Domenico Scudero
Da più di trent'anni la cultura artistica occidentale ha rinnegato la convinzione di essere in primo luogo la "forma" eccelsa denominata arte. Questa forma trasmetteva lo scibile più sofisticato autoproclamandosi evidenza di una storia esemplare; nel tempo a questa visione se ne sono aggiunte molte altre che hanno ampliato la concezione dell'opera d'arte provocando una disarticolazione del concetto formalista, quello maturato nelle fucine accademiche attraverso la stessa etimologia della tecnica forgiata dalle regole (1). L'arte dell'Occidente ha quindi vissuto un suo viatico lineare sino alla sua esplosione conflittuale nel confronto con l'alterità (2).
La contrapposizione fra un progetto tecnologico evidenziato dalle mostre Les Immateriaux (1985) e un decalogo dell'alterità della rappresentazione di Les Magiciens de la terre (1989) ha aperto la strada ad una prima divergenza palese fra arte come tecnica del mondo e arte come compito dell'essere (3). Sebbene le due strade si siano spesso incontrate e abbiano cercato di coordinare una qualche alleanza la loro durata comune è stata breve. Si trattava di sistemi contraddittori. Da una parte la forma della tecnica, ovvero il dominio della tecnica nella visione di un mondo evanescente da cui il solo elemento del pensiero poteva sollecitare la diversione, la creazione dell'alterità in visione ideale e laica; dall'altra parte questa alterità, col suo afflato di primigenia natura dell'ispirazione e della sottrazione performativa, considerava la creatività come una risorsa essenziale per la trattazione di una forma divinatoria (4). Si potrebbe di certo obiettare che anche nella dimensione tecnologica sia rimasta una qualche forma di divinazione; lo era l'idea che la tecnologia potesse liberarci dalla schiavitù della ripetizione del lavoro e che potesse amplificare la testimonianza del singolo all'interno di una comunità liberata. Ma non è durata molto: oggi soltanto gli ingenui possono ancora vedere nella tecnologia lo strumento di un'alterità divinatoria e liberatoria, mentre è divenuta opinione comune che il culto della tecnica ad uso esclusivo di interessi speculativi sia depositario di disastri ambientali e morali. Sappiamo che l'ipotesi di Lyotard di un mondo dominato dagli interessi tecnologici di chi ne avesse il comando era esatta (5). Tuttavia non si era comunemente compreso in che modo questo avrebbe determinato una bicefalia del potere; questo è adesso suddiviso fra potere reale delle tecniche, la comunicazione e la gestione degli oggetti per farlo, e potere relativo, quello politico, quale assunto ridefinito all'interno di una gestione della comunicazione obbligata al monopolio della proprietà e dei diritti speculativi (6). A questo modello del "mondo della tecnica" heideggeriano si è opposta la tendenza, proveniente da un altrove dell'Occidente, protesa a ratificare gli oggetti d'arte come sintomatici elementi della caducità dell'esserci, riportando il percorso interpretativo sulla sensibilità estetica dell'individuo, determinata dal contesto sociale, storico e politico. Questo modello, sebbene ibridato con inserti tecnologici, è stato essenziale per la ricodifica, all'interno del più vasto sistema dell'arte, del concetto stesso di opera (7).
Se per quasi tutto il XX secolo l'opera d'arte consisteva in un prodotto esteticamente inserito nell'ambito di una disciplina attraverso la rottura o la riformulazione di alcune regole di impianto storico, come identificato da Deleuze, dalla fine degli anni ottanta questo processo, verticistico e speculativo, si è spento trasformandosi in ulteriori modalità interamente proiettate sui processi vitali, sulle prospettive storiche che li hanno determinati e sulle conseguenze prodotte (8). Uno dei primi sintomi di questa rottura del sistema integrato fra forma e linearità ideale di stampo occidentale è stato nella dialettica del "politically correct" che aveva prodotto la messa in sospensione di qualsiasi sistema di pensiero che non fosse autenticamente rispettoso delle differenze. Ciò ha inizialmente motivato l'autoanalisi della formatività creativa degli artisti per uniformare le singole scelte anche alla luce delle differenze chiamate in causa dall'arrivo di emergenze di natura diversa. Non è un caso se i percorsi dell'azione artistica di quegli anni assumono tratti e caratteristiche molto differenziate; si trattava di un processo di acquisizione di una concettualità dell'opera che poteva oscillare dal sistema ideale, rappresentato al meglio in alcune ipotesi mediali come frutto maturo del postmodernismo occidentale, al sistema induttivo e primigenio improvvisamente rimesso in auge dalle culture differenti provenienti dalle più disparate località del mondo (9).
