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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Giovanna Calabrese

Nel corso dell'Ottocento sebbene turismo e offerta artistica in Italia registrassero un continuo fermento, la letteratura e la storiografia di settore contemporanei non sembravano prestare molta attenzione ai repentini cambiamenti. Non è noto alcun atlante o scritto antologico che esponesse con chiarezza l'evoluzione dell'arte ottocentesca in patria o che indirizzasse a una qualche lettura critica sull'argomento (1). L’Italia, ancora una volta indietro rispetto alla letteratura internazionale contemporanea che già offriva studi dettagliati di personalità artistiche emergenti, fa un punto della situazione solo nel secolo successivo, in occasione del primo Congresso Artistico Internazionale del 1911, svoltosi presso il Padiglione Neoclassico di Castel Sant'Angelo a Roma in onore del cinquantenario dell'Unità d'Italia.
Nell'ambito di quel confronto internazionale si asserì il principio di Universalità dell'Arte e si espresse l'esigenza di una sua maggiore diffusione e profonda conoscenza. Di fronte al continuo proliferare di nuovi mercanti d'arte, talvolta semplici affaristi privi di senso estetico e formazione umanistica, a partire da quel Congresso Internazionale ci si pose l'obbiettivo di indottrinare il pubblico alle "leggi dell'estetica", di insegnare la tecnica e le regole del "saper guardare". Tale necessità risultava tanto più impellente a fronte di un mercato d'arte internazionale poco onesto, in cui falsi e ingannevoli attribuzioni erano frequenti e capillari al punto da coinvolgere anche il circuito museale. Nel corso degli anni simili iniziative vennero realizzate più frequentemente, giungendo poi a concretizzarsi nella struttura di Esposizioni Universali. In Italia è possibile individuare esempi precursori nell'Esposizione Internazionale di Belle Arti di Roma (1883) e nell'inaugurazione della Biennale di Venezia del 1895. Tali progetti avevano l'obiettivo di rilanciare le realtà autoctone su scala internazionale e offrire una panoramica europea il più possibile aggiornata dando la possibilità agli artisti italiani di poter usufruire di una sede espositiva qualificata e inserirsi nel circuito del mercato dell'arte internazionale. Nel 1931 si aggiunse la Quadriennale di Roma, vertice delle nuove realtà espositive locali. In questo contesto emerse tutta l’importanza e l'influenza del soggetto privato che, con il proprio potenziale d'acquisto, era in grado di dominare tanto il sistema della compra-vendita quanto quello espositivo. Durante tutto il secolo XX il compratore d'arte acquista sempre maggiore autorevolezza approssimandosi a quel ruolo di erudito e facoltoso mecenate che nel secolo precedente fu appannaggio esclusivo dei nobili e ricchi possidenti. La sua scalata alle vette del mercato dell'arte non fu neppure così ardua se si considera la concomitante debolezza del sistema espositivo ufficiale italiano: si tenga conto dell'esigua presenza sul suolo nazionale di Istituti Statali addetti all'esposizione; ancora negli anni Sessanta del Novecento se ne contavano soltanto due: la Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma e la Galleria d'Arte Moderna di Torino.
Il proliferare del mercato portò alla costituzione delle prime Gallerie d'Arte private che difatti nacquero dapprima nei principali centri di vendita d'Arte Contemporanea: Roma e Milano, punte di diamante di un commercio che premiava l'intraprendenza e la cultura dei più audaci. Si andava così delineando la nuova figura del collezionista che dal secondo Novecento in poi ha avuto un ruolo da leader nel processo di affermazione di nuove tendenze artistiche.
Circoscrivendo il nostro sguardo all’Italia, Pier Maria Bardi (2), Fabio Sargentini(3), Lucio Amelio(4), Plinio De Martiis(5) furono alcuni dei più importanti protagonisti della seconda metà del ‘900, prestigiatori di mercato che mossi da valenze psicologiche, affettive e sentimentali ascritte alla preziosa aura del pezzo artistico, contribuirono all'arricchimento del patrimonio culturale della nazione anche attraverso donazioni o finanziamenti.
