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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Come il muralismo ha cambiato il volto di Caracas: arte politica e apolitica

Francesca Vella
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Il Venezuela è un paese di grandi contrasti, ma non è possibile comprenderne appieno l’attuale crisi senza tenere conto della storia politico-economica degli ultimi vent’anni del Paese, anni dominati dalla revolución bolivariana di Hugo Chávez contro il vecchio establishment nazionale.
Già nel 1992 Chávez e suoi sostenitori tentarono un colpo di stato, andato però fallito e in seguito al quale venne incarcerato. Nel 1998 partecipò alle elezioni presidenziali, dopo aver fondato il Movimento de la Quinta Republica. Vinse le elezioni con il 56% dei voti, sfruttando da una parte il malcontento popolare per le crescenti difficoltà economiche, dall’altra ottenendo il sostegno di una parte della media borghesia, delusa dalla corruzione dei partiti tradizionali. Interessante è notare il fatto che Chávez sia diventato presidente dopo anni di carcere.
Ottenuta la presidenza, mise in atto un ambizioso programma di redistribuzione delle ricchezze nazionali, basato sullo sfruttamento dei giacimenti petroliferi venezuelani.
Nel 2000 le nuove elezioni riconfermarono Chávez alla guida del Paese per altri sei anni. Iniziò in questo momento a portare avanti una serie di campagne che ebbero degli iniziali effetti positivi. Tra queste, di notevole importanza, la formale alleanza con Cuba, dalla quale ne derivò che dall’Avana vennero mandati medici e insegnanti per andare a sostenere le campagne anti-povertà del governo. Conseguentemente, in un iniziale momento, ci furono effetti positivi, come la drastica diminuzione del tasso di povertà o l’aumento del tasso di istruzione della popolazione. La media borghesia però, se in un primo momento appoggiò l’ascesa di Chávez, adesso, in seguito all’alleanza con Cuba, iniziò a dare segni di malcontento, che sfociarono in contestazioni contro la “Rivoluzione Bolivariana” chavista.
Nonostante le numerose mobilitazioni da parte dell’opposizione e il fallito tentativo di destituirlo, Chávez venne eletto per la terza volta nel 2006. Da questo momento in poi iniziò a radicalizzare ancora di più le proprie posizioni e ad accrescere il controllo dello Stato sulla vita politica ed economica del Venezuela, giustificando tali comportamenti come finalizzati alla difesa della “Rivoluzione” dai suoi nemici, sia interni che esterni (1).
Al 2006 risale anche il cambiamento della bandiera nazionale venezuelana. Prima di questa data infatti, la bandiera presentava le tradizionali tre strisce orizzontali – giallo, blu e rosso – con sopra sette stelle e un cavallo frenato, che procede verso destra, guardandosi indietro (Fig. 1). Chávez, con una riforma fortemente voluta, portò le stelle a otto e sostituì il classico cavallo con uno al galoppo (Fig. 2). L’ottava stella doveva rappresentare la Guayana Esequiba, una regione montuosa che fa parte politicamente del confinante Stato della Guayana, ma sulla quale il Venezuela ha sempre rivendicato la sovranità. Inoltre, il cavallo ora guarda verso sinistra. Se nella vecchia bandiera era raffigurato un cavallo frenato, che guardava al passato, quello della nuova bandiera è un cavallo indomito, un simbolo di progresso. Entrambe le bandiere vengono usate a seconda della fazione alla quale si appartiene: quella a sette stelle è antigovernativa, contrariamente a quella a otto stelle che è filogovernativa (2).
Inoltre, nel 2009 Chávez riuscì a far approvare per via referendaria la sua elezione perpetua. Il governo chavista adottò misure molto dure nei confronti dell’opposizione, censurando molti media indipendenti e arrestando numerosi giornalisti (3).
