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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Una rilettura delle pubblicazioni 1958 - 1972

Domenico Scudero
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Situazionismi di oggi

Gli anni pandemici hanno ridisegnato il profilo del contemporaneo e acuito le contraddizioni sull'identità dell'arte e sulla sua natura ideologica. Come sempre accade nei momenti di gravi contrazioni delle libertà individuali, ruolo e modalità di resa pubblica dell'arte hanno dovuto riposizionarsi all'interno del sistema culturale. Se da una parte è logico constatare quanto sia stato crudele questo stacco epocale nei confronti di discipline e attività artistiche, dall'altra parte la necessità di arrivare al nocciolo delle questioni ha ridonato una linearità interpretativa all'operazione artistica e riformulato i rapporti fra teoria e prassi. In tutto ciò la crescita abnorme di fenomeni fortemente distorsivi che ancora una volta capovolgono il senso dell'opera d'arte ha lasciato spazio ad una critica strutturata fra un'arte contemplativa e un'arte operativa. Se dalla parte della contemplazione possiamo annoverare la cuspide della certificazione NFT che assume chiaramente l'onere di certificare l'impossibile autenticità di un'arte digitale, dall'altra ritroviamo una maggiore consapevolezza di ciò che l'opera può fare e ciò che attiene all'azione creativa nel contemporaneo. La miracolosa idea di coniugare blockchain ad una immagine non risolve di certo il quesito fondamentale dell'opera d'arte contemporanea e del suo valore culturale, semmai fomenta l'erronea convinzione che l'opera in sé sia superflua e che il blockchain stesso sia il valore, quindi il soggetto culturale. Ciò che meraviglia non è tanto il fatto che una simile mistificazione dell'azione creativa a tutto vantaggio di una pletora di mestieranti sia foriera di grandi tavoli di discussione. Da sempre è un fatto inesplicabile ma concreto, e il gossip ce lo dimostra, che le chiacchiere siano come le mosche attratte dai residui organici e non certo dalle idee. Tuttavia meraviglia che il senso dell'opera certificata non sia compreso nella sua pienezza di significato che è di fatto nel valore speculativo di cui il supporto d'immagine o di materia è solo veicolo sostanzialmente inerte.
In questo contesto storico riesce quindi più agevole poter suddividere in maniera volutamente manichea i due principali filoni della creatività, fra un'arte politicamente attiva, diremmo responsabilmente consapevole, e un'arte protesa al successo monetario. Si noti ad esempio una palese contraddizione insita nel modo realizzativo di tanta arte tecnologica, che al di là di ogni spessore immaginativo è comunque opera di consumo energetico, così come consumo energetico è la realizzazione di un blockchain. Quello che si vuole sottolineare è che in un mondo sopraffatto dalle storture del turbocapitalismo liberista indifferente alla condizione umana e proteso alla soddisfazione di inefficienti desideri di una sparuta minoranza l'azione artistica non possa essere una sua eco libertaria e liberticida. Ma al contrario se l'arte vuole appartenere al contesto di una cultura propositiva e illuminata ha il compito di guidare il cambiamento verso una società più giusta e solidale, attraverso l'uso dell'opera come strumento di coercizione intellettiva e di situazionismo militante.
Rileggere la storia dell'Internazionale Situazionista e delle sue pubblicazioni dal 1958 al 1969, è cercare di rilevare quei passaggi che risultino preveggenti e logicamente emblematici per quanto succede ai nostri giorni. Un compito necessario anche per risolvere alcune conflittualità interpretative che ripropongono un'idea della Società dello spettacolo, iper abusato e citato testo di Debord, ma lasciato sostanzialmente ad una visione distorta come di archetipo postmodernista e di quel postmodernismo del cinismo critico (1).
La critica del cinismo postmoderno ha usato i parametri della logica situazionista corrompendone la soglia di percezione, facendone quindi un sillogico emblema di spettacolarizzazione, ovvero capovolgendo i termini della questione situazionista.
Rileggere il situazionismo rende più semplice poter affermare alcune strabilianti verità che permettano di poter comprendere meglio la presumibile estraneità ai luoghi comuni e alle nefande contraddizioni del nostro tempo che è spesso causa di un'alienante distacco dalle idee progressiste.
Naturalmente una simile considerazione può essere di fatto indice di una sorta di stratificazione ideologica consustanziale ad un esercizio minoritario del sociale, che per dirla con Žižek, è una delle falsità più evidenti del nostro tempo, ovvero quella di ridurre tutto ad una condizione di pariteticità. Ma noi esseri umani siamo tutti uguali nel senso traslato dal mondo animale, ovvero tutti i lupi sono lupi e tutte le formiche formiche, noi, nel dettaglio, oltre ad appartenere alla stessa specie, avere organi, essere in condizioni di pensare e quanto altro, non siamo uguali. Così come le condizioni sociali ci differenziano anche i coefficienti intellettivi lo fanno e se la qualità di un pensiero non è  visibile come la qualità (!) di un reddito o di un capitale rispetto alla povertà è pur sempre una "differenza". Tutti pensiamo e non tutti i pensieri sono uguali. Ci sono pensieri contorti e anche gli artisti hanno pensieri contorti. Esiste un turbocapitalismo artistico di grandi artisti, personaggi che in barba all'ecologia del vivere impiantano opere gigantesche e inquinanti, riescono a vendere e far gonfiare i loro patrimoni per enfatizzare una sorta di conquista del mondo, un agire animalesco da alfa maschio o femmina, l'artista demiurgo che cancella il mondo di tutti e lo rende simile a se stesso. Sono comportamenti che per quanto sostenuti da una condizione intellettiva non possono definirsi responsabili, producono inquinamento visivo, mentale, e impoveriscono il mondo.

Creare situazioni
Così il punto iniziale dell'Internazionale Situazionista ci racconta le contraddizioni di quel mondo del 1958 e che appare di molto simile al nostro del 2021 ma oggi in peggiori e più esasperate condizioni. Nel testo iniziale del primo numero si riporta a cappello delle note editoriali una citazione tratta dal Rapporto sulla costruzione delle situazioni (redatto precedentememte nel 1957) e in cui si sostiene che la società moderna ha rinunciato alla gerarchia dei valori (relativismo) e ha però avallato la sopravvivenza dell'irrazionale. Il successo del Surrealismo è per il meccanismo situazionista da considerarsi in questa prospettiva, poiché ha scavato nella coscienza inquinata dell'uomo contemporaneao e ha ritrovato nelle ideologie politiche affinate ad un'operazione che è il calco materialista dell'irrazionale, la sua rimessa in gioco nel computo positivista. Da ciò naturalmente può considerarsi anche la ricaduta nel sistema paranoico ossessivo e anti politico di alcuni artisti surrealisti, come nel caso di Dalì, che sono l'evidenza della complicazione moderna e della necessità di riformulare in modo funzionale un'ideologia dell'agire (2).
Ma il Surrealismo non è l'autosufficienza delle forme e non ha alcun significato se non corroborato alla luce di un'ideologia della libertà. Il tema potrebbe immediatamente far palesare uno di quei luoghi comuni di cui oggi andiamo fieri, litigando per semplicistiche lezioni di generi, facendo ancora una volta gli allegri alleati dei nostri nemici. Perché chiaramente il senso dell'ideologia se applicato ai termini di una volontà politica preordinata produce guai, ma un'arte senza ideologia è come un paradossale niente. Proprio in ciò per l'internazionale situazionista era il valore del Surrealismo. Persino quello di de Chirico, che, sostenitore di un surrealismo metafisico, lasciava intuire attraverso un'ideazione sconvolta che i pensieri potessero piegare la realtà.