In questo senso possiamo citare come esempio di rilievo il caso di Giuseppe Panza di Biumo, collezionista milanese attivo a partire dalla metà del Novecento, che trasformò la sua Villa di Varese in una sorta di Museo d'arte Americana contemporanea, aprendosi anche a realizzazioni di opere site specific. Oggi la Villa è in donazione al FAI.
Tuttavia “Alla base del desiderio di collezionare (...) c'è un'esigenza di autoaffermazione della propria identità attraverso un processo continuo di reificazione dei valori artistici …"(6), scrive Francesco Poli, in un'analisi dissacrante condotta sul sistema del collezionismo contemporaneo. Con questa logica nel sistema del circuito artistico un componente salta: nel virtuoso triangolo arte-collezionista-pubblico l'ultimo scompare, il rapporto diventa unilaterale. Il pubblico perde la sua parte nel sistema dei ruoli eclissandosi dietro l'ingombrante narcisismo del maniacale collezionismo.
Autoreferenziale, l'atto di compra-vendita per un collezionista diventa affermazione del sé, della propria sensibilità artistica e del personale potere d'azione nell'ambito culturale, un'autocelebrazione costruita per consolare l'animo inappagato di chi è consapevole di poter possedere solo la materia dell'arte e dipende dalla sua ineffabilità.
Nel corso del XXI secolo, proprio mentre il collezionismo sviluppava le proprie reti commerciali e potenziava il rapporto Arte/Mercato, si registra un'inversione di tendenza: il ritorno dell'interesse nei confronti del pubblico fruitore accompagnato da un richiamo a maggior attenzione al territorio che per primo accoglie l'emergere degli attori creativi del sistema artistico, realtà in seno alla quale prendono le mosse personalità artistiche, progetti, opere. La nuova ottica si mostrò subito tesa a recuperare il rapporto artista-comunità ricollocando il ruolo del primo nell'ambito dell'attività sociale. Con lo scopo di ottenere questa partecipazione condivisa nascono i "programmi di esperienza artistica e creativa" che prendono il nome di Residenze Artistiche o Artist Colonies e mettono a disposizione dell'artista degli spazi in cui operare e un luogo in cui vivere durante la realizzazione del progetto, a patto che non corrisponda con la provincia di provenienza dell'artista ospitato. Il periodo di permanenza contribuisce alla conoscenza e contaminazione con la comunità del posto permettendo la generazione di un circolo virtuoso in cui oltre allo scambio culturale si realizzi quella proficua commistione di talenti, di nazionalità e discipline artistiche differenti, che arricchisce e valorizza il patrimonio locale e nazionale.
Esempi embrionali di tali tendenze si osservano oltreoceano, in territorio statunitense, con la costituzione della Corporation of Yaddo fondata a New York nel 1900 e ancora oggi attiva. In ambito Europeo si ricorda invece l'esperienza del Villaggio tedesco di Worpswede, vicino a Brema, dove nel 1889 si costituì spontaneamente una colonia di artisti finalizzata alla creazione di un bacino culturale attivo in cui i partecipanti potessero godere di totale libertà espressiva in convivenza, sviluppando così un profondo senso di comunità.
L'Italia dal canto suo entra in scena silenziosamente sul finire del XX secolo, quando un gruppo di artisti riuniti in un'associazione culturale del basso Lazio decide di riunire artisti visivi e non in un medesimo luogo e concedere loro del tempo per conoscersi, relazionarsi, scambiarsi idee e costruire un progetto a più mani. È il 1997 ed è l'Associazione Zerynthia che si occupava- e tutt'ora prosegue- di arte contemporanea a lanciarsi in questa sfida, appoggiata da Peppe Aliveti, Sindaco di Paliano (FR), che ha messo a loro disposizione la foresteria di Palaniello da usare come spazio di residenza.