I primi segnali di deterioramento del governo chavista e dell’economia venezuelana cominciarono a scaturire nel 2011, complice anche l’instabilità del prezzo del petrolio. Nonostante ciò, Chávez venne nuovamente rieletto nel 2012, ma dopo una lunga malattia, morì il 5 marzo del 2013. Al suo posto venne proclamato Presidente il Ministro degli Esteri Nicolas Maduro.
L’avvento della “Rivoluzione Bolivariana” ha fatto sì che il Venezuela si sia diviso sostanzialmente in due fazioni: una più borghese, l’altra più proletaria e l’arte ha giocato un ruolo essenziale in questo frangente. Chávez ha di fatto basato la sua propaganda politica su una sorta di culto della personalità, espressione tipica dei regimi comunisti e socialisti (basti pensare alla Cuba di Che Guevara e di Fidel Castro o alla Corea del Nord dove il dittatore è quasi assunto a divinità) avvicinando la sua figura a quella del libertador Bolívar. Ciò ha fatto sì che le strade di Caracas si riempissero di murales inneggianti, oltre alla figura del patriota venezuelano, alla figura di Chávez prima e di Maduro poi.
La conseguenza di tale atteggiamento ha comportato che l’arte murale in Venezuela sia diventata un campo in cui si scontrano la fazione governativa e quella antigovernativa, l’arte proletaria e l’arte borghese. Vi sono tuttavia anche esempi di arte murale apparentemente apolitica, intesa come forma di riqualificazione del proprio quartiere, che però – date le circostanze – finisce per assumere comunque dei connotati politicizzati (4).
Caracas è una città con grandi contraddizioni, a partire dall’aspetto del suo paesaggio urbano. A partire dagli anni Cinquanta tutto il Venezuela venne colpito dalla così detta febbre dell’oro nero: da un’economia agricola, si passò rapidamente a un’economia petrolifera d’esportazione. Nel giro di una notte il Paese passò dall’essere una ex-colonia spagnola a essere una nazione che poteva promettere modernità e opportunità.
In poco tempo, migliaia di persone lasciarono le campagne con grande ottimismo, per cercare fortuna nella grande capitale Caracas. Fu dunque necessario progettare e costruire nuove unità abitative e in un primo momento – ispirandosi alla Citè radieuse di Le Corbusier – vennero realizzati degli enormi alloggi chiamati 23 de Enero, famosi anche come superbloques (5).
Tuttavia, queste soluzioni abitative fornite dal governo si dimostrarono non sufficienti per andare a ospitare il sempre maggiore numero di abitanti provenienti dalle zone rurali.
A poco a poco, a partire dagli anni Settanta, cominciarono a sorgere – sulle colline che circondavano la valle di Caracas – ondate di ranchos, ossia grandi insediamenti, costruiti in modo disorganizzato, senza soddisfare gli standard minimi di abitabilità umana e i principi di base dell’architettura civile, mancanti di pianificazione urbana e con una bassa qualità delle case, molto simili alle favelas brasiliane.
Nei ranchos venezuelani si sono presto sviluppate la criminalità e la vendita illegale di armi e di droghe. Complice anche le asperità del terreno, oltre all’elevato pericolo, spesso sono solo i suoi abitanti che li percorrono, alimentando ancora di più l’emarginazione e di conseguenza i comportamenti delinquenziali.
I ranchos sono dunque da una parte il risultato dell’inadeguatezza della politica edilizia dello Stato, dall’altra parte sono la conseguenza dell’urbanizzazione di massa avvenuta in Venezuela.
Nonostante ciò, è sotto il chavismo che nelle baraccopoli venezuelane – e di Caracas nello specifico – complici anche ambiziosi programmi di riqualificazione sociale come El Sistema di Abreu (6), si iniziano a sviluppare varie forme d’arte, tra cui l’arte murale. Si tratta di un dato di estrema importanza e degno di nota poiché, sebbene in uno stato di estrema miseria e con un destino quasi segnato, questi artisti hanno trovato un modo di esprimersi e di comunicare. Questo fatto dimostra che è possibile la ricerca di un futuro diverso dalla mera corruzione morale alla quale, con drammatica facilità, si tende a cedere in ambienti come questi.
