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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Ritualizzare il pianto per riflettere sulle tragedie dei migranti nel lavoro di Valentina Medda

Marzia Failla
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Può il pianto rituale trasformare e accomodare l’esperienza delle morti nel Mediterraneo? Può la pratica del pianto funebre convertire il disorientamento della perdita in accoglimento della crisi? Può questa accettazione divenire una pratica sociale capace di riverberare la riflessione sulle ferite del contemporaneo?
Dare asilo al dolore attraverso il dare voce al dolore è stato il punto focale dell’artista Valentina Medda e del suo laboratorio intitolato Lamentazioni, Studi sul pianto.
Medda è un’artista di origine sarda la cui pratica intreccia arte visuale, performance e interventi site-specific, mediante progetti che esplorano la relazione tra individuale e collettivo e il nesso tra corporale e spaziale, costruendo quadri partecipativi interdisciplinari in movimento (1).
Il laboratorio e la relativa restituzione al pubblico di Lamentazioni, Studi sul pianto, a cura di Maria Paola Zedda, è stata una delle iniziative della terza edizione di Vasi Comunicanti (2), organizzata a Bologna dall’associazione Alchemilla. Il 2, 3 e 4 dicembre scorsi, nel contesto di Palazzo Vizzani, l’artista ha lavorato strutturando un momento di condivisione tra le donne partecipanti, a partire dall’attività artistica laboratoriale: Lamentazioni, Studi sul pianto ha indagato il grido, il lutto e il lamento funebre tramite l’uso del corpo e della vocalità, si è costituito come un momento di meditazione corale sul dolore e ha avuto una volontà di partenza, quella di non interdire le emozioni considerate negative, spesso invece marginalizzate nei rapporti sociali, e al contrario ha ragionato sull’‘estendere e intensificare il potere del corpo umano nei confronti della realtà esterna’ (3).
La partecipazione, nella cornice di Palazzo Vizzani-Sanguinetti (4), è stata aperta a chiunque si riconoscesse nel genere femminile. Il laboratorio condotto da Valentina Medda si è articolato sulla costruzione di una partitura corporea e vocale che potesse essere strumentale all’espressione di una ‘partitura sul pianto’. Medda ha ideato la notazione corporea, per affidare la ricerca sulla vocalità e la composizione sonora a Claudia Ciceroni - cantante, artista performativa e pedagogista musicale - che ha esplorato le possibilità vocali del corpo, della respirazione e in generale del sistema fonatorio. Sperimentando diversi tipi di emissione sonora, l’artista ha costruito un’intensificazione vocale crescente che ha definito un linguaggio sonoro-gestuale sul pianto, un frasario che si è fatto rituale (5).
La sua ricerca, tramite un focus sul dolore che può diventare fisico, osmotico, anche parossistico, ha esplorato come il sentire del singolo si rifrange diventando plurale, trasformandosi in un sentire ‘a più voci’ che da particolare si rinnova in relazionale, che può mettersi in ascolto empatico nei confronti dell’alterità e attivare la percezione di quel corpo liquido che è il mar Mediterraneo, cadavere immenso, luogo in cui la ritualità si perpetua, interstizio testimone dell’assenza e della presenza del corpo nella storia e nello spazio.
Il pianto viene indagato a partire dallo stato emotivo che lo fa scaturire, per analizzare poi i cambiamenti che genera a livello biologico e fisiologico, la tensione, l’irrigidimento muscolare e gli intervalli respiratori che produce. Il pianto genera sussulto, vibrazione, movimento del corpo, costrizione o al contrario liberazione emotiva, distensione, rilassamento psicologico. Il pianto muove la mente ma anche il corpo e a partire da questi sottili cambiamenti dinamici nello spazio - inteso come spirituale, fisico e relazionale - l’artista tesse una maglia estrinseca, va a scolpire una flessione sonora modulata vocalmente e che solo in conseguenza diventa gesto, che definisce la propria cadenza organica a partire dall’isolamento di quel particolare stato sensoriale non verbale che accorda il pianto.
Lamentazioni, Studi sul pianto attinge alla tradizione popolare dei lamenti funebri operati dalle prefiche in Sardegna, per restituirne l’interpretazione da un’inquadratura diversa rispetto a quella originaria, che porta ad associare questa pratica alla terraferma, alla territorialità mediterranea e ai rituali funebri popolari, ma non a ciò che giace al di là dei confini. Nella ricerca dell’artista invece le lamentazioni scavallano la loro antica funzione per trascenderla e richiamare l’attenzione sulle urgenze della contemporaneità come quella della questione migratoria nel Mediterraneo e il rito del pianto viene assunto per la sua matrice terapeutica come una via da percorrere per riflettere collettivamente su barriere culturali e frontiere contese. 
Questo appuntamento rientra infatti nel più ampio progetto The Last Lamentation di Valentina Medda, vincitrice del bando internazionale Italian Council (XI edizione, 2022) (6) a supporto della creatività contemporanea del Ministero della Cultura.
