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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Insediamenti appena fondati, in fase di costruzione, di trasloco, di ripensamento

Daniela De Dominicis
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“In principio era la città”. Così Wolfang Nowak (1) risolve il problema di individuare con esattezza il momento in cui sono sorti i centri urbani, facendone quasi un archetipo, la condizione primigenia della cultura. Per più di cinquemila anni queste forme di vita associata hanno funzionato da polo di attrazione verso cui emigrare, un fenomeno inarrestabile che ha raggiunto negli ultimi anni livelli parossistici aprendo a scenari futuri preoccupanti. Soltanto la recente pandemia ne ha improvvisamente cambiato la percezione: da luoghi dalle infinite opportunità, a concentrazioni umane pericolose. Sempre più si ragiona sulla fine delle megalopoli, su città policentriche e orizzontali, sul recupero degli antichi borghi abbandonati, sembra di trovarsi in un momento di epocale mutazione prospettica. Ma qual è l’ultima città costruita ex novo? La mente va subito agli esprimenti urbanistici del Novecento, Canberra (2), Chandigarh (3) e Brasilia (4). Due progetti, questi ultimi, che hanno concretizzato il pensiero visionario e innovativo di Le Corbusier: assi viari di scorrimento larghi 250 metri, aree separate in base alle specifiche funzionalità, un centro direzionale circoscritto a concentrare tutti i poteri di governo, insediamenti abitativi diversi in funzione delle classi sociali, case torri a grattacielo per avere terreno verde a disposizione.  Sono queste teorie che hanno agito da bussola per i piani di zona e gli investimenti edilizi di tutte le città storiche per diversi decenni. Ma nel mondo occidentale, fortemente antropizzato, ci si è limitati ad ampliare l’esistente con quartieri satelliti gravitanti intorno agli antichi insediamenti, trasformati in metropoli, in città espanse.
Per trovare esempi a noi più vicini di città costruite dal nulla bisogna spostarci ad oriente oppure nell’ intraprendente mondo arabo che sta scommettendo sempre più su un futuro fatto anche di turismo, di infrastrutture, di finanza e non più solo sulle risorse energetiche.  
È in Asia infatti che sono sorte da pochi anni due città nuove di zecca: Nur-Sultan (5) capitale del Kazakistan e Naypyidaw (si legge Nipidò), capitale della Birmania. La prima è stata voluta fin dai primi anni ’90 dal presidente del governo kazaco, Nur-Sultan Nazarbayev – da cui l’attuale denominazione – subito dopo aver ottenuto l’indipendenza dall’URSS. L’ubicazione prescelta, inospitale climaticamente, nel cuore della steppa, ha il vantaggio di essere equidistante da tutte le regioni del Paese e pertanto privilegiata rispetto alla già esistente Almaty, posta al confine meridionale. Il masterplan è stato affidato all’architetto giapponese Kishō Kurokawa (6), vincitore della competizione internazionale promossa ad hoc. Il Paese può usufruire di immense ricchezze naturali (7) e questo ha permesso di non badare a spese sia nei materiali che nell’affidare le singole progettazioni ad architetti di fama come Norman Foster. Il piano urbanistico prescelto è stato apprezzato per la sua flessibilità nel tempo, la capacità cioè di modificarsi come un organismo vivente secondo quella poetica dell’architettura Metabolista cui l’architetto ha aderito nel 1960. Partendo da due tracciati di riferimento, il fiume Ishim e la ferrovia di raccordo con Mosca, la città è stata pensata secondo uno schema di zonizzazione lineare: l’area governativa, finanziaria, residenziale. Un asse centrale di 2 km a cavallo del fiume collega il palazzo del presidente con l’enorme centro commerciale a forma di tenda trasparente, il Khan Shatyr Center di 100 mila mq, all’interno del quale il clima temperato lo rende meta ambita durante l’intero arco dell’anno. Norman Foster nel progettarlo ha messo in campo tutta la sua esperienza tecnologica arricchendolo con una variegata vegetazione e una vera spiaggia con annesso specchio d’acqua al quinto piano. Effetti speciali dunque che caratterizzano tutti gli interventi architettonici degli edifici più iconici: la Piramide della Pace, ovvero l’edificio interreligioso in vetro, acciaio e granito (Foster&Partners), il palazzo presidenziale Ak Orda con la cupola blu e oro, la sala da concerti Ortalyk (Manfredi Nicoletti) in vetro blu, la torre Bayterek (Norman Foster) con la sfera panoramica in cima, tutta dorata, divenuta il simbolo della capitale.
