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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

La Critica della vita quotidiana nelle pratiche artistiche contemporanee
Domenico Scudero
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Le pratiche artistiche nel totalitarismo tecnico
La materia del contemporaneo, così pesta, aggrovigliata ed inestricabile, le sue pratiche spesso contraddittorie e più volte inconciliabili con l'apparato storico-critico, i cui strali di disapprovazione rimuovono antiche avversioni verso l'attualità, può essere letta rinnovando alcune opere critiche già cadute nell'oblio. Si tratta in fondo di un'operazione di recupero che offre alla disciplina interpretativa del contemporaneo alcune vie di progressione per fuggire il pantano relazionale in cui si è pigramente arenata. Di questi lavori teorico critici ampiamente etichettati come antiquati, e pertanto considerati superati o addirittura censurati, si è recentemente riscoperta la preveggenza sistematica; si tratta di alcune grandi costruzioni teoriche che hanno avuto una qualche diffusione ma che sono state poi sbrigativamente accantonate nella furia iconoclasta della processualità teorica che decideva l'abbandono di ogni ipotesi dell'interpretazione a favore di una parcellizzazione testimoniale delle singole attività creative (1). Aver abbandonato la grandi costruzioni teoriche ha avuto ragione d'essere in sincronia con la crisi delle ideologie e dei grandi sistemi di pensiero poiché giudicati all'interno di ciò che Sloterdijk descrive come l'ascesa di un cinismo di massa, ovvero di quel "carattere mediocre assurto al piano più elevato della sovrastruttura" (2).
L'asocialità "integrata" del cinico contemporaneo è il contraddittorio esempio di un individualismo da capitalocene avanzato che con sprezzo etichetta dickensonianamente la realtà come ciò che non potrebbe che esser tale, accettandone pienamente direzioni e comportamenti diffusi. La crisi delle ideologie e lo scardinamento dei grandi sistemi di pensiero ha prodotto il grande paradosso del contemporaneo, ovvero quello di ricercare una verità sul presente evitando accuratamente di comprendere storia e origine di questa. La pratica postmoderna della citazione, che è appropriazione cinica e spesso volontariamente slegata al reale significato di ciò che si pone in osservazione, ha compiutamente azzerato ogni ragione di ricerca, relativizzando i contenuti e riducendoli al puro sguardo espressivo del singolo. In ciò ha dato campo libero alla reazione storico-critica improntata ad un accademismo dai risvolti persecutori verso ogni ricerca sul contemporaneo e la conseguente controreazione di questa in un contraddittorio persistente. La rivoluzione digitale ha oltremodo amplificato questa inesistenza di una ragione del pensiero, producendo un ulteriore aggravio di senso riposizionato sul versante della scienza, ritenuta l'unica via attraverso cui la logica diviene verità. Il totalitarismo scientifico spiega abbastanza bene il motivo per cui le nostre società contemporanee, dopate di massimalismo tecnologico, siano arrivate a partorire intere generazioni di miscredenti della scienza, un atteggiamento che è possibile interpretare come quello di una resistenza muta e distruttiva contro l'imperativo del calcolo e del raziocinio economico elevato al quadrato ideale.
Di contro, ciò che vediamo nell'esperienza del presente, inanellati come siamo all'interno del circuito distopico della tecnica, ci spinge a ragionare sulle possibili scelte atte a renderci liberi dalla nostra ombra digitale e dal suo controllo. Condizione di prigionia collettiva all'opposto di un'esperienza di autenticità che parta dai singoli gesti del quotidiano. Esperienza, rapporti sociali e quotidiano, sono alcuni elementi di cui le pratiche contemporanee sembrano non voler fare a meno attraverso azioni improbabili, spesso farraginose, ambigue, elusive, come forza elementare di sopravvivenza scaturita dalla sensazione individuale di fuggire la gabbia virtuale all'interno della quale il sistema economico produttivo dei nostri decenni sembra averci resi prigionieri. Alcuni autori del passato riemergono quindi con una forza ancora produttiva per motivare queste dinamiche di comportamenti e azioni che vertono su fenomeni della vita e dell'esistere. Fra questi è  la critica del quotidiano di Henri Lefebvre. Il suo testo Critica della vita quotidiana, accolto con freddo distacco dall'intellighentia ideologizzata degli anni 50 per via del suo esercizio dialettico rispetto ai fulcri del materialismo storico, è stato poi platealmente ignorato dai post strutturalisti della fenomenologia hegeliana (3). Eppure già al suo apparire la Critica della vita quotidiana aveva evidenziato alcuni tratti di sincronia sia con la fenomenologia esistenziale - e in particolare con l'interpretazione dell'alienazione come motivo propositivo - sia con la dialettica della scuola di Francoforte, specificamente con l'Adorno di Dialettica Negativa. Riassumendo le questioni sollevate da Lefebvre possiamo rielaborare il suo "fallimento" proprio come conseguenza di una possibile coniugazione, una mediazione, fra le istanze del purismo del materialismo storico, quelle della dialettica e infine quelle della fenomenologia (4).