The Last Lamentation (7) ha visto la realizzazione di un video e di una performance, i quali rivisitano in chiave contemporanea proprio la pratica del pianto rituale collegandolo al tema delle migrazioni che si compiono nel teatro mediterraneo, luogo di scomparsa oltre che di incontro tra culture.
La performance ha avuto luogo il 27 giugno 2023 in corrispondenza del Faro di Capo Sant’Elia, sulle coste cagliaritane, promontorio naturalmente proteso a guardare in avanti, custode di quel mare testimone di morti spesso misconosciute; il progetto ha visto la partecipazione di venti donne locali e migranti, nella performance vestite di nero, rivolte verso il mare in preghiera e intente nell’eseguire una complessa partitura fisica, vocale, ciclica, capace di generare un pianto corale magnetico e di spiegare idealmente come solo attraverso il sentire comune si possano tentare di superare l’incomprensione della conflittualità e l’irragionevolezza della morte.
La performance - realizzata grazie al lavoro sinergico di Valentina Medda con la cantante Claudia Ciceroni, il compositore Alessandro Olla e lo stilista Filippo Grandulli (8) - è stata il risultato di un work in process iniziato nel 2018 in Sardegna e proseguito poi in Libano, Slovenia ed Emilia Romagna e che attraverserà nei prossimi mesi ulteriori luoghi di frontiera nell’ambito del progetto europeo Stronger Pheripheries – A Southern Coalisation (9).
Attraverso la raccolta di testimonianze etnografiche provenienti dal territorio, in particolare tramite l’esame di nastri originali di attittadoras risalenti agli anni Settanta, il progetto di Medda è maturato tramite l’approfondimento della tradizione: con questa impostazione itinerante e non-finita, il corpus di materiale documentario legato ai rituali femminili in Sardegna è stato riaffrontato nel corso delle residenze dell’artista, costituendosi come punto permanente di un progetto in divenire.
Il pianto funebre è una pratica che sia in Lamentazioni, Studi sul Pianto che in The Last Lamentation viene esplorato in tutte le sue potenzialità in quanto ‘[…] rivela una particolare struttura dell’umano, ovvero quella necessità non del tutto corporale, ma nemmeno completamente mentale, di risolvere con strumenti culturali un momento critico, nel quale la presenza umana si sente minacciata […]’ (10).
La ritualità del dolore diventa il manifesto del distacco, un distacco non più personale ma comune: ‘Sarebbe l’ethos del trascendimento che permette ai vivi di staccarsi dai morti e di non passare ciò che passa, ovvero di non morire insieme a chi muore prima di noi’ (11).
Questa pratica sembra essere un campo di indagine privilegiato nelle ricerche di Valentina Medda, in particolare nella declinazione che la riporta al legame stretto con la sua terra e a quell’enigmatica espressione del femminile in Sardegna, ovvero la figura della donna attittadoras (12), prefica intenta nel cicatrizzare le ferite del dolore attraverso una reiterata e drammatizzata espressione della sofferenza.
Il recupero della tradizione consente all’artista di riflettere sul lutto e sulla perdita e parallelamente sui tanti significati rispecchiati dal mare nostrum, in particolare in riferimento a quel grande processo di osmosi dal Sud verso il Nord del mondo di cui il mar Mediterraneo si fa tramite.
Il Mediterraneo è un mare che si è fatto corpo, segno tangibile della presenza-assenza, campo aperto ma al tempo stesso confine, frontiera liquida, luogo non-identitario per coloro che lo attraversano.
Il lavoro attraverso il corpo, in particolare quello femminile in relazione al contesto, è una ricerca in divenire nelle sperimentazioni di Valentina Medda; l’artista attraverso il corpo realizza un dialogo con il contesto abitato, che si esprime e manifesta mediante modalità relazionali: in Cities by Night - progetto  partecipativo nato nel 2013 che si è svolto tra Parigi, Amsterdam, Bologna, Milano e Cagliari -  l’artista ha lavorato sul pericolo, una delle paure più primordiali, attraverso una processualità sviluppata non sull’esperienza vera e propria del pericolo, bensì sulla percezione del pericolo (13); attraverso una mappatura dei cambi dinamici del corpo nello spazio ha individuato i punti di contatto/frizione tra spazio fisico e architettonico, ha analizzato come il corpo abita la superficie urbana quando a muoverlo sono impressioni di rischio e minaccia.
Protagoniste sono state ancora una volta le donne, questa volta negli ambienti cittadini notturni, che da vittime sono state poste a dominare i luoghi che attraversano e di cui si riappropriano.
Le donne coinvolte in questo progetto, attraverso un’operazione di mappatura delle zone sicure delle varie città coinvolte, sono poste nella condizione/costrizione del fare esperienza della propria percezione del pericolo, legata in questo caso all’interpretazione dello spazio che le circonda, fraternizzando con queste sensazioni.