L'ibridazione fra tecnica e istanze primigenie dell'essere e della sua condizione ha costituito sulle prime il modello basilare su cui si sono esercitate alcune scuole maggiormente rappresentative di quel periodo; quella parigina con la tautologia derivata dal successo critico avuto nei primi anni novanta della Conceptual Art e da Broodthaers; quella empirico progettuale londinese, emersa con clamore con gli YBA su prassi distorsive e falsificatorie; quella americana con la proposta di una post-appropriazione risolta in forma politico analitica; quella tedesca e austriaca con il sostegno di una forma perfettibile e meccanica; quella italiana con la frammentazione e la simulazione, ma al contempo rimanevano tutte forgiate sul carattere univoco della differenza. Tutto ciò che negli anni novanta è stato prodotto a ovest ha avuto come unico denominatore il tratto di volersi "differenziare" dal resto, anche se, proprio in relazione a questo contesto così variegato, una simile versione della "diversità" appariva come un estremo atto di difesa del sistema dell'arte occidentale nel tentativo di inglobare al suo interno la "differenza" introdotta dall'altrove.
Le tendenze successive hanno sempre mirato alla costituzione di una differenza che potesse esprimere il valore qualitativo di un'arte che dalla sua aveva un elemento accessoriale e plurimo acquisito dalla storia, l'antichità classica, in particolare, e il suo pensiero. Attraverso la storia l'arte occidentale ha preteso di costruire la sua differenza in un contesto in cui questa stessa storia non era comprensibile da quanti non ne avessero incamerato i termini contestuali. La storia artistica occidentale è una storia di regole e di precetti, ed era questo il paradigma da cui fuggivano gli artisti; essa costituiva un valore ma anche una gabbia da cui non potevano evadere, mentre l'estrema libertà di operazioni realizzate al di fuori di questo contesto culturale si proponeva maggiormente rilevante per estraneità da qualsiasi precedente storico. Se Group Material in USA proponeva l'autorialità "differente" in Aids and Insurance (1990), secondo il classico rapporto decostruzione e post appropriazione in visione politica, Art Club 2000 presentava nel Paramount Nude (1992) una ricostruzione logico sociale come resistenza e prassi esistenziale, si trattava comunque di una elaborazione tutta interna alla stessa strategia di rinuncia al gradiente metodologico della modernità. Ma questo non sarebbe bastato a creare una differenza. L'installazione del progetto, in un caso o nell'altro, corrispondeva a quei dettami che si volevano superare, anche a causa della cura della messa in opera o della strategia di visibilità adottata. Pochi artisti o gruppi di artisti si riuscivano a distaccare dal condizionamento di una formazione visuale che era anche nella messa in mostra, attraverso simmetrie, ripetizioni, prospettive, calcolo, e lo stesso accadeva per l'immagine che si dava. Sono pochi gli artisti, come Delvoye, con i suoi oggetti realizzati in quell'altrove del mondo, a riuscire a dimenticare la matrice storica dell'arte secondo gli standard dell'ordine e del raziocinio (10). Il senso della globalizzazione in arte non è quindi quello della circolazione dei prodotti ma assume un significato assai più pervasivo, ovvero la perdita di significato della storia che ha legittimato la supremazia della rappresentazione occidentale. Questa perdita è simultanea all'ingresso impetuoso di quelle tecniche formative che esulavano e prevaricavano la conoscenza della storia, poiché narrazioni costruite per invalidare una supremazia occidentale non condivisa (11).