Il situazionismo era un progetto surrealista proiettato nel concretismo materialista (3).
Ma il movimento era anche implicitamente censorio e dogmatico, non potevano esserci prigionieri nel territorio del nemico oppressivo, né tantomeno falsi rivoluzionari delle forme. Già nel primo numero la scure censoria blocca sul nascere il tentativo, obiettivamente un po' farlocco, di Ralph Rumney di usare un progetto e presentare un esito differente, alieno da questo. In un fondo redazionale si dichiara la sparizione dell'artista, perché non ha condotto al punto la sua ricerca, ha tradito il progetto e pertanto "muore" sparendo dall'Internazionale Situazionista. Era il monito chiave per arginare la possibilità che spacciando progetti a vanvera taluni artisti potessero usare l'alone elegiaco di un impegno rivoluzionario per produrre mere occasioni, quindi la netta diversificazione dalle reali situazioni. Ma non ci si ferma a questo. Il secondo obiettivo è la critica d'arte, quel modo appiattito di trasformare un modello culturale stagnante in istituzione come lo si poteva osservare nel convegno in programma il 14 aprile del '58 a Bruxelles e presieduto da Sweeney. Contro l'evento viene stampato un volantino e distribuito all'ingresso della Maison de la presse, luogo dell'incontro.
"Ben poca cosa", conclude l'ultima pagina; "c'è la guerra civile in Francia e la democrazia in bilico". "Non è Catilina alle nostre porte, è la morte", recita in apertura di pagina la citazione di Prudhom (4).
Tuttavia l'adesione al surrealismo è totalmente chimerica, si tratta qui delle visioni collettive che nel secondo numero, con Debord coadiuvato da Dahou, Jorn e Wyckaert, tentano di chiarire in cosa sia questo legame con il passato. O un'idea di passato che possa servire da energia per il futuro poiché di certo il programma situazionista non era quello di aderire ad un ipotetico surrealismo.
La ragione di questo chiarimento nasce da un articolo di Péret pubblicato sul bollettino surrealista Bief in cui si denigrava il progetto situazionista come idiota perché riteneva di porre la poesia e l'arte sotto la tutela della scienza. "Quali sono i nostri obiettivi? Creare delle situazioni.", scrive rabbiosamente il comitato di redazione della I.S., sprezzando l'anticaglia espressiva così come appariva nei tratti della requisitoria di Péret. Si apre però con la semplicità dell'epifora retorica quel solco inesorabile che delimiterà la distanza da una storia che ha prodotto "religione, e poi lo spettacolo artistico". Come diversivi in un mondo reso sempre più complicato dall'automazione e dal processo a cui solo l'azione diretta poteva contrapporsi per surclassare gli "indegni piaceri minori". E quindi, polemica per polemica, anche il titolo della nota editoriale diventa I ricordi al di sotto di tutto. In ciò si delucida maggiormente il rapporto con il Surrealismo, che è rapporto vitale ma solo in quanto memoria che è al di sotto di tutto, ovvero si radica nel comportamento ma non in pratiche artistiche (5).
Péret e gli altri come lui "sono i conservatori di un mondo artistico che si chiude", "vantano il "vano compito di mantenere emozioni nelle espressioni artistiche, che diventano oggetti che altri collezionano" (6). Dal momento che la decisione di spezzare ogni possibile legaccio surrealista è stata presa non rimane che attaccare con ogni mezzo dialettico e discorsivo funzionale allo scopo. E ce n'è per tutti, dai dadaisti della rivista Panderma al "monarchico" Mathieu, dall'"agente segreto del Vaticano" Tapié al "buddista capitalista" John Cage; sullo sfondo, la polemica è sull'oggetto in questione, ovvero la "firma" che costituirebbe comunque un sintomo mercantile connesso all'individualismo liberticida del capitalismo. In questo turbinio di critiche e di distinguo emerge soltanto l'ombrosa figura di Edgar Morin per via di un suo articolo pubblicato su Arguments n. 7 in cui sosteneva che la vera grande arte era la politica. Non avrebbero potuto dargli torto i situazionisti che semmai si spingono ancora più avanti, declinando con l'azione artistica un'arte che è sì politica ma anche post rivoluzionaria. Perché la rovina dei rivoluzionari è di trasformare la politica in amministrazione coatta mentre la politica del situazionismo era volutamente irrisolvibile. Così alla politica rivoluzionaria si contrappone una propaganda rivoluzionaria, che faccia pensare o immaginare una possibile felicità da realizzare. Lo scopo non facile da chiarire è che l'operazione artistica sia immaginare per poi vivere, approfondire direttamente e trasformare la società. L'arte è politica ma non di giochi di potere, si tratta, semmai, di adesione ad un "fronte rivoluzionario della cultura" capace di maturare strategie di invasione quotidiana che producano trasformazioni e, se tradite in dinamiche pubblicitarie appropriazioniste, ogni azione dovrà realizzarsi attraverso modalità nascoste.                    

Urbanismo unitario
Le attività nascoste hanno innanzi tutto quello di portare alla luce le identità psicogeografiche dei luoghi metropolitani e uno dei primi lavori compiuti su questo impegno sarà realizzato da Abdelhafid Khatib sul quartiere parigino di Les Halles. Era sicuramente allora, dicembre 1958, uno dei luoghi emblematici della vita parigina. Continuerà ad esserlo sino al suo esproprio, con l'intento di un ripulisti sociale e di rinnovamento architettonico, confluito nella creazione del successivo mercato con stazione metropolitana e, a pochi isolati di distanza, del Centre Pompidou. Potremmo dire che la prima grande ideazione del Situazionismo diventa la chiave intepretativa della sua lungimiranza ma anche della sua impotenza. Les Halles dopo pochi anni sarà esattamente il contrario di quanto auspicato nel progetto di Khatib. Il quale sarà comunque costretto a desistere dai suoi sopralluoghi perché arrestato due volte per contravvenzione al coprifuoco che l'amministrazione parigina aveva decretato per quel miasma incontrollabile che animava il quartiere (7).
D'altra parte che l'interesse delle situazioni potesse concentrarsi sulla psicogeografia e sulle rotte disegnate dall'individuo corrispondeva anche al bisogno, sia di Debord che degli altri adepti, di circoscrivere alcune prassi attuate da artisti vicini se non addirittura coesi al movimento. In particolare sarà la pittura uno dei crucci interpretativi per far sì che si sgomberasse la strada dalle possibili visioni errate dell'I.S.. Sulla pittura e sulla possibilità che marcasse un riferimento gravoso su un residuo romantico interviene Costant a proposito del lavoro di Jorn correggendone le macchinazioni distratte dalla specificità. Alla visione possibilista derivata dall'esperienza Cobra, col suo rapporto con una pittura d'avanguardia ma espressiva o post romantica alla Klee, Costant sovrappone un'era della tecnica come strumento basilare per "attività più ampie e libere" così come praticate in tutti i movimenti artistici rilevanti di quella prima metà del secolo (8). Tuttavia l'apologia della tecnica di Constant, contro la pittura perché indifendibile dal punto di vista situazionista, viene immediatamente contraddetta dal redazionale Notizie dell'Internazionale in cui si evidenzia il ruolo forte di Gallizio e della sua industrializzazione della pittura. Il problema, si dice infatti, non è nella materia, la pittura come tale è solamente una sostanzia tecnica, ma la sua applicabilità tecnologica e non manuense, o per l'appunto la pittura tecnologicamente indipendente ideata da Gallizio e che ha un valore contemporaneo (9).
