Per un edificio che riapre dopo il restauro, un altro chiude per iniziare il suo e due importanti mostre ne sottolineano l’evento
Daniela De Dominicis
Per la ricostruzione di Notre Dame dopo l’incendio del 2019 ci sono voluti cinque anni di intensi lavori e se la parte esterna è ancora oggi circondata da impalcature, l’interno si è mostrato in tutta la sua recuperata integrità per le celebrazioni dell’8 dicembre 2024. La conclusione di un cantiere così complesso – con lo studio e il recupero delle antiche tecniche costruttive, il reperimento dei materiali, il coinvolgimento di maestranze specializzate in diversi ambiti disciplinari – ha stupito per la celerità del suo avanzamento ma in realtà un analogo arco temporale sembra essere necessario anche per il recupero di due edifici del Novecento, icone della Parigi contemporanea: il Grand Palais e il Centre Pompidou.
Il primo ha chiuso i battenti nel marzo 2021 per procedere al ripristino dell’aspetto originario dopo centoventuno anni di attività e all’allineamento con le norme di sicurezza oggi in vigore. La fondazione dell’edificio risale all’Esposizione Universale del 1900, la quinta ospitata a Parigi, quella che ha segnato il passaggio alla modernità, caratterizzata dalla luce elettrica, la metropolitana, le ferrovie… Il Grand Palais – realizzato come padiglione delle belle arti francesi e destinato secondo l’idea iniziale ad essere smantellato alla fine della manifestazione – con i suoi 77mila mq e la copertura in acciaio, ferro e vetro è diventato subito il simbolo del progresso compiuto dall’industria francese che all’epoca ha potuto permettersi di voltare i 240 metri della navata con una grande botte vetrata a 35 metri di altezza e una cupola centrale che la supera di altri 10. Il progetto si è avvalso di tre contributi diversi coordinati da Charles Girault (1), già vincitore del concorso per il Petit Palais. Si tratta di spazi enormi di difficile gestione che tuttavia si sono rivelati nel tempo estremamente versatili adattandosi a funzioni diverse: ospedale durante la Grande Guerra, ippodromo, Salone dell’Auto, pista di pattinaggio su ghiaccio e, dal 1964, sede espositiva articolata in quattro gallerie indipendenti. A promuovere la trasformazione di gran parte dell’edificio in spazio espositivo è stato il Conservatore dei musei di Francia e direttore delle Gallerie nazionali del Grand Palais Reynold Arnould (2), nominato in questo ruolo dal ministro André Malraux, il primo a considerare la cultura come potente strumento di propaganda politica. Arnould, artista e promotore della cultura francese nel mondo, ha optato per interventi di modifica articolati nel tempo (1966, 1969, 1970) per ottenere ampi ambienti separati fruibili simultaneamente, le Galeries nationales, con l’allestimento di Pierre Vivien (3). Le gallerie hanno ospitato mostre memorabili soprattutto di artisti francesi (famose quelle di Matisse nel 1970, Chardin nel 1999, Picasso nel 2015…), ma dopo quella sulla storia e gli scavi di Pompei (4) nel 2020, l’edificio ha chiuso i battenti per intraprendere un radicale restauro. Le sue attività espositive si sono trasferite nel Grand Palais Éphémère, una struttura a croce latina progettata dall’architetto Jean-Michel Wilmotte (5) per un costo di 40 mln di euro, costruita appositamente nella spianata del Champ-de-Mars, che verrà smantellata e rivenduta in tutte le sue componenti.