Unica soluzione di prestigio nel contesto di quel contemporaneo è stata la risorsa alla "differenza", attraverso cui poi tutti si sono dovuti uniformare. Nascono così preponderanti le tendenze alla soluzione univoca, la dedizione ad un generico campo di intenti anti moderno, attraverso la metodologia ibridata che assume il carattere evanescente e frammentato di azione, performance, allestimento, ma in cui la stessa idea di appropriazione di derivazione avanguardista risulta inefficace, superata. Quell'altro di cui si parla è la "reale differenza", quella che sottolinea un carattere specifico, un'identità che necessita un linguaggio univoco, installativo di matrice africana, performativo dai tratti politici di stampo latino americano; o anche asiatico, immerso nel racconto di un'altra identità ideologica nata da una diversità della grafia, il gramma, il segno. Ciò che in Derrida si delinea come la grande diversità poiché contraddistingue una basilare difformità di coercizione del pensiero attravero la radice del segno fra carattere grafico compositivo e ideogramma segnico simbolico (12). La DS di Orozco presentata nel 1993 è in questo senso oggetto emblematico di quel rapporto fra le differenze che andavano colmando il vuoto creatosi fra le culture, riempendolo con un'ulteriore forma vuota che è astrattamente la "differenza". Infatti se la DS è stata l'auto divina, la deesse per la Francia e anche per una parte d'Europa, il vanto di una tecnologia che aveva superato ogni ostacolo e che oltre ad essere sognata dal comune cittadino corrispondeva nella forma e nella sostanza al bisogno di rappresentanza e al comfort richiesto dal presidente De Gaulle, per lo sguardo messicano di un nativo degli anni Sessanta sudamericani era l'esempio del culto del superfluo, l'elegante ma arrogante superiorità determinata dal potere economico e della sua tecnica. La riduzione e resa disfunzionale della DS è il segno della disarticolazione del successo del modello strutturale del capitalismo occidentale visto attraverso gli occhi di chi non vi partecipa e riduce quell'oggetto alla concretezza di un superfluo ammasso di forme statiche al cui interno possono sedere immobili e inerti solo due individui.
La staticità dell'Occidente artistico, per chi estraneo a questa cultura ha elaborato esistenzialmente la sua autentica "differenza", è ancorata al peso della storia (13). Una storia che si rinnova quindi attraverso una generica "differenza" che non può capire, neanche praticando una forma di citazione falsificata che smentisce l'aggancio ad una conoscenza attraverso la sua alterazione. Se l'arte occidentale non può che ripetere se stessa, poiché al di fuori del suo territorio di regole e precetti non può che essere "non arte", l'opera proveniente da un altrove reclama la sua esistenza come arte in virtù della sua autentica e realistica diversità. Sono gli anni delle elucubrazioni di matrice purificatoria, le pulizie logico tematiche sui generi, il post-colonialismo, la rielaborazione dei rapporti fra natura e cultura, tutte modalità per sottolineare la "differenza" estremizzando ogni risorsa possibile diversa da quella stilistica – da cui ad esempio la prima ghettizzazione della cosiddetta New Media Art per via della sua identità tecnica – fino a quella teorica e comportamentale. Il teorema della "differenza" ha così alterato il concetto di arte sovrapponendo a questo quello di "arte differente" perché socialmente utile, politicamente impegnata, di lotta sulla parità di genere, recitando una sorta di mea culpa ridondante e ossessivo unitamente alla sottolineatura della distanza che la separa da tutto ciò che non è esattamente uguale alla sua "differenza". La narrazione perniciosa sulle colpe compiute dall'Occidente, sull'imperialismo culturale, sui mali compiuti nei confronti di minoranze, costumi, genti, generi, diventano così attraverso la lettura della "differenza" il segno di un'ipocrita automortificazione. Ma è in ogni caso inessenziale per l'altrove che si tenta di liberare da queste catene imposte per dominio. Nel desiderio di perpetuare il suo potere quest'arte che si ritiene libera e spregiudicata scavalca anche la storia e l'avanguardia, uccide i suoi padri nella memoria e si rilascia a suo dire giusta in un sistema di valori in cui pretende di legittimare la sua volontaria "diversità" come forma persistente di dominio sull'altro. L'arte occidentale affronta gli stilemi progressisti e antagonisti sgomitando per salire sulla scialuppa delle "diversità", apparentemente salvifica per la sopravvivenza, e tutto ciò si svolge sotto lo sguardo attento e sgomento di chi questa diversità la vive per autonoma coscienza e che semmai la vorrebbe superare.
