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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

L’eredità architettonica italiana tra memoria e oblio in mostra al MAXXI dell’Aquila

Marzia Failla
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Riunire i paesi del Corno d’Africa sotto il segno di un patrimonio “condiviso”, attraverso l’analisi dell’eredità architettonica urbana della passata storia coloniale, può costituire un punto di partenza con cui tracciare un percorso di indagine che dal presente si muove a ritroso.
Eppure esaminare i complessi e stratificati processi di decolonizzazione dell’architettura in atto a diversi livelli in Eritrea, Etiopia e Somalia suggerisce dovute differenziazioni: la mostra “Architetture e città nel Corno d’Africa. Un patrimonio condiviso” al museo MAXXI dell’Aquila, a cura di Andrea Mantovano, dal 28 giugno al 3 novembre 2024, ha riferito sapientemente di questi percorsi decoloniali asincroni, accomunati dalla relazione con un patrimonio condiviso controverso, ovvero quello del periodo coloniale italiano.
Ma quali percorsi riflessivi consentono di riunire i paesi del Corno d’Africa in una narrazione curatoriale comune su parte dei loro edifici storici? Poiché se l’eredità della passata storia coloniale appare avvicinare l’Eritrea, l’Etiopia e la Somalia, in realtà questi paesi affrontano oggi in maniera assolutamente differenziata la relazione con un patrimonio sul quale la consapevolezza appare più o meno presente. Su questi temi, la mostra al MAXXI dell’Aquila ha ben reso i differenti livelli di indagine: coesistenti, interdipendenti ma non sovrapponibili.
L’attività progettuale italiana del periodo coloniale ha inciso profondamente le geografie dell’Eritrea, dell’Etiopia e della Somalia, plasmando un'identità collettiva sotto il segno di un patrimonio condiviso: oggi però quel che rimane di questa eredità urbano-architettonica convive con una coscienza variabile sulla storia di parte di quei luoghi e sul percorso culturale che li ha portati a definizione in quanto “spazi coloniali” di affermazione di una supremazia politica e razziale dominante.
Il patrimonio architettonico può essere un punto di partenza con cui disegnare un percorso analitico a ritroso, e in questo senso “condiviso”, dopodiché appare imprescindibile contraddistinguere ogni storia nazionale come a sé poiché, anche temporalmente, nel caso dell’Eritrea l’indipendenza è stata raggiunta con l’affrancamento dalla nazione etiope soltanto nel 1991, per l’Etiopia dopo la seconda guerra mondiale nel 1947 e per la Somalia nel 1960.
Eludendo tentativi di ricostruzione, quel che la mostra aquilana ha offerto è uno specifico focus sullo stato di alcuni dei principali monumenti architettonici urbani del periodo coloniale, comparandone orientamenti conservativi accanto ad atteggiamenti di imperizia e di indifferenza consapevole sul loro stato di decadenza, all’interno di un panorama presentato come continuamente comparato tra i differenti paesi. Mentre infatti ad Asmara la tutela salvaguarda, ad Addis Abeba il patrimonio urbano è inserito in un processo di mutamento ben più ampio che investe il paese e in Somalia, a Mogadiscio in particolare, sempre questo patrimonio appare sfortunatamente in completo abbandono.
La mostra ha ripercorso la storia di alcuni progetti selezionati ed esemplificativi ma ha inteso anche restituire questa differente consapevolezza che continua a coesistere nei territori del Corno d’Africa.
Il percorso espositivo ha riunito da un lato documenti d’archivio relativi ai primi piani regolatori per le città dell’Africa orientale, presentando uno spaccato storico sul processo di definizione urbanistica che ha interessato le tre capitali, e dall’altro ha presentato immagini fotografiche, riproduzioni video e il prezioso lavoro di gruppi di ricerca che nella contemporaneità sono attivi per la valorizzazione di quei luoghi.
La mostra ha inizio con le testimonianze relative al presente, per tracciare un percorso che arriva al passato solo in un secondo momento espositivo. Interrogando il complesso processo di decolonizzazione del patrimonio architettonico nelle città dell’Africa Orientale, il museo MAXXI dell’Aquila, con la sua prima mostra dedicata interamente all’architettura, ha voluto non solo riflettere sull’eredità di un patrimonio comune in Eritrea, Etiopia e Somalia, ma ha indagato parallelamente l’impronta che le architetture moderniste delle ex-colonie italiane d’oltremare portano con sé e quali simboli celano ancora nella contemporaneità.