Petare (Fig. 3), la baraccopoli più pericolosa e grande di Caracas e una delle più grandi dell’America Latina, è forse l’esempio più emblematico di tale fenomeno. Storicamente conosciuta più per i crimini violenti e la rivalità tra le bande che per l’arte murale, è qui che negli ultimi anni si sta verificando un fenomeno di riqualificazione dell’intero quartiere, ad opera di artisti di strada tra i quali spicca il nome di Fabian Solymar, meglio conosciuto con il nome d’arte di Dagor.
Di origine ungaro-venezuelana, Solymar ha iniziato un progetto artistico a carattere sociale per cambiare il volto di Petare, sostituendo la propaganda politica – di qualsiasi schieramento – con opere d’arte. “Hay mucha gente yéndose y ¿qué queda aquí? ¿Dónde está la cultura, dónde están los murales, dónde están las obras de arte?” (7), ha detto Solymar.
Tale progetto è stato promosso da una donna, Katiuska Olivares nata e cresciuta nel barrio di Petare. È così che dal 2017 uno dei bassifondi più pericolosi del mondo, ha iniziato a cambiare volto.  “Most of us grew up without any beauty around us: we are a people stuck in survival mode, but without beauty, our souls just shrivel up and die” (8), sostiene la Olivares.
Ad oggi, sono stati realizzati più di 50 murales e queste opere sono diventate non solo uno spunto di discussione, ma anche un luogo di ritrovo in un’area in cui pochi – fino a poco tempo fa – sceglievano di soffermarsi.
Solymar utilizza il termine Kosmogónia per intitolare le sue opere prodotte su larga scala e generalmente dipinte in spazi pubblici, preferibilmente all’aperto. Questo termine allude a una narrazione mitica che riguarda le origini dell’Universo e dell’umanità stessa, un momento di caos originale, in cui il mondo non era ancora formato, poiché gli elementi che lo avrebbero costituito erano in disordine. Con questo termine Solymar vuole dare ordine al disordine, al caos causato dell’interazione dei numerosi e diversi elementi che compongono l’Universo. “L’idea è che – attraverso l’arte muraria – le persone sentano che questo non è un luogo di delinquenti, ma di persone che lavorano” (9), sostiene Solymar.
I suoi dipinti murali, fatti di forme geometriche, costituiscono un universo di astrazione che pur ricordando linguaggi visivi della modernità, vengono inseriti in una geometria aggiornata.
I toni del blu, del lilla e del turchese, per lo più colori pastello, si mescolano al giallo e ad altri colori. I cerchi fosforescenti – in giallo o arancione – formano un filo invisibile tra un’opera e l’altra, come se viaggiassero per creare un discorso. L’uso di questi colori è dovuto a un’attrazione, a un piacere verso di essi e nel momento in cui vengono usati per le strade di Petare, trasmettono qualcosa di nuovo alla città (Fig. 4).
Ispiratosi all’artista di strada Revok di Los Angeles e all’artista venezuelano Carlos Cruz-Diez, che usa colori e linee per dare un senso di movimento alle sue opere pioneristiche esposte nelle principali aree pubbliche di Caracas (10) (come il pavimento dell’aeroporto di Maiquetia), Solymar parte da figure geometriche e lettere, fino a giungere ad una loro totale deformazione. I tratti assumono un effetto tridimensionale. Ciò lo porta a compiere un’indagine personale sull’arte, sul movimento, sugli stili. Le figure che ottiene sono del tutto astratte e lui stesso definisce il suo stile come un “astrattismo geometrico della tipografia” (11).
