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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Prima edizione della Biennale di Arte, Design e Architettura

Daniela De Dominicis

Anche Vienna da quest’anno ha la sua Biennale di Arte, Design e Architettura. Una Biennale coraggiosa, piena di spunti di riflessione e di scommesse sul futuro.

Inaugurata l’11 giugno, si è protratta fino al 4 ottobre ospitata in diverse sedi museali ma con articolazioni molteplici e capillari che hanno coinvolto tutti i quartieri della città.

L’originalità della proposta rispetto alle altre 160 Biennali esistenti –il numero è fornito da Artfacts.net ma risale al 2011– consiste nell’offrire più che un focus sulla realtà in atto, una riflessione sui possibili scenari del futuro prossimo così come evidenziato fin dal titolo: Ideas for Change.

Il progetto della manifestazione è a più voci: Peter Weibel (direttore del ZKM, il centro per l’arte di Karlsruhe), Maria Lind (direttrice del Tensta Konst-hall di Stoccolma), Harald Gruendl (IDRV Institute of Design Research di Vienna), Thomas Geisler e Marlies Wirth (MAK di Vienna), Dietmar Steiner (direttore Az W di Vienna) nonché Pedro Gadanho (sezione di architettura contemporanea del MoMA di New York).

Cinque le sedi espositive. Le più importanti: il MAK e l’ Az W Architekturzentrum cui si aggiungono l’Univeristät für angewandte Kunst, la Kunsthalle e il Technologiezentrum

La parte del leone la giocano le riflessioni sull’urbanistica e sull’architettura: il concetto di città, così come si è venuta configurando nel mondo occidentale a partire dalla fine del ‘700, viene ripensato nel suo complesso ipotizzando ideali scenari futuri.

E’ al MAK, il museo di arti applicate, che si trova la più articolata e complessa delle mostre, 2051 - Smart Life in the City, a cura di Harald Gruendl e Thomas Geisler, che traccia nuovi stili di vita e di mentalità in relazione alle dieci funzioni basilari della vita associata così individuate: abitazioni, ospedali, scuole, strade, fabbriche, banche, verde urbano, stadi, alberghi, centri commerciali. L’orizzonte temporale per veder realizzate queste speculazioni ideali è ottenuto invertendo orwellianamente le cifre dell’anno in corso.

L’aspirazione è quella ad una città in cui l’ottimizzazione dei servizi e la loro qualità sia caratterizzata da scelte etiche, rispettose dell’ambiente e dei diritti. Questa città ideale, HYPOTOPIA, è presentata in mostra per frammenti tipologici: le dieci sezioni tematiche già citate sono illustrate da modellini, progetti, video-interviste, schemi riassuntivi. Ciascuna sezione è stata curata da un team, composto di competenze diverse –economisti, medici, architetti, sociologi, designer, ingegneri– che ha concretizzato le rispettive indagini in altrettante sperimentazioni prototipo già perfettamente funzionanti e disseminate, come si diceva all’inizio, in varie parti del territorio urbano. Così per visitare l’esempio di banca etica, basata sull’ economia reale e impegnata a finanziare esclusivamente progetti relativi a beni comuni, è necessario andare a Rechte Wienzeile 81, nella parte Sud Ovest di Vienna. Nella zona opposta, a Laufbergergasse 12 vicino al Prater, si trova invece il Magdas Hotel con le sue 78 stanze gestite da 31 rifugiati; un’impresa questa, che basa la propria linea imprenditoriale sul concetto di accoglienza e di solidarietà. Gli arredi sono di un ottimo design d’epoca, tutti riciclati, vi si parlano un’infinità di lingue, vi si trovano libri e le riviste provenienti da tutto il mondo. Ci si sente immediatamente a casa al Magdas Hotel, tutto è orientato al benessere di chi viene da lontano, attualmente in prima linea per far fronte all’integrazione dei massicci arrivi dal Medio Oriente.

Cinque sono invece le aree destinate ai mercati, ciascuna con la sperimentazione di un laboratorio urbano che prevede orti, punti vendita ma anche cucina e somministrazione. L’obiettivo è promuovere attività produttive locali e fare della preparazione dei cibi e del loro consumo un momento di forte coesione sociale. Le strutture effimere di questi orti-mercato sono state curate dai viennesi Fasch&Fuchs Architekten.

Un’alternativa alla globalizzazione e allo sfruttamento è rappresentata dalla fabbrica di scarpe a Kunstkanal, Ulrichgasse 1, del designer Stefanie Kerschbaumer che concilia l’alta tecnologia con le antiche tecniche di esecuzione manuale.

Sul fronte abitativo le case in Sonnwendviertel (architetti Klaus Kada, Bernd Vlay, Lina Streeruwitz) vengono proposte come prototipi di alloggi sociali. La superficie delle singole abitazioni non è separata da normali mura bensì da mobili con funzione di parete in modo tale che si possano di volta in volta ottenere ambienti in più o in meno, a seconda delle necessità contingenti. 