Come relazionarsi con questa eredità così prossima legata alla storia nazionale di paesi che un tempo erano colonie?
Reimpiego, riparazione, cancellazione sono alcune delle traiettorie che si intersecano in questo contrastante tragitto di decolonizzazione. Orientamenti asincroni che si muovono tra oblio, mutamento e resistenza e che dimostrano non soltanto intricate rappresentazioni identitarie legate al lascito delle architetture coloniali ma anche stratificate architetture della memoria connesse ai monumenti urbani.
Interrogare l’architettura come campo di espressione nel processo di colonizzazione e decolonizzazione dell'Africa Orientale appare quindi una traiettoria di indagine privilegiata per comprendere come lo “spazio coloniale” si sia costruito e continui oggi a ricostruirsi e decostruire, veicolando, variando, o mascherando ideologie e simboli che richiamano ben più grandi processi politici e culturali.
L’Eritrea viene descritta in mostra tramite l’Asmara Heritage Project, che la vede protagonista in un processo di esaltazione della sua modernità tra azioni di tutela, conservazione e valorizzazione del proprio patrimonio architettonico urbano.
L’Etiopia è narrata tramite la documentazione fotografica di Michael Tsegaye che con le sue fotografie invita il pubblico ad immergersi nella storia delle città di Addis Abeba e Gimma, attraverso la lettura dei complessi processi di stratificazione architettonica che si sovrappongono a quelli di sedimentazione della memoria, di cui gli edifici sono portatori. 
La Somalia viene esposta tramite il lavoro del fotografo Farah Omar Nur e del collettivo Somali Architecture. Infine DAAR - Decolonizing Architecture Art Research ha presentato il suo progetto “The Afterlife of Colonial Fascist Architecture in Ethiopia and Eritrea. Asmara and Addis Abeba” del 2019 (1).
In Eritrea, e in particolare nella capitale Asmara, la storia del proprio passato coloniale è stata integrata con quella di un paese che, in trasformazione, guarda al futuro allontanando la possibilità di soppressioni o cancellazioni; l’ingresso della capitale nella World Heritage List dell’UNESCO con la dicitura “Asmara - Africa’s Modernist City” (2) è stata la fine di un lungo processo, iniziato nel 1991 con l’indipendenza della nazione, che ne ha visto la catalogazione di oltre quattromila edifici modernisti della città (3).
Questa occasione ha permesso di eleggere le architetture realizzate dai colonizzatori a simboli della memoria storico-culturale del paese, impedendo l’alterazione dei siti urbani e favorendo la valorizzazione degli edifici coloniali.
Sul sito UNESCO si legge:
“Nel complesso, il paesaggio urbano di Asmara trasmette in modo eccezionale come la pianificazione coloniale, basata su principi di segregazione funzionale e razziale, sia stata applicata e adattata alle condizioni geografiche locali per ottenere un significato simbolico e requisiti funzionali. La città è arrivata a essere associata alla lotta del popolo eritreo per l'autodeterminazione, che è stata perseguita abbracciando la prova tangibile, ma eccezionale, del loro passato coloniale.” (4)
 
In questo senso, l’Asmara Heritage Project - ufficio del Dipartimento Lavori Pubblici presente dal 2014 e diretto dall’ingegnere Medhanie Teklemariam in collaborazione con Edward Denison - si occupa della tutela e della valorizzazione del patrimonio architettonico urbano di Asmara, che si articola in: progetti per l’archiviazione e la documentazione (attraverso la schedatura di circa quattromila edifici storici e la scansione dei disegni dei relativi progetti), attività di ricerca e mappatura tramite strumentazione GIS dei vari siti architettonici.
L’Asmara Heritage Project si occupa oggi anche dei permessi di costruzione e concessione di lavori di manutenzione in conformità con la normativa vigente e con l’ausilio di strumenti quali l'Urban Conservation Master Plan, le relative Asmara Planning Norms e le Technical Regulations, al fine di tutelare adeguatamente il tessuto urbano e i siti in esso inseriti.
Se si consulta l’Atlante del Patrimonio urbano UNESCO riferito alla città di Asmara (5) si trovano infatti classificati gli edifici storici (suddivisi in edifici istituzionali, luoghi di cultura, edifici religiosi), i piani urbanistici della città (tra cui il piano urbanistico per Asmara del 1893, la mappa di Asmara del 1895, il piano urbanistico per Asmara del 1913 e la proposta urbana per Asmara del 1938), le strade, il paesaggio urbano e la mappatura interattiva dei siti. Tra questi, tra gli edifici che spiccano in mostra compaiono le due emblematiche architetture relative al Cinema Impero e alla Stazione di servizio FIAT Tagliero, grazie alle immagini fotografiche concesse da Edward Denison e grazie al contributo dell’Asmara Heritage Project.
