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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

L’eredità storico-artistica della “collina delle utopie” alla luce delle tendenze contemporanee

Olimpia Franchina
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La teoria dei cicli storici: Età dell’Oro, anno platonico ed ere astrologiche
Nutrita da studi astronomici millenari, la teoria dei cicli storici è una dottrina comune alle elaborazioni filosofiche di molte civiltà antiche. Presente nella tradizione di greci, aztechi e maya, è una concezione speculativa che postula l’esistenza di uno schema circolare a presidio dello svolgimento della storia dell’umanità. Da tale visione ciclica del tempo discende il fortunato mito esiodeo delle quattro età del mondo (Età dell’Oro, Età dell’Argento, Età del Bronzo ed Età del Ferro), le quali scandiscono il divenire della natura in accordo a un processo involutivo di graduale decadenza. Secondo un andamento uroborico, l’energia universale si consuma e si rinnova in una continua sequenza di nascita e morte, che inizia e culmina nella cosiddetta Età dell’Oro, un tempo edenico di prosperità e abbondanza. Questa affascinante rappresentazione ciclica della storia richiama la nozione astronomica di Grande Anno, con cui si allude ai 26.000 anni impiegati dall’asse di rotazione terrestre per completare il moto innescato dal fenomeno della precessione degli equinozi. Il Grande Anno si compone di dodici ere astrologiche. Ognuna delle ere rappresenta il periodo, della durata approssimativa di 2160 anni, in cui il Sole si trova, nel giorno dell’equinozio di primavera, in una delle dodici costellazioni corrispondenti ai segni zodiacali.

L’era dell’Acquario e la cultura New Age
Malgrado non esistano pareri univoci circa la data esatta dello spostamento del punto di equinozio primaverile dalla costellazione dei Pesci a quella dell’Acquario, molti studiosi collocano l’inizio della nuova era nel dicembre 2020. Così si esprime lo psicanalista James Hillman in occasione di una delle conferenze di Eranos del 1967:
«Quest’ultimo terzo del nostro secolo è anche l’ultimo trentesimo del millennio; sicché ci troviamo a vivere nell’ultimo sessantesimo dell’eone sotto il segno dei Pesci, il segno dell’era cristiana, il mito temporale all’interno del quale ricaviamo il nostro orientamento storico. Davanti a noi c’è una sola generazione, l’ultima, quella che lo chiude, quella di transizione, che ci traghetterà nel prossimo millennio e nell’era dell’Acquario». (1)
Secondo la tradizione astrologica, per ricavare le caratteristiche di questa nuova fase storica, occorre pensare alle prerogative riconducibili all’archetipo dell’Acquario. L’undicesimo segno dello zodiaco fotografa la spinta trasformativa dell’uomo verso ideali spirituali che trascendono il mero interesse individuale, in favore di apertura, solidarietà e tolleranza. La nuova era, dunque, dovrebbe traghettare l’umanità verso una fase evolutiva contrassegnata dal trionfo di valori comunitari legati alla fratellanza, alla difesa delle libertà, al rinnovamento spirituale e alla nascita di nuovi movimenti legati al rispetto per l’ambiente, alla salute fisica e psichica, all’istruzione, alla meditazione e alla preghiera come tecniche di espansione della coscienza. Con l’era dell’Acquario staremmo vivendo l’alba di un’epoca attesa da mistici e filosofi come un ritorno all’Età dell’Oro, capace di garantire la palingenesi di un nuovo inizio.
«Ben presto l’era dell’Acquario porterà grandi sconvolgimenti che faranno comprendere agli esseri umani la realtà del mondo spirituale e delle leggi che lo reggono. Ma la nuova vita che nascerà da tali sconvolgimenti, supererà qualunque immaginazione in quanto a bellezza, splendore e armonia. Tutte le creature sparse nel mondo, che lavorano in segreto alla realizzazione del Regno di Dio, si ritroveranno per agire, e le fortezze dell’ignoranza, del materialismo e del dispotismo crolleranno. Vi dico questo, e sarà così: niente potrà impedire l’arrivo della nuova epoca, l’Età d’Oro». (2)
Solo gli sviluppi storici successivi mostreranno, o meno, una effettiva assonanza fra cicli planetari ed eventi terrestri, tuttavia non si può ignorare che anticipazioni di tale avvento siano già visibili nel fenomeno culturale New Age degli anni Sessanta e Settanta. Non stupisce, allora, che proprio la cultura anticonformista di quegli anni già si fregiasse di essere testimone dell’Era Acquariana all’orizzonte. Nel 1968, in risposta al fallimento dei grandi movimenti collettivi e delle ideologie, presero avvio molteplici strategie di emancipazione. Molti tentarono di sottrarsi allo spietato processo di industrializzazione in corso, fondando comunità di vita e di lavoro basate su utopie sociali, con l’obiettivo di creare un’economia cooperativistica, che rispettasse le risorse del creato. Queste colonie anelavano ad affrancarsi da ogni vincolo imposto dalle convenzioni borghesi e dal pensiero dominante. Per non soccombere ai dettami della società di massa diventava necessario conquistare una libertà improntata ai bisogni essenziali dell’uomo e ai ritmi primigeni della natura. Malgrado gli hippies si ritenessero i primi a determinare una svolta rivoluzionaria nella storia, la cultura New Age, di fatto, non inventava nulla. L’indirizzo progressista imboccato in quegli anni, nel mito di una vita alternativa, si riallaccia piuttosto a una lunga storia precedente che, sullo sfondo della Lebensreform (Riforma della vita), rintraccia nell’esperienza comunitaria di Monte Verità la fonte di ogni tentativo successivo di riforma dell’esistenza.