Unitamente alla salvaguardia dell'unità direzionale appare evidente il bisogno di perfezionare ulteriormente l'idea programmatica che sarà quindi stesa, per ovviare alla mancanza di un manifesto, negli undici punti della dichiarazione di Amsterdam riportata nel secondo fascicolo dell'Internazionale. Opposizione alle funzioni ideologiche apriori, appartenenza al movimento per effettiva corrispondenza disciplinare, nessun rinnovamento di arti individuali, sperimentazione di scenari e comportamenti, complessità relazionale, sociologica e psicologica, creatività solo come sviluppo di urbanismo unitario, creazione di ambienti, azione unitaria, anche attraverso fattualità transitorie, progettualità situazionista. Questi i punti preliminari posti come base logica del movimento che assume così per la prima volta un documento di riferimento, firmato da Costant e Debord il 10 novembre 1958 (10).

Détournement radicale
Naturalmente sarà proprio lo scontro edipico con i surrealisti a caratterizzare questa fase fondamentale di irrigidimento programmatico ma è anche il momento in cui Debord enuncia pubblicamente le sue prime riflessioni individuali. In occasione di un dibattito organizzato dal Circle ouvert a Parigi e a cui è invitato il gruppo di I.S., Debord produce il suo intervento con un proclama registrato su magnetofono e con la voce accompagnata dal suono di una chitarra fra gli schiamazzi e il disappunto degli astanti. A chiusura, mentre Debord presiede come estraneato il palco svuotato per protesta dagli esponenti surrealisti, il sonoro registrato si conclude con un'altra voce che annunciava "Avete appena ascoltato..." e poi una voce femminile che nello stile delle pubblicità radiofoniche dice "questo intervento è stato offerto da Cercle ouvert" (11).
I due fatti quasi coevi, la dichiarazione di Amsterdam e la partecipazione al dibattito organizzato dai surrealisti impongono una svolta teorica fortemente impegnativa. Se ne tratterà nelle Note editoriali del terzo bollettino cui partecipano oltre a Debord, Costant, Jorn, Sturm e Wyckaert. Tuttavia, sebbene il testo di apertura non sia firmato, su tutto si riconosce la scrittura di Debord. L'articolo Il senso del deperimento dell'arte si concentra sulla constatazione di relazione fra contesto creativo e politica sociale, e prosegue fitto di citazioni e riferimenti a chiarire scopo e principi del movimento e a delimitarne le inimicizie. Come già palesato gli avversari più riconoscibili sono nel Surrealismo e nell'uso modernista che se n'è fatto, in primo luogo per responsabilità di Malraux e del suo Museo immaginario (1947). Il museo di Malraux  appare a Debord una sorta di oscura presenza della restaurazione perché similmente al Situazionismo si riallaccia al Surrealismo e lo fa in veste unificatoria, ma una unificazione vaga e onirica e quindi all'opposto di ciò che si persegue: "non vogliamo lavorare allo spettacolo della fine di un mondo, ma alla fine del mondo dello spettacolo" (12).
Sul tema delle intenzioni metodologiche il terzo bollettino appare di certo emblematico. Si chiarisce il significato di "détournement", depontenziare il senso di passato nelle cose da riappropriarsi, un modello anticipatorio di ciò che sarà, in veste negativa da questa prospettiva, l'appropriazionismo postmoderno. L'origine del détournement è chiaramente nel ready made duchampiano, tuttavia nell'ipotesi situazionista il mero "sottrarre" al suo scopo un oggetto per ricondizionarlo in funzione meditativa non bastava. E non si voleva neppure ascoltare il suggerimento del "nouveaux réalisme" poiché proprio quella realtà "pop" anche se distorta era ciò da cui ci si voleva evolvere. Détournement era quindi annichilire il passato funzionale di un oggetto, o di un soggetto, per farlo diventare occasione del nuovo.
E ancora si chiarisce il significato di urbanismo unitario anche attraverso  l'uso del détournement. Con questo si vuole superare l'idea di funzionalismo costruttuttivo, perché ha sacrificato l'aspetto sociale per la forma, e si tende a rinnovare l'aspetto sociologico della fruizione per definire attraverso il détournement l'aspetto delle città riprogettate nel futuro.

Il momento creativo                                                                              
La stessa formazione editoriale darà vita al n. 4 il cui tema centrale, l'uso del tempo libero, era già adombrato nelle Posizioni situazioniste sulla circolazione e nell'idea che l'ampliamento della motricità fosse alienante. La motricità piuttosto che far guadagnare tempo sottratto al lavoro corrispondeva ad uno spreco di energie e di vita devoluta alla libertà. Per visualizzare l'idea critica sulla motricità individuale come modello fondante dell'urbanizzazione erronea si mostra la foto di uno stadio di baseball, con le scalinate gremite di spettatori,  accerchiato da uno sterminato parcheggio di grosse automobili private. Qui non si tratta di una denuncia già ambientalista, ma dell'assurdità programmatica cui il liberismo capitalista stava indirizzando la vita sociale. L'invadenza di uno stile di vita totalmente opposto alle originarie idee situazioniste conduceva da una parte alla considerazione della "caduta di Parigi", come centro divulgatore, e alla richiesta di maggiore internazionalizzazione e dall'altra a chiarire, sulla scorta dei riferimenti programmatici, una teoria dei momenti e della costruzione di situazioni. Le situazioni, citando Henri Lefebvre, possono infatti costruirsi attraverso momenti; questi momenti sono elementi naturali nella vita ma la reiterazione di un momento nella sua piena consapevolezza può rappresentare la chiave per la costruzione di una situazione. Il momento quindi è una sorta di blocco nella fluidità dell'esistere, che è continuità priva di consapevolezza, ma che attraverso l'assunzione di responsabilità diventa luogo costruttivo (13).
Il quarto bollettino dell'Internazionale Situazionista assume una rilevanza particolare anche per la pubblicazione del primo Manifesto e per le sue polemiche che non mancano sia negli Abbozzi programmatici firmati da André Frankin, che negli interventi di Costant e nei due di Jorn con una ulteriore chiosa di Debord su errori d'interpretazione del movimento (14). Nel Manifesto si chiarisce che l'idea liberatoria dell'arte assume in sé quella di gioco e la prevaricazione dell'erronea suddivisione del lavoro come imposizione e del divertimento come passività. Si riafferma l'idea di un'arte opposta allo spettacolo, congruente con un'idea di passato antropologizzato, e al suo posto si introduce il progetto della partecipazione sociale, collegiale e anonima, non produttrice di opere trasformate in merce. Si dispone quindi un progetto attuale di un'arte predisposta all'interazione che determinerà così l'inflazione di tendenze simultanee (15).

Arte criminale
Nello stesso tempo appare chiaro che le spinte inflazionistiche possano complicare la percezione e la direzione del movimento. Se ne discuterà in maniera molto elaborata nella IV conferenza di Londra dal 24 al 28 settembre 1960, orgogliosamente ospitata nei locali della Società britannica della gente di mare a Limehouse, "quartiere celebre per i suoi criminali" (16). Il resoconto viene riportato con severa ironia nel bollettino n. 5 del 1960, in cui la traccia dell'incontro è corredata da foto e da fumetti di Martin dal tono solenne e drammatico, come momento di scelte difficili e tormentate per il destino dell'umanità. Di fatto alcune occasioni lasciavano intravedere la possibilità di un successo mondano, pericolosamente foriero di plagi e alterazioni programmatiche. L'indurimento schematico viene ribadito con lo snocciolarsi continuo di espulsioni, adesioni, polemiche e rivalità. A seguito di un contatto sbagliato cadono Gallizio e Melanotte, accusati di aver collaborato con persone inaccettabili. La polemica che ne deriva porterà anche all'esclusione volontaria di Costant, proprio mentre venivano pubblicate le prime idee di Debord con Canjuers nel documento Preliminari per una definizione dell'unità del programma rivoluzionario e si annunciava con grande rilevanza che il museo di Silkborg aveva fondato una biblioteca situazionista che avrebbe raccolto tutti i documenti riguardanti l'argomento.