Un progetto non sulla paura quindi ma sulla sua destrutturazione, sulla relazione del corpo con lo spazio, un progetto che riqualifica la figura femminile come protagonista dell’ambiente urbano, capace di rileggere i luoghi che ci circondano, di dominare le emozioni e di scardinare i pregiudizi legati al pericolo che inibiscono il vivere lo spazio urbano di notte (14).
Il lavoro attraverso il corpo femminile partecipato, tra relazione e condivisione, ricorre anche in un altro interessante lavoro di Medda, Untitled#. Questo progetto si è proposto di recuperare testimonianze grafiche della città e intrecciarle con il corpo delle donne, attraverso il corpo delle donne, con dei tatuaggi che riproducono sull’epidermide le ferite dei muri della città, trasformando la superficie cutanea in una mappa somatica che si fa memoria dello spazio urbano. Anche questo progetto, che nello specifico guarda alle ferite della città, sembra nell’intento dell’artista ricongiungere la storia plurale con le storie personali, per canalizzare un dialogo quanto mai necessario a favorire un adattamento alla realtà. Come in Cities by Night in cui la paura viene scardinata, o in The Last Lamentation in cui il lutto viene amplificato di significati, Valentina Medda intensifica l’azione culturale delle donne sulla realtà attraverso il recupero di pratiche corali, rituali, femminili, popolari in una società ormai deritualizzata (15), accoglie il dolore per trascenderlo. Nel lavoro di Valentina Medda la pratica performativa sembra essere non un semplice momento creativo (16), bensì divenire una modalità partecipata necessaria alla comprensione di un reale traumatico (17). Attraverso The Last Lamentation, con l’idea che anche la sofferenza possa trasmettersi in senso comunitario per tentarne la sua interpretazione, l’artista intende riposizionare il ‘dolore consapevole’ al centro della vita, non solo della morte, il dolore che se espresso può essere riconsiderato, e che contrariamente se evitato, rifuggito o mascherato muterà in altro da sé, troppo spesso in indifferenza: questo il grido sul dolore di Valentina Medda.

Gennaio 2024

1) https://valentinamedda.com/
2) Vasi comunicanti è un progetto ideato da Alchemilla - spazio polifunzionale nato nel 2019 a Bologna, che si occupa di arti visive e performative - con lo scopo di far dialogare tecniche e linguaggi differenti grazie ai vari artisti ospiti nella sede dell’associazione: https://www.alchemilla43.it
3) Evangelista R., Rito operante e rito morente. Folklore e psicopatologia nella Basilicata di Ernesto De Martino in Laboratorio dell’ISPF, XVII edizione, 2020, n. 28, p. 5.
4) Palazzo Vizzani-Sanguinetti è un edificio bolognese eretto tra il 1559 e il 1566 dall’architetto Bartolomeo Triachini: https://www.alchemilla43.it/about/
7) Il video della performance The Last Lamentation ideata da Valentina Medda sarà disponibile a partire dai primi mesi del 2024, verrà acquisito dal museo MAMbo di Bologna e dal museo MAN di Nuoro; sarà inoltre presentato presso l’Arts Centre VierNulVier di Ghent, la galleria Flux Factory di New York, il Bunker di Lubiana, al Careof di Milano e a Bari al BIG - Bari International Gender Festival e al Exma di Cagliari.
8) Lo stilista sardo Filippo Grandulli con la cooperativa La Matrioska si occupa di formazione sartoriale rivolta a donne migranti. 
10) Evangelista R., op. cit., p. 6
11) Evangelista R., ibidem, p. 7: ‘È l’ethos del trascendimento che permette di affermare la presenza umana attraverso strumenti più semplici o più complessi, di costruire quell’ordine reale e culturale della natura che stabilizza la presenza umana nella natura e nel divenire che altrimenti ci sembrerebbe mutevole e inafferrabile. L’ethos del trascendimento permette di fermare il tempo, di fermare un divenire che ci minaccia, di rifarci a un orizzonte mitico in cui quell’occasione è stata già affrontata, per poi riproporre quel bagaglio di esperienze e di tecniche fruttuose. Questa sospensione, questa destorificazione, permette il recupero delle memorie mitiche e rituali che servono per governare la natura e superare le crisi’.
12) Attittadoras che rimanda al verbo ‘attittare’, cioè ‘dare il latte al neonato’ e che nella tradizione si ricollega al canto che accompagnava il defunto.
15) Dei F., Il contagio e i riti funebri: qualche rilettura di antropologia del lutto in Dialoghi Mediterranei, 1 maggio 2020.
16) Taylor D., Performance, politica e memoria culturale, Deriu F., a cura di, Roma, Artemide, 2019, p. 7.
17) H. Foster, The Return of the Real. The Avant-Garde at the End of the Century, Cambridge – London, The MIT Press, 1996: l’autore definisce il realismo traumatico come ‘l’incontro mancato con il reale’ che in quanto mancato non può essere rappresentato, può solo essere ripetuto.