Il Grand Palais nel corso della sua storia non era mai stato restaurato nella complessità – eccezion fatta per un intervento di manutenzione delle coperture e del lato Sud risalente al 2000 (6) – e il concorso bandito a tal fine nel 2014 è stato oggetto di un clamoroso ripensamento. A vincere a tutta prima la competizione è stato infatti lo studio italo francese LAN (7) con un audace progetto di trasformazione e di ampliamento degli spazi espositivi, lo scavo di piani interrati e culminante nell’apertura di terrazze panoramiche nel lato Sud. Pur annunciato ufficialmente nel 2018 tale programma è stato abbandonato dopo due anni per sostituirlo con un intervento meno ambizioso, compatibile con la scadenza dei giochi olimpici 2024 e l’imperativo di mantenere i costi nell’ambito del budget prefissato (8). Il restauro del Grand Palais (9) è stato quindi condotto dallo studio Chatillon Architectes di Francois Chatillon (10), architetto in capo dei Monumenti storici francesi, che ha perseguito un intervento sobrio e rispettoso della storia dell’edificio. Chatillon ha inteso recuperare l’unità e la coerenza iniziale della costruzione salvaguardandone le funzioni. Così le murature introdotte nel ’37 per creare aree separate sono state rimosse mentre particolare attenzione è stata data al ripristino della palette cromatica originaria nonché alla trasparenza delle vetrate di copertura che era col tempo venuta meno. Lo studio dei flussi, la nuova circolazione interna, gli arredi e la segnaletica sono stati affidati con il concorso del 2021 all’Atelier Senzu (11) che si avvale della collaborazione del giovane designer Samy Rio (12) e dello studio newyorkese 2X4 (13).
La navata ha potuto così ospitare i giochi olimpici e paralimpici di scherma e taekwondo tra luglio e agosto 2024 e tra il 18 e il 20 ottobre gli stand della rinnovata fiera d’arte con il nuovo brand di Art Basel Paris (14), manifestazione passata quindi sotto l’egida svizzera che conferma quanto la capitale francese sia ormai al centro del mercato artistico europeo strappando il primato a Londra.
Il lato Sud del palazzo ha invece inaugurato l’11 dicembre la prima delle sue gallerie con una mostra d’eccezione, quella dell’artista giapponese Chiharu Shiota (Osaka, 1972), mentre per la fruibilità delle restanti aree sarà necessario attendere la primavera 2025.
L’artista giapponese che vive a Berlino dal 1996, ha utilizzato i vasti ambienti (1200 mq) del Grand Palais per presentare una selezione di 25 anni di attività con un’antologica che tocca tutti gli aspetti del suo lavoro: sculture, video, foto, scenografie per opere liriche e teatrali e soprattutto le grandi installazioni realizzate con i fili. La mostra, dal titolo The Soul Trembles (L’anima trema) e curata dal Mori Art Museum di Tokyo, è approdata a Parigi dopo diverse tappe nei più importanti musei asiatici. Shiota – nota al pubblico occidentale soprattutto per aver rappresentato il Giappone alla Biennale di Venezia del 2015 – ha ottenuto notorietà grazie alle installazioni fatte di ambienti saturi di fili, ancorati alle mura come dense ragnatele. Gli spazi sono così fittamente attraversati da questi elementi – alternativamente rossi o neri – da rendere difficile penetrarli anche solo con lo sguardo. Il filo rosso nella tradizione orientale rappresenta le relazioni che uniscono le persone tra loro, concretizza i legami – affettivi e di sangue –che collegano la nostra vita a quella degli altri nel tempo e nello spazio. Il filo nero allude invece alla morte, alla vita che non c’è più. In Silence i mobili bruciati (un pianoforte, le sedie, un tavolo…) intrappolati dalle “ragnatele” nere, non possono più essere utilizzati, diventano inquietanti testimoni muti di una vita passata.
Mentre questa mostra inaugura la ripresa di una lunga tradizione espositiva delle Galeries del Grand Palais, un’altra importante iniziativa, quella che celebra il centenario del Surrealismo, segna viceversa l’imminente chiusura del Centre Pompidou.
Il titolo – Surréalisme. Le surréalisme d’abord et toujours – concepito dai curatori Didier Ottinger e Marie Sarré intende mettere in evidenza l’estrema longevità del movimento e il fascino che ancora esercita sull’arte contemporanea. L’arco cronologico della sua esistenza viene indicato dal 1924 al 1969, anno in cui un articolo di Jean Schuster (15) ne dichiara ufficialmente lo scioglimento. In tempi recenti tuttavia si è assistito ad una vera e propria esplosione d’interesse per i temi cari a questa avanguardia. Già nel 2022 la Biennale di Venezia ha utilizzato come titolo e quindi come tema conduttore, il libro dell’artista surrealista Leonora Carrington, Il latte dei sogni, mentre l’asta del 18 ottobre ’24 da Sotheby’s a Parigi, interamente dedicata a questo movimento, ha registrato il tutto venduto (16).