La decisione di operare indipendentemente dal governo è controversa e potenzialmente pericolosa in Venezuela. Se è vero che dentro e intorno Caracas vi sono molte opere d’arte di strada, è altresì vero che nella stragrande maggioranza si tratta di opere a favore del governo. Spesso sono immagini romantiche ed eroiche di uno o di tutti e tre gli uomini forti del Venezuela: Simon Bolívar, Hugo Chávez e Nicolás Maduro. Gli slogan che le accompagnano seguono un formato rigoroso che va da “Patria o muerte” a “Hasta la victoria siempre” e qualsiasi diversione da questi messaggi è rara. Poiché la scena politica è stata – ed è tuttora – dominata dal movimento chavista, l’arte di queste baraccopoli è un’arte che rifiuta di usare immagini politiche o di giocare con la vecchia tipologia di narrazione. “The people of barrios are disillusioned: both the government and the opposition love to talk about us or use us as talking points, but neither have done anything to make our lives better. If we chose to have exclusively pro-Maduro art, I’m sure we could have gotten some government money, and if there were of Juan Guaidó, some other interest group would have chipped in” (12) sostiene la Olivares.
Esempio dunque di arte apolitica, la scelta di mantenere il progetto artistico di Petare è di per sé carica di un significato politico. Se gli abitanti del barrio continueranno a cambiare mentalità, anche grazie alla presenza di questa arte a carattere urbano, vedendosi non più come un semplice popolo, ma come singoli cittadini, a quel punto – forse – il governo finirà per avere sempre meno potere su di loro.
Se è vero che nei barrios di Caracas si è sviluppato un fenomeno ascrivibile all’arte apolitica, è altresì vero che le strade della città sono disseminate di murales inneggianti il governo e in alcuni casi contro di esso.
Il muralismo è un fenomeno socio-culturale in Venezuela. L’espressione più ricca della cultura e della comunicazione venezuelana è nelle strade, negli spazi pubblici, dove si svolge la vita in comune. Quando si comunica o si progetta un messaggio in un posto che non appartiene a nessuno (come la strada) allora questo diventa di tutti.
La “Rivoluzione Bolivariana” ha fatto sì che il pueblo diventasse il protagonista e il creatore del proprio destino e ha reciso i ponti non soltanto con la vecchia politica, ma anche con il vecchio modo di fare arte. Non tutto è stato però motivo di rottura: alcune delle convenzioni del XX secolo sono infatti rimaste intatte, come ad esempio l’uso del colore rosso, generalmente usato per indicare la rivoluzione. Gli elementi che sono cambiati sono principalmente due: la costituzione di un nuovo soggetto popolare e il ritorno all’epopea bolivariana.
Il tema del pueblo è in un certo qual modo nuovo e ascrivibile alla “Rivoluzione Bolivariana”. Prima infatti il pueblo era una figura che viveva nell’ombra e non c’erano immagini in cui questo soggetto poteva apparire come protagonista di una nuova narrativa nazionale.
Per quanto riguarda invece l’epopea bolivariana, è vero che il tema della lotta per l’indipendenza ha sempre avuto un ruolo centrale nella narrazione del Venezuela. Il cambiamento che ha portato la “Rivoluzione Bolivariana” è stato far parlare della lotta per l’indipendenza come un fenomeno incompiuto, perché dopo la liberazione dal giogo spagnolo il Paese ha dovuto subire la pressione e lo sfruttamento da parte delle moderne potenze occidentali. È dunque il pueblo che ha la responsabilità di dare continuità alla lotta per l’indipendenza, è il pueblo che è chiamato a fare la rivoluzione.
Il grande cambiamento che è avvenuto nella scena artistica è stato quello di iniziare a narrare la storia del Venezuela in prima persona e al tempo presente. Un altro cambiamento è avvenuto nel nuovo modo di raffigurare Simon Bolívar: non più in posa davanti a un ritrattista, ma in movimento, al galoppo e con la spada sguainata (13).
L’arte dunque come arma di rivoluzione. È ciò che stanno mettendo in atto molti giovani artisti venezuelani, come il collettivo artistico Comando Creativo, nato a metà del 2008 e guidato da un gruppo di chamos (14) dei quartieri il cui obiettivo principale è quello di contribuire – attraverso l’espressione grafica – alla costituzione di un mondo che trasforma i rapporti di disuguaglianza, diffondendo e costruendo, attraverso campagne di comunicazione popolare, una nuova estetica del socialismo.
