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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

La mostra sugli anni '70 a Roma al Palazzo delle Esposizioni

Patrizia Mania

Dalle immagini documentarie in bianco e nero alle opere a colori: così la mostra sugli anni settanta a Roma allestita al Palazzo delle Esposizioni per la cura di Daniela Lancioni consente di riscoprire le inquietudini di un decennio attraverso il ripristino di opere che nella memoria storica erano state per lo più affidate alla documentazione in bianco e nero e che anche negli episodi meno noti si riscoprono a colori. Un caso eloquente: l'Autoritratto su tela di Stefano Di Stasio esposto nello spazio autogestito de La Stanza nel 1977 e riproposto ora al Palazzo delle Esposizioni con la pittura su muro la cui immagine ricostruisce come fosse un arcobaleno la scala di colori che l'artista tiene in mano. Così, nella metafora del passaggio, dalla documentazione in bianco e nero dei cataloghi al colore di molte opere, può in parte leggersi una mostra che mi appare come uno degli apporti più efficaci nel rileggere quel momento controverso della storia e dell'arte italiana in una messa a fuoco puntata sulla realtà romana. Rispetto ad altri, e negli ultimi tempi numerosi, contributi tesi a ricomporre i diversi tasselli di questo faticoso decennio la mostra di Roma possiede il pregio di ricucire nella trama di un percorso plurale le diverse anime e i molteplici snodi di riflessione, restituendo i dibattiti e le ricerche in corso in un insieme non frammentario ma significativamente organico. Si può obiettare che alcuni concetti-chiave che titolano le sezioni delle mostra siano frutto di suggestioni e reti di relazioni non scontate ma conseguenti una modalità di combinazione associatoria suggerita alla curatrice dagli incontri con i protagonisti di quella stagione, in primis gli artisti poi i critici, i galleristi, i fotografi, ma si tratta di una modalità d'approccio evidentemente sedimentata su una conoscenza capillare e profondamente radicata che va accolta come l'ordito di un racconto testimoniale costruito lungo le mostre e le opere. In ciò, la sua più significativa valenza.

Il sestante scelto per orientarsi è quello -in quest'ottica da ritenersi invero non casuale- di un itinerario attraverso le mostre che, sia a livello istituzionale che negli spazi delle gallerie private, rappresentarono i laboratori delle istanze prodottesi e in corso di definizione. Una mostra sulle mostre, dunque, o meglio sulle opere in mostra in un momento in cui l'esposizione è concepita non esclusivamente come strumento di verifica dello status quo ma come mezzo e luogo di elaborazione dei linguaggi stessi e per tale ragione rivelatrice delle sperimentazioni in itinere. Una dimensione che si confà particolarmente ad un periodo di sconfinamenti dall'oggetto-quadro che vide proprio nelle occasioni espositive l'opportunità di esplicitarsi nella sua consistenza spesso "effimera".

Una simile impresa non poteva che riuscire ad una pioniera degli studi sull'arte di quegli anni come è Daniela Lancioni che ha saputo ripercorrere le complesse dinamiche che ne sono state i tratti peculiari privilegiando come si è detto la testimonianza diretta e l'opzione per quello che si potrebbe definire l'élan del momento.  

Una dozzina di concetti chiave introducono a questo percorso che si avvia con il richiamo a quattro mostre collettive tenutesi tra il 1970 e il 1975 a Roma: Vitalità del negativo nell'arte italiana 1960/70 (Palazzo delle Esposizioni, 1970), Fine dell'alchimia (galleria l'Attico, 1970), Contemporanea (parcheggio di Villa Borghese, 1973), Ghenos, Eros Thanatos.(galleria La Salita, 1975) mostre che anche nel titolo esemplificano quel nuovo incedere della critica verso la scrittura espositiva che, anticipata nel decennio precedente, come ben sottolinea Lara Conte nel suo saggio in catalogo, troverà in questi anni fattuale ed estesa possibilità di affermarsi, nello specifico della realtà romana innestandosi su un humus che si rivelerà particolarmente fertile. A scorrere sui nomi dei critici da Achille Bonito Oliva a Alberto Boatto a Filiberto Menna a Maurizio Calvesi si ha il polso della crucialità del decennio confermata dalla presenza di galleristi illuminati, è sufficiente pensare a Fabio Sargentini e a Gian Tomaso Liverani e anche alla nascita dell'associazione culturale degli Incontri Internazionali d'Arte.

