Francesco Gennaro
Premessa. Il testo che segue è un indice ragionato e dettagliato di una sezione del libro Superficies. Materiali di Tangenza, a cura di Pasquale Polidori, ed. Cambiaunavirgola 2025. Il libro raccoglie i materiali del laboratorio Superficies che ha avuto luogo tra aprile e luglio del 2024 al Teatro Litta di Milano, come progetto didattico del Dipartimento di Arti Visive – Scuola di Pittura dell’Accademia di Brera, e coordinato dai docenti Cristina Muccioli, Pasquale Polidori e Domenico Scudero. All’interno di questo volume, io ho composto la parte da pagina 125 a pagina 138, in cui è documentata la lettura corale di un brano di Gina Pane, avvenuta a più riprese durante il laboratorio.
Pagina 125: zoom, fotografia. Questa pagina presenta un dettaglio fotografico della performance dell’artista Gina Pane, dal titolo Action Discours mou et mat (Azione Discorso molle e opaco), realizzata presso la galleria De Appel di Amsterdam nel 1975, fotografata da Françoise Masson. La fotografia è contenuta nel catalogo della mostra Gina Pane (1939-1990). È per amore vostro: l’altro a cura di Sophie Duplaix, allestita presso il Mart di Rovereto nel 2012.
Per realizzare questo e i due zoom delle pagine successive mi sono avvalso di uno smartphone e di ritagli di carta bianca che ho adagiato sulla pagina del catalogo per rimpicciolire la foto ed estrarne solo un particolare. Quest’ultimo raffigura tre dita insanguinate che poggiano su uno specchio, il quale riflette parte delle dita.
La scelta di questi particolari nasce soprattutto da un’attrazione estetica, da quel richiamo visivo, anche istintivo, che mi ha spinto a tornare più volte sulle immagini della performance Action Discours mou et mat, fino a trovare quella in grado di aprire, come uno strappo, uno spazio che si concede alla riflessione: un’immagine che, estrapolata dal suo contesto originario — il catalogo della mostra — conduce il lettore in una dimensione altra: nuova, incompleta, straniante, dove il senso si svela solo nella sua assenza.
L’assenza del resto della fotografia ci conduce verso nuove modalità di lettura dell’immagine, che interroga ciò che lo sguardo non coglie a prima vista e che, per questo, può solo essere immaginato. Oppure, al contrario, costringe lo sguardo a soffermarsi nello spazio in cui la fotografia incontra le tracce dello strappo attuato sulle pagine. Uno strappo che richiama alla mente una ferita aperta, il sangue, la memoria del gesto di Gina Pane. Ecco quale vuole essere il mio obiettivo: richiamare l’attenzione su parole, quelle dell’artista, che appartengono a un passato, riportandole alla voce del presente.
Pagina 126: zoom, fotografia. Questa pagina presenta un dettaglio fotografico della performance dell’artista Gina Pane, dal titolo Azione Laure, realizzata presso la Galerie Isy Brachot a Bruxelles il 28 aprile del 1977, fotografata da Françoise Masson. Anche questa fotografia proviene dal catalogo della mostra Gina Pane (1939-1990). È per amore vostro: l’altro.
Questo zoom, adesso, raffigura delle dita. Uno di questi, protetto da un ditale, stringe con una certa decisione uno spillo: lo tiene saldo, spinto dalla forza della mano, pronta a guidarlo con una certa precisione chirurgica verso un altro dito che attende l’azione. Il polpastrello quasi si offre, consapevole in qualche modo di ciò che sta per accadere. È un piccolo gesto corporeo, ma carico di tensione: un incontro tra protezione e vulnerabilità, tra volontà e possibile dolore.
Per Gina Pane il dolore non viene vissuto come un’esperienza marginale che sfocia in una spettacolarizzazione del corpo, né come qualcosa che possa essere evitato: è una componente intrinseca dell’esistenza umana, un linguaggio, del tutto inevitabile, della vita. Nel suo lavoro, questo dolore viscerale, quasi antropologico, si fa gesto e offerta eucaristica. L’artista mette al centro il proprio corpo, non riducendolo a un impulso narcisistico, ma come atto di fede, un sacrificio carnale consapevole rivolto a un risveglio collettivo. Il suo sguardo, che attraversa il passato e il presente, così come la sua volontà, si muovono costantemente nella direzione del prossimo: l’autre.
