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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Il racconto di Angela Maderna

 

Lucilla Meloni
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Pubblicato recentemente da Postmedia.books, il libro di Angela Maderna ricostruisce la storia della celebre mostra internazionale curata da Lea Vergine L’altra metà dell’avanguardia 1919-1940. Pittrici e scultrici nei movimenti delle avanguardie storiche, che si tenne a Milano in Palazzo Reale nel 1980, il cui eccezionale allestimento fu progettato da Achille Castiglioni, con l’aiuto di Grazia Varisco, ideatrice della grafica.
Nei quattro capitoli in cui si articola, attraverso materiali d’archivio e testimonianze, il testo racconta la sua genesi, a partire dalla lunga ricerca svolta dalla curatrice per ricostruire il profilo di artiste escluse dalla storia dell’arte, il contesto storico-critico e il dibattito suscitato all’epoca, quanto l’eredità della mostra.
Basato su una doppia temporalità, il volume si muove tra passato e presente e offre al lettore la possibilità di poter giudicare oggi, a quarant’anni di distanza e in un contesto generale profondamente cambiato, l’attualità e la necessità di quella ricerca. E ci interroga appunto sul lascito di quell’esperienza; sul posto che occupano oggi le donne all’interno di un sistema dell’arte globalizzato, se, come mette in risalto Maderna, ancora oggi nei manuali italiani di storia dell’arte e nelle enciclopedie online risulta più che esigua la presenza delle protagoniste de L’altra metà dell’avanguardia.
È avvincente la narrazione della ricerca delle opere condotta da Lea Vergine, che si avvalse anche dell’aiuto di importanti colleghi, viaggiando attraverso l’Europa: opere risultate in alcuni casi perdute o distrutte dalla guerra, in altri di proprietà di collezionisti privati, o ancora seppellite dalle stesse autrici dentro i cassetti; segno dei tempi poi, che dall’America non arrivarono prestiti poiché l’Italia era ritenuta dal governo degli Stati Uniti un paese di sinistra e non sicuro a causa del terrorismo.
E se tra le 114 presenze ospitate tra la mostra e il catalogo, alcune furono “riscoperte” ed ebbero una carriera successiva all’esposizione, al contrario molte altre, scrive Lea Vergine nel 2005 nella postfazione della riedizione del catalogo, tornarono nell’oblio.
Come sottolinea l’autrice a partire dalle dichiarazioni della stessa Lea Vergine, la scelta dei lavori selezionati avvenne seguendo, esclusivamente, criteri storico-artistici; Il catalogo fu pubblicato da Mazzotta e un aspetto centrale ne fu la redazione delle note biografiche scritte a più mani, che rifuggiva dalle consuete classificazioni che accompagnano l’operare delle donne: moglie, figlia, sorella di… La Maderna riporta infatti la notazione di Giovanni Lista, che nella sua lettera pubblicata in catalogo, scriveva in maniera lapidaria: “Non conosco testo monografico su un artista che cominci con la qualificazione uxoria”.
Della mostra che fece epoca, poiché per la prima volta in Italia si tentava di riscrivere una parte della storia dell’arte, il racconto tocca ampiamente la rassegna stampa riportando diversi articoli, così come il dibattito da essa generato all’interno del mondo femminista: un dibattito amaro, che vide contrapporsi alla scelta di Lea Vergine proprio Carla Lonzi, figura centrale non solo del Femminismo ma anche della critica d’arte.
La mostra partecipa della cultura degli anni Settanta, di quel vasto sommovimento che toccò tanti aspetti socio-culturali, di cui il pensiero femminista fu protagonista. Tuttavia, rispetto alle esposizioni internazionali dedicate allo stessa tema che precedettero quella milanese (come Women Artists: 1550-1950 tenutasi a Los Angeles nel 1976, curata da Hann Sutherland Harris e Linda Nochlin e Kunstelerinnen international 1877-1977 organizzata dal gruppo Frauen in der Kunst a Berlino nel 1977), Maderna mette in evidenza come il metodo seguito da Lea Vergine non fosse collegato ad aspetti biografici e genericamente di genere, ma basato esclusivamente sulla qualità dell’opera d’arte. Nell’intervista condotta da Lorenza Trucchi (Se l’avanguardia è femmina, “Il Giornale”, 13 febbraio 1980), ripubblicata nel volume, che le chiedeva appunto quale fosse la differenza tra la sua rassegna e quelle di Los Angeles e di Berlino Ovest, Lea Vergine dichiarava in maniera inequivocabile che questa consisteva: “nel non riunire le artiste in quanto donne. Intendo dire che non è un censimento secolar-sessuale”.
Con la volontà di non mischiare dunque sociologia, femminismo e antropologia, ma di restare all’interno dei confini disciplinari, fu compiuta una scelta coraggiosa.
20 ottobre 2020