"Doria e Mario Pieroni chiamarono Cesare Pietroiusti che a sua volta coinvolse altri artisti per la realizzazione del progetto, tra cui anche il sottoscritto. Entrambi venivamo da fruttuose e fresche esperienze di collaborazioni con gruppi d'artisti tra cui Disordinazioni e Giochi del senso e nonsenso” (7). Con queste parole Pino Boresta, uno dei protagonisti della residenza, racconta come è venuto alla luce questo visionario progetto a cui fu dato il nome di Oreste. L'iniziativa registrò un gran numero di partecipanti, tanti artisti quanto il pubblico, diventando il giusto presupposto per realizzare nuove edizioni(8). Nel 1999 Oreste è invitato ufficialmente alla 48° Biennale di Venezia diretta da Harald Seezmann e i suoi protagonisti riscuotono un buon successo, tale da cominciare a pensare ad una carriera da solisti. D'altronde lo stesso Pietroiusti scrive profeticamente nel libro Progetto Oreste 0: "quasi sempre i gruppi, dopo che fanno un lavoro di grande visibilità e che riscuote riconoscimento, entrano in crisi"(9).
A partire da questa esperienza iniziative simili si diffusero man mano in tutto il territorio nazionale, spesso con l'intento di valorizzare il patrimonio culturale locale e incrementare la partecipazione sociale al mondo artistico.
Le righe che seguono profilano uno sguardo più attento a quegli "esempi embrionali" di Residenze Artistiche enunciati in precedenza per chiarirne i contesti storico-sociali che ne permisero l'emergere. Allo stesso tempo si tenta di effettuare un'analisi parallela delle due residenze pioneristiche di modo da evidenziarne differenze e punti di contatto con lo scopo di rispondere nel modo più esauriente possibile alle domande: quali esigenze volevano soddisfare le prime Residenze Artistiche? Ad oggi quanto e cosa è cambiato?
“How large the eyes become here! They want at all times to possess the whole sky”.("Quanto grandi diventano gli occhi qui! ogni volta tentano di possedere il cielo intero")(10). Queste sono le prime parole che il poeta Rainer Maria Rilke usò per descrivere l'impatto avuto alla vista degli incontaminati paesaggi di Worpswede durante la sua prima visita estiva nel 1900. Ciò che indusse il poeta a visitare quei luoghi, esclusi dal rassicurante circuito commerciale degli affari turistici, fu il recente successo raggiunto grazie al clamore suscitato da alcuni artisti emergenti locali in occasione del prestigioso International Art Show di Monaco del 1895. Quell'evento non solo segnò l'esordio degli artisti di Worpswede sulla scena internazionale ma diede modo di far apprezzare il potenziale artistico e creativo della città e fu il contesto in cui venne presentato al mondo l'innovativo progetto della Colonia Artistica di Worpswede.
A ben vedere studi recenti hanno dimostrato come questa colonia non fosse l'unica ad essersi costituita come centro culturale rurale in Europa. Nello specifico la ricercatrice e docente Nina Lübbren, nel suo lavoro "Rural Artistis' Colonies in Europe, 1870-1910"(11), dimostra come le aggregazioni spontanee di menti creative in contesti campestri, alle volte bucolici, lontani dagli schematismi della vita urbana, fossero il risultato di una tendenza dilagante agli inizi del ventesimo secolo, realtà che per ragioni storiografiche, più attente all'emersione delle correnti d'avanguardia artistica europea, sono state ingiustamente declassate a fenomeni di importanza secondaria, quindi rimaste sconosciute ai più. Lübbren ne individua più di 80 nell'area centro e nordeuropea tutte accomunate dalla bramosia di una vita intrisa di "nostalgia” considerata autentica, premoderna e immersa nella natura.
Tra di esse primeggia la Colonia Artistica di Worpswede, cittadina situata nell'ampia brughiera di Bremen, costituitasi a partire dal 1889 e che nasce dalla riscoperta naturalistica dei paesaggi che la caratterizzavano. Fu lo studente d'arte dell'Accademia di Düsseldorf Franz Mackensen a recarsi per primo nella cittadina (1884), invitato a trascorrervi le vacanze estive. Affascinato da quei luoghi presto le sue visite a Worpswede diventarono abituali e arrivarono a coinvolgere molti altri colleghi dell'Accademia. Lübbren ci informa come questa smania di libertà e desiderio di distacco dal mondo cittadino, motivo principale dei continui spostamenti a Worpswede, nel tempo va trasformandosi in una ricercata emulazione del modello di Barbizon(12) riconoscendo nelle atmosfere dell'aperta campagna tedesca immagini che fino ad allora solo i lavori di Millet e Duprè erano riusciti a immortalare.