Ma soprattutto sarà il n. 5 a imprimere un nuovo passo al bollettino e alle articolate tensioni interne all'I.S.. Si pubblica un importante breve testo di Frankin sull'ipotesi di unità scenica dell'evento teatrale costituita da quattro paradigmi fondanti; polverizzazione dell'intrigo, funzioni cicliche dei personaggi, partecipazione e stile di vita, dialogo e temporalità. Il tutto sotto l'egida della distorsione e al fine di partecipare l'alienazione al posto della catarsi, la non comunicazione e lo sbandamento percettivo al posto dell'immedesimazione. E si pubblica anche il primo autentico saggio esteso di Jorn su La creazione aperta e i suoi nemici (17). Al di là dell'incipit e della reale esigenza di voler difendere il suo lavoro dopo aver subito un attacco molto grave, il testo di Jorn offre per la prima volta un approfondimento sul metodo dell'astrazione, per quanto farraginoso e come sistema altamente improbabile.
Come appare abbastanza chiaramente, Debord non era inizialmente propenso ad una lettura più complessa e di un sistema modale. Lo si comprende anche attraverso il testo di Jorn quando questi scrive che ha "scoperto delle strutture sistematiche" e che ne ha parlato "con Guy Debord, che si è rifiutato decisamente di prenderle in considerazione" (18). Tuttavia è un fatto che lo scritto di Jorn abbia influito sul sistema strutturale del bollettino, lì dove al posto delle consuete, ormai retrive polemiche contro questi o quello, appariva essere più utile osservare il funzionamento intellettivo delle cose e le motivazioni logiche che erano alla base di alcune situazioni. Questa osservazione non rimane infatti isolata al semplice percorso di Jorn, ma nel proseguo di I.S. sarà proprio Debord ad ampliare lo spettro intellettuale producendo da quel momento testi di più ardua complessità e minor lievito polemico.
Il risultato sarà un editoriale d'apertura del 6° bollettino, cui contribuiscono, oltre a Debord, Kotànyi, Nash e Sturm, incentrato sul significato della rivoluzione situazionista. Rivoluzione come attivismo permanente generalizzato e opposto alle differenziazioni specialistiche, frutto queste ultime del sistema liberista, della divisione dei ruoli fra artista e politico. La chiamata alle armi è esclusivamente teorica ed è in questo particolarmente efficace nel circoscrivere anche quelle dinamiche che ne ottunderebbero il senso svuotandone l'ellissi segnica con gli stessi strumenti, quelli della messa in scena, che si stavano criticando. La prima osservazione si muove dall'elemento urbanistico inteso come strumento di una funzione totalitaria di controllo sociale attraverso sparuti ma esemplari casi, quali Brasilia, identificata come luogo dell'evidente fallimento funzionalista dell'architettura. Naturalmente il biasimo non è solamente sulla costituzione scenica dell'architettura e dell'urbanistica che oggi potremmo definire della frammentazione sociale, ma anche nei confronti delle altre forme d'arte, la pittura se ottenebrata dalla scena, il cinema se condizionato dalle pose strutturali dei personaggi. A ciò si oppone l'urbanismo unitario, che è critica al liberismo del funzionalismo, negazione di una urbanistica dello spettacolo e della pianificazione come condizionamento sociale (19).

Alterazioni prima della"piega"
Ma sarà anche l'occasione per Debord di fare chiarezza sulle possibilità aperte dal Situazionismo nell'intervento a sua firma Prospettive di modificazioni coscienti nella vita quotidiana. Nel testo si avvia una fase interpretativa delle ragioni attraverso cui le piccole alterazioni comportamentali operate con coscienza d'azione possano svolgere un ruolo prioritario nella strategia di opposizione al vuoto dello spettacolo del quotidiano (20). Come può osservarsi è esattamente in questo punto che può essere aperta quella fruttuosa identificazione fra l'idea programmatica di Debord e la concezione della "messa in scena" che attraverso lo studio del Barocco sarà fondamentale in Deleuze nella "piega" e in Derrida nel suo teorizzare la ripetizione e la differenza. Le assonanze non terminano qui, e le divergenze appaiono sostanzialmente dialettiche. La scena di cui parla Debord può essere assimilabile al contesto dell'apparenza e del posticcio che aveva determinato quella tossica avversione nei confronti della modernità che dal Rinascimento portava al Barocco. Debord e Deleuze sono in questa analisi complementari. In Debord l'azione del quotidiano costituisce la piega che motiva e giustifica l'azione di rottura nell'ordine borghese. In Deleuze costituisce l'origine di una articolazione che è all'interno di quel vuoto evocato dall'eccesso barocco ma che deve essere risanata, spiegata per riqualificarne l'essenza, la "ratio", "ragione" latina.
C'è naturalmente in questo snodo tematico anche l'estraneità del situazionismo nei confronti della cultura pragmatica anglosassone, con cui, e in particolare con la lettura "imparziale" di Dewey, le similitudini sono comunque estese. Sullo sfondo appare in essere quella frattura delineatasi fra la scuola di pensiero anglosassone e quella latina, europea continentale, e che da lì a poco culminerà nel 1962 nel convegno di Royaumont col risultato di chiudersi con le reciproche accuse di "banalità" (analitica anglofona) e "pretenziosa e oscura" (dialettica continentale) (21).
Il disegno più complesso, lo scopo verso cui bisognava indirizzarsi, era quello di una società che evolvesse da quella del consumo di bisogni ad una economia del desiderio, realizzata attraverso la tecnica e l'immaginazione di ciò che se ne può fare: ed il fine ultimo di questo processo sarebbe stato quello di una società dell'arte realizzata, in cui alla produzione di beni di consumi si potesse sostituire la costruzione di situazioni di libertà in chiave educativa. In fondo in questo processo di immedesimazione nei momenti consapevoli la I.S. non si discosta dall'idea friedriciana dell'attimo ispiratore, ma diversamente dall'anelito di spaesamento romantico il situazionismo medita la trasformazione di quell'attimo distorto dal presente in frattura creativa. Di contro al presentimento, che è una prerogativa del sublime romantico, il Situazionismo propone di trasformare lo stordimento del pensiero nella comunicazione, in primo luogo a se stessi e poi in modalità politica, affermando che non esiste comunicazione che non sia nell'azione umana comune (22).
In sottofondo agiscono continuamente tutte le forze di contenimento dell'agire teorico su un profilo strettamente ortodosso e adeguato al manifesto programmatico. In chiusura del n. 6, si informa che Frankin, già allontanatosi per divergenze è definitivamente estraneo al Situazionismo.
Tuttavia l'allontamento di un riconosciuto teorico come Frankin non disperde l'energia del gruppo che anzi incalza con la versione n. 7 del bollettino a cui contribuiscono ulteriori quattro redattori, Bernstein, Martin, Strijbosch e il redivivo Trocchi di cui si sconosce il vissuto a seguito dell'arresto per droga. Ma come riportato anche nelle note, Trocchi in qualche modo era riuscito ad evadere dalla prigionia americana o forse era stato espulso ed era riapparso con grandi energie.