La dialettica delle situazioni quotidiane
L'accusa che gli veniva mossa, e di cui lo stesso Lefebvre scrive nella sua nuova prefazione al testo del 1945, ripubblicato integralmente nel 1958, era proprio quella di non essersi schierato dogmaticamente, e in particolare per via di quel suo testo molto discusso e al limite della censura Il materialismo dialettico che era stato pubblicato nel 1947 (5). Probabilmente è proprio attraverso questo saggio del 1947, introdotto da una Critica della dialettica hegeliana, Lefebvre si ritrova isolato sia dalla corrente del materialismo storico che da quella della dialettica, alienandosi successivamente anche le simpatie di quanti attraverso la fenomenologia stavano approdando a simili teorizzazioni nell'ambito dell'esistenzialismo e in particolare Merleau-Ponty e Sartre (6). Di contro sarà proprio in relazione a questa complessa avversione maturata nell'ambito delle ricerca degli anni 50 che il testo di Critica della vita quotidiana sarà assunto come strumento essenziale per l'elaborazione di ciò che poi sarà la seconda avanguardia, e in particolare il Situazionismo di Debord (7). Oggi questo mirabile testo di Lefebvre nella sua pregevole e chiara traduzione italiana di Vincenzo Bonazza del 1977 per la Dedalo libri di Bari è ancora reperibile nella sua versione originale. Si tratta di una fonte inesauribile di pensieri e di ipotesi circostanziate su una contestualità del tempo presente che diviene una forma di realismo esistenziale tanto archetipale quanto connaturato al nostro esserci attuale. In particolare fanno da sfondo alla lettura la partecipazione attiva allo svelamento delle prassi essenziali del vivere e alle dinamiche della creatività, prassi che avvicinano e rendono accessibili alcuni dei temi riattualizzati in questo lasso di presente odierno fitto di complessità indiscutibili e inestricabili. Il punto di partenza dell'analisi lefebvriana è esattamente situata nello snodo della complessità del tempo storico che sembra ripetersi ancora nello sfarzo dei riflessi digitali del nostro presente, il continuum di una decadenza cerebrale che conduce all'enfasi delle pratiche artistiche ma che non sembrano potersi ridurre ad un accettabile criterio interpretativo. E ancora, in controluce; lo scambio simbolico fra vita e morte, di una vita vissuta come morte marcusiana e di una morte vissuta come vita virtuale, costituisce quel luogo originario dell'alienazione contemporanea in opposizione alla quale l'arte del nostro tempo reagisce con variegate ipotesi, spesso contraddittorie (8).
Anche in Debord l'analisi critica della società avviene come in Lefebvre attraverso l'intellettualizzazione del pensiero; la sua implicita alienazione dal contesto non può prescindere dal superamento dell'economia attraverso la storia; ma questa presa di coscienza, poiché nella sua fattualità storica è anche ideologica - segnatamente tedesca - è votata quindi al dogma della scientificità formalista (Debord) - (9). Le conflittualità fra materialismo storico e liberismo pragmatico risultano quindi inconciliabili e alternanti, così come evocati nella Critica di Lefebvre, in cui il pendolo fra le oscillazioni dialettiche e strutturaliste si configura negli eccessi delle variabili come sostanzialmente identici. Trasferendo alcune tematiche di quegli anni - che il Situazionismo risolve nella fallimentare vittoria - ritroviamo alcuni paradigmi socio-politici che proprio le azioni artistiche contemporanee rimettono in discussione. In primis la discutibile opinione fortemente "realista" e luogo comune secondo la quale non esista miglior sistema sociale del turbo liberismo del totalitarismo tecno-scientifico.
La storia ci segnala alcune similitudini che dimostrano quanto possano essere sovrapponibili gli effetti deleteri sia del totalitarismo materialista sia quelli del turbo liberismo; ad esempio il gruppo di Collective Action dell'avanguardia sovietica moscovita degli anni 70 metteva in scena l'impossibilità di una reale convivenza del potere socialista con le azioni creative, e gli artisti erano costretti a rielaborare il contesto naturale come scenario delle richieste di una vita creativa accettabile e fattibile, per non provocare la violenta repressione già subita durante la cosiddetta Bulldozer Exhibition (10). Ma allo stesso modo gli artisti delle azioni pubbliche e della pratiche contemporanee manifestano un'identica estraneità vitale nei confronti del turbo capitalismo avanzato. Le condizioni di inaccettabile precarietà degli artisti dell'epoca sovietica, le leggendarie esistenze di grandi come Prigov e i Kabakov, non sono peraltro molto dissimili dalle condizioni di attuali produttori di culture visive come Bruguera, Folci, Umbaca, Deller. Se le differenze esistono sono determinate da valori di capitale ma anche di ciò parla l'arte contemporanea come in alcuni lavori di Andrea Fraser - in particolare in Untitled (2003) - in cui l'evidenza di una contrapposizione dell'azione artistica nei confronti dell'ideologia del capitale appare svelata nei rapporti arte/prostituta - collezionista/cliente (11).

Ideologie politiche e alienazione
Su tutto nella Critica emerge la teoria dell'alienazione, alienazione socialista, alienazione capitalista. Gli estremismi dei due sistemi collidono fino a coincidere. L'artista contemporaneo del turbo liberismo sebbene sostenuto dall'idea, spesso improbabile, di un suo successo economico non è diversamente alienato dal sistema sociale di chi si vedeva destrutturato dal socialismo reale che chiedeva l'esclusivo uso della creatività ai suoi fini. D'altra parte Lefebvre già nella sua lettura denunciava la sparizione della "formazione economico-sociale dalla letteratura marxista" che si era trasformata nello schematismo di "base economica-soprastruttura politica" (12). Di fatto ciò coincide con l'estremismo del liberismo totalitario dei nostri sistemi economici in cui la massimalizzazione dell'impianto economico produttivo è la base politica a cui la stessa funzione di ordinamento politico deve rendere conto, con l'aggravio di un calcolo sequenziale disumanizzato dal sistema matematico algoritmico. Lo schematismo economico secondo Lefebvre era la causa di una crescente rottura con l'oggettività, quale possiamo riscontrare anche adesso con i palesi dissesti nel mondo del lavoro, indagine questa che alcuni collettivi, come W.A.G.E., Raqs Media Collective, Chto Delat, riassumono in forma di manifesto artistico politico. Che il lavoro dell'artista nell'ambito della società turbo-liberista non sia relazionato con le funzioni economico-sociali che determina è un paradosso che rispecchia la stessa crisi che nel sistema blindato del socialismo reale riassumeva i rapporti irreali fra pratica lavorativa e funzione sociale dell'artista. Indagare questi fenomeni artistici evitando ogni dogmatismo significa, secondo Lefebvre accettare il fatto inalienabile che ogni azione sia la parcellizzazione di un unicuum essenziale al tutto; "Non si tratta dunque di soprastrutture. In verità si tratta di sociologia, cioè una scienza che studia un aspetto dei rapporti sociali, un settore di questi rapporti" (13). Le pratiche contemporanee sono quindi una generica confluenza di una socialità diffusa che si è dispersa nei mille rigagnoli dell'eclettismo rappresentativo e che oggi non riusciamo più a rendere qualificabili all'interno di una possibile interpretazione. Si spiega così quanto l'Internazionale Situazionista, sebbene abbia derogato ogni possibile connessione con la storia dell'immediato passato, non possa spiegarsi se non in relazione di questa mediazione evolutiva in cui l'agire del singolo frammento individuale si riconfiguri grazie all'alienazione come forma di sovversione socio-politica (14).