Nelle riproduzioni en plein air degli artisti di Worpswede trovavano posto tanto le meraviglie naturali quanto i segni della manipolazione dell'uomo sul paesaggio, veniva dipinto l'artificiale come naturale senza tuttavia incagliarsi nell'errore della mistificazione del reale ma usando la rappresentazione come metafora. Lübbren chiarisce:"It may possibly be illuminating to talk about paintings produced in rural artists' colonies as place-metaphors ... We may even go further and call them metaphors of nostalgia of the premodern", ("Potrebbe essere illuminante parlare dei dipinti prodotti dagli artisti delle colonie rurali come luoghi-metafore ... Potremmo anche spingerci oltre e chiamarli metafore della nostalgia del premoderno")(13).
Lo scopo che gli artisti si prefiggevano era di riuscire ad evitare la sterile rappresentazione realistica dei luoghi e giungere alla formazione di un'immagine-mito che rappresentasse l'essenza di Worpswede. Ed è proprio in questo vagheggiamento estetico, cristallizzato nei lavori degli artisti, che trova fondamento, ideale e sociale, la Colonia di Worpswede. L'idea di Meckensen e suoi colleghi Otto Modershon, Hans am Ende e Otto Uddelohde era quella di un ritiro dal sofisticato mondo della città in un luogo dove fugare i dettami delle Accademie e i traffici dei circuiti turistici, in un luogo ai limiti col selvaggio e dove condurre una vita semplice. Vicina al movimento populista Volkisch, che sopravvisse oltre l'unificazione tedesca del 1871, il ritiro a Worpswede era una scelta professionale tanto quanto una questione sociale. E lo era ancor più alla luce delle modalità di lavoro che venivano adottate in colonia. Le attività dovevano essere collettive: atti di critica reciproca, cene informali trasformate in occasioni di confronto, lavoro en plein air, miravano ad un unico scopo condiviso, ossia l'interazione continua con il luogo e l'unanime selezione di motivi chiave su cui riflettere e lavorare(14).
Tanto lo stile di vita della Colonia quanto i luoghi in cui si operava furono motivo di attrazione per molte personalità creative dell'epoca. Nel 1900 si potevano contare almeno venti artisti che vivevano e lavoravano a Worpswede. Non è un caso che il poeta Rainer Maria Rilke in questo contesto incontrò e sposò la scultrice Clara Westhoff e la ritrattista Paula Becker sposò il paesaggista Modersohn. Questa tradizione di storie d'amore tra artisti continuò per generazioni.
Le più grandi minacce all'esistenza della Colonia di Wospswede arrivarono con l'incedere dei totalitarismi e le conseguenti guerre mondiali responsabili di forti divisioni politiche interne. Come le altre colonie europee anche Worpswede si svuotava lentamente, dimezzava le finanze e le forze. Bisogna aspettare l'avvento della terza generazione d'artisti per registrare una sensibile rinascita che portò la colonia a contaminarsi con l'esplosività del Jündgestil e dell'Architettura Espessionista. Nell'immediato dopoguerra furono Heinrich Vogeler e Bernard Hoetger a trasformare la faccia del villaggio con architetture che ancora oggi dominano il paesaggio(15). Dopo la Seconda Guerra Mondiale altri artisti scelsero Worpswede come residenza e sede lavorativa e questo permise di effettuare vari interventi di risanamento della città.
Agli inizi del ventunesimo secolo la città è costretta ad affrontare difficili condizioni finanziare che portano alla chiusura della Große Kunstschau di Hotger per rischio di crollo e mancanza di fondi per la ristrutturazione. Cosi l'anno successivo, nel 2008, l'UE decide di mettere a disposizione dei fondi da destinare al Worpswede Master Plan ideato per il completo rinnovamento dei quattro maggiori musei della città: Barkemhoff, Große Kunstchaus, Haus im Schluh e il Worspwede Kunsthalle(16).