Pagina 127: zoom, fotografia. Questa pagina presenta un dettaglio fotografico della performance dell’artista Gina Pane, dal titolo Azione Io mescolo tutto, realizzata presso il Museo d’Arte Moderna di Bologna il 4 ottobre del 1976, fotografata da Françoise Masson. Ancora una volta mi sono avvalso del catalogo della mostra Gina Pane (1939-1990). È per amore vostro: l’altro, allestita presso il Mart di Rovereto. Quest’ultimo zoom raffigura una casa in miniatura sorretta da una mano.
In questo contesto, l’azione inter-iconica — come la definisce Gina Pane — ovvero la messa a disposizione di immagini pensate, costruite e progettate, rappresenta il fulcro del suo lavoro. È proprio attraverso queste immagini che si rivela il vero meccanismo dell’opera, il processo che conduce alla piena materializzazione dell’azione. Una vera e propria rivelazione che dispiega la reale funzione della fotografia per l’artista.
Lettre à un(e) inconnu(e) è un testo fondamentale della body art che raccoglie le idee, gli appunti e i vari pensieri di Gina Pane e che ci fa comprendere come lei intendeva il proprio lavoro. Lei stessa, nel testo, chiarisce che ci sono tre passaggi fondamentali per materializzare un’azione corporea. Innanzitutto, bisogna preparare degli schizzi che verranno successivamente fotografati. Questi schizzi permettono all’artista di avere le idee chiare su ciò che andrà a fare in un secondo momento con il proprio corpo. Una sorta di consapevolezza che la proietta nel tempo, dal “io devo fare” al “io farò”.
Successivamente, l’azione vera e propria viene eseguita e fotografata, in modo tale che, guardando le foto a performance conclusa, lo spettatore possa provare le stesse sensazioni di una visione dal vivo della performance stessa. Per questo motivo, le foto di Gina Pane non sono mai semplicemente documentative, ma fanno completamente parte del suo lavoro performativo, superando una lettura puramente estetica. Piuttosto vengono messe a disposizione per chi desidera indagare la propria fertile coscienza.
Pagina 128: posizioni, punti. Su questa facciata del foglio compare una costellazione di piccoli pois di colore nero. Ogni punto evidenzia il luogo occupato da un singolo lettore durante la lettura di Lettre à un(e) inconnu(e), avvenuta in una mattina di maggio, nella suggestiva Sala Cavallerizza del Teatro Litta di Milano, durante il workshop Superficies.
Nella Sala Cavallerizza, i corpi dei partecipanti avevano un posto da dover occupare, uno spazio in cui sostare con la propria presenza, per poi prestare la voce alle parole di Gina Pane.
In quell’occasione, il suono generato dalle diverse voci veniva registrato attraverso un microfono collegato a uno smartphone.
La diversa disposizione dei puntini – e quindi delle persone – suggerisce una sorta di trascrizione che richiama i corpi impegnati nella lettura: una preghiera corale, confusa, decisa oppure sussurrata. Ancora una volta, il linguaggio — in questo caso segnico — mi ha permesso di trasformare e materializzare un momento lontano, avvenuto mesi fa, in qualcosa di presente e persistente. Il mio intento, infatti, era quello di tradurre in forma concreta il corpo dei partecipanti al workshop in qualcosa che i lettori del libro potessero percepire. Far comprendere quanto il corpo e la sua presenza siano fondamentali, soprattutto quando si ha tra le mani una lettura che parla proprio di esso. Una sorta di mappa, dunque, che vuole rendere chiara al lettore l’importanza della presenza fisica, umana: i puntini rappresentano un tentativo concreto di realizzarlo.
Pagina 129: posizioni, parole. Su quest’altra facciata del foglio, in maniera speculare ai piccoli pois di colore nero, compaiono sedici parole. Le parole, apparentemente senza senso, in realtà sono parti scomposte di una frase che Gina Pane scrive in Lettre à un(e) inconnu(e):
Se io apro il mio corpo perché tu possa guardarci dentro il tuo sangue, è per amore di te: l’altro.
