Gli ambienti invisibili di Christina Kubisch tra arte visiva e arte sonora
I paesaggi sonori di Christina Kubisch sono percorsi sinestetici che inglobano al loro interno dimensioni sensoriali molteplici. Si configurano come ambienti invisibili con cui riabitare lo spazio, naturale o urbano, e rieducare l’udito attraverso un “ascolto creativo” (1).
Christina Kubisch (Brema, 1948) è una compositrice tedesca, pioniera della sound art. Dopo aver studiato pittura all’Accademia di Belle Arti di Stoccarda (1967-1968), pianoforte, flauto e composizione musicale all’Accademia di Musica di Amburgo, all’Accademia di Jazz di Graz, in Austria (1969-1972), e al Conservatorio di Zurigo (1972-1974), si è diplomata nel 1976 al Conservatorio di Milano. Fin dagli anni della sua formazione accademica si è occupata di composizione ed eventi musicali, ma anche di arti visive e di progetti performativi audio-visivi, collaborando spesso con altri musicisti e artisti.
Kubisch ha conosciuto dal vivo il grande maestro John Cage e ha da lui ereditato il coraggio di interpretare la musica in maniera inusuale e anticonvenzionale, superando i confini degli studi musicali che l’hanno formata.
Fin da giovanissima ha rifiutato l’incasellamento della propria arte e della propria musica all’interno di confini prestabiliti e questa attitudine le ha suggerito inconsueti percorsi creativi, tra cui il traslare le sperimentazioni della performance art degli anni Settanta in campo musicale (2).
Il suo primo ciclo di performance, intitolate Emergency Solos, fu infatti concepito per flauto e oggetti tra il 1974 e il 1978: in queste performance l’artista suonava il flauto, indossando guanti da boxe e creando suoni distopici che ampliavano le possibilità melodiche dello strumento.
Durante il soggiorno milanese ha conosciuto, tra gli altri, l’artista Fabrizio Plessi e con lui ha prodotto l’LP Two and Two, nel 1976; sempre a Milano, dopo aver seguito un corso di elettronica avanzata all’Istituto Tecnico (1980-1981), è nato e si è concretizzato il suo interesse per l’utilizzo dell’induzione magnetica come espediente tecnico con cui comporre brani musicali (3).
Alla fine degli anni Settanta iniziò così a dedicarsi alla creazione di installazioni sonore, abbandonando progressivamente le performance dal vivo per dedicarsi a progetti con cui coinvolgere l’ascoltatore attivamente e far sperimentare al pubblico la musica in modo completamente nuovo.
Le sue composizioni elettro-acustiche rappresentano infatti la parte più sperimentale del suo lavoro: a cavallo tra arte visiva e arte sonora, immergono lo spettatore in paesaggi invisibili, sinestetici ed effimeri.
Comparendo tra le personalità della prima generazione di sound artist, Kubisch ha gradualmente iniziato a sperimentare le possibilità del suono come strumento di esplorazione dell’ambiente.
Reinterpretando la relazione tra compositore e ascoltatore e rinnovandone l’interazione per mezzo della fruizione musicale, Kubisch ha iniziato a fondere i suoi studi di composizione con quelli di ingegneria e ha utilizzato la tecnologia per ideare nuove ibridazioni musicali: ha incominciato ad utilizzare inedite risorse tra cui l’energia solare, i raggi ultravioletti, l’induzione elettromagnetica (4), piccole casse altoparlanti, cavi e cuffie come catalizzatori del suono.
Il respiro del mare (1981) è stato il primo lavoro costruito con il procedimento dell’induzione, realizzato per la rassegna annuale Vita e paesaggio a Capo d’Orlando. Universa Ars, curata da Vittorio Fagone, a Capo d’Orlando, in Sicilia. Per la mostra, l’artista ha presentato una delle prime installazioni sonore da lei ideate: formalmente, ciò a cui si assisteva era la presenza di due disegni spiraliformi e labirintici realizzati su due differenti pareti con fili elettrici, uno di colore blu che riproduceva i suoni dell’oceano e l’altro di colore rosso che riportava il respiro registrato dell’artista. Ma quello che di eccezionalmente nuovo l’opera presentava era una fusione dei suoni che si attivavano grazie al movimento dello spettatore vicino alle pareti. Il pubblico riceveva un cubetto altoparlante, in origine un piccolo amplificatore modificato per l’occasione dall’artista, con cui azionare le sonorità racchiuse al di là dei visibili disegni sulle pareti (5).