Corpo inorganico alienato
Il primo dei concetti rilevanti in Lefebvre, e ancora straordinariamente attuali nel contemporaneo, è quello del "corpo inorganico" relativo al rapporto fra uomo, lavoro e natura (15). Concetto derivato dagli scritti di Marx e Engels e che negli anni più recenti ha caratterizzato titolo e concetto di uno dei testi più letti di Perniola, nonché di una critica partecipata sulle trasformazioni del desiderio e della identità corporea (16). Il corpo inorganico di Lefebvre si lega indissolubilmente all'idea dell'alienazione, punto cardine e gerarchico dell'ordine di una trasformazione dialettica dell'individuo nel manifestarsi esistente. L'identità del quotidiano produce, attraverso l'allineamento ideologico delle cose e della loro consistenza, un ordine superiore di irrilevanza, poiché tali oggetti sono estranei al corpo inorganico della natura e trasmettono le istanze speculative della ragione d'essere, la falsificazione dialettica dell'esistente e della pratiche quotidiane. Il corpo inorganico è anche quindi il luogo della transizione dallo stadio di immanenza della materia ad uno stadio di sua rilevanza attraverso merci-spettacolo che si trasformano poi in quella alterità che sarebbe stata l'oggetto di una erotizzazione del desiderio nel suo sex-appeal poiché materia ritorta e alienata dalla sua realtà. L'alienazione della materia è allora sincronica alla medesima alienazione umana dal suo stato di natura, soggetto oggettivizzato nell'ambito dell'organismo sociale come strumento sempre più tecnologico, adesso in fase di superamento dalla stessa tecnologia che ha creato.
Il corpo inorganico, quale significato dell'alienazione dell'individuo esistente dal suo originario stato di natura, introduce anche ad un altro concetto che appare oggi estremamente evidente, ovvero il superamento di quella separazione fra natura e cultura che scaturisce da una disalienazione tecnologica attraverso la comprensione dell'originario stato di natura, prima mitico e archetipico, poi ricomposto attraverso l'osservazione empirica come necessario processo utopico di riformulazione preilluminista. Derrida si è soffermato specificamente sul percorso dell'immaginazione come campo della libertà, quindi della metafisica come essenza della presenza (eidetica), supponendo le radici pre-illuministe nella germinazione del discorso di Rousseau su memoria e linguaggio e che nel nostro tempo odierno ha poi determinato la confluenza fra immaginazione e progetto nello scavo di questo rapporto riconsiderato in un'osmosi ibridata. Haraway con il suo percorso di un hyper tecnicismo e Descola con l'ipotesi di un superamento antropologico, riconsiderano nell'attualità le possibili alterazioni propositive per riequilibrare quel rapporto che la logica evolutiva dell'Illuminismo ha esacerbato sino al mutismo dialettico. Da questo punto di vista, l'alterazione dello stato di natura, nelle pratiche del quotidiano, si evidenzia come elemento di una contrapposizione irrisolvibile e irrecuperabile (17). Il superamento di questa ferrea struttura disciplinare che delinea una oppositiva disarticolazione della conoscenza non può ridursi a quella dialettica su cui Horkheimer e Adorno facevano affidamento. Il divario fra la critica dialettica e la metafisica ragionata, coagulata nella cultura progettuale del nostro contemporaneo, appare fin troppo evidente sul piano deificatorio del calcolo ragionieristico; calcolo approntato dai prospetti di sviluppo e dalle previsioni economiche, strumentali alla persistenza alienante della prassi quotidiana, sebbene mascherato da allusive politiche libertarie. Lo scopo essenziale del divenire attraverso l'alienazione come movimento di estraneazione e di rielaborazione appare quindi quello conclusivo, ovvero l'esteriorità e successivamene l'inclusività di individualità e socialità. Debord, sulle pagine del bollettino della I.S., sviluppa con un particolare astio queste visuali propulsive dell'alienazione propositiva sottratte a L., però accettandone il senso di trasformazione attraverso il détournement, chiave metodologica che collimava con le istanze di rifiuto, collettivizzazione e riformulazione del rapporto creativo e che ha interessato la sperimentazione artistica prima e dopo l'esperienza della I.S. (18).

Appropriazione disalienante
Sempre sul tema specifico dell'alienazione la Critica di Lefebvre si sedimenta in un vissuto esistenziale da cui poter estrarre e sviluppare la disalienazione attraverso un quotidiano che offra maggiori possibilità di intervento rispetto alle macro aree speculative; in questo senso l'attualità del suo pensiero si rinnova in primo luogo attraverso la crisi delle grandi costruzioni teoriche - di cui si dice tutti vorrebbero aver diritto di legiferare - a cui si sovrappone la necessaria riflessione sull'agire comune e dei fatti quotidiani. Questi fatti si delucidano anche attraverso le attività e le conseguenti esperienze che determinano le merci e il successivo bisogno di appropriazione. Termine questo che in Lefebvre segnala il passaggio da oggetto - esser cosa in sé - a oggetto connesso con l'idea di vissuto, ciò che nella comunicazione pubblicitaria è divenuto motivo subliminale per sollecitare l'omogeneità dell'oggetto al carattere specifico dell'individuo. L'appropriazione è allora un ulteriore modo politico sociale di annullare la distanza del soggetto dall'oggettualità del mondo; un'idea che ritroviamo negli anni successivi alla processualità esistenziale all'interno delle tematiche postmoderne e di cui hanno poi sperimentato alcuni gruppi artistici come Colab, Group Material, e più in superficie l'ambito postmoderno, sino alla nota serie di mostre di Collins e Milazzo specificamente proiettate sull'idea dell'appropriazione (19). E ancora sullo stesso versante cinico critico anche l'idea di Bourriaud sulla postproduction veicola identici significati sebbene rielaborati all'interno di una ulteriore stratificazione di tecnica e comunicazione in cui il "già fatto" agisce all'interno di una ripetizione che nella combinazione con un'alterità diviene comunque differente.

L'interstizialità contemplativa
Il concetto di appropriazione non si limita alla semplice applicabilità di un contenuto dell'alterità all'interno di una diversificazione ma apre anche il successivo elemento critico, ovvero l'interstizialità. Se le attività umane possono essere definite attraverso la doppia logica dell'atto specialistico, apice di una ricerca, e l'atto generico, base dell'agire, la logica critica può interrogare anche lo spazio interstiziale che interviene fra le due soglie, quella superiore e quella inferiore. Appare chiaro che nella logica dell'atto superiore possano esprimersi le locuzioni di un tecnicismo che è già di per sé motivo idealizzato, quindi ideologico, e successivamente d'una fenomenologia filosofica dei fatti supremi; lo stesso può essere fatto anche per la soglia inferiore, ovvero l'azione  germinale che non ha motivo d'essere studiata come fenomeno apicale ma che nello stesso tempo rientra nelle sfere della funzione pratica umana. Tuttavia fra la soglia apicale e quella susseguente e oppositoria basilare esiste tutta una scala di processi spesso introiettati come "vuoti" dell'agire ai quali non si attribuisce alcun significato ma che sono essenziali per comprendere la fattualità delle due soglie liminari. All'interno di questa riassunzione del vuoto significativo Lefebvre si ingegna di ricomporre un linguaggio filosofico - che egli stesso però propone di valutare in quanto sociologico  - e che sarebbe poi confluito in quel "vuoto" di Lipovetsky che si ricompone nella vacuità dell'immagine e nella sua irrinunciabile azione riflessiva nello spettatore (20). Anche sul tema del riflesso Lefebvre riassume quello che per lui costituisce l'ordinamento di una filosofia rastremata volontariamente al significato sociologico; unitamente ad alcune frecciate dirette a Lukàcs, la Critica si rivolge all'esplicazione del tema riflessivo che è centrale nel discorso sociologico definendone i contorni e l'essenziale; "Il termine 'riflesso' si presta a molte confusioni e soprattutto a molte semplificazioni. Per evitarle basterebbe dire che nella natura il riflesso differisce profondamente da ciò che riflette; e l'immagine nello specchio non è che in apparenza la riproduzione di ciò che resta fuori" (21). E' la coscienza lo strumento riflessivo poiché, piuttosto che ritrarre, esemplifica nella sintesi ciò che nella realtà si manifesta come molteplicità di conflitti e oggettività tra individuo e ambiente abitato. Quindi non può esserci riflessione che non sia frutto di coscienza del presente attraverso il suo esperire. Questa esperienza sebbene nasca dal riflesso del contesto, usando un termine caro alla sociologia, si esprime nella relazione fra individuo e suo sviluppo nel quotidiano anche attraverso ciò che segnatamente possiamo intendere come "vuoto", "pausa", "distorsione". Proprio così la filosofia, segnatamente quella dell'arte, può ritornare a svolgere il suo ruolo di assunzione consapevole della metafisica ragionata, quando assuma i dati provenienti dall'esistenza quotidiana senza veicolarne l'esclusività suprematista del pensiero; ovvero senza determinare la gerarchia di ciò che è pensato attraverso l'oggetto di ciò che osserva, altrimenti scadendo nella gretta locuzione di comando che produce una scala di valori verso l'idealizzazione del soggetto pensato (22).

