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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Pittura e scultura del non colore al Casale d’Arte XXX Miglia*

Paola Cordischi
in dialogo con Anna D’Andrea
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Anna D’Andrea - Per cominciare vorrei che mi raccontassi cos’è il Casale d’Arte XXX Miglia e come nascono questi incontri con l’arte nella natura
Paola Cordischi - Il Casale nasce da una scelta di vita personale, allontanarsi dalla città per ritrovare il contatto con l’ambiente naturale. All’inizio era uno studio d’arte, nel tempo ha ospitato mostre personali e collettive di altri artisti. A questo si sono aggiunti negli anni interventi di musica e di spettacolo che hanno avvicinato molte persone.
Il Casale vuole essere soprattutto un luogo di incontro. L’arte è il collante per riunire le persone, facendo leva sul desiderio di molti di crescita e sviluppo sostenibile. Nel mio modo di vedere, l’arte e la cultura non sono fini a se stesse, ma sono strumenti da utilizzare per contribuire a un’evoluzione positiva della società, che consiste essenzialmente in un benessere collettivo, in armonia con l’ambiente naturale. Benessere significa per me soddisfazione dei bisogni essenziali e non indotti: la bellezza dell’Arte e della Natura, la socialità positiva, la cultura condivisa, rappresentano una valida alternativa possibile a consumi inutili e mode passeggere.

A.D. - La mostra è intitolata “
Bianco e nero, luce ed ombra: il non-colore nell’arte” e presenta alcuni tuoi lavori assieme a opere di Vincenzo De Moro, Nora Kersh, Mauro Magni, Maria Carla Mancinelli, Massimo Melloni, Maria Grazia Tata, Gloria Tranchida. Otto artisti che hanno un orientamento comune verso l’astinenza cromatica, ovvero quando qualcosa in meno diventa qualcosa in più
P.C. - È molto bello il termine da te utilizzato “astinenza cromatica”. Come teorizzano le filosofie orientali, una via per ritrovare una sorta di spiritualità laica è proprio nella consapevolezza di se stessi e delle proprie mancanze, da cui nascono quei bisogni che possono essere naturali o artificiali, necessari o superflui. Il silenzio, la solitudine, il digiuno sono modi per ritrovare un equilibrio compromesso. Anche nella pratica artistica, avere a disposizione tanti mezzi, colori, strumenti, tecnologie può far perdere il senso e la direzione della ricerca.

A.D. - Mi viene in mente l’Astrazione Povera teorizzata da Filiberto Menna e in genere l’estetica minimalista sintetizzata nel motto ”less is more”, come se periodicamente nell’arte, come nella vita, fossero necessarie fasi alterne di ripensamento, riduzione, ritorno alle basi
P.C. - Nel loro percorso di lavoro gli otto artisti presenti in questa esposizione collettiva arrivano in modi diversi a una sorta di un minimalismo di forme e colori. Infatti è stato abbastanza semplice allestire i loro lavori in un insieme armonico: si può dire che il tema della mostra scaturisca direttamente dalle loro ricerche e non il contrario, come spesso accade. Altri elementi che ci accomunano sono la tendenza all’astrazione e l’utilizzo di materiali poveri e a volte di riciclo.

A.D. -
Possiamo dire un incontro di percorsi diversi sulla base di un terreno condiviso, che sceglie il linguaggio espressivo dell’astrazione, dipanato dalla convulsione frenetica del gesto, talvolta con allusioni figurative residuali. E i ritmi rallentano, i tratti si distendono, le campiture si dilatano, gli spazi si espandono, forse gli effetti di questo posto nel verde della natura, del clima gentile e familiare che si respira seduti in questo giardino
P.C. - Nella nostra solitaria ricerca in laboratorio in sostanza cerchiamo noi se stessi e proviamo a dare un senso alla nostra esistenza: quale posto migliore del silenzio della natura per farlo? Ci esprimiamo attraverso l’arte per necessità interiore, che il linguaggio usato sia il migliore, il più attuale o il più innovativo non è di fondamentale importanza. Gli artisti che conosco e che stimo condividono con me questo modo di pensare.

A.D. - Rinunciare alle distrazioni e agli eccessi del colore, un po’ come mettersi a dieta, per sentire meglio il sapore delle cose, ritrovare la forza del segno, la consistenza della materia e dei materiali, pulizia e chiarezza compositiva
P.C. - L’abbuffata di immagini, di pubblicità, di stimoli mediatici è un tratto tipico del nostro tempo. L’arte può ritrovare senso e funzione proprio nella negazione di questo iperconsumo pseudoculturale e tecnologico. È un tentativo, un’idea da praticare in sintonia con l’ascolto della natura, nella sua bellezza e forza primordiale.

A.D. - Un tentativo senza forzature che resta aperto alle forze primordiali dici, una pausa di riflessione per sottrazione, come avviene dall’Action painting alla Color field painting, attraversando gli Stati Uniti dalla
east alla west coast. Ossia quando la potenza esplosiva dell’astrazione pittorica non si esaurisce in se stessa e si ricompone in campo, traccia, atto in levare che separa il vuoto dal pieno, la luce dal buio, il bianco dal nero, dunque un differire che non toglie, ma aggiunge, apre nuovi scenari e possibilità espressive
P.C. Togliere i particolari irrilevanti, cercare la sintesi, concentrarsi sugli elementi strutturali fondamentali è una strada per andare all’essenza delle cose in controtendenza a un contesto che ci sommerge, in un eccesso di oggetti e informazioni.

A.D. -
E a proposito di tecnologia mi sembra che nelle opere in mostra l’intelligenza emotiva prevalga decisamente sull’intelligenza artificiale
È corretto. Insieme agli artisti che ho scelto, cerco di avere una visione culturale più ampia possibile, che tenta di comprendere la realtà contemporanea e in quest’ottica utilizzo senza distinzioni tecniche antiche e nuove tecnologie. Ciò che conta, indipendentemente da linguaggi e mezzi usati, resta come atemporale

A.D. - … e include tracce di reminiscenze diverse, come la prima impronta dell’uomo sulla caverna o lo spray dei graffiti sui muri delle metropoli odierne e molto altro ancora
                            
* Dal 27 settembre al 12 ottobre 2025

Ottobre 2025