Il risultato più evidente di questo processo di debilitazione del concetto di arte attraverso il suo rinnovamente in funzione di una volontaria diversità è la frammentazione dell'esercizio teorico sulla creatività scalzandolo in favore di una prassi che si autodetermina attraverso un agire in funzione di uno scopo. La differenza è quindi lo scopo, l'obiettivo che quest'arte vuole assumere come identificativo di una sua particolare azione che verta su una pratica rilevabile e dimostrabile. Ma questo continuo arroccarsi nella funzione dello scopo, di cui possiamo rilevare l'ampiezza in manifestazioni improntate alla differenza rappresentativa, si risolve nel distaccarsi dalla storia anche recente riproducendosi ed estremizzandosi. Così le prassi attuative dell'azione creativa diventano sempre più radicali e rese dogmatiche dal loro stesso esercizio che ne identifica la struttura teorica in quanto estranea al contesto relazionabile con la storia; diventano metodo e successivamente regola. Ovvero esattamente ciò che avrebbero voluto eludere. Tutto ciò ha determinato la frammentazione che, se negli anni novanta presiedeva l'assunzione del disfacimento dell'opera, ha successivamente segnalato la distanza fra le differenti posizioni maturate nell'ambito della "differenza". Queste posizioni che vertono su un'alterazione della creatività osmotizzando pratiche e teorie che provengono dall'altrove della disciplina artistica ha però risucchiato al suo interno le motivazioni interpretative di questo altrove, sociologia, antropologia, psicanalisi, meccanica informatica, neobiologie, neurobiologie e quanto altro, che però vedono l'azione creativa come processo di intuizione sperimentale da riportare al proprio territorio di ricerca. Così l'antropologia del quotidiano ha usato gli artisti quasi come topi da laboratorio per poter osservare l'espediente creativo sotto la lente interessata da un pregiudizio radicato sull'uniformità della qualità creativa (14). E la sociologia ha volontariamente depennato il senso della teoria valutando il fenomeno artistico solo attraverso gli effetti logici nel campo esistenziale, usando la cornice del contesto (15). Tutte le variabili della differenza hanno concorso alla debilitazione del corpo dell'arte che la stessa critica ha invariabilmente sostenuto come irriducibile alla sua storia. La dispersione frammentaria delle attività creative, quindi, cercando di emulare il teorema della differenza che proveniva da un altrove ha prodotto una miriade di "altre" storie dell'arte col risultato di cristallizzare la sua identità nella chiusura alla diversità più simile, poiché avrebbe determinato una minore qualità della propria. Tutto ciò coincide con il mutismo fanatico delle posizioni, il partito preso delle cose di Ponge, che spinge alla sottolineatura di una diversità incurante, ottusamente e pregiudizialmente, di tutto ciò che è invece assimilabile ad una univocità degli intenti.