Un altro interessante progetto si intitola On Air (Magnetic Air) ed è costituito da una serie di installazioni sonore, realizzate in Italia e in Europa tra il 1982 e il 1986, che mostra la specificità con cui ogni ambiente viene creato dall’artista, al fine di superare l’esclusiva frontalità della fruizione musicale.
Questo emblematico ciclo è stato infatti proposto recentemente per la mostra When Sound Becomes Form (2018-2019) al museo MAXXI di Roma. L’esposizione ripercorreva la storia dell’avanguardia musicale in Italia e, accanto ad altri nomi di notevole rilievo - come quelli di Luciano Berio, Bruno Maderna, John Cage, Fluxus, Maurizio Nannucci, Ugo La Pietra, Gruppo T, Carmelo Bene - compariva anche Christina Kubisch, in particolare con la sua opera On Air (Magnetic Air) (6).
Tra i lavori che utilizzano l’energia solare vi è 12 pannelli e un albero (1994), creato nel giardino dell'Akademie der Künste di Berlino con dodici pannelli solari installati attorno a un grande albero; i pannelli hanno prodotto un flusso di elettricità variabile e hanno riverberato suoni di matrice naturale per mezzo di altoparlanti posti in cima all’albero. In questo modo i suoni registrati di uccelli si mimetizzavano con i suoni dal vivo in un dialogo singolare tra tecnologia e natura.
Altri lavori che hanno utilizzato cavi elettrici come vettori sonori sono stati: Cloud (2011), un’installazione a forma di nuvola che intrecciava ben 1500 metri di cavi, che si attivano al rilevamento di movimenti intorno alla nuvola sonora; Remote Relations (2015), anche questo con cavi elettrici di rame intrecciati tra loro, disposti sul pavimento a raggiera e congiunti ad altoparlanti. I suoni che richiamavano sono stati registrati nelle isole Gotland e Farö tra il 2014 e il 2015, attraverso idrofoni posti sotto il livello del mare al fine di catturare rumori marini, remoti, naturali, provenienti dalle isole svedesi.
La Serra (2017) è invece uno dei lavori che più esaltano l’elemento delle cuffie come ponte tra la compositrice e il pubblico: si tratta di un’installazione immersiva all’interno della quale il visitatore si muove tra ben 1600 metri di cavi elettrici appesi, aggrovigliati, sospesi nello spazio espositivo. I cavi riproducono una giungla sonora nella quale poter fare esperienza di canti, fischi, melodie, rumori provenienti dalla natura tropicale e selvatica, che si alternano a suoni tecnologici derivati da spazi urbani.
Anche qui il suono si attiva in base al movimento dello spettatore. Il contrasto tra i suoni puri della natura e quelli artificiali della tecnologia, a cui tuttavia il nostro udito risulta forse più assuefatto, crea un gioco di ambivalenze percettive e un’esperienza immersiva che oscilla tra il sonoro e il visivo.
Gli Electrical Walks sono però il progetto forse più rappresentativo dell’artista e che manifesta il suo singolare modo di intendere la musica.
Si tratta di una serie ancora in corso, iniziata nel 2003. L’artista tramite questo progetto ha realizzato dei percorsi sonori che attraversano circa settantacinque differenti città sparse in tutto il mondo: Londra, Città del Messico, Québec, Hong Kong, Mosca, Bangkok, San Francisco, Oslo, Tbilisi, Birmingham, Oxford, solo per citarne alcune (7).
Gli Electrical Walks consentono un’esplorazione dello spazio urbano per mezzo del suono. Sono delle vere e proprie passeggiate, costruite secondo un percorso preciso, individuabile tramite delle mappe create appositamente dall’artista per ogni differente città (8).