L’attenzione per la qualità delle case collettive vanta a Vienna un’antica tradizione che possiamo far risalire alle sperimentazioni di Adolf Loos alla fine dell’Ottocento (le case di Linke Wienzeile n.38 e 40). In tempi recenti il recupero a vocazione residenziale di aree industriali dismesse (la fabbrica di cavi la Kabelwerk, la ex fabbrica Sargfabrik oppure i quattro gasometri di Simmering) ha innescato la ricerca di modalità abitative innovative: gli alloggi monofamiliari sono affiancati da ampie zone di servizio comuni; i costi di gestione vengono garantiti da piccole attività produttive a cura dai singoli condomini –ristorante, sauna, piscina, etc – aperte a prezzi sociali al quartiere circostante. Ogni complesso diventa così una sorta di micro città autonoma e, per molti aspetti, autosufficiente.

Su questo fronte la Biennale nella persona di Dietmar Steiner, direttore dell’ Az W Architekturzentrum, ha promosso un concorso internazionale invitando sette studi di architettura (gli olandesi Atelier Kempe Thill Architects and Planners, gli sloveni Beyk Perović Arhitekti, gli italiani Cino Zucchi Architetti, i norvegesi Helen&Hard, i tedeschi Hild und K Architekten, i francesi Lacaton&Vassal Architectes e gli svizzeri von Ballmoos Krucker Architekten) alla progettazione di un isolato a finalità mista per il costruendo quartiere di Aspern. La richiesta era di soluzioni tecnicamente innovative ma formalmente ispirate alla tradizione architettonica viennese. Aspern è il quartiere modello ad Est della città, in cantiere dal 2013 con completamento previsto nel 2018: un’estensione di 240 ettari per 20mila persone residenti progettato con particolare attenzione alla sostenibilità, zero rifiuti perché utilizzati nella produzione energetica, bassi consumi, ampie zone verdi e coinvolgimento dei futuri abitanti nella fase progettuale per rispettarne le esigenze, promuoverne il senso di appartenenza, la socialità e il rispetto dei luoghi.

Raffinata e accurata l’esposizione, aspern INTERNATIONAL, che ha uniformato i sette progetti alle stesse modalità di presentazione in un riposante sfondo azzurro. Tre quelli ritenuti fin’ora più in linea con le richieste (Atelier Kempe Thill Architects and Planners, Helen&Hard e Hild und K Architekten). Alla scelta definitiva seguirà la fase di realizzazione.

Interamente realizzata  dal MoMA è invece la mostra Uneven GrowthTactical Urbanisms for Expanding Megacities curata da Pedro Gadanho, ospitata presso il MAK. Si tratta di una rassegna che riflette sui possibili sviluppi di sei grandi metropoli del mondo (Hong Kong, Istanbul, Lagos, Mumbai, New York, Rio de Janeiro) in previsione del 2030 quando 2/3 degli otto miliardi di abitanti del pianeta saranno concentrati in aree urbane. Ogni centro è stato studiato da un team di esperti che ha ipotizzato una soluzione alle criticità riscontrate.

Istanbul per esempio, che negli anni Sessanta è stata caratterizzata da una rapida urbanizzazione successiva al boom economico fatta di costruzioni abusive e incontrollate, cui è seguita un’ edilizia intensiva di case torri tutte uguali promosse dall’agenzia TOKI che non si è curata di alcuna infrastruttura. Questo modello è attualmente insostenibile a tutti i livelli, mobilità, inquinamento, disagio sociale. L’Atelier d’ architecture autogérée di Parigi ha pensato di intervenire non sulla città ma sullo stile di vita in uno sviluppo post-urbano denominato KITO. Un’ipotesi che agisce a diversi livelli di intervento e si basa prevalentemente sul coinvolgimento dei suoi abitanti per la rivitalizzazione dei quartieri e il loro recupero con un’interazione collettiva facilitata da un network che promuove economie alternative, servizi, scambi di conoscenza e di prodotti.

Altra città prototipo di insediamento privo di piani progettuali, con una crescita tanto veloce da non essere descritta appieno da nessuna mappa urbana, è Lagos in Nigeria. NLÉ e Zoohaus/Inteligencias Colectivas hanno basato la loro proposta di intervento sui corsi d’acqua che costituiscono il 30% della città. Una rete connettiva che possa tenere insieme un insediamento frammentario e contraddittorio: le antiche favela di Makoko e il sovradimensionato nonché ambizioso progetto di Eko Atlantic City.

Temi di grande attualità e sfide sempre più difficili dunque, tant'è che le piattaforme internazionali nelle quali ragionare delle soluzioni dell'abitare si moltiplicano: Chicago ha appena inaugurato la sua prima Biennale di architettura (4 ottobre 2015) mentre si attende con impazienza l'appuntamento veneziano, curato quest'anno da Alejandro Aravena, dal titolo che già contiene tutte le criticità dell'operare, Reporting from the front.