Se la storia dell'opera può essere simile a quella di un corpo vivente il teorema della differenza nato e foraggiato dalla volontà di distinguersi per uniformarsi al mondo che cambia assomiglia a quella qualità degli arroganti che costruiscono la discriminazione dell'altro facendo leva sui dettagli della loro diversità. Così come il colore della pelle attraverso il teorema della differenza risulta basilare per le rivendicazioni razziali ignorando quanto è invece perfettamente simile in ogni corpo umano fatto di membra, apparati funzionali e quanto altro, anche in arte il valore di questa differenza ha motivato l'indistinguibile paesaggio che è l'esatta corrispondenza del teatro geopolitico del nostro quotidiano, lì dove rivendicando risibili differenze, attraverso sperequazioni linguistiche e falsificazioni comunicative, si giustifica lo scenario del conflitto permanente; se "linguaggio è guerra", come dichiarava un celebre ciclo di lavori di Fabio Mauri, il linguaggio della differenza è la perfetta preparazione all'antagonismo guerrafondaio (16). Per frenare questo ciclo che condurrà inevitabilmente alla caduta di senso dell'opera è adesso il momento di pensare alla similitudine piuttosto che stabilizzare il fanatismo della differenza.
D'altra parte è necessario anche comprendere come simili congetture sull'alterità siano del tutto integrate in quelle culture "altre" che risultano frutto di storie completamente estranee alle procedure attuative dell'Occidente. Il concetto della "differenza" si ritrova naturalmente in ambito cinese come forma specifica di una modalità di intendere l'azione creativa; nella cultura asiatica peraltro il concetto di ripetizione in forma di copia non ha mai avuto lo stesso significato deleterio o falsificatorio che nella storia dell'arte occidentale ha sempre avuto (17). Gli effetti di una simile disparità concettuale li possiamo misurare anche in relazione al prodotto tecnico rielaborato attraverso la copia e migliorato grazie all'esperienza ripetitiva, azione che nel processo produttivo ha determinato la presumibile acquisizione di un primato tecnologico da parte dell'area asiatica, lì dove la cultura occidentale non ha saputo trovare alcun valore. Il percorso della figura in quanto copia, la rappresentazione in quanto ripetizione, sono ancora per l'Occidente indice di scarsa qualità; tuttavia è bene ricordare che la corsa alla differenza ha svilito la ripetizione artigianale, il saper fare non in quanto produrre in forma di copia ma il sapere in forma di copia, ovvero il mantenimento di quelle attività che sono la chiave della sopravvivenza economica. Avendo svuotato di senso la ritualità della ripetizione e privilegiando il teorema continuo della differenza siamo adesso al cospetto di un'arte che non ha più alcun peso specifico, proiettata com'è verso gli orizzonti della pura affermazione di una spuria "differenza" che vale solo per il principio dell'esserci e non per il valore dell'esperire.
In un recente testo pubblicato da Christine Ross dal titolo Art for Coexistence il fenomeno della differenza è trattato in termini adeguati al percorso della forma in divenire nella nostra contemporaneità (18). Il tema centrale del testo, incentrato sul fenomeno migratorio, è indicativo per la logica della forma; l'autrice sottolinea attraverso alcuni esempi indicativi di come la forma dell'opera d'arte debba essere relazionata alle problematiche dell'attualità usando come parametro esemplificativo l'empatia. Empatia fra le forme comunicative e le forme visuali che è spesso riscontrabile nelle opere di molti artisti ma che all'interno degli apparati museali ed espositivi dominanti è obbligatoriamente ristretta sino a coincidere con il pensiero dominante costituito dal dominio di codici ipercapitalisti, quindi invalidanti per le opere esposte. Fra gli artisti presi ad esame per evidenziare non soltanto lo scopo osmotico del loro lavoro ma anche e soprattutto i termini generici di una empatia educativa atta a definire la differenza come similitudine sono i nomi di John Akomfrah, Teresa Margolles, Mierle Laderman, Ai Weiwei, Bouchra Khalili, Angela Melitopoulos, Olu Aguibe, Tuan Andrew Nguyen e Tania