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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

L’orrore del desiderio in INK alla Triennale di Milano e al Teatro Argentina di Roma

Marzia Failla
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Coreografo sperimentale, artista visuale, regista: difficile tracciare il perimetro di una figura della contemporaneità tanto affascinante quanto complessa come quella di Dimitris Papaioannou.
I suoi lavori risentono della poliedrica formazione avvenuta in Grecia nell’ambito delle arti visive e del fumetto presso la Scuola di Belle Arti di Atene, e che solo in seguito lo ha fatto approdare alle arti performative come regista, danzatore, coreografo, costumista, scenografo e light designer. L’anno che ha segnato questo passaggio nella sua eclettica evoluzione creativa è stato sicuramente il 1986 (1): in quell’anno si trasferì a New York dove incontrò la tecnica del danzatore Erik Hawkins (2) – una delle principali figure della modern-dance americana, nonché il primo danzatore uomo nella compagnia di Martha Graham alla fine degli anni ’30 – per poi partecipare ai seminari di butoh della danzatrice e coreografa Maureen Fleming, un personaggio di spicco per aver introdotto e praticato questa disciplina negli Stati Uniti.
La sua ricerca artistica ha così gradualmente oltrepassato i confini tradizionali esistenti tra danza, arte e teatro e la conoscenza approfondita del butoh ha seminato in Papaioannou una visione della danza come assolutamente scissa dal mondo del balletto.
INK è uno dei suoi ultimi e più controversi lavori, originale rispetto ai precedenti, recentemente andato in scena alla Triennale di Milano il 12 e 13 febbraio e al Teatro Argentina di Roma nell’ambito del Festival Equilibrio 2023 tra il 16 e il 19 febbraio. Si tratta di un progetto performativo che è nato nel 2020 nella sua prima versione, durante il periodo della pandemia trascorsa ad Atene che ne ha rallentato la gestazione; in queste due ultime occasioni è stato ripresentato nell’ultima trasposizione, rivisitata rispetto alla precedente, su musica di Kornilios Selamsis e con due interpreti d’eccezione, Dimitris Papaioannou – performer oltre che ideatore – e il giovane Suka Horn.
INKoffre la possibilità di osservare e sciogliere alcuni dei nodi centrali nella ricerca di Papaioannou, che qui ha presentato un oscuro e conflittuale quadro psicanalitico in movimento in cui l’esperienza del desiderio pulsionale giunge a sublimarsi attraverso la propria reiterazione.
Del resto, non soltanto INK ma molti dei progetti dell’artista affrontano da angolature diverse le conflittualità dell’animo umano, tramite la lente di ingrandimento della mitologia greca e della psicanalisi. Solo per fare alcuni esempi, Still Life del 2014 ha riproposto il mito di Sisifo secondo la rivisitazione elaborata dal filosofo Albert Camus ne Il mito di Sisifo. Saggio sull’assurdo del 1942 (3); The Great Tamer del 2017 si è invece concentrato sul mito di Proserpina; Since She del 2018 ha omaggiato la leggendaria Pina Bausch - madre del Tanztheater Wuppertal - e la sua coreografia Cafè Muller (4) del 1978;
Sisyphus/Trans/Form del 2019 ha mostrato ‘la fatica di essere umani’ (5) ancora attraverso il mito di Sisifo e a partire dalla sofferenza per la rovinosa crisi economica che la Grecia, suo paese, stava attraversando; infine Transverse Orientation del 2021 ha reinterpretato il mito di Teseo, Arianna e il Minotauro, esattamente come Martha Graham – a suo tempo maestra di Papaioannou - fece in Errand Into The Maze per indagare la dimensione del labirinto psichico, oltre che fisico.
