà: arte è libertà? Impossibile generalizzare. Parlerò allora della mia libertà, della mia arte. Arte non praticata ma studiata, da molti anni. Con costanza, impegno, rigore investigativo, almeno cercato. Ma oggi, in questo periodo in cui siamo chiamati a controllare, frenare, sospendere la nostra libertà, ascolto con attenzione e meraviglia l’arte. L’arte raccontata dall’arte.
Com’è entrare in un museo accompagnati dalla voce di un’attrice, dalla voce del teatro che ci racconta di quadri visti e ricordati? Di quadri attraverso i quali si entra in altri quadri, in altre immagini? È una mostra lunga 100 dipinti, alcuni appesi sui muri reali del museo ma la maggior parte ricordati o immaginati.
Quella a cui ho assistito non è stata una visita al museo come tante. E per me, storica dell’arte, è stato difficile sottrarmi alla mia visione abituale, al mio dialogo a tu per tu con le opere. In questo dialogo si è inserita una voce, la voce di Roberta Bosetti, che parlando a un microfono collegato alle cuffie ci parlava, a me agli altri spettatori (1).
Ha cominciato a parlarci quando ancora eravamo in attesa, davanti al museo: la sua voce ci è giunta da lontano, confusa con i rumori della città, degli autobus, delle voci dei passanti.
Come persa nei suoi pensieri, Roberta parla di una sua idea ricorrente: la tentazione di telefonare a qualcuno che non c’è più. Lasciare che il telefono squilli a vuoto e immaginarsi il luogo in cui squilla. Immaginare di comporre il numero di qualcuno che abbiamo amato, che era parte della nostra vita. Il nostro atto del telefonare è possibile ma parlare con loro non lo è più. Solo i telefoni di un tempo permettono questa fantasia, ora i numeri dei cellulari non più in uso vengono ridistribuiti. Eppure non abbiamo il coraggio di cancellarli dalla nostra rubrica quei numeri, come se un ultimo, tenue, assurdo, immaginario quanto resistente legame ancora li rendesse parte delle nostre vite. Immaginare la vita, forse è questo che l’arte ci consente, forse è questo che la rende indispensabile.
Poi Roberta ci racconta di una telefonata reale, di quelle provenienti da un telefono che stava in un punto fisso della casa, e lei che solleva la cornetta e dice: - pronto? Dall’altro capo della linea le risponde una voce: - sono Balthus. Avrebbe sempre voluto chiedergli cosa sognano le sue fanciulle addormentate. Ma è una domanda che resta senza risposta.
Nel frattempo, è arrivata davanti al museo di Palazzo Chiericati e ci ha invitato a entrare. Eccoci davanti alle tele di Tiepolo, Piazzetta, Memling, Jacopo Bassano, Bartolomeo Montagna … Eccoci davanti a racconti che si sono svolti in un tempo lontano e che ora noi fissiamo con occhi interroganti.
Mentre camminiamo per le sale del museo, Roberta continua a parlarci di quadri, tanti quadri, di autori diversi e di tempi diversi. Uno in particolare ricorre nella sua narrazione: L’allegoria della pittura di Johannes Vermeer. Un dipinto straordinario e non solo per le sue qualità pittoriche. È uno specchio del nostro pensare all’arte, è uno specchio di noi stessi e del nostro rapporto con la realtà e con l’immaginario. Un pittore, ripreso di spalle, è intento a dipingere una modella vestita di azzurro e con una corona di alloro sul capo, che tiene un libro e una tromba nelle mani. All’epoca di Vermeer i quadri non avevano titoli (diffusi a partire dal XIX secolo): negli inventari erano semplicemente descritti in base a ciò che mostravano. E dunque la tela di Vermeer è variamente conosciuta come L’arte della pittura, Il pittore e la sua musa, l’Atelier, Allegoria della pittura. È  l’emblema del nostro rapporto con l’immaginario.
Scorrendo il catalogo dei 100 dipinti che Roberta elenca, come un promemoria, come un rituale, quasi fossero i grani di un laico rosario, ripensiamo ai nostri ricordi delle visite ai musei, alle gallerie e alle mostre in cui quei dipinti sono esibiti. E la sensazione del rituale riemerge: guardiamo le opere d’arte spesso in contesti del tutto differenti rispetto a quelli per i quali furono create, che erano palazzi nobiliari, residenze private, chiese. E noi, raccolti fra le mura di musei e gallerie, risuoniamo di quegli squilli che suonano a vuoto in altre stanze, in altri luoghi che non sono più.
Il nostro sguardo si posa su quelle tele, spinti dalla febbre dell’ammirazione. Ma “l’ammirazione rende ciechi” ammonisce Roberta. Cosa ci succede davanti alle opere d’arte? Riusciamo veramente a guardarle per quello che sono? Riusciamo, una buona volta, a liberarci dei nostri pensieri, delle nostre aspettative?
Le immagini delle opere citate da Roberta continuano ad apparire nei nostri occhi interiori: vediamo i Coniugi Arnolfini, le Attese di Lucio Fontana, gli autoritratti di Frida Kahlo … un mondo di arte che riempie le nostre menti e che ci portiamo appresso. Come un ricordo realmente vissuto, a volte. E che si mescola con i ricordi della vita. Con i ricordi dei viaggi: come quello che Roberta fece a Parigi, una volta che aveva bisogno di partire, di dimenticare, di voltare pagina. Si dice così, non è vero? Ci chiede. Quando si ha un dolore, si dice che il rimedio migliore è andare via, partire. E così ci racconta di quella volta che andò a Parigi e dei suoi incontri là con Laurie Anderson e Sophie Calle. Prenez soin de vous, prenditi cura di te, è uno dei 100 titoli (2).