Bruguera. Tutti costoro provengono da luoghi e culture diverse e hanno in comune il rifiuto di sottolineare la differenza adattandola ad un comune sentire umano anche e soprattutto attraverso l'uso di alta tecnologia. Questa tecnologia è un parametro essenziale nei loro lavori, tuttavia quello che emerge non è il significato ideale della tecnologia quanto piuttosto il mezzo attraverso cui i messaggi dell'alterità possono essere ricodificati in forma comprensibile. Tutto questo non determina però l'assunzione di un codice stilistico poiché amalgamato in un contesto visuale in cui l'alterità è essenziale. Sebbene le opere di questi artisti ci parlino di problemi concreti per la nostra esistenza comune in un pianeta che sembra rimpicciolirsi sempre più, ovvero di socialità, politica, storia culturale, differenze linguistiche, ambiente e sostenibilità, il loro messaggio ci appare estraneo a causa delle modalità in cui viene rappresentato. Questa esplicita diversificazione fra contenuto e contenitore, fra opera e spazio espositivo, è quindi il soggetto esiziale del funzionamento della forma se progettata in funzione osmotica fra le differenze. Sembra ritornare attuale il celebre "il medium è il messaggio" di MacLuhan in cui il medium è il sistema espositivo così fortemente permeato da una ideologia dello sfruttamento del capitalismo tecno-economico dell'ipermodernità. Riposizionare al suo interno opere di una estranea differenza o di una sincretica identità uniforma il tutto e ne veicola un'ideologia unica; questo rende il fruitore un consumatore di immagini rese vuote dal contesto o al più sfruttate per un funzionamento economico piuttosto che un soggetto empatico, nell'osmosi del senso fra le differenze. Il fatto che i musei e le istituzioni culturali siano costretti dal pensiero unico del realismo capitalista (19), risulta fallimentare anche per i lavori maggiormente indicativi dei nostri tempi. Nelle cronache di questi ultimi mesi un'azione di Tania Bruguera Where Your Ideas Become Civic Actions (100 Hours Reading “The Origins of Totalitarianism”) presso l'Hamburger Bahnhof, Nationalgalerie der Gegenwart di Berlino è stata sospesa per motivi di ordine pubblico. L'azione che consisteva nella lettura di alcuni brani tratti da Le origini del totalitarismo di Hannah Arendt è stata interrotta a causa dell'intervento di militanti Pro Palestina i quali contestavano la partecipazione del direttore dell'istituzione, tutto questo sebbene le indicazioni di Tania Bruguera non fossero estranee e discordanti con quelle dei manifestanti (20). In un periodo storico in cui l'aggressività dei sistemi di controllo e di dominio ci riportano ad un clima di guerra e di conflitto anche l'arte non può estranearsi. Ma per poter comunicare il tema di una differenza che rientri nell'ambito di una comune identità non è più tempo di affidarsi alle istituzioni: esse rappresentano per una parte degli autori lo spazio di rappresentazione del pensiero unico del realismo capitalista e iniziano ad essere un obiettivo politico per le frange più estremiste condizionate dal clima di radicale "differenza" fra le culture. L'arte rischia così di smettere d'essere quella "zona franca" in cui scavalcare le barriere internazionali e luogo di riflessioni privo di pregiudizi, e di diventare il megafono di vari suprematismi in combutta fra loro per affermare il principio di una "differenza" intollerante verso quella altrui.
Aprile 2024
1) José Jimenez, Teoria dell'arte, Aesthetica, Palermo, pag. 49.
2) Secondo Peter Bürger, Teoria dell'avanguardia, trad. It. Bollati Boringhieri, Torino, 1990, (ed. or. 1974, Frankfurt am Main), la linearità storica dell'opera d'arte sarebbe stata sconvolta dall'ipotesi dell'avanguardia; ma a giudicare dagli esiti della sua permanenza si potrebbe affermare che dagli anni dell'avanguardia fino al postmodernismo più radicale, quindi in quegli anni immediatamente successivi a Les magiciens de la terre, l'esplosione della forma sia stata la florescenza finale della linearità procedurale dell'opera di matrice occidentale.
3) John Dewey, Art as Experience, Penguin Book, New York 2005 (Balch & Company, Minton, New York, 1934), pag. 341.