L’elemento delle cuffie diviene fondamentale, poiché il suono è trasmesso per mezzo di bobine che si sintonizzano con le onde elettromagnetiche presenti nell’ambiente; in questo modo vengono ad emergere suoni alternativamente poco riconoscibili. La loro percezione infatti è ovattata nella quotidianità, così l’artista ha ideato un sistema per rendere i suoni delle città contemporanee udibili con maggior facilità. Si tratta di sonorità sempre presenti, che quotidianamente sottoponiamo al nostro udito in modo inconsapevole: vibrazioni provenienti da dispositivi di sicurezza, da telecamere antifurto, da cellulari, telefoni e computer, dai mezzi di trasporto pubblico, dai cavi dell’elettricità, dell’illuminazione, suoni dei neon delle pubblicità, delle antenne paraboliche, una massa indistinta di sonorità che le passeggiate dell’artista cercano di riorganizzare e rendere udibili per l’orecchio dell’ascoltatore.
Il progetto è iniziato nel 2003 e, con il passare degli anni, si è perfezionato e definito sempre più. Il primo Electrical Walks risale al 2004 ed è stato realizzato a Köln; in quell’occasione la mappa del percorso fu disegnata a mano e poi fotocopiata per essere distribuita, mentre il progetto delle cuffie fu ideato dall’ingegnere tedesco Manfred Fox. Il quinto Electrical Walks si è svolto a Brema, nella città natale dell’artista. Invece tra le città italiane che sono state interrogate: Milano nel 2009, Firenze nel 2016 e Roma nel 2018.
La “passeggiata romana”, la settantunesima dell’intero progetto, è stata realizzata in collaborazione con il Goethe Institut; ha permesso un focus sonoro costruito dall’artista per permettere di cogliere le onde elettromagnetiche presenti nell’ambiente urbano. Un unico suggerimento era stato quello di camminare ed esplorare con lentezza anche i tragitti apparentemente meno interessanti e saturi di sonorità percettibili. Il percorso iniziava in Via Savoia, prendendo avvio dalla sede del Goethe Institute di Roma: si ascoltavano i quadri elettrici, alcune attività commerciali e le fermate dei mezzi di trasporto presenti sul viale, ma anche i suoni provenienti dai pannelli pubblici luminosi e dalle reti wi-fi, attraverso un percorso dinamico e itinerante che arrivava fino alla Stazione Termini, per poi retrocedere nuovamente verso Piazza Fiume e concludersi precisamente in via Velletri, in corrispondenza di uno sportello bancomat.
Di tutte le città italiane attraversate dall’artista, così come di tutte le altre mete internazionali, è possibile visitare l’itinerario della mappa accedendo alla banca dati online del progetto, dalla quale è possibile anche consultare l’archivio sonoro di riferimento. Sul sito dedicato agli Electrical Walks si trova infatti l’archivio di tutti i percorsi sonori, ma si può anche sperimentare la propria creatività mixando tra loro differenti suoni tratti dai percorsi urbani dell’artista.
Gli Electrical Walks sono percorsi che rieducano l’ascoltatore al suono, alle sonorità invisibili della città contemporanea, alle vibrazioni che variano al variare di latitudine e longitudine, della nazione, del clima. L’uso delle cuffie per lo spettatore diventa un espediente con cui consentire il riabitare del paesaggio sonoro urbano, con cui favorire la riappropriazione consapevole degli ambienti della quotidianità per mezzo dell’udito (9).
Paesaggi sonori, presenze assenti delle nostre quotidianità, che se in alcuni casi possono sembrare impersonali e quindi globali, al contrario dimostrano la volubilità dei panorami sonori che abitano le geografie urbane contemporanee (10); il progetto fa emergere anche il tema dell’inquinamento acustico e di tutti i suoni impercettibili che inquinano quotidianamente e incessantemente il nostro ascolto. La ricerca dell’artista tuttavia vuole semplicemente svelare queste sonorità eclissate, mostrandone la presenza, ma non assume in sé una funzione didattica, attivista o ecologica.
L’opera di Kubisch esposta al MAXXI per la mostra Ambienti 1956-2010. Environments by Women Artist II*, che si intitola Bird Tree, è una delle più rappresentative poiché condensa in sé le plurime sperimentazioni affrontate dall’artista.
Un primo progetto di Bird Tree fu realizzato nel 1981 per la mostra Sonorità Prospettiche, curata da Roberto Taroni, Franco Masotti, Roberto Masotti e Veniero Rizzardi nel 1982. Fu un’opera che fece discutere ad inizio anni Ottanta, poiché era un’installazione visiva ma anche sonora e per questo rappresentava qualcosa di completamente originale. Se nel 1981 Bird Tree è rimasto uno schizzo, nel 1987 ne è stata realizzata una prima versione compiuta, a Brema per il Forum Bottcherstrabe. Successivamente il progetto è stato aggiornato a più riprese e per il museo MAXXI di Roma è stata scelta la versione risalente al 2004.