Inaugurata in tempi record nel 1997, la città ha voluto misurarsi con un evento internazionale ospitando l’Expo del 2017 rivelatosi un flop a tutti gli effetti, nonostante gli ingenti investimenti messi in campo (8). Al di là del clima difficile, a suscitare sconcerto sono le dimensioni enormi che caratterizzano questo insediamento, il gigantismo degli edifici, le scelte stilistiche che ibridano tecnologia e tradizione locale in un kitsch da perenne luna park che forse vuol far dimenticare il passato sovietico che vedeva in questa regione il luogo di confinamento e rieducazione dei prigionieri politici. Il numero degli abitanti, inizialmente seicentomila, stenta però a crescere e lo sbandierato milione atteso per il 2030 è ancora lontano. 
Qualcosa di analogo è avvenuto in Birmania, nel Sud Est asiatico, dove la giunta militare con una decisione monocratica ha trasferito la capitale da Yangon in una nuova città costruita, anche in questo caso, a tamburo battente tra il 2002 e il 2006, Naypyidaw. La macro area individuata – la sua impronta è pari a sei volte quella di New York – ha inglobato otto centri preesistenti. Non è dato sapere a chi si debba il progetto di massima, ma anche qui prevale il criterio della zonizzazione ovvero la separazione per funzione (abitativa, militare, alberghiera, commerciale, etc.). Ciò che emerge è un agglomerato incoerente di parti, raccordate da assi viari fuori scala, più simili a piste aeroportuali che a strade di collegamento. Impressionante è il palazzo del Parlamento protetto da una cancellata chilometrica, un fossato largo cento metri e circondato da strade a dieci corsie per ogni senso di marcia. Probabilmente più che a logiche urbane, l’insediamento risponde a criteri di controllo militare con la possibilità di rapide fughe via aerea. Il numero degli abitanti non arriva ad un milione (la prevista rete metropolitana di 50 km è stata sospesa proprio perché sarebbe sottoutilizzata) e la sensazione è quella di una città fantasma (9).
Tutte le città esaminate finora sono state progettate a tavolino senza tener conto della tradizione locale, con assi viari di grandi dimensioni che dividono più che collegare, in cui i pedoni sembrano essere stati dimenticati. La separazione funzionale delle aree implica inoltre un continuo spostamento che risulta essere faticoso soprattutto per chi non è dotato di mezzi autonomi.
Ma anche una città appena progettata suscita perplessità: l’insediamento di Neom (crasi tra neo + m che sta per mustaqbal, futuro) promosso nel 2017 dal visionario principe saudita Mohammed Bin Salman il cui completamento è previsto per il 2030, difficoltà tecniche, sanitarie e giudiziarie permettendo (10). Una sorta di città franca, hub industriale e commerciale, sulle rive del Mar Rosso, al confine con l’Egitto e la Giordania, per l’enorme estensione di 26 mila mq, per la quale si prevede un sistema legislativo e giudiziario autonomo. Una città supertecnologica, con un livello di sicurezza assoluto basato sulla riconoscibilità facciale degli abitanti, controllo climatico (pioggia a richiesta, luna artificiale notturna), automatizzazione dei trasporti, connessione capillare e gratuita. Lo statuto speciale permetterebbe una maggiore liberalità nei costumi rispetto alle regole ferree vigenti nel Paese e questo dovrebbe costituire un motivo in più di attrazione per le imprese e i turisti occidentali, peccato che il tutto suoni come qualcosa a metà tra The Truman Show e La zona (11). È indubbio però che l’Arabia Saudita abbia fatto di tutto per accreditarsi con il volto di un Islam moderato e attraverso il programma Saudi Arabia Vision 2030 abbia messo in cantiere una serie di riforme per una incisiva trasformazione economica e sociale. I costi previsti per la fondazione della città sono di 500 miliardi di dollari (12), ma l’emergenza sanitaria che ha fortemente colpito la regione e il crollo del prezzo del greggio hanno dato una repentina battuta d’arresto a tutto questo programma (13).
Se l’Oriente mette in cantiere – foss’anche con risultati fortemente discutibili – queste sperimentazioni, nulla del genere ha luogo in Occidente dove tuttavia è in corso ormai da tempo un intenso dibattito sul futuro dei centri urbani e sugli stili di vita prossimi. Fino a pochi mesi fa l’attenzione ruotava intorno alla necessità di contenere il fenomeno dell’espansione urbana (14) individuando nell’intensificazione (ovvero lo sfruttamento delle costruzioni abbandonate e degli spazi vuoti all’interno delle città) una delle possibili soluzioni (15); dal febbraio 2020 però le esperienze di confinamento e le misure preventive del distanziamento fisico hanno obbligato a ripensare gli spazi, a cominciare da quelli domestici e lavorativi, in funzione delle sopraggiunte esigenze sanitarie che hanno imposto diversi stili di vita (16). L’orientamento più convincente e condiviso è quello di una città in cui ogni area sia fornita di tutti i servizi e di tutte le funzioni, quindi di una città policentrica.
