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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Interpretare una visione: commento di un’opera danzata

Beatrice Gatti
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Filippo Porro e Simone Zambelli, affermati danzatori del panorama attuale della danza contemporanea, partecipano alla rassegna Carne – focus di drammaturgia fisica curato da Michela Lucenti all’interno della stagione di ERT (Emilia Romagna Teatro Fondazione) – con Ombelichi tenui. Ballata per due corpi nell’aldilà, il loro primo spettacolo come duo autoriale. (1)
Frutto di vari percorsi residenziali, il lavoro ha attraversato molteplici fasi di creazione e indagine, approdando ad una forma definitiva pienamente consapevole e densa di contenuti significativi, che esplora ed interroga l’evento morte per scovare le verità più recondite sottese al mistero della vita. Ballata per due corpi nell’Aldilà è un concentrato di poesia che evoca, vibra e muove, affinché ciascuno possa attraversare, sfiorare o acchiappare il proprio immaginario di vita, morte e rinascita.
Due anime vacanti di nero vestite compaiono silenziose nel Chiostro dell’Arena del sole; s’insinuano tra gli spazi del pubblico, i loro spostamenti muovono gli sguardi favorendo incroci, connessioni, curiosità, suspense. Passo cadenzato, sguardo spaesato, nessuna direzione sembra dirigerli. Qualche lieve esitazione su qualcuno o qualcosa sospende il tempo. Poi, nel silenzio richiamato, scompaiono: ci invitano a seguirli, a camminare con loro per oltrepassare la soglia della realtà contingente e inabissarci nell’ignoto.
Questo parodo costruisce una condizione subliminale di tensione e sospetto verso la presunta, imminente apparizione di qualcosa che non si conosce, di cui nessuno sa nulla, come la morte, che si definisce tale rispetto al mondo manifesto in cui viviamo e che inevitabilmente suggerisce una proiezione verso un altrove – forse un’ipotetica e utopica realtà in cui trascendere la fragilità della materia e della consistenza umana per lasciar governare l’insieme di forze sottili e invisibili che fanno esistere le cose oltre le cose, la parola prima della parola.
Cogliamo ed accogliamo l’invito e, per osmosi, seguiamo la scia tracciata dai danzatori per condurre il pubblico nel luogo prescelto – la sala Thierry Salmon dell’Arena del Sole è raccolta: il palcoscenico è posto quasi alla stessa altezza della platea e ad una distanza che delicatamente separa. Lo spostamento collettivo enfatizza l’azione corale di presenze la cui presenza simultanea per condivisione d’intenti delinea la dimensione rituale che così si va inscrivendo.
Il dispositivo scenico in cui veniamo introdotti è uno spazio-tempo dilatato e alterato, in cui tutto sembra muoversi in tumulto e nulla sembra muoversi davvero: nel buio arcano di un luogo indefinito due presenze animalesche trasportano da un punto ad un altro pietre e rocce bianche sparpagliate ricollocandole e sorvegliandole, nella ripetitività di un’azione archetipicamente senza tempo. Una dimensione di tensione estatica avvolge e stringe: lo scenario costruito ha le sembianze di una zona limite che si affaccia aldilà dell’hic et nunc del presente. Cosa accadrebbe se si potesse fermare il tempo pochi attimi prima di lasciare l’intera nostra complessità in una tangibile assenza; a cosa sceglieremmo di aggrapparci, cosa avremmo ancora bisogno di toccare, vedere o dire, quali sensazioni legate alla materia viva vorremmo ancora esperire, a quale stato psicofisico ci appoggeremmo, e cosa invocheremmo? Queste domande prendono forma nel secondo scenario che Ombelichi Tenui ci presenta: un’anticamera della vita, un limbo, una zona di transito spoglia e quasi ovattata in cui due corpi, posti in una condizione di relazione costante, si aprono alla soggettività vivendo ed esperendo il significato ed il valore della