Risale invece al recente 2013 la creazione di un ambizioso progetto di residenza artistica per artisti contemporanei dal nome De Kolonie ideato per rimpiazzare il quarantennale predecessore firmato Kunstlerhause Worspwede. Il curatore di tale progetto, l'olandese Tim Voss, continua a sviluppare progetti da attivare nei prossimi anni. Da parte sua la popolazione di Worpswede, sebbene percepisca come aliena l'espressività eterogenea ed egocentrica dell'arte contemporanea comprende l'importanza per la città di rivestire comunque un ruolo nell'attuale scenario artistico contemporaneo, per continuare ad abitarlo come tradizione insegna, seppur in altre e strampalate forme(17).
A differenza dell'ottocentesca Colonia di Worpswede, che gradualmente trova adepti e luoghi in cui esistere e costruisce la propria identità in un lungo percorso disseminato di incertezze alternate a momenti di forte leadership, Yaddo trova la sua piena formulazione con maggior facilità e immediatezza, figlia di una Dichiarazione di Intenti Comuni messa agli atti dalla ricca famiglia Trask nel 1900 sul territorio di Saratoga Springs, nello Stato di New York, USA. Sul testamento enunciato, oggi visibile integralmente on line sul sito ufficiale della fondazione, si legge:"We desire to found here a permanent home to which may come from time to time for rest and refreshment authors, painters, sculptures, musicians, and other artists both men and women few in number and chosen for creative gifts and besides and not less for the power and the [will] and the purpose to make these gifts useful to the world", ("Noi desideriamo fondare qui una casa permanente nella quale di volta in volta possano recarsi per sostare e rigenerarsi autori, pittori, scultori, musicisti, e altri artisti sia uomini che donne pochi di numero e scelti per le loro creazioni e inoltre non per ultimo per la potenza e la volontà e l'impegno di fare questi doni utili per il mondo")(18).
Queste furono le parole fondanti di Spencer Trask e la moglie Katrina Nichols con cui si inaugurò l'apertura della Residenza Trask agli artisti di tutto il mondo. Ancora oggi tale programma continua a ospitare creativi senza distinzione di generi e nazionalità in un ritiro intellettuale che può durare da un minimo di due settimane a un massimo di due mesi, offrendo vitto e alloggio gratuiti.
Se dalla prima residenza artistica del 1929 fino alla più recente del 2016 non molto è cambiato è dovuto al fatto che l'intera progettualità del programma è stata ideata da una sola coppia dagli intenti comuni e dal background caratterizzato da solide basi finanziare come pure dall'alta cultura borghese.
Spencer Trask oltre ad avere varie imprese finanziare in attivo fu un filantropo, fondatore del National Arts Club, dell'American Teachers College, membro della Municipal Art Society e del Metropolitan Museum of Art. Come Spencer anche Katrina proveniva da una famiglia benestante di Brooklyn, fu scrittrice e principale costruttrice della struttura organizzativa di Yaddo. Purtroppo, nonostante l'agiatezza della situazione economica, la sorte non arrise ai coniugi che negli anni persero tutti e quattro i loro figli in circostanze salutari avverse. La tenuta di Yaddo in un primo momento si presentò come un pronto ripiego con cui poter tentare di sfuggire al dolore delle perdite ma col tempo divenne uno stile di vita in perenne contatto con l'unica cosa che sembra poter dominare l'eterno: l'arte.
L'esclusività sul territorio nazionale e l'ottima organizzazione del programma di Yaddo ne valsero il successo e la notorietà, al punto che, finanche dopo la morte dei coniugi fondatori, l'attività della Residenza restò viva e invariata, capace di portare avanti un apprezzabile sviluppo creativo, coraggioso nelle forme e nei contenuti. Si ricorda che nel 1932 Yaddo organizzò il primo American Festival of Contemporary Music, il quale influenzò fortemente gli orientamenti stilistici della musica contemporanea nordamericana. Tuttavia, sebbene già dalla sua nascita i Trasks avessero pensato alla difesa dell'indipendenza di Yaddo dalle influenze esterne, politiche o economiche che fossero, fondando "The Saratoga Union" testata giornalistica privata, voce pubblica dell'anima di Yaddo, la successiva reggente Elizabeth Ames fu ripetutamente ostacolata da incertezze economiche, frutto della Grande Depressione, e da ingiurie politiche.