Richard Sennett, Visiting Professor di Urban Studies al Massachusetts Institute of Technology nonché Senior Advisor per il programma ONU sul cambiamento climatico e città, teme tuttavia un inevitabile ritorno alle costruzioni monofamiliari e alla distribuzione orizzontale degli insediamenti (17). Auspica una città flessibile, che mantenga la densità abitativa senza affollamento, con strutture in grado di modularsi, con spazi porosi tra interno ed esterno, aperti, versatili, realizzati con materiali modificabili (18).
Eppure anche in un territorio ampiamente antropizzato come quello europeo, dove il concetto di tutela storica è fortemente radicato, si sta procedendo alla ricostruzione di una città o per meglio dire al suo “trasloco”. Si tratta della città svedese di Kiruna, all’interno del circolo polare artico, che insiste in un territorio ricco di ferro con la più estesa miniera estrattiva al mondo. Fin dal 1900 a sfruttare il giacimento è la società LKAB (Luossavaara-Kiirunavaara AB) di proprietà statale; la profondità raggiunta dal fronte di estrazione è così ingente che ora si teme per la stabilità della città soprastante. Dal 2014 sono quindi iniziati i lavori di spostamento di 4 km verso Est, preceduti da concorsi di idee e da capillari consultazioni di tutti gli abitanti per creare un senso di appartenenza e corrispondere alle aspettative di tutti con l’aiuto di un’équipe di psicologi. Una ventina di edifici storici saranno smantellati e ricostruiti tal quali, altri saranno demoliti ed edificati ex novo (19).  La fine dei lavori è prevista per il 2100, un tempo lunghissimo dunque che trova giustificazione soltanto nella volontà di contenere il trauma di chi ci abita, in tal modo le trasformazioni saranno così lente, transgenerazionali, da passare quasi inavvertite. Il progetto fa tesoro di esperienze urbanistiche diverse: le piazze ispirate alla tradizione italiana, i mercati mutuati da quelli francesi mentre di tradizione svedese sarà la viabilità e il sistema dei parcheggi (20). Un esperimento unico in Europa e forse irripetibile. Resta da vedere se il masterplan datato 2013 subirà modifiche alla luce delle recenti riflessioni.
Il dibattito su come intervenire nei centri urbani del prossimo futuro è, come già detto, molto vivace. Sorprende dunque la posizione di Rem Koolhaas che con Countryside, The Future – la mostra in corso al Guggenheim di New York – invita a concentrare invece l’attenzione sulla campagna (21) , cioè su quel 98% della superficie terrestre che negli anni, senza che nessuno se ne accorgesse, è mutata radicalmente. L’architetto olandese non è inedito a riflessioni contro corrente e nella fattispecie ritiene che è da lì che si debba ripartire: la salvezza delle città è insita nella tutela e nelle modalità di utilizzazione di tutto il resto del territorio.
20 luglio 2020
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1) Wolfang Novak dirige l’International Forum Alfred Herrhausen Society della Deutsche Bank. La citazione è contenuta nella prefazione al libro Richy Burdett and Deyan Sudjic, The Endless City, Phaidon Press, 2010, p.6.
2) Canberra, capitale dell’Australia, progettata da Walter Burley Griffin, vincitore del concorso internazionale, e costruita a partire dal 1913.
3) Chandigarh, capitale del Punjab, commissionata a Le Corbusier dal primo ministro indiano Nehru nel 1951.
4) Brasilia, capitale federale del Brasile, progettata da Lúcio Costa e Oscar Niemeyer, costruita tra il 1956 e il 1960.
5) La città ha cambiato nome diverse volte. Nel 1830 esisteva soltanto la piccola realtà produttiva di Akmolinsk, diventata Celinograd nel 1961, Akmola nel 1992, Astana nel 1997 e dal 2019 Nur Sultan.
6) Kishō Kurokawa (1934 - 2007) ha esordito a Tokyo nel 1960 nel gruppo Metabolism partecipando alla World Design Conference. Il Metabolism ipotizza città organizzate in macrostrutture funzionali stabili e piccoli organismi (abitazioni, uffici, etc) mobili. Il nome deriva dalla biologia perché la città viene intesa come un organismo vivente in continua trasformazione. Fanno parte del movimento Metabolista, tra gli altri: Kiyonori Kikutake (1928-2011), Arata Isazaki (1931) Kenzo Tange (1913-2005).
7) Il territorio kazaco è ricco di petrolio, gas, manganese, uranio, oro, diamanti, etc.
