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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Lucilla Meloni
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Il museo di Bilbao ospita fino a febbraio 2024 la retrospettiva dell’artista tedesco-venezuelana Gego (Gertrud Goldschmidt 1912-1994): terza tappa della mostra itinerante tenutasi nei mesi precedenti prima al Museo Jumex di Città del Messico e poi al Solomon R. Guggenheim Museum di New York.
L’ideazione, l’organizzazione delle esposizioni e i cataloghi sono il frutto della collaborazione tra i curatori Julieta Gonzáles, Pablo León de la Barra, Geaninne Gutiérrez-Guimarães, Tanya Barson, Michael Wellen, istituzioni museali e la Foundación Gego.
La mostra di Bilbao è curata da Gutiérrez-Guimarães e il catalogo accoglie oltre al suo testo, anche quello di Luis Pérez- Oramas che si è occupato a lungo del lavoro dell’artista e del suo rapporto con il coevo costruttivismo venezuelano.
Figura complessa anche per la sua biografia, Gego occupa un posto originale nella storia dell’arte venezuelana, dominata tra gli anni Cinquanta e Settanta del Novecento dall’arte cinetica e dall’astrazione geometrica, in stretta connessione con il processo di modernizzazione che percorreva il Paese. Grandi opere architettoniche furono realizzate in quel lasso di tempo, a partire dagli anni della dittatura militare, che commissionò la Universidad Central de Venezuela (Caracas) all’architetto Carlos Raul Villanueva, decorata dalle opere degli artisti dell’avanguardia, tra cui Soto, Calder, Vasarely, Arp, Leger.
Nata nel 1912 ad Amburgo, laureatasi in ingegneria architettonica nel 1938 e arrivata in Venezuela nel 1939, in fuga dalla Germania nazista e dalla persecuzione antisemita, dopo varie e importanti esperienze nel campo della progettazione, Gego inizia a dedicarsi alla ricerca visiva a partire dal 1953.
La sua prima personale si tiene nel 1958 alla Libreria Cruz der Sur a Caracas, ma già l’anno precedente partecipa ad Arte abstracto en Venezuela, insieme ad altri autori, tra i quali Carlos Cruz-Diez, Alejandro Otero e Jesus Rafael Soto.
Tra le diverse esposizioni collettive che la vedono a New York, prende parte all’importante rassegna di arte cinetica The Responsive Eye (Moma, 1965). 
Tuttavia la ricerca di Gego, sebbene vicina inizialmente a quella degli artisti amici quali Soto, Otero, Cruz-Diez si allontana da quell’arte cinetica riconosciuta come segno del moderno nel Paese che si ammodernava, per indagare in altri termini i temi della percezione e la possibilità di trasformare lo spazio in luogo.
Le opere esposte a Bilbao: dipinti, acquarelli, disegni, stampe, libri, sculture tridimensionali e bidimensionali ricostruiscono il percorso dell’artista; mancano purtroppo i Reticulàrea, in gran parte perduti: gli ambienti che Gego realizza dal 1969 al 1982 e che segnano l’apice della sua ricerca.
Una creazione, la sua, dove è protagonista il segno che, articolato in forme e materie diverse, col procedere del tempo arriva a destrutturare la griglia geometrica che aveva originato.
Così accanto a sculture come 12 Círculos concéntricos (1957) o Cuatro planos rojos (1967) che si inseriscono nell’ambito del costruttivismo e del cinetismo virtuale, in linea con le coeve esperienze di Soto o Cruz-Diez e di altri autori europei, dove è centrale il rapporto tra pieno e vuoto, dove il sovrapporsi delle linee geometriche genera una vibrazione ottica, gli inchiostri su carta come il Sin Titulo del 1958, con il loro reticolo aperto, spezzano la rigidità, la uniformità e la continuità della linea. 
La leggerezza, come “sottrazione di peso” (per citare Italo Calvino) appare la peculiarità del suo procedere.
Il legame indissolubile della forma nello spazio trova ulteriore sviluppo, dopo le sculture geometriche citate, nel ciclo iniziato alla fine degli anni Sessanta: strutture di sottili fili di acciaio o di alluminio che scendono dal soffitto, che creano forme irregolari, a volte organiche, attraverso le quali circola lo spazio. Columna, Tronco, Reticulàrea cuadrata, Chorro Reticulàrea, per menzionarne alcune, si presentano come un disegno nello spazio, a volte transitabile.
I coevi Reticulàrea (il primo, del 1969, è stato realizzato alla Galeria de Arte Nacional di Caracas) che ampliano e amplificano quella concezione compositiva, sono luoghi composti di intricati sentieri, sono come nuvole o macchie nel vuoto.
Proprio sull’idea di nuvola, di macchia e di ombra riflette nel suo testo in catalogo Perez-Oramas, individuando in ciò la distanza dalla “chiarezza ottica” programmaticamente ricercata dall’arte cinetica.
Fatte di punti e di linee spezzate, le “macchie informi” di Gego si oppongono alla “celerità metamorfica delle macchine cinetiche” e basta confrontare uno dei Reticulàrea di Gego con i Penetrable di Soto, sua opera emblematica, per capire la distanza tra una struttura praticabile, ordinata e simmetrica e un organismo praticabile, rizomatico e aereo.
E se il modulo geometrico: quadrato, triangolare, circolare, è alla base delle sculture di Gego, quanto degli ambienti, questo sembra essere depotenziato della sua rigidità grazie alla variazione impressa dalla sua stessa ripetizione.
La successiva bellissima serie dei Dibujo sin papel, i “disegni senza carta”, iniziati intorno 1976, conferma la centralità dell’idea del disegno, pensato e realizzato senza supporto. Attaccati alle pareti, a metà tra quadro e scultura, composti di materiali diversi, essi generano mediante la potenza di un segno minimale porzioni di accadimenti spaziali. L’ombra sul muro in alcuni casi ne raddoppia le forme e sollecita la percezione tra realtà e illusione.
Quel procedere rizomatico, già alla base dei Reticulàrea, si accresce nella serie dei Bicho degli anni Ottanta: piccole sculture fatte di materiali diversi quali ferro, corda, plastica, acciaio, rame, pittura. Ammassi informi di piccole dimensioni, questi convivono con gli ultimi lavori eseguiti con la carta, il cartoncino e la pittura, dove al contrario la composizione formale recupera l’ordito geometrico e con esso la sovrapposizione dei piani che sembrano in vibrazione.

Gennaio 2024