Quella proposta dal Pompidou è la più completa rassegna che gli è stata dedicata (17): 140 opere e un’infinità di artisti di Paesi diversi, al di qua e al di là dell’Atlantico dove dal 1941 i protagonisti si sono trasferiti. È articolata in 13 sezioni che si distribuiscono radialmente come un labirinto intorno ad una rotonda centrale alla quale si accede attraverso la bocca spalancata del Cabaret de L’ Enfer, il locale prediletto dai surrealisti la cui porta ricorda quella del palazzetto Zuccari a Roma. Mentre un caleidoscopio di immagini viene proiettato sulla parete perimetrale curva, la voce di André Breton, ricostruita con l’intelligenza artificiale, recita alcune parti del Manifesto pubblicato nel 1924 qui presente per la prima volta con le pagine del manoscritto originale. Dopo questo avvio spettacolare, la mostra si mantiene nell’ambito della produzione pittorica e scultorea affidando unicamente alle proiezioni filmiche che scandiscono il percorso, lo spirito dissacrante e provocatorio che ha caratterizzato in realtà tutte le Esposizioni Internazionali Surrealiste. Dopo l’omaggio reso ai precursori – coloro che già nell’800 hanno indagato ambiti di una creatività svincolata dalla ragione (Rimbaud, Lautréamont, Carroll, Sade) – l’esposizione affronta nuclei tematici relativi agli aspetti meno solari della mente: la ricerca alchemica, il sogno, la foresta, la notte… Interessante la sezione relativa ai Mostri politici in cui si adombrano i riferimenti ai nascenti totalitarismi.
Accoglie l’esposizione il sesto piano del Centre Pompidou che dopo mezzo secolo di attività chiude per restauri per i prossimi cinque anni. Il complesso – che ha rivoluzionato all’epoca la concezione di museo, oltre che per le tecniche costruttive, anche per essere stato pensato aperto alla città e al pubblico con la piazza e il piano terreno liberamente accessibili – è stato inaugurato nel 1977 sulla base del futuristico progetto firmato da Renzo Piano, Richard Rogers e Gianfranco Franchini (18).
Il bando di concorso appena concluso, Progetto Centre Pompidou 2030, ha richiesto l’aggiornamento degli impianti e degli spazi senza ulteriori aggiunte o nuove costruzioni mantenendo lo spirito pluridisciplinare voluto dal presidente Georges Pompidou. A gestire i lavori con un budget di 262 mln di euro, sarà un team di architetti e designer composto dallo studio franco giapponese Moreau Kusunoki (19), lo studio di Frida Escobedo (20) – emersa recentemente alla notorietà per essersi aggiudicata l’ampliamento del Metropolitan di New York, previsto per il 2030 – e l’AIA Life, studio internazionale dalle molteplici attività, qui coinvolto per gli interventi di arredo e design. Nulla sarà variato dell’aspetto esteriore, si punterà sulla trasformazione del forum organizzato su tre livelli con maggiori servizi e accessibilità e le terrazze superiori saranno rese praticabili.
Per rimanere sé stessa una città ha bisogno di interventi continui. Certo è difficile accettare che un patrimonio culturale possa essere sottratto così a lungo alla fruizione ma è l’unico modo per conservarlo e valorizzarlo.
Notre Dame, risorta dalle proprie ceneri, ha saputo creare un’aspettativa mondiale, davanti al suo portale ci sono ora file lunghissime come non se ne erano mai viste prima.
Gennaio 2025
1) Gli architetti del Grand Palais sono Henri Deglane (navata), Louis-Albert Louvet (blocco centrale e scala d’onore) e Albert Thomas (Palais de la Découverte). Il coordinamento è affidato all’architetto Charles Girault (1851-1932), formatosi all’École des Beaux-Arts, particolarmente attivo a Bruxelles per la committenza del re Leopoldo II.