Trafigurazioni non ideologiche
Solo attraverso questa uniformità fluida sarebbe possibile raggiungere una trasfigurazione del reale in grado di condurre al meraviglioso; in questo senso è il legame di L. con il surrealismo, assunto in maniera estranea al dibattito politico determinato da Breton. A questi si attribuisce l'accusa di aver piegato e usato, degradandolo, il concettualismo del quotidiano esistenziale. Nel surrealismo, nella sua identità più specificamente storicista proiettata verso la trasfigurazione, L. vede la possibilità di una resa esistenziale di quel quotidiano esausto, vivificato dalla radice romantica. Il percorso di questa trasfigurazione che parta dal soggetto si svolge nella Critica attraverso l'ipotesi terminale del romantico nello spleen baudeleriano poi confluito nella poesia allucinata di Rimbaud a cui segue la sorpresa intellettuale e macabra di Lautréamont, nel trascendere l'oggetto quotidiano, fino all'ascesi quasi mistica della trasfigurazione surrealista evidenziata nella scrittura del Primo manifesto del surrealismo di Breton, ancora non ideologizzato. Sebbene poi le ascetiche trasfigurazioni al bello siano state ritorte verso il fine politico, quindi ideologico, è evidente che la Critica parta da questa congettura filologica per poi confluire fra materialismo storico ed esistenzialismo in quella logica di mediazione ai tempi della sua stesura considerata impossibile. La fruizione, fra la fenomenologia e il materialismo, della "sorpresa" attraverso cui la vita quotidiana si trasla in metodo della meraviglia - come un prodotto consustanziale al bello dell'esserci - risultava in quegli anni un esercizio contrario ad ogni ortodossia logica; tutto avviene nella Critica senza lesinare vari accenni polemici verso il linguaggio "metafisico" di Heidegger, lì dove canzona la sua scrittura o il pensiero infernale sul nulla di Sartre e il suo "altro-degradato" dalla mistica (23).

Realismo alienato
Naturalmente la Critica risulta inattuale quando si determina nella sua problematica dialettica nella prassi del materialismo, soprattutto in visione di quanto oggi la realtà odierna si sia trasformata; nello specifico sull'idea di classi sociali, oggi quasi del tutto indistinguibili. Nondimeno nella Critica anche nel capitolo Il marxismo come conoscenza critica si disvelano alcune idee che saranno poi fondamentali sia per l'I.S. sia per alcuni sviluppi di azioni collettive, quali ad esempio quelle di G.R.A.V., Tucuma Arde, Art Worker' Coalition, Womenhouse, in cui il senso della condivisione nel contesto reale si dichiarava essenziale.
Va notato che nella Critica di L. rimane sempre oggettivato il richiamo alla realtà sebbene se ne riconosca il senso della "mistificazione" in particolare attraverso il culto del denaro e dell'individualismo, ma si tratta comunque di una realtà in cui anche l'azione intellettiva "alienata" viene assunta come luogo del significato; sia l'individualismo che il denaro sono infine considerati come frammenti di uno scompenso mistificato che deve essere ricondotto alla normalità concreta del reale. Si tratta di una nozione difficilmente riattualizzabile perché relativa all'ordine specifico d'una uniformità della classe sociale che è adesso quasi impossibile da poter qualificare. Di contro, il concetto di reale approntato dal L. suggerisce alcuni legami con l'attualità postdigitale soprattutto nelle conseguenze della parcellizzazione delle classi sociali in un insieme differenziato ma sostanzialmente uniforme nell'individualismo. Qualcosa che nella letteratura critica più recente abbiamo potuto vedere in termini molto decisi in quel classico dei nostri giorni scritto da Mark Fisher, Realismo capitalista (24).

Arte di vivere e l'uomo ad una dimensione
D'altra parte anche nel linguaggio la Critica introduce alcuni termini che risuonano particolarmente indicativi; riferendosi alle idee "pure", alle grandi cerimonie del passato ne etichetta lo sfarzo mistificante con il termine "spettacolo" che poi Debord eleggerà ad etichetta basilare, idea primigena del suo celebre testo (25). E accanto alla sua inattualità il testo della Critica trasmette battiti di innovazioni, quando ad esempio nella trattazione della ricchezza, che è idea mediata fra potere economico e cultura, sottolinea che la cultura separa il "privato" individuale e lo rende fattuale all'ingranaggio di una vita coordinata con gli sviluppi dell'alterità e slegata dalla pura appropriazione monetaria; si tratta di un'eresia non da poco e che conduce al successivo capitolo sullo sviluppo del pensiero marxista, sviluppo dialettico e non ortodosso che introduce al concetto di "arte di vivere" (26).
In cosa consista quest'arte di vivere L. lo spiega attraverso il bilanciamento fra desideri e bisogni che contraddistinguono e animano l'esistenza e la possibile adeguatezza di ogni essere umano. E' il tema centrale su cui si concentra il secondo volume della Critica, quello, tra l'altro, maggiormente interessante e particolarmente dimenticato. Da notare, tra le altre cose, che questo testo viene pubblicato nel 1961 e riporta nelle prime pagine un concetto condiviso dall'autore e attribuito a Guy Debord (27): si tratta di uno dei pochi passaggi fluidi che ritroviamo nella prima parte del volume, quasi del tutto dedicata ad una sorta di autocoscienza in cui si interpretano motivazioni e soluzioni per derimere quel senso di solitudine in cui era rimasta la sua opera e che per l'autore risultava inspiegabile. D'altra parte è evidente che L. si sentisse assediato da amici e nemici e che avesse trovato soltanto una tiepida solidarietà fra le pagine dell'I.S.. Di fatto le prime ottanta pagine nel secondo volume della Critica sono una pensosa risposta polemica rivolta a quanti avessero ignorato o anche cercato di cancellare le idee esposte nel primo volume. Ma la sintesi che si propone risuona particolarmente seducente se considerata dal punto di vista delle pratiche artistiche contemporanee: "sola proposta ...", dice L., è "l'apertura, la partecipazione, quella della vita privata alla vita collettiva, sociale e politica e quella dell'uomo quotidiano all'uomo storico, alla problematica della totalità (della società globale)" (28). Ma ciò risulta impraticabile per via dello sviluppo della tecnica che ha reso le città invivibili e la vita quotidiana, sebbene informata,  un "imballaggio", termine che avvicina L. alla "dimensione unica" di Marcuse. La tecnica della comunicazione, si aggiunge, implementa un sistema unidirezionale in cui si enfatizza l'esistenza "privata" dell'individuo come prodotto. L'uomo mondializzato attraverso l'informazione assiste all'universo senza aver presa su questo, senza preoccuparsene. La sua vita "privata" è il sintomo di uno scollamento amplificato dalla tecnologia. Tutto questo determina un'enfasi della ricerca sul totale che osserva il locale, il micro, come fatto inessenziale ma le cui azioni possono opporre un'etica ed un'estetica, attività creatice, poièsis di un'arte di vivere (29).
 