Ma, come scrivono Alessandro Petti e Emilio Distretti, del gruppo DAAR - Decolonizing Architecture Art Research:
“L'inserimento di Asmara nella lista dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO è una storia inquietante che ha sollevato una serie di interrogativi contraddittori sulla questione irrisolta del patrimonio coloniale: la candidatura costituisce un nuovo capitolo nella lotta nazionale eritrea per la liberazione e l'autodeterminazione? Segna la conclusione di un lungo percorso di decolonizzazione dal fascismo segnato dal riutilizzo e dalla riappropriazione di edifici e infrastrutture coloniali? O, al contrario, è un'iniziativa post-ideologica ed economica che mira a far rivivere i “tempi coloniali” passati per il turismo occidentale?
L'iscrizione di Asmara nei criteri UNESCO è un atto di sottomissione da parte di culture e civiltà non europee ai valori universalistici, coloniali ed eurocentrici europei?
Pur riconoscendo l'impossibilità di separare tali questioni e rifiutando l'obiettivo di offrire soluzioni chiare e comode a tali dilemmi, riconosciamo che la candidatura di Asmara esercita un potere inquietante, poiché riunisce le società ex-colonizzanti ed ex-colonizzate attorno a domande comuni: esiste un aldilà dell'architettura coloniale fascista? Esiste una possibilità per il suo riutilizzo senza cadere nella celebrazione dell'ideologia fascista?
Che tipo di eredità è realmente l'eredità architettonica coloniale fascista?” (6)
Come illustrato da Alessandro Petti e Emilio Distretti, si presenta lo schema del “doppio asimmetrico” (7) per cui alle strutture architettoniche costruite sul suolo italiano ne corrispondeva, nei territori coloniali, idealmente un modello gemello, replicato e utilizzato come strumento propagandistico e di modernizzazione di luoghi remoti ma connessi con la madrepatria. Un modello proposto come elemento unificatore tra centro e periferie e per le nascenti metropoli del Corno d’Africa. Ma, al di là della veridicità di una vera e propria operazione di “replica”, le sperimentazioni moderniste presero piede attuando progetti di zonizzazione, attraverso la soppressione delle culture locali e la segregazione razziale, acuendo il divario tra luoghi destinati ai colonizzatori e spazi concessi ai colonizzati. Come rimarginare queste controverse ferite della storia dell’Africa orientale senza incorrere in retoriche marcatamente eurocentriche sui percorsi decoloniali in atto?
Passando all’Etiopia, questa visione di speranza sfuma i propri confini: la nazione sta attraversando una rapida trasformazione, che riguarda in particolare la capitale Addis Abeba, e che sta comportando in alcuni casi la demolizione di interi edifici storici.
In mostra compare la documentazione del fotografo etiope Michael Tsegaye che ha catturato questo complesso processo di modernizzazione, in particolare concentrando il proprio obiettivo sulle due città di Addis Abeba e Gimma (8).
Eppure, accanto a queste operazioni di “cancellazione” e “riconversione”, esiste un movimento di riappropriazione culturale che mira a sensibilizzare la popolazione riguardo l’identità storica del proprio paese. In questo modo i progetti dei quartieri italiani vengono proposti come da riassorbire in modo nuovo all’interno del tessuto urbano, trasformandosi e inserendosi appieno in questo complesso processo di nuova-modernizzazione.     
In Somalia, ancor di più rispetto ai due contesti affrontati in precedenza, il patrimonio architettonico oggi si trova in uno stato di decadenza e abbandono. I complessi e lunghi anni di guerra civile ancora vibrano tra gli edifici in rovina del periodo di dominazione italiana.
Gruppi di studiosi e ricercatori si stanno dedicando a un lavoro di mappatura e documentazione degli edifici al fine di sensibilizzare la coscienza sul passato coloniale.
La documentazione da loro prodotta costituisce un archivio contemporaneo prezioso. In mostra le fotografie di Mogadiscio ritratte dal fotoreporter e giornalista Farah Omar Nur, insieme alla documentazione video-fotografica del gruppo Somali Architecture, raccontano di ciò che resta.