presenza, dell’abbandono, della solitudine, della metamorfosi ed infine, come conseguenza di quest’ultima, il mistero della sparizione. Il movimento, il gesto ed il contatto fisico restituiscono, con tutta la carica espressiva che temi di questo tipo possono suscitare, il pathos di un vissuto a due che, spingendosi sempre oltre il limite di un equilibrio ordinario, evoca la “dipendenza” affettiva dell’anima dalla carne, dalla materia viva che si può consumare, e inevitabilmente dalla presenza dell’Altro. In che modo si può riflettere sulla presenza di un corpo animato e vissuto senza considerarlo in relazione all’Altro? La condizione di assenza si determina sempre in relazione a qualcosa che la definisce tale. Tutte le questioni umane acquistano valore e si caricano di peso per mezzo di un rapporto di significazione tra le parti che, svanendo, proclamerebbe la morte di ciò che era così sostenuto. Di fatto, volendo ragionare sui significati intrinseci dell’evento-morte nella sua accezione più ampia, si può avviare una riflessione attorno al binomio presenza-assenza che si riconduce alla dimensione fisica della materia e, guardando oltre, a quella metafisica, legata alla sfera affettiva e spirituale del corpo, della sua energia e memoria. Di ogni piccola morte quotidiana, cosa resta e cosa rimane? Cosa ignoriamo, cosa lasciamo andare, cosa invece tratteniamo?
Attraversando traiettorie e tragitti nello spazio, le due anime si riconoscono l’uno la penombra dell’altro, l’uno lo spazio vuoto dell’altro. Come procedere consapevolmente insieme su uno stesso tracciato? Quanto spazio per me, quanto spazio per te? Della loro compresenza traspare talvolta un’inconsapevolezza che suggerisce normalità e naturalezza, la semplicità dello stare insieme condiviso nell’abitudine, nella noia, nei silenzi; talvolta il confronto fa emergere le individualità, ma l’intento è coesistere lungo un percorso comune: i corpi sono dichiaratamente impegnati a trovare soluzioni e forme sempre nuove per guidare e lasciarsi guidare, e così convergere. Dialoghi muti di incastri, prese, tiramenti e spostamenti parlano di comprensione e repulsione, fiducia e negazione, sostegno e ancoraggio, abbandono e morte reciproca: un’anima al cospetto dell’altra, un avvicendarsi senza fine alla ricerca di un approdo che sia di transito per una metamorfosi.
Il corso naturale delle cose risponde ad una ciclicità che nella ripetizione avvia processi metamorfici; quando la si lascia fluire non esiste più un inizio né una fine di contenimento, bensì trasformazione ad infinitum - evoluzione. Un ultimo residuo loop di movimento in controluce scivola e sfuma nello spazio infinito di un buio che lascia depositare la percezione delle immagini collettivamente assorbite per proiettarla nell’immaginario individuale. Un nulla pieno e risonante cade nella grana di una voce inconfondibile come quella di Lou Reed che, condensando sensazioni, catalizza il Vanishing Act suggerito dalle sue stesse parole, e sì facendo cristallizza quel fenomeno criptico di condizioni per cui è possibile “essere e sentirsi ogni cosa in ogni cosa” - poter diventare altro.

Ti tocco, ti sposto, ma non ti afferro
sfuggi da me, scompari nel mio corpo
tra le mie mani che tendono e cercano. Mi giro e ti ritrovo
nel passo di un tempo simultaneo, sospeso nel tragitto
che riconduce ostinatamente alla nostra innata compresenza,
affinché io possa guardarmi guardandoti, possa cadere sostenendoti
e perdermi seguendoti.
Scollarsi da sé, confondersi,
fondersi con
E così svanire,
poter diventare altro.
Essere ogni cosa,
“floating into a mist”.

Ottobre 2022
1) 6 Luglio 2022, Arena del Sole, Chiostro del Teatro, Bologna. Di e con Filippo Porro e Simone Zambelli. Scene e costumi Silvia Dezulian. Suono Isacco Venturini. Luci Gianni Staropoli. Produzione AZIONI fuori POSTO. Co-produzione Armunia/Festival Inequilibrio, Balletto Civile, C&C Company