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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Le Grand Paris o la “piccola” Copenaghen?

Daniela De DominicisIcoPDFdownload

Parafrasando un’affermazione di Le Corbusier – la macchina ha rovinato il mondo, la macchina lo salverà – Foster sostiene che le città, attualmente principali cause di inquinamento con la produzione del 70% di gas serra a fronte dell’1% di occupazione del suolo globale, siano paradossalmente le uniche in grado di risolvere i problemi di sostenibilità del pianeta (1).
In effetti se è vero che nel 2050 il 75% dei previsti 9 miliardi di abitanti vivranno nei centri urbani, è certamente da qui che è necessario partire. Far fronte alla sfida delle città equivale dunque a misurarsi con il maggior problema esistente per la nostra sopravvivenza.
Tuttavia già solo cercare di dare una definizione univoca della città è un’impresa difficile. I centri urbani hanno subìto tali e tante trasformazioni, che finiscono per sfuggire a qualsiasi classificazione condivisa. Qual è per esempio la consistenza minima e quale la massima perché un insediamento umano possa essere denominato tale, e che servizi deve fornire? Per l’urbanista Wolfgang Nowak della London School of Economics (2) la città può essere considerata una sorta di archetipo primordiale alla base della vita associata: “in principio era la città” (3) scrive, una sorta di entità primigenia dunque, un assioma che non necessita di ulteriori indagini perché parte dell’essenza umana. Soltanto in epoca pandemica il modello urbano è stato messo in discussione per la pericolosità derivante dall’alta concentrazione abitativa. Per la prima volta si è assistito ad un massiccio desiderio di fuga dai centri abitati, alla teorizzazione di uno stile di vita isolato, connesso con il resto del mondo solo virtualmente, come già aveva ipotizzato il sociologo statunitense Alvin Toffler (4). Si è cominciato a parlare di insediamenti orizzontali fatti di abitazioni monofamiliari ma, conclusa l’emergenza, le parole d’ordine sono tornate quelle della densificazione – per il risparmio del suolo e l’ottimizzazione dei servizi – della polifunzionalità e del mix sociale per mantenere vive e funzionanti le aree della città per tutto l’arco delle ventiquattro ore.
Il problema dell’inurbamento è tornato imperante e con esso la necessità di riflettere su quale modello di città è opportuno perseguire. In tempi recenti in Europa si stanno delineando due orientamenti contrapposti, entrambi frutto di programmazioni lungamente meditate e di massicci investimenti: Parigi e Copenaghen.
La prima ha messo in campo un’espansione a macchia d’olio innescata da un nuovo anello ferroviario che farà triplicare il numero degli abitanti afferenti alla medesima amministrazione; la seconda sta cercando di mantenere intatta la sua impronta sul territorio puntando sulla densità degli insediamenti e un’innovativa espansione sul mare.
Parigi
Il progetto prende il nome di Le Grand Paris. Un’espressione introdotta già nel 2000 ad indicare a tutta prima unicamente la gigantesca rete di trasporti ad anello intorno alla capitale francese nel territorio dell’Ile de France – 200 km di linea con 68 nuove stazioni – ad integrazione delle quattro grandi linee extraurbane (RER) già esistenti. La locuzione si è trasformata però nel corso degli anni in qualcosa di diverso, cavalcata di volta in volta da orientamenti politici contrapposti: Sarkozy nel 2007 l’ha interpretata come il volano di investimenti internazionali, Hollande nel ’16 l’ha convertita in una novità politico amministrativa, la Métropole du Grand Paris. Quest’ultima raggruppa 130 comuni della cosiddetta piccola corona (i dipartimenti Hauts-de-Seine, Seine-Saint-Denis e Val-de-Marne) e 7 comuni della grande corona (Seine-et-Marne, Yvelines, Essonne e Val-d’Oise) per un totale di 7,5 milioni di abitanti. Un’istituzione intercomunale dunque dotata di autonomia amministrativa, finanziaria e con competenze di gestione territoriale a livello architettonico, urbanistico e sociale (5). L’idea che il progetto intende perseguire, in un arco temporale che arriva al 2030, è la valorizzazione e il rilancio dei dipartimenti che circondano la capitale, abitati dalle classi sociali più disagiate, sottraendoli