Nel gioco di rimandi che la mostra costruisce con le opere in un tragitto transgenerazionale che vede accostate le nuove emergenze dell'arte a maestri storici come Burri, Capogrossi, ma anche De Chirico, si susseguono opere notevoli che, presenti in alcune mostre dell'epoca o atte a configurarne i contesti di riferimento, attestano di una energia vitalistica e polifonica.

Molti richiami evocano ulteriori nessi connettivi, più o meno esplicitamente sottesi, come scrive la curatrice "ogni opera è portatrice di un'insondabile complessità e gli argomenti di volta in volta selezionati per la trama del racconto, possono trasmigrare da una sala all'altra, da un lavoro all'altro" aggiungiamo, da una suggestione ad un'altra, da un riferimento all'altro, come la mirabile trasfigurazione dell'"alterità" nella sequenza fotografica de La condition humaine di Duane Michals collocata nella sala dell'"altro" che cita l'omonimo romanzo di André Malraux in cui compare una delle descrizioni più efficaci dello stordimento conseguente la presa di coscienza sulla alterità in primo luogo di sé stessi.

Scorrendo sulle opere in mostra si resta impigliati nella rete di interconnessioni allestita tra gli "argomenti" prescelti e le opere che le abitano. Dalla controinformazione portata avanti da artisti insospettabilmente coinvolti nella presa di coscienza politica come mostrano le Foto da un atlante di medicina legale di Giosetta Fioroni agli interrogativi politici che permeano molto parte della produzione artistica soprattutto quella gravitante intorno all'area movimentista dei collettivi d'artista come mostrano i lavori dell'Ufficio per l'immaginazione preventiva e di Videobase. La politica è ovunque, sia che si tratti di un'attenzione che le viene riservata circonstanziatamente e non solo, si guardi alle emblematiche fotografie di Tano D'Amico, sia, com'è il caso di Fabio Mauri, che si tratti di una scelta ineludibile; quel che si fa strada è, come sottolinea Lucilla Meloni in uno dei saggi contenuti nel catalogo, "l'idea di un'arte che comunque, per rivoli diversi, si interroga sul contesto in cui opera con la speranza di poter incidere sulla realtà". È forse questo il tratto peculiarmente identificante il decennio. Una prerogativa cui se ne affiancano però altre tra cui la processualità analitica del mettere in scena la memoria ingannevole del presente nelle opere di Jannis Kounellis, nelle drammatizzazioni di Vettor Pisani, nel Mettere al mondo il mondo di Alighiero Boetti o nello sperimentare le possibilità costruttive e decostruttive del linguaggio nelle complesse articolazioni di Luca Maria Patella o anche nel disincanto scientista di Sergio Lombardo che alla fine del decennio quando altrove soffierà il vento di un deciso cambiamento di rotta fonderà uno spazio e una rivista alternativi come Jartrakor. Nel frattempo, alcuni artisti percorrono recuperi di disegno, e anche di scultura, affiancandoli ai nuovi linguaggi praticati e dimostrandone la possibilità di convivenza oltre che, con il senno di poi, aprendo la strada alle tendenze che in generale caratterizzeranno il decennio successivo. Di tutto questo la mostra rende conto senza però fornire letture blindate in rigide categorie precostituite, fornendo piuttosto infiniti spunti per potenziali differenti ipotesi interpretative, cogliendo proprio in questo l'élan dell'arte esplorata.