Era il 1949 quando Robert Lowell entrò in aperto contrasto con gli artisti in residenza a Yaddo e dichiarò Elizabeth Ames coinvolta nelle schiere dell'attivismo comunista. Questo sarebbe stato il principale motivo che l'avrebbe indotta ad ospitare a Yaddo noti agitatori politici della sinistra estrema. In effetti durante gli anni '40 Ames permise il prolungamento di una residenza artistica per ben sei anni all'artista Agnes Smedley sostenitrice del Comunismo Cinese e l'FBI indagò per lungo tempo sulla vicenda. Ciononostante, l'episodio non creò altri scompigli e Yaddo continuò a svolgere la sua missione e a mantenere il suo profilo neutrale durante tutta la sua esistenza, coerentemente a quanto dichiarato dai suoi fondatori. Lowell fu pesantemente censurato ed espulso da Saratoga Springs.
Ad oggi Yaddo possiede un comitato direttivo che ogni anno si impegna a rinnovare il proprio compito nella curatela estetica di tutte le forme d'arte, nella difesa dell'uguaglianza sociale e nella missione di internazionalizzazione e supporto agli artisti a rischio politico.
The Corporation Of Yaddo è stata fregiata di ben 74 Premi Pulizer, 29 MacArthur Fellowships, 68 Nation Book Awards, e il Premio Nobel Saul Bellow per la Letteratura nel 1976.
In ricordo dello spirito civico dei fondatori e per celebrare l'attaccamento alla comunità di Saratoga Springs che l'ha accolta alla sua nascita la Corporazione regala la Medaglia Yaddo (istituita da Katrina T. nel 1912) prodotta da Tyffany and Co. all'allievo della Saratoga High School che abbia conseguito il diploma con il migliore risultato(19).
I due modelli di residenze presentati, sebbene si distanzino di un decennio, hanno in comune il primato storico nel costituirsi come progetti culturali innovativi nel panorama internazionale. Talune caratteristiche li accomunano, come ad esempio la spinta a costituirsi in comunità operative nel settore artistico, scegliere la forma collaborativa come metodo di lavoro, operare in stretto contatto con il territorio, altre invece le differenziano ponendole agli antipodi.
Innanzitutto la genesi della loro creazione: se Worpswede nasce come espressione del bisogno comune a taluni artisti di fugare l'artificioso e contorto mondo cittadino, The Corporation of Yaddo è frutto della sensibilità e della cultura di una coppia di ricchi borghesi, i Trasks, che nel loro operato somigliano agli antichi nobili mecenati ma se ne discostano per la loro impareggiabile generosità e altissima missione umanitaria. In effetti il fine ultimo dei Trasks fu quello di dare una dimora, non solo fisica ma prima di tutto spirituale, all'arte, ai suoi artefici, più in generale alla libertà di espressione e pensiero artistico, difendendola da ogni incombenza esterna tanto di tipo economico quanto di genere politico, nella convinzione di fare al mondo un nobile regalo: costruire un eterno palcoscenico per lo spettacolo dell'arte pura. Per realizzare la propria missione i coniugi Trasks progettarono un sistema ben strutturato: la Tenuta a Saratoga Springs fu trasformata in un vero e proprio centro d'accoglienza per gli artisti - vitto e alloggio erano interamente garantiti - fu fondata una testata giornalistica ad hoc The Saratoga Union interprete dello spirito di Yaddo, la residenza possedeva un ricco programma d'attività e una sede amministrativa che ne curava l'andamento.
La colonia artistica del villaggio di Worpswede, invece, ebbe tutt'altra origine. Lontana dalla progettualità calibrata di Yaddo, Worpswede si generò piuttosto per spontanea aggregazione di intelligenze artistiche di sensibilità affine, studenti del mondo accademico che rifiutavano il rigido schematismo delle istituzioni, sterile ai loro occhi. Il lavoro en plein air, le tavole rotonde in occasione di cene informali, l'adozione aprioristica dell'atteggiamento critico verso l'esterno, la perenne interazione con i luoghi, non furono piani d'azione studiati in maniera coerente, bensì atti sperimentali finalizzati alla ricerca di soggetti e metodologie più conformi al proprio lavoro. La colonia di Worpswede fu imbevuta di genuino Romanticismo fatto di sublime vagheggiamento estetico e languido sentimento nostalgico. Tuttavia, ciò che di Worpswede ne fece il successo, attraendo decine di altri artisti, in seguito ne determinò il declino: la libertà dalle contingenze economiche e politiche. Troppo reazionaria per il Nazionalsocialismo e troppo debole nel frammentato sistema di autogestione delle finanze, negli anni del Dopoguerra Worpswede rischiava l'oblio. In effetti è solo grazie ad aiuti economici esterni, alla crescita turistica, ai piani di risanamento europei, che ancora oggi Worpswede è operativa.