INK invece rappresenta un viaggio, deviato dall’orrore del desiderio pulsionale, in cui l'uomo vestito di nero (Dimitris Papaioannou) lotta e spera di ritrovare se stesso attraverso la redenzione e l’incontro-scontro con l’altro, l’uomo nudo (Suka Horn); è un viaggio nei più oscuri conflitti della psiche umana in cui la dimensione personale diventa raffigurazione, immagine, segno dell’esperienziale storia di ognuno, un tragitto buio e criptico in cui la ricerca dell’ordine si tramuta in un sottile e delicato accomodamento segnato dal compromesso tra i due personaggi e dal loro affrontarsi e al contempo affrontare la forza oscura e viscerale che li costringe a duellare: un polpo. Si tratta di un teatro ‘che si invaghisce degli oggetti per ciò che sono e per il loro effetto di reale trasfigurato, reso illusorio ma tanto più inutile al preteso funzionamento di una storia.’ (6)
L’indagine di Papaioannou parte dal corpo, intendendo quest’ultimo come uno strumento per il quale passa la comunicazione di un’idea archetipica: il corpo è utilizzato fino ai suoi limiti, messo alla prova da situazioni estreme come la fatica e la lotta, assimilato all’antica scultura greca per la sua solennità e resistenza.
La ricerca dell’eccesso e il superamento del senso della misura generalmente condiviso connotano il suo lavoro che, proprio a partire dall’esplorazione sensoriale del corpo, conduce lo spettatore altrove rispetto alla realtà tangibile che si presenta.
Il ‘corpo iperbolico’ (7) è un punto di partenza e di arrivo per sperimentare un tragitto spirituale attraverso un percorso fisico, per suggerire impossibilità, per indagare l’inconscio individuale e collettivo attraverso il richiamo alla mitologia e alle figure archetipiche. Il corpo è inteso come materia e forma, veicolo per materializzare il dubbio irrisolto.
Con poche scenografie - materiali comuni, quotidiani, oggetti e elementi di re-impiego desunti dal magazzino-deposito dell’artista e che ancora una volta hanno avvicinato il lavoro di Papaioannou alla lezione dei maestri dell’Arte Povera (8) - e altrettanti pochi interpreti egli riesce a creare una dimensione straniante nella quale si innestano pensieri discordanti (9): giocando con un precario equilibrio tra forze opposte, l’artista contrappone il suo vestito scuro al candore e alla nudità del giovane Suka Horn, in uno spazio buio, delimitato, costretto, ma che non rifugge effetti di illuminazione chiaroscurale, sotto a un suono/getto d'acqua che come una musica ipnotica ricorda un battito senza fine.
L’organizzazione spaziale alterna, in un dualismo persistente, luce e ombra, azione e stasi, oggettuale e animale, prende avvio in un limbo multidimensionale e si protrae in un tempo sospeso. Si può arrivare a pensare che la presentazione degli opposti che si urtano continuamente tra loro per costruire un equilibrio sia la forza trainante al centro di INK.
La nudità è spesso presente nelle performance di Papaioannou, costituisce una modalità con cui l’erotismo immaginato diviene reale, una via da percorrere per indagare ‘la forza della vita’.
Poco altro sulla scena, qualche oggetto: una corda, una sedia, un’ampolla, una lastra di plastica, un campo di grano e il polpo che per l’inchiostro nero che secerne ha dato il nome all’intera produzione.
Un telo di plastica sul pavimento scopre lentamente il prigioniero maschile (Suka Horn), una creatura semi-selvaggia in cerca di libertà che ha il polpo sui genitali e tiene tra le gambe la grande ampolla trasparente. (10)
Papaioannou come uno scultore dei più sapienti si impadronisce dell’idea del desiderio per trasformarla in altro da sé, si serve del polpo, simbolo di dissimulazione, mimetismo e archetipo dell’uomo solitario immerso nel caos dell’universo e ‘innesca una visionarietà decostruzionista, organizzata su eccesso e minimale, sullo spaesamento linguistico […]. Papaioannou affabulatore del soggetto in crisi in una società in caduta libera […] mette in scena il disagio che avviluppa il soggetto contemporaneo.’ (11)
L'uomo e il ragazzo, l'acqua e la terra, l’oscurità e la luce, l’angoscia e la quiete.