La Lebensreform
Di pari passo a quella lunga letteratura della fuga resa epica da Joseph Conrad, Jack London e Henry David Thoreau, la Lebensreform è un movimento di contro-cultura attivo nella Germania guglielmina, e in Svizzera, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Chi aderisce a questo gruppo punta ad abbandonare i vecchi stilemi patriarcali in favore di una filosofia esistenziale basata sul ritorno alla natura, sul vegetarianesimo e la cura del corpo. Il mondo rurale recupera una forma di sacralità arcaica, divenendo il contesto ideale nel quale coltivare un nuovo equilibrio fra materia e spirito. Per molti intellettuali e artisti, infatti, trasferirsi in campagna e insediarsi in una comunità artistica (Künstlerkolonie) diventa una prassi largamente in uso. Rispetto ai progetti di rottura delle convenzioni sociali messi in atto nelle sopra citate colonie, la comunità di Monte Verità costituisce un esperimento pioneristico, dal grande valore spirituale, che dà vita a un programma culturale unico, destinato a influenzare gli anni avvenire (3).  È intenzione primaria di questo articolo far emergere, attraverso una breve indagine storica, la sorprendente attualità di questa esperienza comunitaria dalle caratteristiche peculiari.

Monte Verità: 1900-1920, la prima fase della comunità
Dopo l’apertura della galleria del Gottardo, il Ticino diviene luogo di incontro tra nord e sud, meta privilegiata di solitari viaggiatori alla ricerca di atmosfere meridionali che accolgano la proiezione di nuovi modelli di vita. Così, intorno al 1900, la fuga dalle nevrosi urbane di cinque giovani borghesi si risolve nella fondazione, nella regione ticinese di Ascona, sul Monte Monescia, della colonia di Monte Verità. La montenegrina Ida Hofmann, il belga Henri Oedenkoven, la tedesca Lotte Hattemer, e i fratelli transilvani Karl e Gusto Graser reagiscono all’ipocrisia dell’universo borghese con la creazione di una nuova forma di convivenza comunitaria basata su avanzate regole di cooperazione e innovativi principi alimentari di stampo vegetariano. Ida Hofmann, in particolare, paladina dell’emancipazione femminile e della liberazione da qualsiasi ordine patriarcale, coltiva nel corso di questo esperimento il sogno di un’umanità nuova e libera che, annullato il dualismo fra visibile e invisibile, pervenga a una definitiva riforma della propria esistenza. Il nome Monte Verità, con cui i cinque fondatori battezzano la comunità, denota l’influenza esercitata dalla teosofia sui criteri organizzativi della colonia e allude, tramite il simbolismo del monte, al faticoso cammino iniziatico che precede ogni duratura conquista spirituale. Come ogni fenomeno umano, anche la leggendaria storia di Monte Verità conosce diverse fasi, ciascuna delle quali testimonia i differenti volti assunti nel corso del tempo da questa iniziativa comunitaria. I primi abitanti dell’insediamento inaugurano un periodo di radicale