alla depressione economica che finora li ha caratterizzati. In realtà l’avvio dei cantieri per le nuove stazioni del Grand Paris Express, il più grande e innovativo progetto di mobilità europeo, ha fatto lievitare il prezzo dei terreni, soprattutto nelle zone ad Est che finora si erano mantenute particolarmente economiche. La costruzione di decine di migliaia di abitazioni a cura dell’ANRU (Agenzia nazionale per il rinnovamento urbano) ha implicato la demolizione dei vecchi alloggi o il loro radicale restauro. In tal modo coloro che vi abitavano – per lo più immigrati di seconda o terza generazione – sono stati sfrattati e spostati in aree ancora più lontane senza poter usufruire della rete di protezione e di riferimenti che negli anni si erano costruiti. Nessuno di loro potrà più rientrare nel proprio quartiere perché i prezzi degli alloggi diventeranno inaccessibili e la percentuale di residenze a canone calmierato, tanto sbandierata dall’Agenzia, è stata definita una “truffa intellettuale” utilizzata solo per giustificare le demolizioni in atto. Il processo di gentrificazione farà salire a 2 milioni e 600 mila il numero di coloro in attesa di un alloggio sociale con un apprezzabile aumento del tasso di povertà nell’Île-de-France . Tali dati, resi noti dall’Insee (Istituto nazionale di statistica e di studi economici), sono analizzati in dettaglio da Anne Clerval e Laura Wojcik nel testo Les Naufragés du Grand Paris Express (I naufraghi del Grand Paris Express), il libro-denuncia che ha evidenziato tutte le criticità del progetto suscitando un acceso dibattito politico (6). Tutto ciò in una Parigi già impegnata a far fronte ai XXXIII Giochi Olimpici ospitati in gran parte dal dipartimento di Seine-Saint-Denis a Nord Est di Parigi, considerata la banlieue più povera della Francia (7). Gli organizzatori hanno cercato di tesaurizzare le esperienze di Atene e Londra dove i budget sono andati totalmente fuori controllo, mirando viceversa a progetti più contenuti e distribuiti capillarmente le cui parole d’ordine sono “sostenibilità”, “riuso”, “compatibilità ambientale” … ormai diventate un mantra per qualsiasi intervento si proponga, cui diventa però sempre più difficile credere. Ed in effetti, il collettivo Saccage2024 – gruppo costituito da associazioni diverse e abitanti di Seine-Saint-Denis che contestano i Giochi – ne propone una narrazione alternativa che mira a denunciarne e contenerne le ricadute ambientali e sociali. Le gare sportive si svolgeranno in parti diverse della città, in primis nelle zone che le fanno da corona, ma anche in altri Comuni e addirittura in Polinesia (8). Dietro questa pianificazione c’è l’idea della città diffusa teorizzata nel 2016 dall’urbanista Carlos Moreno (9) rifacendosi al modello di Jane Jacobs (10), ovvero quello della città come un complesso policentrico. È su questo concetto che la prima cittadina di Parigi, Anne Hidalgo, ha impostato la campagna elettorale per la rielezione nel ’20 e che ha fatto breccia anche nei programmi di pianificazione urbanistica di diverse altre amministrazioni. I Giochi Olimpici 2024, vengono vissuti quindi come un’occasione per sperimentare una nuova forma di urbanità fondata sulla decentralizzazione (11), il più grande intervento di rivisitazione della città di Parigi dall’epoca delle trasformazioni haussmanniane di Napoleone III.
Se la Métropole du Grand Paris arriva dunque a contare 7,5 milioni di abitanti, questi salgono a 12 se ci si riferisce alla regione amministrativa de l’Île-de-France. Parigi si sintonizza in questo modo con le grandi metropoli del mondo: Tokyo, New York, Città del Messico. Un orientamento tuttavia che non tutti condividono (12) ed è interessante notare che quando nel 2007 si è proceduto ad un concorso di idee per il futuro della capitale il noto gruppo di architetti olandese MVRDV ha pensato a qualcosa di diverso, sintetizzato nello slogan Pari(s) Plus Petit con la “s” finale tra parentesi che trasforma Paris in pari che in francese significa sfida. Nel progetto si avanzava l’idea di un’espansione urbana basata sulla densità, la compattezza e il potenziamento delle connessioni sotterranee: una Parigi più piccola dunque – come indicato dallo slogan, forse provocatorio – l’esatto contrario degli orientamenti presidenziali.