In questo caso, le parole hanno il compito di tracciare la traiettoria dei partecipanti, orientando il loro corpo nello spazio della Sala Cavallerizza. I presenti sceglievano una parola e sostavano su di essa, seguendo la direzione dettata dalle parole poggiate a terra, che per l’occasione sono state stampate in formato A3 su carta bianca.
Pagina 130: partizioni e tagli. Apparentemente ci troviamo di fronte a un testo frammentato e con parole che non hanno una connessione logica tra loro.
In realtà, questo elaborato ha lo scopo di tracciare le parole di entrata e di uscita che ogni partecipante ha annunciato durante la lettura e che il microfono ha registrato nel preciso momento in cui mi avvicinavo alla singola persona. Ciò che mi ha permesso di trascrivere le voci sono state le registrazioni tracciate durante la lettura. Le singole parole fanno parte di un racconto che è stato interpretato da ogni singola voce, la quale cercava di immergersi nelle pagine della lettera.
I silenzi, che troviamo anche sia all’inizio che alla fine, sono frutto di concentrazione, di pause riflessive, di raccoglimento, di respiri che — uniti al marasma di voci — hanno trasformato la lettura in una sorta di preghiera corale.
Pagina 131: Laboratorio Superficies, lettura di “Lettera a uno/a sconosciuto/a” di Gina Pane. Maria Cristina De Paola ha immortalato i corpi dei partecipanti all’interno della Sala Cavallerizza del teatro. Le foto sono fondamentali a questo punto dell’elaborato. Sono immagini che permettono al lettore di chiarire ciò che è stato scritto nelle pagine precedenti. Sono esplicite, adesso, le posizioni dei partecipanti che hanno contribuito a dare voce alle parole dell’artista. Ancora una volta, una materializzazione di un linguaggio passato.
pagine 132 – 135: partizioni e tagli. Per le foto sono state utilizzate le pagine del libro Lettre à un(e) inconnu(e). In particolare, sono state fotografate le pagine della lettera, soggetto della lettura corale. A queste foto sono state rimosse, attraverso un cutter di precisione, le parole di entrata e di uscita di ogni singolo partecipante, che alla fine vengono riproposte e assemblate in una sorta di poesia visiva. Si tratta di un gesto pensato che ha lo scopo di riportare alla mente i tagli che l’artista si auto infligge nelle sue performance, come nel caso di Azione sentimentale del 1973, presentata alla Galleria Diagramma di Luciano Inga Pin, in cui l’artista si incide il palmo della mano con una lama di rasoio. Un gesto evocativo, quello delle pagine incise, quasi un dono che vuole rendere omaggio all’azione concreta dell’artista, ma non solo. Vuole far emergere il fatto che per Gina Pane il taglio di sé, l’atto di ferirsi, non può essere inteso come un gesto egoistico e solitario, bensì come un atto di fede, un tentativo di partecipare a qualcosa che non è immediatamente visibile o provabile per sé, ma, ancora una volta, lo è per gli altri. Una ferita ancora aperta, visibile agli occhi del prossimo.
Pagina 136 – 138: testo. S-partitura per le sedici voci sparse nello spazio di una stanza impegnate nella lettura di Lettre à un(e) inconnu(e) è un testo che ho voluto redigere per rendere chiare ed esplicite le mie azioni che si sono dipanate lungo le pagine del libro Superficies. Ho usato le parole per cercare di mettere nero su bianco ciò che è stato realizzato nei lunghi appuntamenti di maggio nella Sala Cavallerizza del teatro Litta. Il testo raccoglie dei momenti fondamentali della lettura e, nello specifico, mi sono soffermato sui rimandi che intercorrono tra l’azione materica delle pagine appena descritte e il gesto nelle performance di Gina Pane. Si tratta di un chiaro tentativo di riportare alla memoria azioni, tagli, cuciture, voci e sussurri. Il testo stabilizza nel tempo le azioni – le nostre e quelle dell’artista – in una comunione di linguaggio nata dalla necessità di rivolgersi all’altro.
Da tutto ciò è emerso un corpo collettivo, spirituale e politico, in cui la lettura si è fatta ferita, rel-azione e atto di presenza.
Luglio 2025