Interessante nel bollettino n. 7 la virata verso la psicologia sociale nel testo pubblicato da Veneigem in cui interpreta l'alienazione come arma di sopravvivenza, ma a sua volta radice del non vivere a cui opporre il suicidio o la rivoluzione del "momento". L'alienazione è quindi un motivo anche inconscio dell'indice di sopravvivenza di un individuo massa e il Situazionismo è l'arma che avrebbe potuto reiterare la consapevolezza sino a comprenderne l'essenza. Sopraggiunti al punto cruciale non poteva esserci altra scelta, il suicidio o la partecipazione consapevole. Ma non si tratta di un'ipotesi astrattamente configurata, al contrario, assume i suoi giudizi a partire dall'ovvia constatazione che la proprietà privata sia in origine la colpa mitologica dell'ordine sociale, poi sacrale, dell'appropriazione di esseri. L'alienazione è quindi una conseguenza operativa se vissuta consapevolmente perché riconosce la prassi del potere e vi si oppone (23).

Tecnologie strumentali
Nelle Note editoriali del n. 8 si dà notizia di una macchina "idilliaca" sui cui molti fantasticavano, ma che esisteva davvero. Si trattava del prototipo di una telescrivente ad impulsi sonori-verbali e che apre un dibattito sulla tecnologia usata per il profitto. Si conclude dicendo che il potere sarebbe diventato quello dei proprietari delle macchine, ovvero i "paterni e competenti programmatori". Su questo spunto iniziale del bollettino ci si può soffermare solo per ravvisare quale lungimiranza era nel rapporto con la tecnologia. Sembra quasi che in quell'alba elettronica si stesse già presagendo il cataclisma digitale dei nostri giorni. Il peso di Trocchi, che a New York aveva assimilato un buon paesaggio del Pop, si manifesta con nuovi inserti fotografici che trasformano l'immagine del bollettino in versione tecnologica con l'apparizione di una Marilyn fotografata il 5 agosto 1962 subito dopo la morte. Nella didascalia si sostiene in neretto che la spettacolarizzazione nella società dello spettacolo è l'origine della frattura sociale e non possiede comunicazione. D'altra parte la Marilyn imbambolata nella morte è la caduta oggettuale, priva di vita, ma priva anche della sua comunicazione, della sua identità, sebbene venga ripetuta e reiterata come forma d'arte. L'evento appare nella sua brutalità e Marilyn è vista nella sua umana condizione di prigioniera di uno spazio vitale che non era in suo possesso, ma di cui era artificiosamente promotrice. D'altra parte l'apporto di Trocchi non sarà soltanto quello di palesare la superiorità dell'I.S. nelle analisi di critica dell'immagine tecnologica. Adesso che al suo interno Trocchi aveva proposto anche la condizione americana e suggerito maggiori prospettive, l'I.S. enuncia proclami che sarebbero poi divenuti slogan, come l'abusato "immaginazione al potere". Ma allo stesso tempo si trattava di difendere un territorio teorico e pratico dal plagio dalle strategie dell'individualismo liberista. Le contromisure ad ogni possibile individualismo erano nella già adottata pratica del no-copyright, nella consapevolezza che altrimenti ogni diritto sarebbe stato poi ceduto alla tecnologia di stampa, strategie che in buona misura hanno poi tenuto sino ai nostri giorni. Si dà retta solo alla presenza di chi partecipa, ma si comprende che tutto già ruota in fase teorica presso la sede che nel frattempo viene smaterializzata dall'indirizzo di Debord, al 32 di rue de la Montagne-Geneviève, al criptico indirizzo postale B.P. 75-06 Paris (24). Sempre sul tema dell'immagine e del "bello" può rilevarsi la tirata contro "la dittatura del frammento"; si tratta qui di un dettaglio molto importante perché prevede naturalmente la polemica anti classica nei cui seguiti tecnologici e modali matematici si era costruito un nuovo modello di "morale" del profitto attraverso le forme pop (25). La dialettica del frammento diviene anche un esclusivo canone in progressione di quella ideologia del nulla contro cui già si discuteva nella I.S.. Da notare di come l'estetica del frammento sia divenuta centrale nella teoria dell'arte contemporanea negli anni '90. Questa modalità di interpretazione verteva sostanzialmente sul credo postmoderno per cui ogni singolo frammento fosse in realtà denso di tutte le caratteristiche dell'opera, e derivava chiaramente da un'idea del classico. Naturalmente questo ridursi al relativismo era fortemente osteggiato, poiché se ogni singolo frammento è parte di un tutto, ogni singolo frammento ne ha le stesse qualità. Un'ipotesi che comportava anche un'assunzione neoclassica in quanto studio delle parti del tutto secondo l'inclinazione aristotelica della frammentazione, matematica protesa al bello. Da questa concezione si distaccava l'ipotesi di un frammento casuale come identificativo eventuale di un tutto generale, ipotesi molto più aperta all'incidenza del "momento". E ancora una volta la I.S. poneva dei grossi quesiti sulla sua reale inclinazione post romantica. D'altra parte nell'editoriale del n. 10 si accuserà il sociologo Domenach di vedere la storia come se non fossero mai esistiti Hegel e Baudelaire (26).
                                                               
Qui, adesso
"Ora che i Situazionisti hanno già una storia ..." scrivono nel loro lunghissimo editoriale del n. 9 Bernstein, Martin, Strijbosch, Vaneigem coadiuvati dalla direzioni di Debord; abbiamo "resistito ai compromessi ...", "abbiamo dimostrato che il carattere di avanguardia ..., stava nel fatto che doveva portare più lontano; e così è il fatto di non essere ancora considerati da nessuno, nei campi prestabiliti del presente."(27)
Va notato che per la prima volta si riconosce la possibilità di partecipare ad una operazione che si dice d'avanguardia. La connotazione operativa effettuata attraverso questa terminologia che sino a poco tempo prima sarebbe stata causa di un chiarimento procedurale, riunifica in sé le aspettative di ciò che è necessario, opposto a ciò che è probabile, ovvero l'esserci ostativo, presenziare lo spettacolo del contemporaneo ma da "nemici" e che vinca il migliore. La sterzata guerrafondaia, fra toponimia da trinceramento e strategia d'attacco o perlustrazioni nel campo nemico, vuole essere una pratica nuova per rivitalizzare un'idea di modernità già illanguidita come spettacolo. E lo spettacolo è la visione religiosa dell'attualità condizionata dai media in un tempo morto, privo di comunicazione (28). Il tempo morto è la strategia dell'oppressione tecnologica a "senso unico", un tempo in cui lo spettatore non ha alcuna possibilità di coesistere se non come entità nullificata, privato anche del suo tempo libero. Un tempo negativizzato crudelmente come prodotto di coercizione e di didattica comportamentale ai fini del potere. Immagini crude corredano i redazionali più duri, come la foto reale di un uomo dato alle fiamme per motivi razziali in Nebraska nel 1919 e di cui si rimarcano i volti sornioni dei carnefici, oppure le artificiosità dell'urbanistica e le sue tendenze invasive e distorte per volontà di rappresentazione innaturale (29). Si tratta di un editoriale che raccoglie un giro d'orizzonte fra modelli della contestazione praticata e ricerca di una morale anarchica e si conclude con un questionario e una rassegna stampa su frammenti definiti "gergo del condizionamento". Il questionario racchiude alcune chiarificazioni: che il situazionismo è "fare" situazioni che alterino politica o vita individuale; che il suo essere è un esercizio di rivoluzione permanente della vita quotidiana; che è arte e vita; che è azione post-nichilista; che è reale perché supera l'utopia; che è un'etichetta che compromette ma che funziona come cesura per una novità. D'altra parte si ravvisa che l'origine è volontà di gruppo in attesa di un movimento più complesso, poiché nell'attualità del vissuto non è ancora visibile.