sperimentazione, e conducono una pratica di vita alternativa, allineata al ciclo della natura e al ritmo delle stagioni, nel pieno recupero dei culti pagani legati al Sole e alla Madre Terra. Fra i boschi delle colline che si affacciano sulle rive elvetiche del Lago Maggiore costruiscono avveniristiche case in legno, piantano alberi da frutto, provano nuovi metodi di cura elioterapica e vivono in una dimensione di ascetica autosufficienza. Peraltro, mossi da una nostalgia atavica verso una mitica Età dell’Oro, questi pionieri dello spirito rifiutano di intendere l’arte come un campo separato dalla vita, nobilitando le spinte creative contenute nelle più semplici attività giornaliere. Dopo aver provveduto alla costruzione della Casa Centrale e di Casa Anatta, nel 1905 Henri Oedenkoven ridimensiona l’esperienza naturista della comunità, aprendo sulla collina un sanatorio all’avanguardia. Chi si lascia conquistare dal fascino magnetico del luogo e decide di trascorrere un soggiorno nella clinica monteveritana deve rinunciare a un’alimentazione basata su spezie, alcol e carne, in favore di una dieta a base di frutta e verdura, che collabori a ristabilire un rapporto di autentica armonia fra sé e l’ambiente circostante. La portata degli ideali propugnati da questa comunità (escapismo anti-urbano, spirito cooperativistico, culto del corpo, parità dei sessi, sostenibilità e pacifismo) è tale da richiamare la curiosità di teosofi, anarchici, scrittori, poeti e artisti dalla Russia e da tutta Europa. Nell’arco di circa vent’anni, Monte Verità diventa la culla della controcultura europea, epicentro di un articolato cammino di ricerca culturale e spirituale. In questo fazzoletto di terra si incrociano le biografie di personaggi interessantissimi della storia del Novecento: Raphael Friedberg, Peter Kropotkin, Erich Mühsam, August Bebel, Karl Kautsky, Otto Braun, Michael Balint, Max Brod, Ernst Frick, Hans Arp, Hans Richter, Else Lasker-Schüler, Hermanne Hesse, Filippo Franzoni, Hugo Ball, Emmy Ball-Hennings, Johannes Nohl, Adolf Just, Fritz Jord, Karl Vester, Max Emden, Alexander Wilhelm de Beauclair, Marianne von Werefkin, Alexej von Jawlensky, e lo psicanalista Otto Gross, che progetta un’università per l’emancipazione dell’uomo. Inoltre, in seguito alla fondazione della scuola estiva di arte del movimento di Rudolf von Laban, Monte Verità diviene capitale indiscussa della ricerca coreografica contemporanea, attraendo alcune fra le danzatrici più importanti del ventesimo secolo: Isadora Duncan, Suzanne Perrottet, Maja Lederer, Mary Wigman, Dussia Bereska, Katja Wulff, Charlotte Bara. Ginnastica, danza e meditazione rafforzano la cultura del corpo promossa ad Ascona. Qui von Laban, ispirandosi a danze primitive e ancestrali, riflesso delle pulsioni più profonde della coscienza umana, realizza memorabili spettacoli carichi di simbologie rituali, destinati a segnare l’immaginario coreografico degli anni successivi (4).