Farah Omar Nur, con le sue fotografie, ha raccontato la città di Mogadiscio nella contemporaneità: compaiono la Città Universitaria - ex liceo Emilio De Bono, l’Arco di Trionfo Popolare, il Caffè Nazionale, la sede dell’Amministrazione Regionale del Benadir e il Municipio di Mogadiscio - ex Palazzo del Governatore, il Mogadishu Mall - ex Albergo Croce del Sud, la Banca Centrale Somala - ex Banca d’Italia, il faro di Mogadiscio, l’Arco di Trionfo Umberto I, l’Ospedale Giacomo De Martino, la Chiesa Romana Cattolica - ex cattedrale.
Il gruppo Somali Architecture, che dedica la sua attività proprio alla sensibilizzazione sul patrimonio architettonico somalo, con video e immagini ha presentato un’alternativa testimonianza sugli edifici coloniali di Mogadiscio: offrendo una spaccatura della quotidianità somala che rifugge narrative estetizzanti sul decadente, il gruppo Somali Architecture ha presentato la situazione attuale in tutta la sua dura verità.
La seconda parte dell'esposizione, come si è detto riferita al passato coloniale, si è occupata dei “costruttori” di queste città, degli studiosi, dei geometri, degli architetti che hanno delineato il volto modernista e razionalista di queste città.
Come è noto, le tre capitali di Asmara, Addis Abeba e Mogadiscio ebbero una grande spinta in avanti per quel che riguarda lo sviluppo urbano e architettonico a partire dai primi decenni del Novecento.
Gli interventi urbanistici durante l’era del colonialismo italiano per Asmara e Addis Abeba hanno significato la riprogettazione di piccoli centri, che sono stati plasmati e resi vere e proprie metropoli, nati dall’unificazione dei precedenti abitati in maniera unitaria e organica. Modellandole in modo da farle confluire in un progetto ben più grande, le due città di Asmara e Addis Abeba si sono trasformate in grandi metropoli, pianificate secondo progetti urbanistici imponenti che ne hanno ridisegnato puntualmente la struttura urbana.
Per Mogadiscio invece, città con una storia antichissima, il discorso era estremamente più arduo e sfaccettato; prima dell’era del colonialismo italiano non era la città principale lungo la costa somala, un paese ben poco conosciuto, con difficili aree interne desertiche e popolazioni nomadi, mentre le città lungo la costa presentavano una composita giustapposizione di culture differenti (9). Con la progettazione coloniale italiana, l’operazione di “modellizzazione” ne ha reso uniforme la struttura rispetto agli altri possedimenti coloniali, livellandone i passaggi disarmonici che presentava rispetto ai casi di Asmara e Addis Abeba. Divenne così la capitale del paese.
Compaiono in mostra proprio i piani regolatori elaborati per le città, che mettono bene in risalto le differenti caratteristiche dei siti su cui si è intervenuti.
Partendo dall’Eritrea, Asmara divenne capitale della colonia nel 1897, prima tra le colonie italiane a partire dal 1890. Dopo il primo Piano Regolatore di Odoardo Cavagnari del 1913-1914 e a seguito della forte espansione del paese, seguì un nuovo Piano Regolatore Generale e un Piano per il Cittadino, rispettivamente redatti dagli architetti Guido Ferrazza - il cosiddetto “Piano Ferrazza” del 1937 - e il “Piano Cafiero” di Vittorio Cafiero del 1939 (10).
Il passaggio a metropoli di Asmara avvenne soprattutto negli anni compresi tra il 1935 e il 1941, arco temporale durante il quale divenne un vero e proprio centro di sperimentazione architettonica del modello razionalista italiano esportato nelle colonie d’oltremare.
Le fotografie aeree, i disegni dei progetti e i piani regolatori esposti in mostra hanno evidenziato come la conformazione pianeggiante della città abbia favorito la sua riorganizzazione, attraverso la costruzione di assi viari principali, con una divisione puntuale delle zone riservate agli italiani e quelle riservate alla popolazione locale, i quartieri funzionali e così via, organizzazione che si riscontra anche nel Piano Regolatore per Addis Abeba del 1936, ideato da Cesare Valle e Ignazio Guidi, con gli interventi ufficiali di Enrico del Debbio, Giò Ponti e Giuseppe Vaccaro, che allo stesso modo mostra il modello di “zonizzazione” adottato per pianificare la maglia urbanistica (11).