Sottrazione e processualità
Arriviamo quindi al punto cruciale sviluppato da L. nel secondo volume della Critica, quando dopo aver categorizzato formalmente i possibili sviluppi dell'agire all'interno della realtà quotidiana ne riassume i concetti; il primo, la totalità, possiede i tratti di un ideale irrealizzabile o al rovescio di una equiparabilità dei dati della consoscenza. Una conoscenza che si costruisca attraverso la particolarità diviene vuota, e di contro un empirismo che si sviluppi senza concetto guida non dimostra nulla. Ritorna ancora una volta il significato oppositorio di tutto-niente i cui valori assoluti coincidano. Cosa determina allora la specificità dell'atto individuale nell'ambito del contesto sociale? Secondo L. questo può assumere una connotazione esclusiva e identificabile soltanto attraverso la partecipazione alla realtà sociale che medi rappresentazione - definita illusoria - e conoscenza vera, in quanto esperienza. Una totalità, quindi, nello scopo individuale può coincidere con l'opera, quale risultato di una immersione profonda in quella totalità che sebbene reale non può che essere momentanea. Il  fare, in questo caso un qualsiasi caso di pratica lavorativa, ha quindi la rilevanza esclusiva nel suo essere generatore di questa verità riassuntiva del tempo e del quotidiano. In questa genesi, in cui l'alienazione è elemento centrale poiché ne permette l'evento, l'identificazione di opera non corrisponde all'idea centrifuga che riassume il significato di creatività e fattualità, quale nell'ipotesi del genio creativo, ma si tratta di un oggetto, di un fatto culturale, che è necessariamente legato al suo sviluppo storico, come un linguaggio che possa essere percepito e praticato esclusivamente attraverso la ripetizione e la distorsione convalidata dall'esercizio della pratica (30). In modo assolutamente scabro da principi riassuntivi l'ipotesi di L. anticipa e categorizza quella prassi che è anche un'attitudine del contemporaneo di indagine e ricollocazione di frammenti altri poi ricomposti nella totalità del presente in forma di opera - documento. Dal Surrealismo questa ipotesi ripete il senso volontario alla totalità, poiché non può esserci opera che sia riconoscibile come tale se non derivata da una specifica volontà. In questo senso anche la processualità dei fenomeni e la relativa crisi dell'interpretazione hanno avuto fra le pagine della Critica una preveggente lettura; l'azione processuale "sottraeva" elementi naturali o artificiali e li combinava in un insieme in cui la totalità dell'esperienza si commutava in opere, la cui "fine formale" era per certi versi impossibile se non ricollocata, come il suo anticipo, in quella scelta volontaria, assoluta del fare. Ritroviamo il senso della "sottrazione", come nelle pagine di Deleuze, concetto fenomenologico che deriva dalla lezione hegeliana sulla pratica e che nei successivi sviluppi, dopo Bataille e Merleau-Ponty si trasforma in appropriazione, prassi senz'altro identificativa e riposizionata al presente negli anni a ridosso l'era post-internet sotto forma di "tecnica" (31). Che questa totalità sia fenomenica, precisa infatti L., lo si deve al fatto di poterla ritrovare in ogni fatto umano come un esempio di realtà, analisi e svelamento della verità.

Lefebvre nella diaspora dell'interpretazione
La cancellazione di L. sembrerebbe essere determinata non tanto per la sua inattualità ma a causa del suo revisionismo, inaccettabile - tale da aver ripreso quelle pagine scritte da Lukàcs poi censurate -, oltre che per la sua aspirazione ad inanellare il particolare all'interno di un insieme più complesso (32). Questa indicazione genera confusione nell'ipotesi di una "ragione" superiore, scava la credibilità ideologica. Un'indicazione che ci permette di sistematizzare questo evento censorio in relazione alla crisi dell'interpretazione e alla tautologia concettuale, quella che ha poi prodotto il suo rovescio, in anni postmoderni, ovvero l'introspezione psicoanalitica e il successo di lavori post-lacaniani, come nel caso della Kristeva, in cui il soggetto pensante non era più volto alla comprensione di una presenza esterna ma alla manifestazione di quell'esterno nella psiche e nella coscienza del sé che guarda (33).
Al di là delle dinamiche "cinico-critiche" che caratterizzano lo snodo teorico degli anni 70 e che conclamano la riemersione di un sé sovrastrutturato e volontaristico, poiché tutto può essere fatto, come diceva Lyotard, attraverso l'applicazione di un metodo, un sistema teorico non avrebbe mai superato la soglia della soggettività (34). Da questo punto di vista, dunque, la diaspora interpretativa alla fine della processualità testimoniale, espressa nella scelta di approntare un metodo individuale - uno statuto che avrebbe avuto la necessità di fondarsi su una storia, quindi una retrodatazione inattuale - è da considerarsi in qualche misura una reazione anacronista volta ad un ritorno all'ordine del discorso - (35). Questa ricerca del metodo fra semiologia e iconologia, riemersa nell'ambito della nuova figurazione postmoderna, con le sue tecniche della citazione tecnica e sistemica, segnalava esattamente la perdita di coesistenza fra micro e macro dell'esistere, o anche l'inconciliabilità dei due estremi poiché inapplicabili nell'ambito di una sola identità testuale attraverso un "sistema" logico. Questa piega reazionaria, come scriveva Catherine Millet alla fine degli anni 70, determinava un nominalismo che era una diretta emanazione del positivismo formalista e che, di fatto, aveva scelto lo studio della forma piuttosto che del contenuto (36). La prassi psicoanalitica che si afferma successivamente è lo sbocco introiettivo, opposto alla piega reazionaria che nella spaziatura del "segno" accetta esclusivamente la processualità del suo divenire, escludendo qualsiasi relazione con il vissuto, la vita; ad esclusione di questo la critica si propone di sparire come elemento d'indagine che non sia approfondimento sensoriale derivato dalla profondità dell'io riesumando l'ipotesi dell'alterità, della diversione, dell'operato artistico estraneo rispetto alla normativa esistenziale. Il sordo odio per il presente sostenuto dallo sguardo verticale dello storicismo critico, come sosteneva Eugenio Battisti, aveva inoltre ratificato una "forma" totalizzante anche per quelle innovazioni introdotte nella storia del XX secolo, come ad esempio dell'ipotesi warburghiana (37). Queste idee si ritrovavano imbrigliate all'interno di una tradizione formalista che non ne accettava il compito di continuum relazionato col tempo attuale, e ne sosteneva il metodo solo nella prassi storicista. Come conseguenza a quest'impasse irrisolvibile emergono le chiare identità di ciò che Bonito Oliva chiamerà Post-Critica avocando al "sé" la possibilità di superare quello scarto già delineatosi fra una visione orizzontale della critica e una verticale della storia dell'arte, riassumendo questa inconciliabilità all'interno di una "incompetenza" necessaria, metafisica (38). Per opporsi a questa ineludibile tensione che si cristallizza da una parte nei metodi totalitari dello storicismo, indifferenti alle ipotesi di falsificazione suggerite da Baudrillard e Derrida, e dall'altra alla deriva della fascinazione di un presente esclusivamente introiettivo, gli anni postoderni assumono con presunzione l'idea di una "esemplarità" dello sguardo critico privo di metodo, estensione oppositiva, secondo Buchloh, di quella tendenza alla resa incondizionata della critica come modo univoco e purificatore di una autentica identità storica (39).

