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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Domenico Scudero
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Una delle domande irrisolte, addirittura inespresse per inattualità, è cosa sia oggi la critica d'arte. Sul suo patrimonio letterario appare evidente che ci sia poco da aggiungere. La storia della critica d'arte ha avuto nei decenni, e in particolare nel XX secolo, un'ampia produzione letteraria e analisi approfondite sulle sue origini, nello specifico con gli studi della Scuola di Vienna e dello Schlosser, il cui testo è un ineguagliato esempio di riassunzione sulle origini e sui significati della scrittura d'arte (1). Nel proseguio degli anni questa mole di argomentazioni sull'arte che definiamo con l'etichetta "critica" si è però ulteriormente complicata in particolare attraverso variegate teorizzazioni che hanno implicato una irrisolvibile complessità della disciplina. Nello specifico da Warburg in poi, dai primi decenni del 900, l'espansione e la libertà interdisciplinare derivata dalla complessa stratificazione delle conoscenze ha prodotto il suo contrario, l'incapacità alla riassunzione e alla narrazione di una storia plausibile e circostanziata che potesse ricollocare la scrittura d'arte nell'ambito di una disciplina univoca (2).
Sebbene alcune paradossali interpretazioni della critica siano ancora tenute in alta considerazione nel territorio degli studi accademici, appare evidente che ciò che chiamiamo critica d'arte non possa essere circoscritto in un modello univoco di regole e teoremi tali da poter schematizzare e sintetizzare il suo percorso in una limpida disciplina. D'altra parte occorre anche accennare al fatto che una storia della critica d'arte realmente onnicomprensiva è da tempo considerata di impossibile realizzazione, poiché le ragioni dello storico tendono a separare il metodo di una "scienza" storica dal paradosso opinabile delle prese di posizione della critica che scriva sul contemporaneo. Per cui è evidente che lo sguardo dello storico si concentrerà sulla verticalità profonda del percorso, appurando che esistano legami teorici e motivazionali che dimostrino la veridicità e la giustezza di alcune linee di demarcazione, depennando tutto ciò che non appare assimilabile a quel contesto. Per costoro la critica è comunque un modus operandi di cui possono disporre per spiegare la storia. Ma la critica contemporanea non è questo. La critica contemporanea sceglie l'orizzontalità, scommette sul presente da cui sottrae alcuni segni che considera interessanti. Se c'è un metodo nella prassi critica del contemporaneo questo è sempre individuale, non è sistemico e soprattutto non è affinato alle prassi storiografiche, poiché esse implicano la verticalità dello sguardo verso il passato che distoglie dalla percezione del presente. Un segno d'arte del nostro tempo sarà tale per lo storico solo dopo la sua convalida in relazione o al passato o al suo futuro, quindi tutto da dimostrare. Un problema che si concretizza nella mancanza di una reale storia della critica d'arte contemporanea. Nel contesto italiano, ad esempio, l'ultimo reale testo di storia della critica è quello del Venturi, pubblicato nella prima edizione a New York nel 1936 (3). Dopo di lui sono stati pochi i tentativi di restituire una visione completa di questa disciplina. Luigi Grassi e Gianni Carlo Sciolla (4), sono due degli autori di quei rari testi che hanno tentato di misurare un territorio difficile da valutare con un metodo storico. Nel caso de La critica d'arte del Novecento di Gianni Carlo Sciolla, pubblicato nel 1995, si giunge al paradosso di realizzare una sorta di archivio di biografie sfilacciate e che non si raccordano fra loro, manifestando la palese inefficacia del metodo per definire ciò che nella pratica è scrivere d'arte, ignorando quasi platealmente il territorio del coevo contemporaneo. In ambito internazionale lo schematismo storico risulta ancor più complesso, naturalmente, e le storie che raccontano la critica d'arte si muovono con disinvoltura ma con modelli che vertono implicitamente su scuole di natura locale dettate dal sovranismo culturale in voga. Basti pensare che la già citata opera dello Schlosser nella maggior parte dei casi non è nemmeno presa in considerazione e, sebbene le origini greco latine della critica d'arte siano considerate ovvie nel campo della letteratura artistica, sono pochissimi i riferimenti che si fanno in ambito internazionale agli sviluppi che si sono poi avuti nei paesi, come l'Italia, la Francia, la Grecia o la Germania e l'Austria. 