Attraverso le loro opere hanno avviato una narrazione riferita alle istituzioni, al fine di fornire una sorta di racconto di quella che stava diventando la nuova forma di potere. Hanno inoltre tentato di mettere in luce il fatto che ora il soggetto della narrazione è cambiato, è il popolo in prima persona a dover compiere una rivoluzione, in maniera diretta, senza deleghe o mediazioni da parte di terzi soggetti. Dal momento che il soggetto della narrazione è cambiato, Comando Creativo ha cercato di trovare anche dei nuovi media che rispecchiassero questa trasformazione, da qui la decisione di utilizzare i manifesti, gli stencil o i murales come nel caso di quello realizzato per il celebrare il compleanno di Hugo Chávez (Fig. 5). Il murales in questione racconta la vita di Chávez a partire dalla sua ascesa, con la rappresentazione di una folla colorata e celebrante che accoglie il comandante eterno de los pueblos.
Da segnalare anche la loro partecipazione alla Biennale d’Arte di Venezia del 2013, per il padiglione venezuelano, il cui titolo era “El arte urbano. Una estética de la Subversión”. In questa occasione il Comando Creativo ha realizzato un’opera raffigurante Simon Bolívar con degli occhiali da sole e con di fianco la scritta “pendiente que Bolívar sigue vigente” (letteralmente “Stai attento, che Bolívar è ancora valido”) (Fig. 6). L’immagine di Bolívar è stata ripresa da una vecchia banconota – i diez bolivares – in vigore dalla seconda metà del secolo scorso, dunque un qualcosa che sicuramente ricordano tutti in Venezuela; la stessa immagine era utilizzata anche per alcuni francobolli. Quest’immagine è stata dunque successivamente digitalizzata e vi sono stati aggiunti degli occhiali da sole moderni, per attualizzare Bolívar.
Il messaggio appare allora chiaro: la figura di Bolívar non ha perso di valore, è per l’appunto ancora valido; non è un Bolívar che sta su un piedistallo – solitamente Bolívar a cavallo è una presenza fissa nelle piazze venezuelane – ma è rappresentato su un muro, per la strada, con il suo popolo. Inoltre, questo disegno obbliga a ripensare alla figura del Bolívar della storiografia convenzionale: né i suoi sostenitori, né i suoi oppositori possono essere indifferenti a quest’immagine, tutti sono messi alla pari nel guardarla. Forse dopotutto è questo il suo merito principale (15).
L’opera “Pendiente que Bolívar sigue vigente” è stata riprodotta più volte sui muri della città di Caracas con la tecnica della paste up, che consiste nell’uso della carta come medium, il quale viene applicato su uno strato di colla, composta principalmente da acqua e farina (wheat paste). Grazie a questa tecnica è possibile realizzare opere in riproduzione seriale, ai fini di diffondere velocemente un messaggio o un’immagine anche di grandi dimensioni (16) e con numerosi dettagli. Non a caso è una tecnica molto diffusa negli ambienti dell’arte clandestina.