Il fantasma di Lefebvre nel contemporaneo
Tutto ciò è preambolo di quella rinnovata richiesta di chiarificazione emersa negli anni della rivoluzione digitale, poco prima del Web. La ridondanza "oggettuale" che nella critica era rivisitata o in funzione di un'estetica della rilevanza o nella pratica psicoanalitica, e che nei fatti ha inasprito l'acrimonia storico-critica verso il contemporaneo, aveva di fatto azzerato quelle tendenze delle pratiche artistiche che deviavano dal comportamento autoriflessivo. La fase che potremmo dire "contemplativa" nascondeva le evidenze di una complessità che si estraneava dalle regole economiche manageriali del sistema dell'arte e che saranno riassunte attraverso quella nuova fase di ricomposizione fattuale attraverso un nuovo sguardo pragmatista. In ciò l'importanza di Lefebvre è evidente considerando la mole di citazioni saccheggiate, utilizzate, e mai attribuite alla Società dello spettacolo. Lo stesso trattamento subito da Lefebvre si ripete per Debord fino al 1994, anno della sua morte (40). Negli stessi anni le azioni e le trasgressioni artistiche dei due decenni precedenti vengono rivalutate alla luce del loro coefficiente di realtà, estrapolate dal contesto del "soggettivo" e rielaborate attraverso l'azione pratica, pragmatica e sociologica. Le azioni di Urs Luthi, Carole Scheemann, Didier Bay, Franco Vaccari, Mierle Laderman Ukeles, Lygia Clark, Robert Adrian, Colab, Group Material, solo per citarne qualcuno, sono ripresentate attraverso lo sguardo contestuale e socio politico. In questa resistenza oppositiva allo spirito maggiormente manifesto dei tempi del postmoderno più palese, l'assunzione della pratica non specialistica - nel senso accademico del termine - ma concettualmente adeguata al tempo storico, avvia la fase propositiva di ciò che oggi ancora definisce la complessità del contemporaneo; opposizione alla contemplazione, sia nella fase concreta che in quella virtuale; smascheramento della falsificazioni attraverso azioni complementari e veritiere; disvelamento delle ipocrisie strutturali nell'ambito della cultura con il conseguente rinnovo di fluidità di genere, riformulazione nei rapporti natura-cultura, post-coloniasmo e culture differenti, globalizzazione e imperialismo tecnologico. Sono questi alcuni dei processi attualmente in atto, e in tutti è evidente il percorso fattuale, di una vita quotidiana vissuta attraverso l'agire non mediato dalla comunicazione (strumentale) dei mass-media e dei nuovi media (41).
La relazione di L. con le tecniche del contemporaneo, intendendo con il termine non l'aspetto fisico dello strumento bensì quello esistenziale della praxis, modalità del fare, è sostanzialmente proiettata allo sviluppo di una fluidità del continuum dell'agire sociale; in particolare questa nozione si evidenzia nella pratica ripetitiva e nella pratica inventiva, che in qualche misura possono essere viste come anticipo di ciò che poi Deleuze sottolinea in Differenza e ripetizione. Nella pratica inventiva, che L. dichiara essere alterazione di quella ripetitiva, è possibile leggere la proiezione esecutiva di quanti nell'ambito artistico hanno assunto un modo del fare trasformandolo in messaggio di una "scena" - atto performativo - adibita a rendere palese il legame di quel singolo gesto comune  - come nel caso archetipico di Make a salad di Alison Knowles - con una conoscenza pratica di svelamento della vita reale e del vissuto in uno "spazio sociale" (42).

Autoanalisi di una cancellazione
Quindi, alla luce di quanto sopra affermato, come si spiega la cancellazione di un'opera così complessa come la Critica di Lefebvre? La risposta può essere molteplice, naturalmente a partire dalla sua autonoma visione derivata dal marxismo; ma questo non corrisponde esattamente alla verità. In primo luogo bisogna accennare al fatto che sebbene alcuni spunti essenziali siano stati ripresi e contestualizzati nell'I.S., il concetto di alienazione, il détournement, la contemplazione, nella stesura del suo celebre libro sulla Società dello spettacolo Debord non cita mai il L.. Tuttavia è una scelta voluta e possiamo immaginare per motivi legati sostanzialmente alla forma testuale del saggio lefebvriano. Al lettore contemporaneo i tratti distintivi del testo appaiono furvianti per via di una volontaria tendenza dell'autore alla discorsività, la quale piuttosto che esemplificare rende in apparenza superficiali e banalizzanti i contenuti essenziali. Tutto ciò secondo quanto riportato nei bollettini della I.S. avrebbe comunque slabbrato i contorni teorici al fine di acquisire maggiori consensi nell'ambito borghese e accademico (43). D'altra parte nella lunga introduzione alla ristampa della Critica L. si dilunga sulle motivazioni che hanno condotto al misconoscimento del suo lavoro spingendosi ad un autocolloquio che è spesso contraddittorio; o almeno lo rendeva inaccettabile allo sguardo duro e puro della ragione situazionista perché tentava un dialogo, ritenuto impossibile, con le istanze reazionarie di quegli anni. Come se, attraverso l'elenco delle motivazioni e delle possibili soluzioni allo scarso peso accademico ricevuto, L. avesse voluto mediare anche con il "fraintendimento" del Surrealismo - la sua falsificazione, secondo la I.S., fattane da Malraux nel suo Museo immaginario -. Ma accanto a questo distacco da colui che era sostanzialmente il padre identificativo dell'analisi situazionista Debord non manca di aprire il secondo capitolo del suo libro sulla Società dello spettacolo con quel frammento di Storia e coscienza di classe di Lukàcs che era stato precedentemente usato dal L. per la sua divagazione sul tema della contemplazione e la successiva metamorfosi del fatto in oggettualità falsificatoria (44).
La Critica di Lefebvre ha quindi vissuto già nelle sue prime fasi una ritorsione scomposta praticata dai suoi stessi seguaci e tutto ciò ha determinato la sua sparizione anche nella trattatistica successiva sebbene le tematiche affrontate siano ancora oggi, scremate dal suo polveroso misconoscimento, attuali e proficue. Oggi è tempo di riconoscerne la sua qualità e la sua usufruibilità per le estensioni teoriche delle pratiche artistiche e le culture visuali contemporanee.