Si dimentica, spesso, che la critica d'arte è sostanzialmente il linguaggio degli artisti, è il parlare d'arte, usare termini specialistici che servono a rendere palese ciò che è l'opera d'arte e non un substrato di considerazioni o di giudizi aprioristici. La critica d'arte è la lingua parlata dagli artisti resa in forma letteraria e difficilmente questo impasse può essere affinato da un sistema metodologico che ne leghi i contenuti in una forma assimilabile ad un sistema univoco. D'altra parte è anche vero che non sempre scrivere d'arte sia stato considerato una forma della critica. Poniamo ad esempio il caso dei primi decenni del XX secolo. In cosa consisteva la critica d'arte relativa all'avanguardia? Semplicemente non esisteva alcuna forma esplicitamente relazionata alle visioni e ai progetti di quel periodo eccezione fatta per gli stessi artisti o se vogliamo per gli agitatori culturali che vi lavoravano. Difficilmente però si considerano Marinetti, Tzara, Kirchner, Breton o Mallarmé dei critici d'arte, tuttavia sono stati costoro a inventare un linguaggio che ha affiancato con adeguata sintonia il percorso della sperimentazione artistica, lì dove la critica istituzionale guardava altrove, magari immersa nei motivi di una storicizzazione che a quel punto risultava impossibile da provare per l'avanguardia. Ancora adesso la pratica dello storico critico è quella della rassomiglianza, della derivazione che non concede spazio alla frattura come nel caso della pirotecnica erudizione e vasta cultura di Didi-Huberman, il quale è forse il più valido esempio di come la storiografia si rinnovi sempre attraverso la meraviglia inquietante dalla somiglianza (5).
Il problema attuale è che nelle pratiche della critica d'arte contemporanea di oggi non esiste più alcuna adesione al linguaggio che era normativo qualche decennio passato. Già il termine stesso "critica d'arte" risulta irritante. Cosa significa, e cosa vuole l'individuo che si arroga il diritto di parlare d'arte assumendo l'evocato privilegio di essere critico? La rivoluzione tecno politica degli ultimi anni ha ulteriormente aggravato questa situazione facendo terra bruciata sul prodotto generato dall'individuo "critico". Ma i segni della sua decadenza erano già visibili da tempo. Per gli artisti degli anni Sessanta il critico impersonava il ficcanaso che si arrogava il diritto di giudicare, per lo storico era da tempo un perditempo che approfittava di sparute cognizioni lessicali per sproloquiare sulle opere, privo di profondità storica, quindi di metodo. Già da quegli anni l'etichetta di critico era quasi offensiva; gli artisti della Minimal art, per non parlare dei concettuali e i vari autori della processualità avevano tutti in astio la figura del critico, ed è così che Kosuth della critica parlava da sé e Kuspit richiudeva il cerchio nella decadente visione di Oscar Wilde sostenendo che il critico era un artista (6). Se l'opera accademico universitaria della critica si era rivolta alla mera descrizione, ovvero contro l'interpretazione come sosteneva la Sontag, il linguaggio si affiancava al sogno e alla psicanalisi che negli anni Ottanta era una chiave imprescindibile per arrivare al discorso sull'arte (7).
Cosa rimane oggi di questo territorio semantico? Una poltiglia indescrivibile, da cui poter estrarre alcune considerazioni. La prima è che sebbene la critica abbia ricevuto attacchi di ogni genere e sia stata terreno infernale di lotte e di dibattiti sul suo esserci o la sua sparizione, essa resiste sotto mentite spoglie. Dagli anni Novanta in poi la critica ha assunto posizioni che le erano negate nel momento in cui si affannava di resistere come disciplina storico critica, da cui la storiografia col suo appannaggio metodologico voleva sottrarla. In questo cambio di rotta la critica si è trasformata in un linguaggio complesso - le visual cultures e i suoi derivati o le progressioni critico curatoriali - e ha tentato di ricollocarsi nell'ambito della cultura contemporanea inglobando modelli e modalità che ne hanno fatto un sistema sublime di altri campi della ricerca, della geopolitica, della sociologia, delle biotecnologie. La seconda considerazione è che in questo passaggio in cui l'opera d'arte viene interpretata come momento di rastremazione di problematiche attinenti la complessità di fenomeni globali, la critica ha però perduto il suo centro, ovvero non è più considerata nemmeno critica d'arte. Infatti di cosa parliamo quando