4) Léon Robin in "Gli esordi della riflessione morale" nel suo Storia del pensiero greco, trad. It. Einaudi, Torino, 1982 (1951) fa risalire la nascita di un pensiero dell'alterità laicizzato nel sapere dell'Occidente all'Odissea di Omero, individuando in quest'opera l'origine di un percorso ideale sulla condotta e sulla condizione umana già distaccata dal senso del sacro e del divino.
5) Jean-François Lyotard, La condizione postmoderna, trad. It. Feltrinelli, Milano, 1981, ( ed. or. La condition postmoderne, Les Edition de Minuit, Paris, 1979).
6) Sulle relazioni fra potere politico e potere tecnologico basti soffermarsi su alcuni fatti: la politica internazionale usa alcuni sistemi di comunicazione che sono di proprietà di multinazionali, ne consegue che esse detengono un potere sotterraneo che ha un peso inespresso in termini politici ma che condiziona e governa le pratiche politiche. D'altra parte si spiega perché i grandi proprietari dei sistemi di comunicazione digitale hanno libero accesso ai vertici degli stati nazionali e ne determinano pesantemente le scelte.
7) Olu Oguibe, Okwui Enwezor, Reading the contemporary. African Art from Theory to Marketplace, Institute of International Visual Arts, London, 1999. Questo testo ci pone di fronte alla differenza strategica che separa un'arte che vuole essere diversa dalla sua storia occidentale e un'arte che mantiene la sua "differenza" ma la pratica per situare la sua forma all'interno del mondo globalizzato. In questi termini la "differenza" coltivata in ambito occidentale è vista come una palese appropriazione di stampo coloniale.
8) Gilles Deleuze, Differenza e ripetizione, trad. It. Raffello Cortina Editore, Milano 1997, (Différence et répétition, Presses Universitaires de France, Paris, 1968), pp 43 – 94. La ragione per cui la differenza non risiede all'interno della ragione dell'essere disciplinata dalla tecnica è secondo Deleuze in relazione alla cultura raziocinante e schematica del sistema di pensiero occidentale e il suo modulo binario del tutto/niente, pieno/vuoto, bianco/nero; ciò nelle istanze rappresentative si traduce in una modalità estrema in cui la rappresentazione è in entrambi i casi coincidente con il confine ideale. La differenza nella cultura occidentale è, secondo Deleuze, frutto di una sottrazione formale dal campo rappresentativo ideale poi distorta attraverso la sua contorsione. Cfr. anche Gilles Deleuze, La piega. Leibniz e il Barocco, trad. It. Einaudi, Torino, 1990, (ed. or. Le pli. Leibniz et le Baroque, Lés Édition de Minuit, Paris, 1988).
9) La stagione 1989-90 in particolare è stata l'anno di mostre come Le magiciens de la terre al Centre Pompidou di Parigi, di China Avant-garde alla Galleria Nazionale di Pechino, Artificial Nature (1990) di Deitch alla Deste Foundation di Atene, Buena Vista di Collins & Milazzo alla Gibson Gallery di New York e di Other Story alla Hayward Gallery di Londra. La tendenza di queste mostre è stata quella di rilevare la differenza estremizzandone i paradigmi. Les magiciens riportava l'arte dell'altrove all'interno degli spazi del white cube forzandone la diversità, China Avant-garde assumeva le strategie occidentali trasponendole in un territorio sino a quel momento quasi estraneo a queste; Artificial Nature estremizzava il sistema multimediale nella previsione di quella virtualità già evocata in Les Immateriaux di Lyotard; Buena Vista ricodificava l'idea curatoriale in elemento determinante della cura critica; Other Story tendeva a riportare la differenza dell'alterità all'interno del sistema di mercato.
10) Wim Delvoye in quegli anni iniziava a produrre oggetti che manifestavano una manualità artigianale non occidentale ricondizionata in modalità neo-oggettuale.
11) Risulta esemplare l'azione epositiva dei giovani partecipanti a China/Avant-Garde; la mostra è chiaramente una eco di modelli e di attitudini derivate dalla recente storia dell'arte occidentale. Ma le pratiche attuative sono per lo sguardo consapevolmente formatosi nel sistema istituzionale occidentale "confuse" poiché maturate all'interno di un disordine inusuale nel sistema espositivo di quel periodo. Ma è proprio questo disordine comulativo a rappresentare il taglio differente della forma e della funzione che da oggeto ideale, quindi di radice occidentale, viene ritorto a elemento occasionale e ideologico di matrice orientale.