Anche qui la tecnica è la medesima: vi è una sorgente sonora che permette la circolazione del suono all’interno dei cavi per mezzo di bobine di rame collegate tra loro. Il cavo, fonte generatrice dell’induzione magnetica ma anche medium formale, disegna un albero sulla parete.
Al piano visivo si sovrappone il paesaggio sonoro invisibile, udibile solo per mezzo delle cuffie. Si determina una dimensione individuale di ascolto ma anche di movimento, dato che il personale il tragitto dello spettatore accanto alla parete agisce come unico fattore nel costruire la sequenza sonora. Il movimento dello spettatore ne altera e determina la successione dei suoni, la velocità, l’intensità e il timbro.
Vista, udito, movimento e natura. L’elemento della natura è molto importante considerato che Bird Tree, come suggerisce il titolo, immerge in suoni della foresta e di uccelli che avvolgono l’ascoltatore sensorialmente, mettendo in primo piano proprio il rapporto tra natura, tecnica ed esperienza.
Le registrazioni, che non sono state post-prodotte, provengono da uno studio fatto dall’artista che si è rivolta ad esperti ornitologi e che in più ha riutilizzato suoni provenienti dal suo archivio musicale.
Una parete che acquisisce senso grazie all’interazione, che a sua volta crea l’ambiente sonoro.
La collocazione di Bird Tree nel museo risulta particolare e non casuale: si trova in un corridoio stretto e lungo, un punto di passaggio, di collegamento, che costringe i movimenti di chi vuole scoprirla e incita a trovare percorsi alternativi per sperimentarne le sonorità che cela. E poiché l’attraversamento di quel corridoio del museo da parte di uno spettatore rispetto a un altro non sarà mai uguale, l’ascolto diventa esclusivo ed irripetibile per ciascun visitatore.
Ognuno crea il proprio percorso sonoro, immergendosi in sonorità provenienti dal mondo della natura, che intendono far riflettere sul legame tra naturale e artificiale (11).
La coreografia che si genera con la fruizione del pubblico - c’è chi si avvicina timidamente, chi insiste, chi corre, chi si blocca, chi si agita, chi passa oltre – completa l’installazione e lo spettatore ha una funzione più che mai determinante poiché colma con la propria esperienza sensoriale il vuoto esistente, voluto dall’artista, tra il cavo sulla parete e la cuffia che indossa.
La mostra Ambienti 1956-2010. Environments by Women Artist II al museo MAXXI di Roma (10 aprile – 20 ottobre 2024), a cura di Andrea Lissoni, Marina Pugliese e Francesco Stocchi, presentando opere immersive e ponendo al centro il grande slancio delle donne artiste, protagoniste di questa espressione artistica che mixa l’ambiente, l’interazione con il pubblico, il dialogo con l’architettura di Zaha Hadid e il rapporto con le nuove tecnologie, suggerisce il creativo interstizio in cui si posiziona l’attività di Kubisch, tra arte visiva e arte sonora, tra installazione e ambiente.
Le opere selezionate offrono un panorama generazionale e geografico differenziato. E l’installazione di Christina Kubisch è l’unico ambiente sonoro presentato in mostra (12).
L’esposizione rappresenta il secondo capitolo rispetto alla prima parte Inside Other Spaces. Environments by Women Artists 1956–1976, alla Haus der Kunst di Monaco, a cura di Andrea Lissoni e Marina Pugliese, che presentava il lavoro di undici artiste appartenenti a differenti generazioni e nazionalità dell’Europa, dell’Asia, del Nord e del Sud America (13).
Il MAXXI, esattamente come il museo tedesco, ha scelto come data di inizio il 1956 per poi protrarsi fino al 2010, anno in cui il progetto architettonico del museo romano è stato ultimato da Zaha Hadid, rinsaldando in questo modo l’inscindibile legame tra arte e architettura che questa mostra ha inteso sottolineare.