Monte Verità: 1921-1964, la seconda fase della comunità
Nel 1920 Ida Hofmann e Henri Oedenkoven lasciano Monte Verità ed emigrano prima in Spagna, e poi in Brasile. Così il complesso asconese viene venduto agli artisti Werner Ackermann (noto sotto lo pseudonimo di Robert Landmann), Max Bethke e Hugo Wilkens, che lo trasformano in una vivace colonia di artisti espressionisti. Nel 1926 la fase avanguardistica di Monte Verità termina con l’acquisto della collina da parte del barone Eduard von der Heydt, banchiere dell’ex imperatore Guglielmo II e uno dei maggiori collezionisti europei di arte contemporanea, orientale e primitiva. Quest’ultimo trasforma Monte Verità in una lussuosa zona di villeggiatura, dove l'élite internazionale della cultura, dell’economia e della politica si ritrova nel segno degli ideali di cura del corpo e dello spirito già sostenuti dai fondatori della prima comunità ticinese. Per far ciò, il barone dota Monte Verità di una nuova struttura alberghiera in stile Bauhaus, costruita dall’architetto tedesco Emil Fahrenkamp, e arredata con molte opere d’arte della propria collezione. Inoltre, affida a Johannes Itten la concezione di una nuova scuola d’arte da fondare sul luogo, restaura a titolo conservativo le capanne aria-luce, amplia con piante esotiche il parco rigoglioso che attornia gli edifici della collina, e vi installa uccelliere cinesi, maschere africane e sculture ispirate all’estremo Oriente. Monte Verità rinasce e conosce un nuovo splendore, ospitando il gotha della società europea. Sotto la guida del barone, infatti, lo spirito riformatore della vita dei fondatori originari della comunità approda a una nuova diffusione, trovando adesione in chi desidera rinnovare un più sano contatto con la natura come espediente di rinnovata spiritualità. In questa fase gli artisti del Bauhaus scoprono Ascona come buen retiro, così soggiornano sulla collina nomi del calibro di Josef Albers, Herbert Bayer, Marcel Breuer, Walter Gropius, Xanti Schawinsky e Oskar Schlemmer, ma anche Paul Klee, El Lissitzky, von Kupffer, László Moholy-Nagy, James Joyce, Rainer Maria Rilke, Olga Frobe-Kapteyn, Karoly Kerenyi, Carl Gustav Jung (5). Alla morte di von der Heydt nel 1964 il complesso di Monte Verità passa per lascito testamentario al Canton Ticino (6).

Harald Szeemann e la collina delle utopie
Convinto che la storia sia uno strumento prezioso per ripensare il mondo, Harald Szeemann ha posto al centro della sua pratica curatoriale la dimensione sognante e visionaria dell’arte, ravvisando proprio nel potere dell’immaginazione il paradigma generativo di ogni umano progresso. Intuendo la profondità dell’itinerario intellettuale e spirituale tracciato dai protagonisti di Monte Verità, Szeemann ha ricostruito con dovizia archeologica la parabola di questa colonia nella mostra Le mammelle della verità, inaugurata ad Ascona nel 1978 presso cinque sedi espositive. Alla ricerca di un mondo di idee e aspirazioni sommerse dal peso dell’oblio, il curatore bernese ha collaborato alla riemersione di una topografia sacrale moderna, che ripercorre il rinnovamento idealistico ospitato da Ascona nei primi decenni del secolo scorso (7). Quelli raccolti da Szeemann sono i reperti di una storia dello spirito alternativa, che ha unito sinergicamente arte e vita, anelando alla realizzazione pratica di un programma pacifista e ugualitario. È grazie a lui, infatti, e al delicato lavoro che ha preceduto la ricomposizione delle utopie infrante, se oggi è stato possibile dare nuova visibilità alla storia di Monte Verità. In fuga da capitalismo, affarismo e falsità, la collina delle utopie ha costituito un baluardo dinnanzi a un’epoca spiritualmente allo stremo, uno spazio sospeso nel tempo che ha nutrito una controcultura che rigetta ogni tradizionale prospettiva borghese del mondo. La mostra che Szeemann dedica a Monte Verità è frutto di una lunga gestazione, e di meticolose ricerche sulla cultura della riforma, del corpo e dello spirito, avviatasi tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Il curatore svizzero lega a un immaginario femminile e materno il paesaggio collinare di Ascona. Riconoscendo a Monte Verità le fattezze di una moderna Artemide Efesia, Szeemann assimila gli ideali della comunità ai seni di un’arcaica divinità femminile, da cui sgorgano verità rigeneranti. Le metaforiche mammelle che hanno nutrito il terreno di Ascona sono le utopie relative all’anarchia, alla riforma dell’anima, al femminismo, alla rivoluzione sessuale e all’arte, che hanno ambiziosamente convissuto su questo monte. Per il noto curatore, le diverse visioni di paradiso proiettate sopra le colline di Ascona compongono un’opera d’arte totale, un’addizione di mete altissime condensate in circa seicento vite. La grandezza della mostra ideata da Szeemann risiede, quindi, nella capacità di valorizzare lo spessore dei tanti esperimenti di vita alternativa elaborati in risposta ai problemi del tempo.