Particolarmente acre la risposta di Debord ad una lettera inviata dal celebre Abraham A. Moles e in cui, a giudicare dal tono, l'autore della missiva sembrerebbe animato dal "paterno" desiderio di dare un'amorevole mano teorica allo sviluppo un po' ignavo del "situazionismo". "Testolina," gli risponde Debord, "era davvero inutile scriverci". "Sei un robot rustico" e poi un susseguirsi di lancinanti accuse contro la protervie intellettuale di un accademico supponente quale a Debord appariva il quarantenne Moles che si arrogava il diritto di dispensare giudizi e consigli per il bene altrui, probabilmente nel non riuscito tentativo di metterci un cappello sopra.
Dopo le traversie di Trocchi, il quale, sebbene svolgesse attività creative considerate al limite poiché interessavano anche la pittura e le istallazioni, era sempre presente nel paesaggio situazionista, sarà la volta di Martin ad impensierire la redazione di I.S.. Martin aveva collaborato alla stesura redazionale del n. 9 del 1964 pubblicando anche tre dei suoi fumetti etici, che in Danimarca gli valsero una denuncia nel 1965 e il successivo arresto per essersi reso protagonista nei disordini scoppiati per l'arrivo a Randers, DK, di truppe tedesche sotto il comando NATO. Ne erano nate proteste fra Martin, gruppi antagonisti, e la polizia, culminate poi con l'arresto di Martin per l'esplosione in casa sua di una bomba incendiaria, forse innescata da provocatori. Un fatto alquanto strano che ci riporta alla memoria un identico incidente capitato un secolo prima a Felix Fénèon (30).
Se ne dà notizia sul redazionale del n. 10 del 1966 tutto incentrato sulla guerra contro la dittatura della merce. Tematica che nella "merce" simboleggiava l'uso del potere per coercizzare le masse in funzione capitalista, apprestandosi a trasformare definitivamente la vita vissuta in ulteriore merce alienata dalle volontà individuali. La forma di lotta contro la merce corrispondeva anche al bisogno di elaborare un'arte politica che non lasciasse scadere la teoria nella pura politica, baluardo della conservazione nella modalità modernista. Si cerca di fare anche ulteriore chiarezza sulla terminologia, come nel testo di Mustapha Khayati in cui appare per la prima volta un riferimento a Marcuse (31). Di notevole stesura il fondo redazionale dal titolo Dell'alienazione. Un esame di diversi aspetti concreti, in cui ancora una volta emerge il tratto graffiante di Debord, coadiuvato in redazione dalla Bernstein, Frey, Khayati, Martin e Vaneigem. Naturalmente occorre ricordare che l'alienazione di per sé non era evento estraneo all'I.S., ma bisognava esserne coscienti. Il problema dell'alienazione inconsapevole era ritenuta conseguenza della comunicazione distorta, militarizzata, dell'invasione della tirannia capitalista anche nel tempo libero; emergono anche i primi commenti ostili al turismo "tempo libero imballato", la scena della vita ridotta a nulla televisivo. Per contrastarne la forza così perniciosa occorreva quindi interrompere l'ideologia del dialogo a tutti i costi, quando questo era votato al corrompimento e all'implementazione di una falsa cortesia democratica, dove invece non c'era alcun dialogo se non si fosse rimasti sorridenti ad accettare una vita da prigionieri politici. Su tutto ancora una volta è però il concetto di alienazione che è confuso e reso vago da analisi quale quella fattane da Domenach, qui etichettato come filisteo del cristianesimo di sinistra votato a fare confusione. La nota sull'alienazione in questione era stata pubblicata da Domenach su Esprit nel 1965, ed elaborava l'alienazione quale malattia mentale da circoscrivere pietisticamente. Per l'I.S. non si poteva dar seguito a letture simili della realtà perché avrebbero permesso a pseudo intellettuali di smerciare quella "sottocultura di massa, ..., (i cui, n. d.r.) termini devono essere normalmente volgarizzati a gran velocità" (32).
In coda la consueta rubrica di fatti inerenti pubblicazioni e adesioni di inizio 1966. Il fido Trocchi, sebbene non scomunicato, aderisce ad un programma da outsider e dalla I.S. ne è fuori. Si preannuncia con ironica sagacia che il libro di Vaneigem  Trattato del saper vivere ad uso delle giovani generazioni sta ricevendo "ostruzionismo" editoriale, e che invece Debord è ancora in fieri col suo testo sullo spettacolo. In realtà Gallimard pubblicherà a breve il trattato di Vaneigem, il quale comunque continuerà ad infischiarsene del copyright, suo chiodo fisso, e lascerà superfetare il suo scritto in una clandestinità volutamente cercata. Dopo poco verrà alla luce anche il testo più noto fra quelli dell'orbita I.S., La société du spectacle di Debord (33).

Arte politica
L'attenzione del n. 11 e del n. 12 della I.S., è proiettata in analisi di svelamento delle dinamiche geopolitiche internazionali, con un primo sguardo sulla Cina maoista e il consueto impegno nordafricano, in particolare verso i paesi francofoni di quell'area. Si riporta però la cronistoria dei fatti di Strasburgo, una chiara anticipazione delle sommosse studentesche di Parigi. A Strasburgo il gruppo della I.S. aveva già prodotto delle "situazioni" comunicative. La prima era stata quella di denuncia contro il "cibernetico Moles" già noto negli ambienti accademici e dissacrato con veemenza con un volantino presso l'università. Poi era stato pubblicato un opuscolo stampato in 10.000 copie e distribuito negli stessi luoghi dal titolo De la misere en milieu étudiant. Sempre presso l'università era stato distribuito il volantino illustrato dal titolo Le retour de la colonne durruti, che sarà poi considerato opuscolo istigatore per la lotta armata per le chiare allusioni alla celebre brigata anarchica in armi contro la Spagna franchista. Quando scoppieranno alcuni disordini la I.S. verrà accusata di averli provocati da tutta la stampa. Gli estratti delle accuse sono quindi pubblicati privi di commento. Tuttavia al di là delle analisi compiute e dei trattati in divenire è evidente che una preoccupazione serpeggia. Si tratta di una sensazione di svolta epocale, si intuisce che qualcosa possa avvenire e tutto il numero 11 può considerarsi come la preparazione di questo accadere. In coda agli interventi di fondo Debord pubblica "La separazione compiuta", primo capitolo del suo La società dello spettacolo in quel momento ancora in stampa (34).