L’esposizione del MAXXI ha dedicato infine uno spazio specifico alla ricostruzione dell’attività progettuale di due figure in particolare: Arturo Mezzedimi e Veglio Bertani, il primo impegnato in progetti architettonici in Eritrea e Etiopia, il secondo in Somalia.
Arturo Mezzedimi si trasferì inizialmente in Eritrea, dove emerse con i suoi progetti per le classi benestanti italiane ed eritree e, successivamente, anche per l’imperatore etiope Hailé Selassié. Si fece strada come architetto nel panorama che ha mirato alla riconfigurazione e modernizzazione di Addis Abeba, rielaborando lo stile razionalista degli anni Trenta e fondendolo con gli influssi delle tradizioni locali (12).
Tra i suoi progetti, in tutto circa millecinquecento, compaiono edifici pubblici, privati e per l’istruzione, ospedali, edifici di culto –tra cui la moschea di Massawa e la moschea di Agordat– ma anche edifici commerciali, ville e abitazioni, edifici per il turismo, per l’industria e progetti di urbanistica.
Tra i suoi progetti più noti figurano la Piscina Mingardi ad Asmara (1944-45), l’Accademia Navale e il General Hospital (1956-1958) di Massawa, l’Africa Hall - prima sede africana delle Nazioni Unite - a Addis Abeba (1959-1961), quest’ultima proprio su commissione dell’imperatore etiope Haile’ Selassié.
Veglio Bertani invece iniziò a lavorare come geometra in Somalia, in particolare per l’Ufficio Tecnico Municipale di Mogadiscio, contribuendo per oltre mezzo secolo alla ridefinizione del volto di questa intensa città del Corno d’Africa, attraverso molteplici e sfaccettati progetti che gli hanno dato modo, dagli anni Cinquanta in poi, di riconfigurare il volto del centro abitato attraverso uno stile architettonico sia moderno che funzionale. Infatti egli assunse la carica di Direttore dell’Ufficio Tecnico di Mogadiscio e tramite questo incarico ebbe la possibilità di plasmare l’urbanistica della città.
In conclusione, la mostra “Architetture e città nel Corno d’Africa. Un patrimonio condiviso” ha offerto un’interessante prospettiva con cui leggere il passato coloniale a partire dal presente decoloniale. Le geografie del Corno d’Africa sono tutt’oggi attraversate da tensioni viscerali più o meno sopite ma che proprio a partire dalla conoscenza della propria controversa e contesa storia possono mirare a una ricostruzione ricca di speranza. La mostra ha restituito non soltanto uno sguardo sulla memoria coloniale, ma anche una prospettiva curatoriale che risolve idealmente il territorio dicotomico che si muove tra l’elaborazione di narrative decoloniali e la decostruzione di apparati coloniali legati al patrimonio architettonico, una coniugazione da assimilare proprio a partire da percorsi di integrazione di quel delicato “patrimonio condiviso”.

Ottobre 2024
2) L’8 luglio 2017 a Cracovia, Polonia, Asmara è stata dichiarata dal Comitato per il patrimonio mondiale dell’UNESCO tra i siti della World Heritage List dell’UNESCO: https://whc.unesco.org/en/list/1550/ (accesso il 1 ottobre 2024)
4) https://whc.unesco.org/en/list/1550/ (accesso il 1 ottobre 2024)
6) Distretti E., Petti A., L’Aldilà Architettura coloniale fascista. Un manifesto critico, in Future Anterior, vol. 16, num. 2,  inverno 2019:
7) Distretti E., Petti A., ibidem.
8) https://www.michaeltsegaye.com (accesso il 3 ottobre 2024)
9) Pandolfo M., La Somalia coloniale: una storia ai margini della memoria italiana, in Diacronie. Studi di Storia Contemporanea, num. 14, vol. 2, 2013.
10) Canali F., “Urbanistica coloniale” moderna e piani regolatori nelle città italiane d’oltremare. Asmara. I “piani funzionalisti” per la “Milano degli Altipiani” di Guido Ferrazza e Vittorio Cafiero (1936-1939), in “ASUP - Annali di storia urbanistica e del paesaggio”, num. 4, 2016, pp. 90-110.
11) Canali F., Addis Abeba “italiana”: il piano regolatore e la serie delle sue varianti (1936-1939). Le attestazioni documentarie dal fondo “MAI - Ministero dell’Africa Italiana”, in “ASUP - Annali di Storia dell’Urbanistica e del Paesaggio”, num. 1, 2013, pp. 63-126.