Due modelli di residenza e due stili diversi in cui forse si potrebbero vedere preannunciate le svariate realtà artistiche contemporanee. A partire da quelle esperienze si sono sviluppati due differenti sistemi di residenza artistica: da un lato la residenza privata, che nella formula ricorda Yaddo, in cui una data fondazione mette a disposizione un budget, spesso anche un alloggio, da utilizzare per realizzare la propria opera; dall'altro la residenza che rientra nel magmatico campo dei progetti culturali finanziati dalle istituzioni: queste operano attraverso bandi a cascata e hanno una frequenza diversa in base all'area geografica. In questo modo di certo è stato abbattuto il muro dell'insufficienza economica, l'approccio sperimentale è rimasto il principale modus operandi per chi lavora in residenza, ma forse allo stesso tempo è anche scomparsa quell'aura romantica che rese Worpswede tanto tormentata quanto affascinante.
20 ottobre 2018

1)"In effetti la sistemazione dell'arte medievale e moderna era in atto con il progetto venturiano, ma sul contemporaneo il proposito non era nemmeno stato formulato, e sino ad allora solo Callari (1909) aveva dedicato un volume all'arte contemporanea a partire da Canova, ma senza alcuna illustrazione; è del 1911 il primo volume di Ritratti d'Artisti di (Ugo) Ojetti" Cit. di M. Giulia Aurigemma in Maria Giulia Aurigemma, “1911: il Congresso artistico internazionale di Roma”, in Mosaico. Temi e metodi d’arte e critica per Gianni Carlo Sciolla, a cura di R. Cioffi, O. Scognamiglio, Luciano Editore, Napoli 2012 (collana MO.DO. diretta da R. Cioffi), p. 531-543.
2) Direttore della Galleria Roma (1929) nella capitale fu attento scrutatore della scena artistica internazionale
3) Allestì il suo Attico con i lavori dei principali esponenti di Arte Povera a partire dal 1967. Lo spazio è attivo ancora oggi nel cuore di Roma.
4) Uno dei più attivi galleristi di arte contemporanea, fondatore della Modern Art Agency a Napoli (1965).
5) In rapporto con New York fonda la Galleria La Tartaruga nel 1954 dove espone per primo lavori di Kline, Rotko, Rauschenberg, e primi esempi della Pop Art Romana: Shifano, Festa, Angeli, Ceroli, Pascali, Kounellis.
6) Cit. di Francesco Poli, in, Francesco Poli, Il Sistema dell'Arte Contemporanea, Edizioni Laterza, 2011, p. 93.
8 nuove edizioni vennero proposte fino al recente 2002 anche coinvolgendo diverse città d'Italia (Matera, Bologna, Rom a, Napoli, Lecce).
9) Ivi.
10) Trad. dell’A. Rainer Maria Rilke in “A German Artist Colony, Suspended in Time, Stakes a Place in the Contemporary Scene” in The New York Time Style Magazine consultato su    https://www.nytimes.com/2015/08/20/t- magazine/worpswede-artist-colony-germany.html , ottobre 2017.
11) Nina Lübbren, Rural Artists' Colonies in Europe from 1870-1910, Manchester University Press, printed by Alden Press, Oxford 2001
12) Ivi, p. 127.
13) Trad. dell’A., Nina Lübbren, ivi, p. 136.
14) Pam Meecham and Julie Sheldon, Modern Art, a Critical Introduction, Routledge Taylor and Francis Group, New York 2 005, p. 65-74.
15 ivi. Ci si riferisce alle strutture di Niedersachsenstein, il Kaffee Worspwede e la Große Kunstschau.
18) Trad. dell’A. www.yaddo.org/about/history , settembre 2017.