Potrebbe trattarsi di un figlio che mette in discussione l'autorità della figura paterna? O di due amanti colti in un gioco-lotta di seduzione in cui il polpo rappresenta il simbolo dell’ossessione carnale? (12) Il ragazzo potrebbe figurarsi come l’alter-ego bestiale dell’uomo che cerca di domarlo per ristabilire l'ordine razionale? Oppure Crono e uno dei suoi figli? Lo scontro generazionale è solo una delle chiavi di lettura di questa performance, enigmatica e destabilizzante anche nella sua interpretazione. (13)
In questo lavoro è interessante notare che l’artista rifugge la pratica che spesso utilizza del body mechanical system, una tecnica da lui inventata per creare l’illusione della distorsione delle membra (probabilmente derivante dalla sua conoscenza del butoh e in particolare dalla lezione del maestro giapponese Min Tanaka); rispetto ad altre produzioni citate e che utilizzano questa pratica tecnica e scenica (come Sisyphus/Trans/Form o Transverse Orientation, dove rispettivamente la struttura del muro infranto nel primo lavoro e quella del toro nel secondo ben si piegano a quest’espediente) in INK l’alterazione del corpo e la sua deformazione vengono presentate in tutta la loro naturale e necessaria crudeltà. (14)
Per quanto riguarda la metodologia compositiva infatti, Papaioannou ha dichiarato di non aver stabilito l’impianto performativo a priori. Si manifesta ancora una volta la forte ascendenza derivata dalla danza butoh giapponese che lo ha portato a costruire in INK un susseguirsi di trapassi psico-fisici affrontati dai suoi personaggi, divincolati da una struttura di movimento preesistente:
‘Il punto di partenza è l’esposizione di un corpo ridotto a sostanza naturale, che non ha alcuna volontà d’espressione e può solo mostrare le immagini provenienti dal subconscio e dalla memoria dei muscoli […]. Questa memoria si presenta sulla scena e l’essenza del butoh è un corpo che si muove come una scultura vivente e mutevole modellata dalla vita. Il performer non deve preoccuparsi di eseguire dei movimenti, ma deve diventare consapevole delle sue variazioni interne, fisiche e mentali.
Anche nel caso in cui esista una coreografia, la composizione non riguarda tanto un susseguirsi di movimenti fisici, quanto l’alternarsi di cambiamenti psico-fisici, un insieme di esperienze sensoriali in un determinato spazio-tempo.’ (15)
Utilizzando il corpo umano percettivamente e combinando coreografia e arti visive, Papaioannou misura l’incompiutezza del reale attraverso l’interazione tra i corpi, gli oggetti e lo spazio e con essi tenta la comprensione del mistero dell’esistenza.
Il teatro-danza di Papaioannou, sulla scia della grande Pina Bausch, porta in scena delle ‘pitture dinamiche’ (16), racconti spaesanti in cui l’orrore del desiderio giunge a elevarsi tramite l’esperienza. Papaioannou in INK legittima un sentire personale rendendolo universale. Un conflitto che conduce alla pace. Un’installazione sulla vita in cui il mito magistralmente incontra la contemporaneità.
Aprile 2023
 
1) Salas R., Papaioannou and the archeology of myth and body in Ballet2000 n.288, English 2021, 07.12.2021, p. 22.
3) Guatterini M., Non vivere tristemente in Dimitris Papaioannou. Sisyphus/Trans/Form, Reggio Emilia, Silvana Editoriale, 2020, pp. 14-16.
5) Pini F., Il muro sulle spalle e la fatica di essere umani in Corriere della Sera, 16.11.2019, p. 34.
6) Guatterini M., op. cit., p. 16.
7) Macrì T., Decostruendo Sisyphus in Dimitris Papaioannou. Sisyphus/Trans/Form, Reggio Emilia, Silvana Editoriale, 2020, pp.38-45.
9) Macrì T., Pensiero Discordante, Milano Postmedia Book 2018, p.7: ‘In quest’epoca di deriva, in cui buona parte del pianeta appare oppiato e ipnotizzato in una univoca visione del mondo, compiaciuta di sé stessa e sublimata da reconditi meccanismi di produzione del consenso, è necessario fermarsi e ragionare sulle sollecitazioni e sulle visioni che si distaccano da essa. Il pensiero discordante è quel pensiero che si smarca dalle convenzioni e dai valori che regolano la piattezza culturale e contrattacca con il riposizionamento dell’essere pensante e con la decostruzione dell’ordine simbolico dominante.’
10) Guzzo Vaccarino E., Water and Ink in Ballet2000 n.285, English 2021, 01.01. 2021.
11) Macrì T., op. cit., pp.38-45.
13) Abicca L., Ink – Creazione di Dimitris Papaioannou in Sipario, 26.02.2023.
15) D’Orazi M.P., Butoh: la tradizione dell’avanguardia in AIRDanza: https://airdanza.it/it/content/butô-la-tradizione-dell’avanguardia