Copenaghen
Ed è stato proprio l’obiettivo di centri urbani dalle dimensioni contenute il filo rosso degli interventi al convegno svoltosi lo scorso anno a Copenaghen, Capitale Mondiale dell’Architettura (13) 2023.
Con i suoi 775 mila abitanti la città danese è tra le più piccole capitali europee, quarta al mondo per le migliori condizioni di vita (dati OCSE 2023) (14). L’obiettivo di chi la governa è di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2025 quando si prevede che il 75% degli spostamenti sarà senza auto, frutto di una programmazione virtuosa di rigenerazione urbana di lunga tradizione.
La città si è dotata già dal 1947 di un piano regolatore definito “delle cinque dita” (15) perché basato su cinque direttrici di sviluppo radiali con cunei verdi, per gran parte ancora rispettati, che si insinuano fin nel nucleo storico centrale. Questi corridoi di crescita sono scanditi da insediamenti autosufficienti, ispirati alle coeve New Towns britanniche, a non più di 45 minuti dal centro, serviti da reti tranviarie, ferroviarie, carrabili e, soprattutto, ciclabili. È sull’uso della bicicletta che si basa infatti quasi la metà degli spostamenti attuali – nonostante la rigidità del clima per buona parte dell’anno – sostenuta da una capillare diffusione dei percorsi per le due ruote cui è dedicata la parte maggiore delle carreggiate. I trasporti sono stati ulteriormente potenziati dall’ apertura nel 2019 del Cityringen, la linea M3 della metro che, con 15,5 Km ad anello e le varie interconnessioni, garantisce una distanza massima di 500 metri da una fermata per tutti i quartieri della città; i passaggi dei convogli, ogni 80-100 secondi, arrivano a competere con quelli della mitica e finora insuperata metropolitana di Mosca.
Le eccellenti condizioni di vita delle capitale danese sono basate, oltre che sul sistema di connessione, proprio sulle consolidate scelte ecologiche (16) – è del 2018 un innovativo termovalorizzatore costruito e perfettamente integrato nel centro della città – sul verde curato e diffuso, utilizzato anche come barriera contro le alluvioni, sui servizi capillari, sulla vivacità dei quartieri garantiti dal mix sociale (sia di provenienza che di reddito), sulla densità urbana promossa da un’architettura sperimentale che è diventata il fiore all’occhiello della città. L’obiettivo è quello di risparmiare il terreno disponibile: per esempio riciclando strutture già esistenti (il Copenaghen Contemporary, ambiente espositivo per le arti d’avanguardia, utilizza un capannone industriale dismesso), costruendo dove sembrerebbe impossibile (il centralissimo BLOX - Danish Architecture Center del gruppo OMA di Rem Koolhaas che si erge con parallelepipedi sovrapposti a cavallo di assi viari e canali d’acqua) e realizzando un nuovo piano urbanistico – il cosiddetto Loop (17) per via dello sviluppo circolare – tutto orientato sul tratto di mare tra la Danimarca e la Svezia. Anche i 3 milioni di tonnellate di terra rimosse per la costruzione del Cityringen sono utilizzate per ampliare Kronløb Island, nella parte Nord del porto. L’idea di pensare la superficie marina come possibile espansione urbana non è nuova e ricorre anche nelle proposte per risolvere cogenti problemi di sovrappopolazione come quelli di Lagos in Nigeria (18).
Se il modello danese appare insuperabile anche per il contenuto numero dei suoi abitanti – tutta la Danimarca ne ha solo 6 milioni, meno dunque della sola Grand Paris – tuttavia le indicazioni che ne derivano circa la densità, la tutela del suolo, la riduzione dell’inquinamento costituiscono un paradigma cui tutti i centri urbani dovrebbero improrogabilmente tendere. Perché il futuro o sarà ecologico o non sarà.
     
Luglio 2024
 
1) Norman Foster, “Il futuro dell’urbanizzazione/The future of urbanisation”, Domus, febbraio 2024, pp.1-4.
2) La London School of Economics and Political Science (LSE) è una prestigiosa università londinese fondata nel 1895.
3) Wolfgang Nowak, Foreword, in The Endless City, Phaidon, London, 2007, pp, 6-7.