Passando da una sala all’altra del museo, l’osservazione dei personaggi ritratti sulle tele si mescola ancora una volta con le esperienze vissute e con i ricordi della propria storia. Come sono diversi quegli uomini e donne sfarzosamente abbigliati dai tanti uomini e donne che non compaiono nei quadri ma i cui racconti sono ancora vividi nella mente di Roberta. Sua nonna non aveva abiti eleganti e nemmeno le scarpe! Tanto che in inverno, col freddo che faceva venire i geloni, per scaldarseli ci pisciava sopra.
Usciamo dal museo, la visita è finita. Cosa ci rimane? Troppo poco, come quella frase che fa da leitmotiv negli spettacoli della compagnia Cuocolo-Bosetti: “Ho detto troppo. Forse non ho detto abbastanza”. Nemmeno l’arte può darci risposte, può scaldarci il cuore e i piedi induriti dai geloni. Eppure, è tutto quello che abbiamo. Eppure, entrando a piedi scalzi nell’atelier del pittore, ritroviamo un po’ della nostra libertà e della nostra follia.
20 luglio 2021
⁕ Lo spettacolo è prodotto da NPU Nuovi Paesaggi Urbani di Nicolò Bassetti e dal Teatro di Dioniso di Torino; la prima tappa è stata realizzata su invito del Teatro comunale di Vicenza; la prossima, dal 5 al 7 novembre, sarà al Castello di Rivoli in collaborazione con il Museo d’Arte Contemporanea, per il Festival delle Colline Torinesi. Il progetto è curato da Gaia Morrione.
1) Così come nei precedenti e acclamati spettacoli, fra cui The Walk, Underground e Dickinson’s Walk, che si sono tenuti in numerose città, anche in questa occasione, con l’ausilio di cuffie Roberta Bosetti svolge un racconto interiore immersa in uno spazio condiviso con il pubblico.
Fondato a Roma nel 1978 da Renato Cuocolo l’IRAA Theatre (Istituto di Ricerca sul’Arte dell’Attore) si è trasferito a Melbourne nel 1988 dove ha realizzato una serie di quattro trilogie (Theatre of Images, A Vision of the Void, The Trilogy of Water, The Exile Trilogy). A partire dal 2000, la compagnia Cuocolo/Bosetti presenta Interior Sites Project, composto da 11 spettacoli differenti, presentati in ventisei nazioni di quattro continenti. Con questo progetto la compagnia riceve importanti riconoscimenti internazionali e una grande attenzione critica. La Cuocolo/Bosetti diventa la principale compagnia australiana d’innovazione ed è nominata Flag Company dall'Australia Council e da Arts Victoria. Dal 2012 apre una sede anche in Italia, a Vercelli, dove con il contributo dell'Australia Council ed alcuni dei principali festival teatrali italiani presenta una serie di lavori nuovi e di repertorio. Gli ultimi lavori della compagnia sono stati presentati con successo e interesse critico in numerosi Festival tra cui ricordiamo: Wiener Festwochen, Adelaide International Festival (2 edizioni), Melbourne International Arts Festival (4 edizioni), Sydney Olympic Art Festival (2 edizioni), Olinda Milano (5 edizioni), Contemporanea Teatro Metastasio Prato (8 edizioni), Festival delle Colline Torino Creazione Contemporanea (11 edizioni), A Teatro nelle Case Ariette (6 edizioni), Teatro della Tosse Genova Capitale Europea della Cultura, Teatro Eliseo Roma, Es.Terni, Festival Internazionale di Andria, Contemporary Theatre San Diego, Lincoln Centre New York, Cite’ Paris, Calais Le Channel Scène Nationale, Goteborgs Dans & Teater Festival (2 edizioni), Waseda International Centre Tokyo, Funaro Pistoia (2 edizioni), Le Vie dei Festival Roma, Vie (ERT), Fondazione Merz. Vincitori di numerosi premi tra cui Unesco Awards (USA) Green Room Award, MO Award, Premio Cavour (Australia) e nel 2015 del Premio Hystrio (Italia) come miglior compagnia di innovazione, i loro spettacoli sono allestiti spesso in spazi non teatrali, case ed hotel dove vivono, gallerie d'arte, oppure strade o dentro la metropolitana. Vedi il sito della compagnia (www.cuocolobosetti.org) e i libri Interior Sites Project. Il teatro di Cuocolo/Bosetti IRAA Theatre a cura di Laura Bevione, Titivilius 2017 e Cuocolo/Bosetti, The Secret Room, Teatro delle Ariette Edizioni 2006.
2) Prenez soin de vous (prenditi cura di te), è l’opera con cui Sophie Calle ha reagito al dolore di essere stata abbandonata dal suo compagno: ha chiesto a 107 donne di interpretare a loro modo il testo della mail con cui l’uomo la lasciò, che terminava con la frase Prenez soin de vous. L’opera è stata presentata al Padiglione della Francia alla Biennale di Venezia del 2007.