Ma quello che accadde non era prevedibile. I sommovimenti in atto portarono alle manifestazioni studentesche del maggio parigino e l'I.S. si ritrovò al centro del movimento. Da una parte questo era fonte di gratificazione, dall'altra si intuisce che un tempo definito dalle situazioni è tramontato. Di contro a una tale visione per così dire ottimistica, l'articolo di apertura del n. 12, ultimo bollettino della I.S. parigina, L'inizio di un'epoca, rimane sospeso nella puntigliosa acquisizione dei risultati ottenuti e l'amara constatazione che con estrema facilità il sodale si trasformava in immediato nemico, fra derive staliniste e fanatici trotskisti. Lo stesso plauso esclusivo che aveva caratterizzato la fase di crescita dell'I.S. si era trasformato in una caccia all'errore strategico da denunciare in ogni modo con accuse e invidie, il lato b del successo politico dalla I.S.. Di tutto questo ne risentirà la struttura di base con tensioni crescenti. La questione dell'organigramma e la sua gestione diventano il tema centrale, si comprende che un simile baccano non può essere controllato senza fare chiarezza. La questione dell' organizzazione per l'I.S. scritto da Debord per conciliare, a suo modo, le varie anime del movimento,  era pensato per un incontro che non si è mai tenuto. Con il suo solito linguaggio schematico enunciava i 15 punti comportamentali e teorici. Il testo sarà pubblicato poi in coda all'ultimo I.S., n. 12, 1969, con l'aggiunta di una postilla. In questa si concludeva laconicamente che i situazionisti erano stati attori protagonisti in questo tempo appena terminato e qui Debord augurava che le strategie comportamentali implementate dall'I.S. fossero prese ad esempio per la riuscita degli obiettivi futuri (35).
Questi due numeri inglobano il prima e il dopo i fatti del maggio 1968 e si tradurranno nella fine dell'esperienza delle pubblicazioni di I.S. (settembre 1969) in versione originale. Avranno un breve seguito in Situationist International, n. 1, edizione della sezione americana e nell'Internazionale Situazionista n. 1 della sezione italiana. A queste seguirà soltano un terzo numero del bollettino scandinavo nell'ottobre del 1970. Il 9 dicembre del 1970 un comunicato informa della scissione nel comitato e della fuoriuscita di Vaneigem. Nel '72 il libro La veritable scission dans l'internationale conclude il ciclo (36). In tutto ciò può essere interessante capire quanto abbiano influito sulla fine dell'I.S. le avventure individuali di Debord e Vaneigem. Dopo la pubblicazione dei loro due libri appare già evidente che ci siano comunque due posizioni, la prima di Vaneigem protesa a privilegiare la pratica dell'arte e la seconda di Debord più interessato a farne una costruzione teorica. Saranno i protagonisti di una rottura insanabile.
Stravaganza conclusiva: l'ultimo articolo dell'ultimo numero riporta la "Corrispondenza con un editore", note scritte dall'I.S. (firmate Debord, Khayati, Riesel, Viénet) all'editore Gallimard a cui vanno indirizzati gli strali più cattivi e che l'editore restituisce con altrettanto garbo, piuttosto divertito. Ma l'I.S. ribatte sempre più aggressivamente, "da noi non avrai mai più un solo libro". Nel 1992 sarà pubblicata la nuova edizione della Società dello spettacolo per le edizioni Gallimard.
    
La domanda a commento di quanto evidenziato sopraggiunge spontanea: l'I.S. è stato un percorso pragmatico? Di sicuro non è contemplativo come avrebbero volentieri sentenziato i detrattori. Tuttavia si tratta di un esperimento, particolarmente riuscito, di una pragmatica latina che non aveva avuto grandi estimatori in quel mondo a cavallo fra gli anni 50 e 60 dello scorso secolo. In Europa di certo l'atteggiamento risultava più pragmatico di quanto non apparisse nei paesi anglofoni. D'altra parte era un pragmatismo in opposizione all'idealismo, mentre nei paesi anglofoni mancava questa opposizione. Ma sussistono alcune analogie, basti pensare che molti lavori realizzati nel sistema dell'Internazionale Situazionista hanno un taglio processuale molto simile a quello delle contemporanee emergenze americane, come in primo luogo quelle coordinate da Sieglaub, che con Debord condivide parecchie similitudini. Hanno avuto entrambi un momento molto proficuo alla fine degli anni Sessanta, sono stati anima e pensiero di due grosse situazioni nel contemporaneo e sono rimasti entrambi spiazzati dalla forza d'urto del mondo dello spettacolo e dell'uomo ad una dimensione.                                               
 
Ottobre 2021

NOTA: Tutte le note qui riportate con l'acronimo I.S. si riferiscono alla raccolta completa dei numeri di Internazionale Situazionista 1958-1969, trad. it. in volume, Edizione Nautilus, Torino, 1994.                                                                                         
1) Nell'introduzione del volume che riunisce tutti i numeri di I.S. nella traduzione in italiano, Mario Lippolis denunciava nel 1993 il facile uso di un'etichetta, I.S., che nella fattispecie veniva attribuita quasi esclusivamente a Debord e interpretata solo a partire dal suo celebre e anche banalizzato testo sulla Società dello spettacolo. Da quel lontano 1993, quasi un trentennio, ben poco è cambiato, sebbene strategie e modi implementati nella I.S. siano divenuti merce abbastanza comune nel sistema dell'arte. In tutto ciò manca un quadro di riferimento più ampio, poiché oltre Debord molti altri autori, la Bernstein, Vainegem, Jorn, Trocchi, Constant, solo per citarne alcuni, hanno prodotto e contribuito alla misurazione teorica di un'arte esplicitamente critica, quale oggi, come ieri, non è possibile praticare senza scontrarsi con la censura, che è modo prima sociale di condizionamento e poi strumento politico di isolamento. Nel 2017 Mimesis, Milano, ha ripubblicato il testo L'amara vittoria del Situazionismo di Gianfranco Marelli (ed. or. BFS, Pisa, 1996) incentrato sulla travolgente vittoria strategica del Situazionismo e il suo successivo sviluppo.
2) "Note editoriali", "Amara vittoria del Surrealismo", I.S., n. 1, Giugno 1958, pag. 3.
3) Proprio a de Chirico si fa riferimento nell'articolo sull'urbanismo firmato da Gilles Ivain e adottato dall'Internazionale lettrista nel 1953 e poi inglobato come documento ufficiale degli Archivi Situazionisti,  I.S. n. 1, Giugno 1958, pagg. 15/20.
4) "Una guerra civile in Francia", volantino dell'8 giugno 1958, in I.S. n. 1, Giugno 1958, pag 32 (IV di copertina).
5) "Note editoriali, I ricordi al di sotto di tutto",  I.S. n. 2, Dicembre 1958, pag. 3. Scritto elaborato in risposta all'articolo pubblicato da Benjamin Péret, "La poesia al di sopra di tutto", Bief, n. 1, novembre 1958.                                        
6) I.S. n. 2, Dicembre 1958, pag. 3.                                                                                                         
7) I.S. n. 2, Dicembre 1958, pagg. 13- 18. Una nota redazionale in chiusura precisa che lo studio e le riflessioni sono incomplete perché Khatib viene arrestato durante le sue perlustrazioni notturne per ben due volte e col rischio di essere condannato per via di un ordine di coprifuoco emanato ai cittadini nordafricani. Il fatto è comunque molto indicativo. Il quartiere di Les Halles era vissuto dall'amministrazione parigina come un cuneo sovversivo inserito a ridosso dei buoni isolati borghesi che circondano il Louvre.
8) Constant, "Sui nostri mezzi e sulle nostre prospettive", I.S. n. 2, Dicembre 1958, pagg. 23 – 26.
9) Redazionale, "L'attività della sezione italiana", I.S. n. 2, Dicembre 1958, pag. 27.
10) Costant, Debord, "La dichiarazione di Amsterdam", I.S. n. 2, Dicembre 1958, pagg. 31 – 32.
11) Redazionale, "Estrema levata di scudi dei difensori del surrealismo a Parigi e Rivelazione del loro effettivo valore", I.S. n. 2, Dicembre 1958, pag. 32.