4) Alvin Toffler (1928-2016) sociologo statunitense. Ha studiato le conseguenze dei nuovi mezzi di comunicazione sulle relazioni umane. Già nel 1970 con Future Shock ha predetto lo sviluppo di internet e lo smarrimento sociale che ne sarebbe derivato.
5) Al vertice di questa nuova struttura amministrativa vi è il Consiglio Metropolitano composto da 209 membri.
6) Anne Clerval e Laura Wojcik, Les Naufragés du Grand Paris Express, Éditions La Découverte, 2024. Cfr anche Isabelle Regnier, “Le Grand Paris, agent de gentrification express”, Le Monde, 5 aprile 2024.
7) Tre diversi comuni del dipartimento Seine-Saint-Denis (Saint-Denis, Saint-Ouen-sur-Seine, L’Île-Saint-Denis) ospitano il villaggio olimpico realizzato dallo studio Dominique Perrault nonché l’Aquatics Centre progettato dagli studi VenhoevenCS e Ateliers 2/3/4; altro impianto costruito ex novo è l’Arena a Porte de la Chapelle; la Senna, oltre alla cerimonia di inaugurazione, è utilizzata come sede delle gare di fondo in acqua; al centro della città sono inoltre previsti gli sport urbani a Place de la Concorde, trasformata in parco pedonale.
8) Le città che ospitano le gare di calcio sono: Nizza, Marsiglia, Lione, Bordeaux e Nantes; Tahiti, nel territorio d’oltremare della Polinesia, è sede delle gare di surf.
9) Carlos Moreno (Tunja, Colombia 1959) è professore di Urbanistica e Teoria dell’Innovazione alla Sorbona di Parigi, consulente dell’UNESCO e del World Bank Institute.
10) Jane Jacobs (Scranton, Stati Uniti 1916-Toronto, Canada 2006), Ha scritto The Death and Life of Great American Cities, 1961 che ha ispirato numerosi urbanisti contemporanei.
11) Michele Roda, “Carlos Moreno: Saranno le Olimpiadi della prossimità. E via tutte le auto dai centri urbani densi”, Il giornale dell’architettura, 31 gennaio 2024.
12) L’idea della città diffusa non viene ritenuta da tutti all’altezza delle recenti sfide globali. Nell’ ambito dell’Urban Age Debates Cities in the 2020s organizzato da LSE Cities at London School of Economics and The Alfred Herrhausen Gesellschaft, sono emerse le posizioni contrarie alla città policentrica di Edward L. Glaeser, professore di Economia alla Harvard University e di Sir Peter Hendy, parlamentare britannico e amministratore delegato della Network Rail.
13) L’iniziativa della “Capitale Mondiale dell’Architettura” a scadenza triennale è stata promossa nel 2015 dall’Unesco e dalla UIA (Unione Internazionale degli Architetti) per promuovere lo sviluppo sostenibile previsto dall’Agenda delle Nazioni Unite 2030. Per il 2026 il titolo passa a Barcellona.
14) Secondo i dati OCSE 2023 Copenaghen è in quarta posizione per migliori condizioni di vita, preceduta da Vienna, Zurigo e Auckland in Nuova Zelanda.
15) Il piano urbanistico di Copenaghen è firmato da Peter Bredsdorff (1913-1981) e Eiler Rasmussen (1898-1990). Il piano, ancorché rivisitato più volte, resiste tutt’ora.
16) Le prime organizzazioni in difesa dell’ambiente risalgono agli anni ’60 e nel 1971 la Danimarca è stato il primo Paese ad avere il Ministro dell’ambiente. Dopo la COP15 del 2009 – la Conferenza delle Parti per migliorare il protocollo di Kyoto – il Comune di Copenaghen ha messo in campo strategie alternative per arrivare all’ azzeramento delle emissioni entro il 2025 (pale eoliche e biomasse).
17) Il piano Loop City è concepito come un anello di connessioni e insediamenti a cavallo dell’Øresund tra la Danimarca e la Svezia ed ha come asse centrale il Fixed Link, il ponte di 16 km che dal 2000 collega Copenaghen e Malmö. Cfr. Q&A: Urban Questions Copenhagen Answers, 1947-2047 Dal Finger Plan alla Loop City, cat 12. Mostra Internazionale di Architettura, Biennale di Architettura, Venezia 2010.
18) È la soluzione avanzata dagli studi NLÉ e Inteligencias Colectivas-Zoohaus.