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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

A proposito della mostra "Aisthesis-All'origine delle sensazioni"a Villa Panza a Varese

Anna D'Andrea

 

“L’amore per l’arte era tanto grande che ben presto ci siamo resi conto che non potevamo tenerlo solo per noi”, questa la mission o meglio il cuore di una delle più importanti collezioni private d’arte contemporanea nel mondo. E il senso delle grandezze incontenibili e incommensurabili animerà le scelte di Giovanna Magnifico e Giuseppe Panza attraverso mezzo secolo di passione condivisa. Una visione storicamente riconducibile all’espressionismo astratto, ma che per sua natura eccede, anzi esonda ogni vano tentativo di essere rinchiusa in qualsiasi tipo di cornice.

Lui è un gentiluomo d’altri tempi, meglio noto come il Conte Giuseppe Panza di Biumo, che racconta la sua storia agli studenti del corso di storia dell’arte contemporanea della Sapienza Università di Roma, siamo nei primi anni ’80 e a quei tempi la teoria dell’arte si avvia verso le debolezze del pensiero e la promozione commerciale market oriented. “Andavo a cercare gli artisti sconosciuti, compravo quello che mi piaceva, che mi dava delle emozioni”, non gli interessano quelli già ricchi e famosi, cui piace la vita comoda, che hanno diluito la vena creativa nel mestiere, cerca l’arte viva, quella che confonde e fa saltare gli schemi, che segue il dito per arrivare alla luna. Intorno ai trent’anni, oltreoceano per ragioni di lavoro, sente per la prima volta quella tensione vitale in un’opera di Franz Kline, è una forza che lascia il segno e che dopo "niente è più come prima", una sostanza stupefacente cui resterà dipendente per la vita. L’etica di famiglia impone che i piaceri della conoscenza e le attività di business restino distinti e quindi le opere acquisite in collezione trovano il loro spazio nella casa delle vacanze sulle colline di Biumo.

“Il silenzio è l’elemento che più mi si addice. D'altronde per riuscire a vedere è necessario aprirsi al silenzio e accettare di lasciarsi sorprendere. E’ senza dubbio nel silenzio che siamo più presenti”. Le parole dell’aristocratico collezionista colpiscono in modo indelebile la mia sensibilità di giovane studentessa e parto subito per visitare Villa Panza. Mi accompagna il figlio Giovanni, il papà è molto amareggiato per quei brani della collezione finiti all’estero a causa di impedimenti di natura burocratica non meglio specificati che non hanno consentito la donazione alle istituzioni italiane, laddove esistono ragioni per ritenere che il vero problema fossero le resistenze ideologiche presenti all’epoca verso l’arte made in USA, con l’ulteriore aggravante che le nuove acquisizioni andavano in direzione sempre meno espressionista e più astratta, diametralmente opposta al ritorno all’ordine della figurazione di quegli anni.

Il mio ricordo più vivido di quella visita è la delicata cortesia con la quale mi viene mostrata la collezione, il tempo rilassato atto a favorire la disposizione all’ascolto, l’elegante discrezione usata per lasciare a me l’emozione della scoperta e gli effetti postumi che oserei dire psiche/delici, nel significato etimologico di manifestazione degli stati interiori più reconditi, come all’uscita da quei labirinti in cui la vertigine di smarrirsi è l’unica condizione per ritrovarsi.

Ogni opera ha una stanza tutta per sé, direbbe Virginia, e ogni stanza è un mondo diverso da comprendere, da esplorare per immersione entrando fisicamente dentro le sue profondità, da esperire individualmente attraverso gli apparati di ricezione sensoriale in dotazione a ciascuno di noi, le attrezzature intellettuali meglio tenerle fuori, non solo non servono ma potrebbero interferire negativamente, interrompendo la simpatia emotiva con le opere. L’azzeramento degli artifici illusionistici di trompe-l'oeil ha rovesciato anche le antiche classificazioni di pittura, scultura e architettura: gli spessori si riducono a trasparenze e riflessi transitori, i soffitti si dissolvono in finestre sul cielo, i muri sfumano in diaframmi di luce conservando statuto di materia perché e=mc² e l’arte astratta si presenta nella nuda verità della propria concretezza, senza rappresentare nulla.