Sulla stessa scia del Comando Creativo, ma questa volta ascrivibile invece a una tipologia di arte antigovernativa, è il vignettista EDO (Eduardo Sanabria), che realizza nel 2017 l’opera Venezuela, el horror y la esperanza (Fig. 7), un’immagine in bianco e nero, piuttosto oscura e che riprende la Guernica di Picasso del 1937 – una delle opere più emblematica dell’autore, diventata simbolo di denuncia delle terribili sofferenze causate dai conflitti della guerra. Quello di EDO è un manifesto contro la barbarie che si vive in Venezuela, una denuncia della repressione che il governo attua contro la protesta giovanile per la democrazia, un riflesso delle conseguenze della repressione del popolo venezuelano che richiede i suoi diritti per le strade. L’opera raffigura le così dette guarimbas, le proteste antigovernative. “Nella parte superiore sono raffigurati dei funzionari, che sono come dei mostri, che tirano bombe, sparano. Al di sotto compaiono alcuni elementi che rimandano alla pace e alla giustizia: alcuni manifestanti portano in mano la costituzione, altri gridano, altri con un fiore chiedono aiuto. Tutta l’oscurità del dipinto è in forte contrasto con la speranza, rappresentata sulla destra dal generale Simon Bolívar, che porta in mano una candela con una fiamma: la fiamma della speranza. Sopra di lui c’è l’occhio di Dio, che in qualche modo simboleggia la giustizia divina” (17). In basso a sinistra si trova poi un giovane che rappresenta il futuro estremamente a rischio: da un lato piange, dall’altro suona una chitarra, in segno di speranza. Sulla sinistra campeggia la vecchia bandiera a sette stelle, quella appunto antigovernativa.
Pur ispirandosi direttamente alla Guernica di Picasso, Venezuela, el horror y la esperanza di EDO è di fatto stilisticamente diversa dalle opere cubiste e più vicina alla cultura della pop art, rivisitata in chiave più moderna.
Delle stesse proteste di strada tratta Oscar Olivares soprannominato “el pintor de las protestas” a seguito della realizzazione dell’opera Homenaje mi amigo Juan Pablo Pernalete (Fig. 8), nella quale figurava l’amico Juan Pablo Pernalete, ucciso in una protesta nelle strade di Caracas. Pernalete è rappresentato in lotta (per la democrazia), con una camicia bianca, una medaglia sportiva sul petto e la bandiera del Venezuela sulla schiena, a mo’ di mantello. Il risultato finale fu quello di un “supereroe”.
Olivares inserisce spesso nei suoi quadri i volti delle vittime degli scontri, assurgendo al rango di martiri i manifestanti caduti. Si tratta di un gesto atto a innalzare la coscienza civile del popolo, cercando al tempo stesso di dissuaderlo dal continuare lo scontro aperto con le forze dell’ordine (18).
Contrariamente ad altri artisti venezuelani, il lavoro di Olivares non si concentra unicamente sui problemi che affliggono il Venezuela, ma è un simbolo di speranza per il Paese che si vuole costruire, il riflesso delle ragioni per cui i venezuelani devono continuare a combattere.
Olivares è in un certo qual modo l’esempio dei giovani venezuelani d’oggi, che sognano e sperano in una democrazia, che lottano per perseguire il loro ideale di governo e dimostrano che le avversità possono essere combattute nel momento in cui c’è una forte passione. È per questo motivo che le sue illustrazioni hanno avuto un riscontro positivo tra i venezuelani, anche tra i seguaci del chavismo.
Ispirato sia da Karl Marx che dal libertador Simon Bolívar, Chávez è stato un esempio di un socialismo populista e nazionalista, dichiaratamente alternativo alla globalizzazione liberale degli Stati Uniti. Un esperimento il suo che sembra ormai essere agli sgoccioli, da una parte per le molte contraddizioni insite al suo interno, dall’altra per la forse minore capacità politica di Maduro. Il Paese rischia quindi di crollare, trascinando via con sé la “Rivoluzione Bolivariana” e i suoi sogni egualitari (19).
Populista autoritario o messia, Chávez è sicuramente diventato il volto del Paese, tanto da essere ricordato ancora oggi, dai suoi seguaci, come El Comandante eterno de la Revolución Bolivariana.
Questi brevi esempi di operazioni artistiche sopra citate sono la testimonianza diretta di come, durante la “Rivoluzione Bolivariana”, l’arte – indipendentemente dall’appartenenza politica – abbia scommesso tutto sul sociale e si sia impegnata per il comune. Anche se l'attuale momento è di estrema incertezza e il governo si regge su un equilibrio precario, queste opere di strada avranno lasciato il segno e mutato per sempre il volto del Venezuela.