Luglio 2023
                                                                                                                                                               
1) Dal noto testo della Sontag (Susan Sontag, Against interpretation, Farrar-Straus and Giroux, New York, 1966 (trad. it. Contro l'interpretazione, traduzione di Ettore Capriolo, Mondadori, Milano, 1967) considerato come punto originario della crisi dell'interpretazione e inizio della fase descrittiva e testimoniale della processualità - fra formalismo e pragmatica - la diversificazione dei modelli di pratiche critiche ha avuto una dispersione qualitativa almeno fino alla fine degli anni 90 con l'avvio di una riassunzione teorica della critica postinternet e del critical curating. Ma nei fatti, sebbene alcuni autori fra i più noti manifestino tratti a volte assai simili, il carattere della critica contemporanea è simmetrico alla pluralità delle pratiche artistiche e allo stesso modo difficilmente riconducibile ad un sistema di pensiero. Cfr. anche James Elkins e Michael Newman, The State of Art Criticism, Routledge, New York, London, 2008. Fra i testi che si segnalano per una rinnovata attualità vedi John Dewey,  Art as Experience, Penguin Book, New York 2005 (Balch & Company, Minton, New York, 1934); György Lukács, Estetica, trad. it. Einaudi, Torino, 1970 (ed. or. Berlino-Neuwied 1963); Jean Paul Sartre, Critica della ragione dialettica, Il saggiatore, Milano, 1964 (ed. or. Critique de la raison dialectique, Gallimard, Paris, 1960).
2) Peter Sloterdijk; Critica della ragion cinica, trad. it. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2013, p. 13 (ed. or. Suhrkamp Verlag, Berlin, 1983).
3)  Henri Lefebvre, Critica della vita quotidiana, Vol. 1, trad. it. Vincenzo Bonazza, Dedalo libri, Bari, 1977 (ed. or. Critique de la vie quotidienne 1. Introduction, l'Arche Editeur, Paris, 1958). Henri Lefebvre, Critica della vita quotidiana, Vol. 2, trad. it. Vincenzo Bonazza, Dedalo libri, Bari, 1977 (ed. or. Critique de la vie quotidienne 2. Fondements d'une sociologie de la quotidienneté, l'Arche Editeur, Paris, 1961); il richiamo a Kojève per lo studio della fenomenologia di Hegel che ha fortemente influenzato il post-strutturalismo francese è in nota 6, vol I della Critica di L., op. cit., p. 295, in cui si citano Merleau-Ponty, Sartre, Hippolyte, Fessard; Boris Groys nella sua introduzione a Art Power, trad. it. Postmedia, Milano 2012, (ed. or. MIT Press, 2008) cita il testo di Kojève, Introduction à la lecture de Hegel, Gallimard, Paris, 1947, in cui si equiparano arte e politica nella lotta per il riconoscimento. In Fabrizio Desideri, Andrea Mecacci, Estetica contemporanea, Carocci editore, Roma, 2023, si individua in Kojève l'origine di una scuola di pensiero che influenza Lacan, Aron, Merleau-Ponty, Breton, Bataille, Blanchot, Foucault e Derrida.
4) Henri Lefebvre, op. cit., vol 1,  pag. 119.
5) Henri Lefebvre; "Critica della dialettica hegeliana" in Il materialismo dialettico, trad. it. Einaudi, Torino, 1949, pp. 34 - 45 (ed. or. Le matérialisme dialectique, Presses Universitaires de France, Paris, 1947).        
6) In particolare il testo di Maurice Merleau-Ponty, La struttura del comportamento, ed. it. Mimesis, Milano-Udine, 2019 (ed. or. Le structure du comportement, Presses Universitaires de France, Paris, 1942) e quello di Jean-Paul Sartre, L'essere e il nulla, trad. it. Il saggiatore, Milano, 1997 (1965) (ed. or. L'étre et le néant, Gallimard, Paris 1943).
7) Francesco Biagi, Critica e insubordinazione della vita quotidiana moderna: le radici lefebvriane del pensiero situazionista, in "Altraparola", n. 2, 2019 , Pisa, pp. 23-41.
8) Nicolas Bourriaud, Inclusioni. Estetica del capitalocene, trad. it Postmedia Books, Milano, 2020 pag. 55; Nathalie Heinich, "Inglobare il contesto" in Il paradigma dell'arte contemporanea. Strutture di una rivoluzione artistica, trad. it. Johan & Levi editore, Milano, 2022, pp. 81 - 91 (ed. or. Le Paradigme de l'art contemporain. Structures d'une révolution artistique, Edition Gallimard, Paris, 2014).
9) Guy Debord, La società dello spettacolo, trad. it. Paolo Salvadori e Fabio Vasarri, Baldini & Castoldi, Milano, 2004, p. 49 [ed. or. Editions Gallimard, Paris, 1992 (Buchet-Castel, Paris, 1967)].
10) Boris Groys,  Art Power, trad. it. Postmedia, Milano 2012, pp. 127 - 135, (ed. or. MIT Press, 2008).
11) Isabelle Graw, Hight Price; Art between the Market and Celebrity Culture, Sternberg Press, Berlin-New York, 2009, pp. 212-224. Andrea Fraser, Museum Highlights: The Writings of Andrea Fraser, The MIT Press, Cambridge, Mass., 2007.
12) Henri Lefebvre, 1977, op. cit,  Vol. I, p. 119.
13) Ibid, p. 67
14) Francesco Biagi, op. cit.
15) Henri Lefebvre, 1977, op. cit. Vol. I p. 72 .
16) Mario Perniola, Il sex appeal dell'inorganico, Einaudi, Torino, 1994; Donna J. Haraway, Manifesto cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano, 1991.
17) Jacques Derrida, "Natura, cultura, scrittura", in Della grammatologia, ed. it. a cura di G. Dalmasso,  Jaca Book, Milano, 2020 (1969) (ed. or. De la grammatologie, Les Edition du Minuit, Paris, 1967); Donna J. Haraway, op. cit., Philippe Descola, Par-delà nature et culture, Gallimard, Paris, 2005 (trad. it. Oltre natura e cultura, Seid, Firenze, 2014).