12) Jacques Derrida, Della grammatologia, ed. it. a cura di G. Dalmasso, Jaca Book, Milano, 2020 (1969) (ed. or. De la grammatologie, Les Edition du Minuit, Paris, 1967). Nel capitolo "Linguistica e grammatologia" Derrida affronta la questione della scrittura e la relazione fra funzionamento generico del pensiero e forma della comunicazione grafica; su queste riflessioni emerge anche la differenza fra scrittura geroglifica e ideografica indirizzata al ragionamento filosofico puro e quella alfabetico analitica protesa al linearismo scientifico.
13) Pasha, M. K. (2020). "After the deluge: new universalism and postcolonial difference". International Relations, 34(3), 354-373. (visitato aprile 2024) https://doi.org/10.1177/0047117820946812
14) Esemplare l'esperienza di Macro Asilo negli anni 2018-2019 a Roma concepita dall'antropologo-curatore De Finis che promosse lo sviluppo di esperimenti di un'arte delegata al caso.
15) Interessante la posizione di Nathalie Heinich la quale indaga la struttura complessa del contemporaneo e ne privilegia un aspetto deterministico attraverso il contesto; questo percorso è emblematico poiché relazionando l'arte al contesto ne assume una cornice socio politica senza esprimere alcuna considerazione sul valore e sulla qualità di condizionamento sulle opere e sugli artisti.
Cfr. Nathalie Heinich, Il paradigma dell'arte contemporanea. Strutture di una rivoluzione artistica, trad. It. Johan & Levi editore, Milano, 2022 (ed. or. Le Paradigme de l'art contemporain. Structures d'une révolution artistique, Edition Gallimard, Paris, 2014).
16) Fabio Mauri, Linguaggio è guerra, 1975. Si tratta di alcuni lavori in cui immagini fotografiche degli anni di guerra sono indagate con dei tagli geometrici, razionalisti, osservandone la falsificazione in quanto linguaggio di supremazia ideologica. Il ciclo si relazione con il più determinante Male e bellezza che di questa falsificazione ideologica ne indaga la seduzione nei valori di simmetria, decoro e ordine. Cfr. Fabio Mauri, Male e bellezza/ Das Böse und das Schöne, cat. Mostra Kunsthalle Klagenfurt, AT, 1997.
17) Su questo argomento si veda l'organizzazione sul tema della differenza in mostra presso il padiglione cinese alla 60.Biennale di Venezia, nato e ideato attraverso la traslazione del lavoro di Aby Warburg riletto e reinterpretato attraverso la lente asiatica della storia e della catalogazione: Atlas: Harmony in Diversity a cura di Wang Xiaosong e Jiang Hun, Padiglione Cinese, Arsenale, Venezia, 2024.
18) Christine Ross, Art for Coexistence. Unlearning the Way We See Migration, MIT Press, Cambridge Mass-London UK, 2022.
19) Uso in questo testo la definizione "realismo capitalista" facendo riferimento al testo di Mark Fisher, Realismo Capitalista, trad. It. Nero, Roma, 2018, (ed. or. Zero Book, GB, 2009) poiché mi sembra che il saggio di Fisher rappresenti al meglio e in modo crudo, non dogmatico e non pedante, ma chiaro e semplice le condizioni di attuale ambigua identità delle società del XXI secolo.
20) Tania Bruguera, Where Your Ideas Become Civic Actions (100 Hours Reading “The Origins of Totalitarianism”) Hamburger Bahnhof, Nationalgalerie der Gegenwart di Berlino, 7 02 2024 – 11 02 2024 (chiusa preventivamente il 10 02 2024). Lettura del testo di Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, trad. it. Einaudi, Torino, 1967 (I ed inglese 1951).