12) Il testo di apertura del bollettino n. 3, pubblicato solo a dicembre 1959, quindi a poco più di un anno dai primi due numeri espone per la prima volta chiaramente le teorie tematiche che saranno poi la chiave del successivo testo "La società dello spettacolo" realizzato da Debord e a cui si deve anche il succedaneo successo dell'I.S. Crf.  Redazionale, "Il senso del deperimento dell'arte", I.S. n. 3, Dicembre 1959, pagg 3 -  8. Il museo immaginario di Malraux era stato costruito su sollecitazioni derivate dal lavoro di Warburg e dall'insolita partecipazione storico critica di Focillon. Il successo del Museo Immaginario di Maraux era doppiamente pericoloso; da una parte perché descriveva un viaggio onirico sull'arte pensato come sogno surrealista, ma da borghese in poltrona, e successivamente disegnava la persistenza dell'oggetto, in questo caso un libro d'arte che faceva immaginare un'idea di passato privo del détournement.
13) Note editoriali, "Sull'uso del tempo libero",  I.S. n. 4, Giugno 1960, pagg. 3-5. "La caduta di Parigi", pagg. 7 – 10. "Teoria dei momenti e costruzione di situazioni", pagg. 10-11.
14) "Abbozzi programmatici" di André Frankin, incentrati su modelli di costruzione di situazioni, I.S. n. 4, Giugno 1960, pagg. 16 – 17. In "La fine dell'economia e la realizzazione dell'arte", I.S. n. 4, Giugno 1960, pagg. 19 – 22, Jorn accenna ai problemi di accumulazione e di collezionismo come principi della corruzione dell'opera d'arte, sulla falsariga delle idee di Proudhon, pagg.. G. Debord, "A proposito di alcuni errori di interpretazione", I.S. n. 4, Giugno 1960, pagg. 30 – 33.
15) "Manifesto", redazionale del 17 maggio 1960, I.S. n. 4, Giugno 1960, pagg. 36 – 38.
16) Note Editoriali, "La quarta conferenza dell'I.S. a Londra", I.S. n. 5, Dicembre 1960, pag. 19.
17)  André Frankin, "Prefazione all'unità scenica. «Nessuno e gli altri»", I.S. n. 5, Dicembre 1960, pagg. 27 – 29. Asger Jorn, "La creazione aperta e i suoi nemici", I.S. n. 5, Dicembre 1960, pagg. 29 – 50. Le idee di Jorn appaiono ancora oggi molto confuse, tuttavia con una prospettiva di più di mezzo secolo anche molto lungimiranti. Non si tratta solo qui dell'anticipo nei confronti di emergenze che saranno acquisizione di prospettive universitarie, come l'opera di Umberto Eco, ma anche le teorie di Tel Quel e le dinamiche dei gruppi d'arte politica degli anni '70. Come vedremo anche in questo distruggersi l'I.S. ha fatto scuola e il percorso di Jorn ne è parabola indicativa.
18) Ibid, pag. 38.
19) "Note editoriali",  I.S. n. 6, Agosto 1961, pagg. 3 – 16.
20) G. Debord, "Prospettive di Modificazioni coscienti nella vita quotidiana", I.S. n. 6, Agosto 1961, pagg. 20 – 27. Si trattava della relazione fatta da Debord al magnetofono il 17 maggio del 1961 per il Gruppo di Ricerca sulla vita quotidiana, riunito da H. Lefebvre nel centro di studi sociologici del CNRS.
21) Ermanno Migliorini, "Presentazione", in Etica di P.H. Nowell-Smith, trad. it. La nuova Italia, Firenze, 1974 (ed. or., Penguin Book, Harmondsworth, England, 1954), pag. V – VII. L'incomunicabilità fra le due posizioni filosofiche rappresenta una frattura che si è poi diffusa anche nel sistema interpretativo e critico fra le due visioni atlantiche sostenute a occidente dall'empirismo pragmatista e nell'Europa continentale nella dialettica analitica con le continue accuse reciproche di fumosità, illeggibilità, non sense da parte anglofona e di infantilismo, analisi del nulla, ottusità da parte continentale.
22) Debord, Kotànyi, Lausen, Vaneigem, "Note editoriali" (Geopolitica dell'ibernazione, I brutti giorni finiranno, Del ruolo dell'I.S., Comunicazione prioritaria), I.S. n. 7, Aprile 1962, pagg. 3 – 24.
23) Raoul Vaneigem, "Banalità di base", ibid., pagg. 32 -42.                                                                            
24) Note editoriali (Bernstein, Debord, Kotànyi, Lausen, Strijbosch, Trocchi, Vaneigem), I.S., n. 8, Gennaio 1963, pagg. 3 -37.
25) Ibid, pag. 37
26) Redazionale, "Domenach contro l'alienazione", I.S., n. 10, Marzo 1966, pagg. 85 – 87.
27) Editoriale non firmato, "E ora l'I.S." (Debord, Bernstein, Martin, Strijbosch, Vaneigem), I.S. n. 9, Agosto 1964, pagg. 3-5.
28) Ibid., pag. 4.
29) Ibid., pag. 14.
30) Su Martin, "L'I.S. E gli incidenti di Randers", I.S., n. 10, Marzo 1966,  pagg. 22 – 26. Per quanto riguarda Felix Fénèon si veda Joan Ugersma Halperin, Felix Fénèon, Art et Anarchie Dans le Paris Fin de Siècle, n. R.F. Galimard, Paris, 1991 (ed. or. Ingl. Yale University Press, 1988).
31) Mustapha Khayaty, "Le parole prigioniere (Prefazione ad un dizionario situazionista)", I.S., n. 10, Marzo 1966,  pagg. 50 – 55.
32) Redazionale. "Dell'alienazione. Esame di diversi aspetti concreti", ibid, pagg. 56 – 87.
33) Raoul Vaneigem, Traité de savoir-vivre à l'usage des jeunes générations, Gallimard, Paris, 1967; Guy Debord, poiché aveva notato il ritardo con cui la Gallimard procedeva alla stampa del testo di Vaneigem decide di pubblicare La société du spectacle, con le meno note Edition Buchet- Chastel, Paris, 1967. Il successo incredibile del testo durante i mesi del '68 e l'esaurirsi delle copie portarono alla scelta del nuovo editore Champ-Libre con una nuova edizione nel 1971 e dopo altri undici anni, nel 1992, alla pubblicazione nella collana NRF di Gallimard.
34) Debord, Khayati, Martin, Nicholson-Smith, Vaneigem, Redazionale ( "l punto di esplosione dell'ideologia in Cina", "I nostri fini e i nostri metodi nello scandalo di Strasburgo"), I.S. n. 11, Ottobre 1967, pagg. 11 – 31. G. Debord, "La separazione compiuta", pagg. 43 – 49. Il testo termina nel #34 "Lo spettacolo è il capitale a un tal grado di accumulazione da divenire immagine".
35) G. Debord, "La questione dell'organizzazione per l'I.S.", I.S. n. 12, Settembre 1969, pagg. 116 – 118. Note per il dibattito sull'organizzazione che doveva tenersi nel mese di aprile 1968 e che poi saltò per il susseguirsi degli eventi non prevedibili che ne seguirono. Pubblicato con una postilla in cui, in forma di commiato, Debord si augura che il percorso indicativo della I.S. possa servire da esempio.
36) Dati riportati nel volume I.S. 1958 - 69, Op. Cit. , 1994, Annessi e Indice pag. 24. Vedi anche : AA/VV; La veritable scission dans l'Internationale. Circulaire publique de l'Internationale situazionniste, Champ Libre, Paris, 1972.