20 Luglio 2020
1) S. Pelizza, “Il Venezuela e la controversa eredità di Hugo Chávez”, in Babilon. Terapie Geopolitiche, n. 4, aprile 2019.
2) L’arte contemporanea venezuelana è un’arte estremamente – e inevitabilmente – politicizzata e molto spesso nelle opere compare la bandiera nazionale. Appare dunque semplice comprendere se l’artista in questione è filogovernativo o antigovernativo.
3) S. Pelizza, op. cit.
4) Poiché il Venezuela è dominato dal movimento chavista, è assai rischioso decidere di operare indipendentemente dal governo. Il rischio più grande che si corre è proprio quello di operare un tipo di arte non politicizzata, la non presa di posizione. L'arte è ancora fortemente regolamentata dal governo e gli artisti son incoraggiati ad aderire e a registrarsi alla Fundacion casa del artista, l'Istituto Nazionale per la promozione e il sostegno agli artisti nazionali di ogni tipo.
5) V. Catalano, “The best ad in history: capturing Caracas”, in Failed Architecture, 11 novembre 2015, https://failedarchitecture.com/the-best-ad-in-history-capturing-caracas/, consultato il 14 aprile 2020.
6) Si tratta di un modello didattico musicale, ideato e promosso da José Antonio Abreu, che consiste in un sistema di educazione musicale pubblica con accesso gratuito e libero per bambini di tutti i ceti sociali.
7) C. Zapata, “Dagor: “Alguien debe hacer los murales, ¡no nos podemos ir todos de Venezuela!””, in Aleteia, 5 settembre 2019, https://es.aleteia.org/2019/09/05/dagor-alguien-debe-hacer-los-murales-no-nos-podemos-ir-todos-de-venezuela/, consultato il 14 aprile 2020.
8) A. Hernroth-Rothstein, “How one woman rallied an army of street artists to transform one Venezuela’s most dangerous neighborhoods”, in Artnet, 22 luglio 2019, https://news.artnet.com/art-world/art-petare-katiuska-olivares-1604305, consultato il 16 aprile 2020.
9) N. Penna, “La bidonville più violenta di Caracas vuole cambiare volto con i murales”, in La Stampa, 4 settembre 2019, https://www.lastampa.it/viaggi/mondo/2019/09/04/news/la-bidonville-piu-violenta-di-caracas-vuole-cambiare-volto-con-i-murales-1.37411484, consultato il 13 aprile 2020.
10) S. Valderrama, “Artists use street murals to change image of violent Caracas slum”, in Reuters, 20 agosto 2019,  https://www.reuters.com/article/us-venezuela-art/artists-use-street-murals-to-change-image-of-violent-caracas-slum-idUSKCN1VA16I, consultato il 16 aprile 2020.
11) Y. Uribe Jiménez, “Fabián Solymar “DAGOR””, in Siglo nuevo, 7 febbraio 2019, https://siglonuevo.mx/nota/1612.fabian-solymar-dagor, consultato il 16 aprile 2020.
12) A. Hernroth-Rothstein, op. cit.
13) C. Pascual Marquina, “Cultural production in revolutionary Venezuela: a conversation with Kael Abello, in Venezuelanalysis, 27 settembre 2019, https://venezuelanalysis.com/analysis/14670, consultato il 16 aprile 2020.
14) Ragazzi in gergo venezuelano.
16) G. Falcone, “Breve guida alla poster art”, in Artuu, https://www.artuu.it/2018/10/03/76422/curiosita/, consultato il 29 aprile 2020.
18) N. Lucarelli, “Artisti contro Nicolas Maduro: in Venezuela gigantesco happening politico contro il presidente”, in Artribune, 30 giugno 2017, https://www.artribune.com/arti-visive/arte-contemporanea/2017/06/venezuela-proteste-nicolas-maduro-politica-happening-artisti/, consultato il 29 aprile 2020.
19) S. Pelizza, op. cit.