18) Cfr. Guy Debord, "Prospettive di Modificazioni coscienti nella vita quotidiana", I.S. n. 6, Agosto 1961, pagg. 20 – 27. Si tratta della relazione fatta da Debord al magnetofono il 17 maggio del 1961 per il Gruppo di Ricerca sulla vita quotidiana, riunito da H. Lefebvre nel centro di studi sociologici del CNRS.
19) Collins (Tricia) & Milazzo (Richard); Hyperframes, Voll. I - II, Edition Candau, Paris, 1989 - 1990, in cui si definiscono i contorni della "post-appropriation" attraverso modelli di critical curating.
20) Gilles Lipovetsky, L’era del vuoto, Luni editrice, Milano 1995 (ed. or. Parigi, 1983).
21) Sull'idea di riflesso in riferimento particolare a Lukàcs, Henri Lefebvre, 1977, op. cit., Vol. I, p. 98. p. 108.
22) Nathalie Heinich, op.cit. nota 8.
23) Henri Lefebvre, 1977, op.cit., Vol. I, pp. 144- 145: "I nostri metafisici che ci parlano tanto dell"«altro-che-dell'essere» (per imitare ancora i loro sproloqui) non ci parlano molto della vecchiaia, perché questo pensiero non ha nulla d'eccitante, e nulla dell'altro mondo."
24) Mark Fisher, Realismo Capitalista, trad. it. Nero, Roma, 2018, (ed. or. Zero Book, GB, 2009).
25) Henri Lefebvre, 1977, op.cit., Vol. I, p. 163.
26) Ivi, p. 229
27) Id, vol II, p. 16.
28) Ivi, p. 83.
29  Ivi, p. 127.
30) Gilles Deleuze, Differenza e ripetizione, trad. it. Raffello Cortina Editore, Milano 1997, (Différence et répétition, Presses Universitaires de France, Paris, 1968).
31) Henri Lefebvre, 1977, op. cit., Vol. II, pp. 209 - 224. 
32) Si tratta di un brano di Storia e coscienza di classe, di György Lukács [trad. it. Mondadori, Milano, 1973 (Sugar, 1967) (ed. or. Berlino 1923], opera citata anche da Debord nel suo La Società dello spettacolo; il testo era letto solo attraverso le copie distribuite prima della sua condanna da parte dell'Internazionale comunista del 1924. La particolarità di questo saggio risiede anche nel fatto che sebbene la sua traduzione in francese ebbe un importante seguito - presso la fenomenologia e l'esistenzialismo - lo stesso György Lukács in anni successivi affermò che pubblicarlo fosse stato un errore (forse per ragioni di traduzione).
33)  Sull'influenza del linguaggio lacaniano basti ricordare l'importanza di Julia Kristeva, Sole nero: depressione e malinconia; Milano, Feltrinelli 1988, ma anche l'uso di etichette simbolo che poi sarebbero state adottate per tematiche altre, come ad esempio il termine "non-luogo" che sarà l'emblema tormentone di Marc Augé, Nonluoghi, ed.it. Elèuthera, Milano, 1993. Cfr. Lacan, Jacques; Scritti, 2 Voll., trad. it. Einaudi, Torino 2002, (1974) (ed. or. Ecrit, Edition du Seuil, Paris 1966),  p. 722.
34) Lyotard, Jean-François, La condizione postmoderna, trad. it. Feltrinelli, Milano, 1981, (ed. or. La condition postmoderne, Les Edition de Minuit, Paris, 1979).
35) Michel Foucault, L'ordre du discours. Leçon inaugurale au Collège de France prononcée le 2 décembre 1970. Gallimard, Paris 1971 (trad. it. L'ordine del discorso, Einaudi, 1972).
36) Catherine Millet, "Discorsi critici e pratiche accademiche", in Teoria e pratiche della critica d'arte, Atti del convegno di Montecatini, a cura di Egidio Mucci e Pier Luigi Tazzi, Feltrinelli, Milano, 1979, pp. 205 - 214.
37)  Eugenio Battisti, "Le difficoltà della critica" in ibid, pag. 239 - 244.
38) Achille Bonito Oliva, Critica ad arte. Panorama della post-critica, Giancarlo Politi editore, Milano, 1983.
39) Benjamin Buchloh, "Allegorical Procedures: Appropriations and Montage in Contemporary Art" in Formalism and Historicity, Models and Methods in Twentieth-Century Art, October Books, The MIT press, Cambridge, Mass, 2015.
40)  C. Freccero e D. Strumia, "Introduzione", in Guy Debord, 2004, op. cit. p. 9.
41)  Hal Foster, "Post Critico?" in Bad New Days. Arte, critica, emergenza, trad. it. Postmedia Books, Milano, 2019 (ed. or. Bad New Days. Art, Criticism, Emergency, Verso Book, London-New York, 2015), pp. 135-147. Nicolas B0urriaud, L'esthétique relationnelle, Presses du Réel, Dijon, 1998 (trad. it. Estetica relazionale, Postmedia Books, Milano, 2010).
42) Henri Lefebvre, 1997, Vol. II,  pp. 265 - 279; José Jiménezz, "Il nuovo spettatore" in Teoria dell'arte, ed. it. Aesthetica, Palermo, 2008 (ed. or. Editorial Tecnos, Madrid, 2002), p. 147;  pp. 217 - 222.
43) Nelle Pubblicazioni dell'I.S. L. viene citato brevemente nell'editoriale a p. 5 del n. 3 del 1959; nel bollettino n. 4 del 1960 L. è invece lo spunto iniziale per il testo Teoria dei momenti e costruzione di situazioni a p. 11; nel n.6 della I.S. del 1961 L. è fondamentale per il testo di Debord, op. cit. nota 18; si tratta dell'ultimo omaggio al L. perché sebbene nei bollettini della I.S. è possibile rintracciare tematiche e valutazioni storico critiche che possono riferirsi al L. il suo nome sparisce; riappare in un testo polemico Lo storico Lefebvre sulla I.S. del 1966, pp. 77 - 78 in occasione della pubblicazione del volume del L. La proclamation de la comune, pubblicato da Gallimard, Paris, 1965, accusandolo di "saccheggio" delle tesi della I.S.. La polemica termina soltanto nel 1969 nelle ultime pagine, 111 - 115,  della I.S. n. 12; in questa occasione la redazione del bollettino decide di ristampare alcuni manifesti che erano stati pubblicati dai situazionisti e di confrontarli con alcune righe di L. riportate a fronte a dimostrarne il plagio.
44) Guy Debord, cap. II "La merce come spettacolo", op. cit., 2004 (1967).