L’esperienza tedesca aveva avuto un approccio filologico teso a ricostruire per mezzo di documenti, immagini, recensioni, materiale d’archivio i lavori immersivi delle undici artiste coinvolte e il loro contributo nella costruzione di environments nel ventennio 1956-1976; la mostra al MAXXI invece ha posto l’accento sulle possibilità esperienziali del living museum, focalizzandosi sull’esperienza fisica e sensoriale come forma di conoscenza diretta.
L’ambiente sonoro di Kubisch, a sua volta inserito nel più grande ambiente progettato da Zaha Hadid, pone la musica in dialogo con lo spazio, fa diventare quest’ultimo strumento a disposizione della composizione musicale e il suono estrapolato dall’ambiente-vita reso musica, poiché l’idea della Kubisch è proprio che la musica non sia separata dalla vita.
Il grande impegno dell’artista è quello di stimolare la percezione dello spettatore a livello sinestetico e multisensoriale, attraverso la sperimentazione pratica della musica addomesticata dal movimento; è “coreografando l’ascolto” che lo spettatore scopre l’ambiente sonoro ideato dall’artista, senza questa interrelazione l’installazione non prenderebbe vita.
Bird Tree è un’opera che rispetto alle altre chiede di essere scoperta e ascoltata.
Quando Lucio Fontana usò per la prima volta il termine “ambiente” nel 1949, in riferimento alla sua opera Ambiente spaziale a luce nera, e poi quando nel 1962 Allan Kaprow parlò di “environment”, riferendosi ad un’arte che potesse includere simultaneamente suono, colore, spazio e luce, entrambi facevano riferimento a un modo di concepire l’opera completamente inedito, immersivo e in grado di plasmare lo spazio. Kubisch nutre la propria opera di questa reciprocità tra pubblico e ambiente per attuare un’educazione al suono, che da distratta e sfuggente può diventare attenta e approfondita.
L’ambiente sonoro di Bird Tree (14) non è autosufficiente, interagisce con lo spazio che lo accoglie. E anche con chi lo accoglie, in una lenta coreografia dell’ascolto.
*Ambienti 1956-2010 è una mostra del MAXXI e della Haus der Kunst München.
La mostra originale Inside Other Spaces. Environments by Women Artists 1956-1976 è stata ideate e prodotta dalla Haus der Kunst München 2023
Luglio 2024
1) B. LaBelle, Background Noise. Perspectives on Sound Art, New York-London, Continuum International Publishing Group, 2006, p. 227.
2) A. Licht, Sound Art. Beyond Music, Between Categories, New York, Rizzoli International Publications, 2007, p. 275.
3) Ambienti 1956-1976. Environments by Women Artists II, catalogo della mostra (Roma, MAXXI, 10 aprile – 20 ottobre 2024), a cura di A. Lissoni, M. Pugliese, F. Stocchi, p. 257.
4) https://christinakubisch.de/vita (accesso il 20 giugno 2024)
5) https://flash---art.com/2021/06/christina-kubisch-transmission/ (accesso il 9 luglio 2024)
6) When Sound Becomes Form. Sperimentazioni Sonore in Italia 1950-2000, catalogo della mostra (Roma, MAXXI, 16 marzo – 28 0ttobre 2018), a cura di C. Fatigoni, p. 91.
7) A. Licht, op. cit., p. 230.
8) https://electricalwalks.org/electrical-walks/ (accesso il 20 giugno 2024).
9) C. Cox, From Music to Sound: Being as Time in the Sonic Arts, in C. Kelly, Sound, London, Documents of Contemporary Art, 2011, pp. 84-85.
10) https://electricalwalks.org (accesso il 20 giugno 2024).
11) Ambienti 1956-1976. Environments by Women Artists II, op. cit., pp. 257-261.
12) Le artiste in mostra: Tsuruko Yamazaki, Nanda Vigo, Marta Minujìn, Judy Chicago, Nanda Vigo, Lygia Clark, Laura Grisi, Tania Mouraud, Lea Lublin, Aleksandra Kasuba, Martha Rosler, Nalini Malani, Pipilotti Rist, Micol Assael, Monica Bonvicini, Esther Stocker, Kimsooja, Zaha Hadid e Christina Kubisch.
13) https://www.hausderkunst.de/en/eintauchen/inside-other-spaces-environments (accesso il 9 luglio 2024)
14) Ambienti 1956-1976. Environments by Women Artists II, op. cit., pp. 37-40.