diciamo critica d'arte? Non si tratta di giudizi, poiché nessuno oramai emette giudizi; non si tratta di una disciplina che abbia un metodo e di conseguenza non è considerata nemmeno tale, in particolare dagli umanisti che oramai piuttosto sono associabili ai burocratici scientisti. Per i trinarciuti analitici del suprematismo linguistico anglofono la critica può essere soltanto fattuale, di conseguenza ogni discorso che non sia formalistico e concreto non è considerato valido; costoro forti del loro privilegio linguistico della cui dominanza si fanno scudo non considerano ignoranza non avere alcuna conoscenza linguistica dell'altrove. Questa posizione dominante e assolutista, che serve anche da delimitazione di quella gerarchia suprematista, maschile, bianca, del cui gusto di classe e denaro tutto il sistema dell'arte ha dovuto subire le scelte, ha paradossalmente creato al suo centro la controreazione. Noi sappiamo che le forme di potere quando assolute hanno come unico avversario esse stesse, così le crepe originatesi all'interno delle prassi analitiche stanno minando alla base questo bastione della pseudo critica d'arte istituzionale, quell'assolutismo analitico che ha poi definito che è bello ciò che vale economicamente di più. Si tratta di un modello evidentemente contraddittorio, poiché piuttosto che interessarsi dell'interpretazione, che per l'analitica è una fiction letteraria, si è interessato del valore commerciale, ed ha così definitivamente estirpato il "cancro" del giudizio raggiungendo il culmine dell'iper liberismo interessandosi di valutare il peso culturale attraverso il valore d'asta degli oggetti; di contro, avendo estirpato la critica e desertificato il suo territorio di ricerca umanistico universitario, il suprematismo analitico deve adesso fare i conti con un linguaggio che parla dell'arte volutamente in forma di fiction, in forma di racconto, letteratura. Essa non avrà il peso specifico di ciò che conta nell'ambito della storiografia ortodossa, ovvero non corrisponderà più nemmeno lontanamente agli standard metodologici di ciò che era la critica d'arte, ma allo stesso tempo riempie di significati ciò che non è nelle valutazioni di quel sistema gerarchico del contemporaneo artistico. Alcuni segnali ci dicono che la montagna del sistema dell'arte ha raggiunto il suo scopo, quello di essere indipendente dal giudizio e dalle "chiacchiere" della critica: le parole della critica ufficiale sono pubblicità pagate allo scrivano di turno purché abbia un nome, redatte a chiari caratteri su cataloghi pesanti come mattoni che certificano il valore commerciale delle opere in questione. La critica invece, quella sopravvissuta per piacere, per lusso del vivere, per passione culturale, decide di raccontare le storie dell'arte, decide ancora una volta, come era già successo con Alberti e con Vasari, di parlare d'arte e della sua conoscenza, di parlare il linguaggio dell'arte per raccontare al di là delle clausole burocratiche e nell'anarchia del testo gli orizzonti futuri che l'opera contiene.

Gennaio 2024

1) Julius Schlosser Magnino, La letteratura artistica, trad. it. La Nuova Italia, Firenze, 1977, (ed. or. Die Kunstliteratur, Schroll & Co., Wien, 1924).
2) Aby Warburg, Per Monstra ad Sphaeram, trad. it. Abscondita, Milano, 2014 (raccolta di testi dal 1923 al 1925).
3) Lionello Venturi, Storia della Critica d'Arte, trad. it. Einaudi, Torino, 1964 (ed. or. History of Art Criticism, New York, 1936).
4) Luigi Grassi, Teorici e storia della critica d’arte, (in collaborazione con M. Pepe), 3voll., Multigrafica, Roma, 1978; Gianni Carlo Sciolla, La critica d’arte del Novecento, Utet, Torino, 1995.
5) Georges Didi-Huberman, L'immagine insepolta, trad. it. Bollati Boringhieri, Torino, 2006 (ed. or. L'image survivante, Edition de Minuit, Paris, 2002); Storia dell'arte e anacronismo delle immagini, trad. it. Bollati Borignhieri, Torino, 2007 (ed. or. Edition de Minuit, Paris, 2000).
6) Joseph Kosuth, L'arte dopo la filosofia, Il significato dell'arte concettuale, Trad. It. Costa & Noland, Genova, 1987 (ed. or. 1969, USA); Donald Kuspit, The critic is artist: The intentionality of art, UMI Research Press, Ann Arbor, Mich., 1984; Oscar Wilde, “Critic as Artist”, in Intentions, pub. Osgood/McIlvaine, London, 1891.
7) Susan Sontag, Against interpretation, Farrar -Straus and Giroux, New York, 1966 (trad. it. Contro l'interpretazione, traduzione di Ettore Capriolo, Mondadori, Milano, 1967 ).