L’artista che scelgo e’ Robert Irwin, anagraficamente il più grande del gruppo dei californiani, è lui il primo a superare ogni residuo di pictorial situation per approdare agli structural cuts passando attraverso i desert experiments. La sua biografia si intitola “Seeing is forgetting the name of the thing one sees”, la riproduzione delle sue opere e’ vietata perché ogni trasferimento di informazioni implica una distorsione e ritiene che la fotografia sia mera contraffazione, un espediente commerciale estraneo al suo lavoro che “demading personal, sensual involment as the only accurate human comunication” (Irwin, 1968).

Sono tornata a Villa Panza per visitare la mostra AISTHESIS - All'origine delle sensazioni[1], curata da Michael Govan, Direttore del Los Angeles County Museum of Art e Anna Bernardini, Direttore di Villa Panza, che ha riportato Robert Irwin e James Turrel nella Villa Di Biumo, a quarant’anni dal loro primo soggiorno. Nella presentazione alla stampa Giovanna Magnifico racconta i ricordi del marito legati ai due artisti californiani: “Quando una persona impara a guardare il cielo, impara anche a guardare dentro di sé. Il grande insegnamento che ci hanno lasciato questi due artisti riguarda sì l’atto del guardare pensando, ma anche come guardare e sentire le percezioni. Con il loro lavoro, l’arte per noi non è stata più la stessa perché è come se ci avessero aperto gli occhi su come percepire e osservare la realtà e l’arte”.

Ho trovato una pattuglia di vigilanti in divisa pronti ad accogliere i visitatori per smistarli in percorsi obbligati a tempo predeterminato, un po’ Disneyland un po’ poliambulatorio, con particolare accanimento per la visita del Ganzfeld Sight Unseen, in italiano A scatola schiusa. Un Ganzfeld è letteralmente un campo percettivo totale, ossia una tecnica praticata negli anni ‘60 dei laboratori della NASA per studiare i processi percettivi e cognitivi che si verificano in stato di deprivazione sensoriale, quando l’attenzione non trova appigli, scivola e rimbalza su se stessa.

Ogni incanto svanisce mentre ci mettiamo in fila col coupon, sottoscriviamo i moduli obbligatori con l’elenco di pericoli e divieti e ci sottoponiamo all’esame di ammissione all’opera di James Turrell, uno spirito libero che a 16 anni prende il brevetto di pilota di elicotteri per non rimanere intrappolato nel traffico delle freeway di Los Angeles e talmente insofferente alle costrizioni da scegliere come studio il cratere di un vulcano spento in Arizona, col sostegno economico non irrilevante proprio di Giuseppe Panza.

Nelle conversazioni raccolte da Philippe Ungar tra il 2007 e il 2009, alla domanda: “Per tutta la vita non ho fatto altro che…” Risponde: “…cercare la bellezza, in sua presenza ho la sensazione che la mia vita sia immersa nell’infinito. La Collezione mi dà la sensazione di appartenere all’armonia profonda dell’universo, senza che ne sappia il motivo. Non mi dà delle risposte, mi regala un orizzonte”. Perchè come dice il poeta: “if the doors of perception were cleansed, everything would appear to man as it is, infinite” (Blake, Huxley, The Doors).

I vigilanti non ci hanno dissuaso, l’avventura continua con la visita alla mostra GIUSEPPE PANZA DI BIUMO: Dialoghi americani, curata da Gabriella Belli ed Elisabetta Barisoni alla Galleria Internazionale d’Arte Moderna Ca’ Pesaro di Venezia[2].

 

 

[1]AISTHESIS - All'origine delle sensazioni. Robert irwin e James Turrelle a Villa Panza[1], mostra a cura di Anna Bernardini e Michael Govan, organizzata dal FAI - Fondo Ambiente Italiano con il Los Angeles County Museum of Art (LACMA), Villa  e collezione Panza, Varese, 27-11-2013/ 02-11-2014.

[2]GIUSEPPE PANZA DI BIUMO: Dialoghi americani, curata da Gabriella Belli ed Elisabetta Barisoni alla Galleria Internazionale d’Arte Moderna Ca’ Pesaro di Venezia, 02-02-2014/04-05-2014.