2) Reynold Arnould (1919-1980), docente e artista. È stato conservatore dei musei di Le Havre (1952-1965) e successivamente delle Gallerie nazionale del Grand Palais a Parigi (1965-1979).
3) All’architetto Pierre Vivien (1909-1999) si deve anche la scalinata metallica a chiocciola di raccordo con i mezzanini.
4) Pompei. Promenade immersive. Trésors archéologiques. Nouvelles découvertes, a cura di Massimo Osanna, luglio-settembre 2020, Parigi, Grand Palais.
5) Jean-Michel Wilmotte (1948) è urbanista e designer francese.
6) Nel 1993 la caduta di pannello di vetro della navata ha determinato la chiusura dell’edificio per undici anni. Nel 2000 l’architetto Alain-Charles Perrot (1945) è intervenuto per ripristinare le coperture e manutenere le fondazioni dell’edificio lato Senna.
7) Lo studio LAN (Local Architetcture Network) è stato fondato nel 2002 a Parigi da Benoit Jallon e Umberto Napolitano.
8) Per il restauro del Grand Palais sono stati messi in campo 466 mln di euro di cui 288 costituiti da fondi pubblici mentre il resto è sostenuto da contributi privati.
9) Dal gennaio 2024 il Grand Palais è diventato GrandPalaisRmn, ad indicare la fusione con la Réunion des Musées Nationaux, la società pubblica che gestisce 34 musei nazionali.
10) Francois Chatillon (1961) dal 2004 è architetto in capo ai monumenti storici francesi, ha restaurato, tra l’altro, il Musée Carnevalet (2017-20) a Parigi in collaborazione con i norvegesi del gruppo Snøetta.
11) Atelier Senzu fondato nel 2014 a Parigi da David Dottelonde e Wandrille Marchais.
12) Samy Rio è giovane designer francese con base ad Arles, vincitore del Grand Prix alla decima edizione del Design Parade di Hyères nel 2015. I suoi oggetti sono caratterizzati dall’uso esclusivo di materiali ecologici, in particolare il bambù.
13) Lo studio 2X4 è stato fondato a New York nel 1994 da Michael Rock, Susan Sellers e Georgianna Stout, ha anche sedi a Beijing e Madrid. In Italia ha curato la segnaletica e il brand della Fondazione Prada.
14) Il gruppo svizzero MCH proprietario di Art Basel si è aggiudicato da due anni la gestione della fiera d’arte parigina, la storica FIAC, con la denominazione di Paris+. È la prima volta che la società utilizza il brand Art Basel per una manifestazione in ambito europeo al di fuori della Svizzera.
15) Jean Schuster (1929-1995) poeta e giornalista, aderisce nel 1947 al movimento Surrealista. È l’esecutore testamentario di André Breton che muore a Parigi nel 1966.
16) Circa il passaggio in asta di opere surrealiste, degne di nota sono quella di Leonora Carrington, Les distractions de Dagobert (1945) venduta a maggio 2024 da Sotheby’s a New York per $ 28,5 milioni e L’Empire des lumières (1954) di René Magritte, battuta a novembre 2024 da Christie’s a New York per $ 121,1 milioni.
17) La mostra sul Surrealismo del Centre Pompidou, con alcune varianti, si sposterà in diverse città: Amburgo, Madrid e Filadelfia.
18) Gianfranco Franchini (1938-2009) ha firmato con Rogers e Piano il progetto ma poi il suo contributo è via via venuto meno per ragioni mai del tutto chiarite.
19) Lo studio franco giapponese è stato fondato nel 2011 da Nicolas Moreau e Hiroko Kusunoki con sedi in Francia e in Australia.
20) Frida Escobedo (1979) architetta messicana fondatrice dell’omonimo studio con sedi a Città del Messico e New York. Nel 2018 ha curato il Serpentine Pavilon a Londra. Recentemente ha vinto il premio Charlotte Perriand 2024 per il design.