8) Cfr. Myers Steven Lee, “Kazakhstan’s Futuristic Capital, Complete With Pyramid”, New York Times, 13 ottobre 2006; Moor Rowan, “Astana, Kazakhstan: the space station in the steppes”, The Observer, 7 Agosto 2010; Alessandro Campi, “Kazakistan, il mezzo flop dell’Expo di Astana”, Il Messaggero, 28 agosto 2017; James Palmer, “Kazakhstan Spent $5 Billion on a Death Star and It Doesn’t Even Shoot Laser”, Foreignpolicy.com, 15 giugno 2017.
9) Lovell Dittmer, “Burma or Myanmar? The Struggle for National Identity”, World Scientific, 2010; Paolo Rodari, Naypyidaw, “la capitale fantasma del Myanmar”, La Repubblica, 28 novembre 2017. Altre città fantasma sono quelle prodotte dalla massiccia urbanizzazione cinese degli ultimi venti anni. La città di Ordos in Mongolia costruita per 1 milione di abitanti, ospita oggi 100 mila persone, la stessa sorte è toccata a Kangbashi. “Città fantasma cinesi”, Business Inside, r7 gennaio 2019.
10) Nel 2018 il principe ereditario è stato lambito dalle indagini sull’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi avvenuto presso il consolato saudita di Istanbul.
11) The Truman show, regia di Peter Weir (1998); La zona, regia di Rodrigo Plá (2007).
12) Il costo per la costruzione della città di Neom verrebbe sostenuto attraverso i provenienti del fondo pubblico di investimento e quelli derivanti dalla quotazione in borsa del 5% della compagnia petrolifera di Stato. “Nasce Neom, la città da 500 miliardi”, Il Sole 24 Ore, 25 ottobre 2017.
13) “Arabia Saudita. Evapora il sogno di Neom”, www.agcnews.eu, 8 aprile 2020. Klaus Kleinfeld, già CEO della società Alcoa e della Siemens, nominato responsabile del progetto Neom, ha abbandonato quest’incarico, sostituito da Nadhmi Al-Nasr.
14) Il fenomeno dell’inurbamento è un processo incontrollato e preoccupante particolarmente intenso nell’emisfero Sud del mondo dove le città continuano a affollarsi a causa dell’esodo rurale. Tra i centri con crescita esponenziale più recente: Abu Simbel, Kabul, Kinshasa, Nairobi e Lagos. Nelle città dell’emisfero Nord si assiste invece al fenomeno contrario, un esodo a favore dei più confortevoli centri di provincia dai quali si può continuare a lavorare in rete senza particolari difficoltà. Cfr. i dati forniti dal sito www.lse.ac.uk>study e i dati ONU del World Urbanization Prospects.
15) Questi orientamenti sono i risultati dello studio del gruppo internazionale Urban Age per conciliare sviluppo e benessere. Oltre l’intensificazione un’altra indicazione ritenuta fondamentale consiste nel promuovere la miscela sociale, cioè mantenere vicine classi sociali diverse e evitare fenomeni di ghettizzazione.  Urban Age è un progetto internazionale di analisi dei centri urbani iniziato nel 2004 nell’ambito dell’LSE Cities Programme, il prestigioso London School of Economics and Political Science.
16) Tra i gruppi di confronto internazionale si segnala Reinventing Cities C40, il network presieduto da Anne Hidalgo, sindaco di Parigi, che coinvolge 94 delle maggiori città del pianeta.  Vi fanno parte sindaci, architetti, urbanisti ed artisti. 
17) Jack Shenker, “Cities after coronavirus: how Covid-19 could radically alter urban life”, The Guardian, 26 marzo 2020; Joel Kotkin, “La Fin des Mégapoles”, Courrier International, 14 maggio 2020; Joseph Hanimann, “Baut die Städte auf dem Land!”, Süddeutsche Zeitung, 28 aprile 2020.
18) Cfr. intervista di Giuliano Battiston, “Per Richard Sennett, dobbiamo immaginare strutture flessibili per un urbanesimo aperto”, www.che-fare.com, 15 giugno 2020
19) Il concorso internazionale del 2013 è stato vinto dallo studio svedese White Arkitekter, guidato da Krister Lindstedt, insieme al norvegese Ghilardi+Hellsten Arkitekter. Il progetto per il municipio, con funzione di luogo pubblico di incontro, il Krystallen  (The Crystal) è firmato da Henning Larsen.
20) “Meet Krister Lindstedt, the architect behind the new city of Kiruna”, highways.today, 10 marzo 2018.
21) Countryside, The Future, Guggenheim Museum, New York, 20 febbraio -14 agosto 2020. La mostra presenta dei focus su specifiche realtà extraurbane indagate con ricerche pluriennali a cura di AMO (il thinktank dello studio OMA) con la Harvard Graduate School of design e cinque istituzioni accademiche, Eindohoven, Nairobi, Pechino, Tokyo e Wageningen. Alla mostra è seguita la pubblicazione: Koolhaas-AMO, Countryside, a Report, Taschen, 2020.