L’eredità del sogno monteveritano
L’utopia plasmata dall’esperienza di Monte Verità fornisce spunti utili all’interpretazione di molte tendenze contemporanee. In fondo «ogni verità è ricurva, e il tempo stesso è un circolo» dice lo Zarathustra nietzschiano (8). Il mondo, lo spazio e il tempo conducono un ciclo eterno, nel quale nulla inizia e nulla finisce, ma tutto si ripete in un perenne movimento. Rispetto a questa ciclica alternanza, Monte Verità rappresenta un’esemplare bolla anticipatoria, sia rispetto al clima di rottura respirabile alla fine degli anni Sessanta che rispetto ai dettami della leggendaria Era Acquariana da poco avviatasi. Pur vagheggiando la nostalgia per un paradiso perduto delle origini, dove uomo e natura convivono in un’alleanza pacifica, gli esperimenti consumatisi sotto il sole della riforma monteveritana realizzano un sogno ancora vibrante. Se è vero che il motore dell’essere è costituito dal “non essere ancora”, Monte Verità testimonia il prezioso ruolo svolto dall’arte nel creare nuovi mondi possibili, moltiplicando gli orizzonti di ipotetiche realtà esperibili. Nuovi approcci, spunti e visioni nascono dall’esigenza di rinnovamento con cui ogni sogno è chiamato a dare un volto all’avvenire, puntellando una silenziosa rivoluzione dello sguardo. Nella consapevolezza che il futuro nasce dalla memoria di ciò che è stato, la colonia di Monte Verità merita di essere ricordata come un’isola chimerica che ha anelato alla costruzione di una società simile a quella attualmente auspicata, che cioè veda l’uomo rinunciare a ogni effimero materialismo, in virtù di una nuova riflessione sul corpo, sullo spirito e sull’ambiente. Tuttavia se oggi alimentazione biologica e vegetariana rasentano la moda, nei primi decenni del ventesimo secolo erano i sintomi di una profonda rivoluzione antropologica che ha anticipato in modo profetico la commistione tra arte e attivismo, l’ecologia dell’abitare, la cultura vegetariana, la medicina omeopatica e la cura del corpo, il femminismo e la rivoluzione sessuale, l’elioterapia e i benefici della danza espressiva. Dalla spiritualità alle pratiche meditative come chiavi di conoscenza del mondo, dal vegetarianesimo ai bagni di sole, dalla teosofia alla psicanalisi, Monte Verità ha ispirato l’espressione libera e alternativa del genio umano, contribuendo ad affinare ideali immutati di libertà e fratellanza e a eternare il valore riformista che appartiene all’utopia di ogni tempo.
«L’utopia è come l’orizzonte: cammino di due passi, e si allontana di due passi. Cammino dieci passi e si allontana di dieci passi. Per quanto io cammini, non la raggiungerò mai. E allora, a cosa serve l’utopia? A questo: serve a continuare a camminare». (9)

Gennaio 2024

1) Kaj Noschis, Monte Verità. Ascona e il genio del luogo, Edizioni Casagrande, Bellinzona, 2013, p.179.
2) Omraam Mikhael Aivanhov, L’Acquario e l’Eta d’Oro, Prosveta Edizioni, Tavernelle, 2008, p.2.
3) Kaj Noschis, Monte Verità. Ascona e il genio del luogo, Edizioni Casagrande, Bellinzona, 2013, p.183
4) Nicoletta Mongini, Chiara Gatti, Sergio Risaliti, Monte Verità. Back to Nature, Edizioni Lindau, Torino, 2022, pp. 113-129.
5) Stefan Bollmann, Monte Verità. 1900. Il primo sogno di una vita alternativa, EDT, Torino, 2019, pp.240-249.
6) Kaj Noschis, Monte Verità. Ascona e il genio del luogo, Edizioni Casagrande, Bellinzona, 2013, pp.148-149.
7) Harald Szeemann, Monte Verità. Ascona. Le mammelle della verità, Electa Editore, Milano 1978, pp. 100-106.
8) Friedric Nietzsche, Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno, Adelphi, Milano, 1986, p.184.
9) Eduardo Galeno, Parole in cammino, Sperling & Kupfer, Milano, 2006, p.42.