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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

L’opera di Zineb Sedira al Padiglione della Francia

Lucilla MeloniIcoPDFdownload

Il titolo della mostra di Zineb Sedira: Les rêves n’ont pas de titre, presentata al Padiglione francese e curata da Yasmina Reggad, Sam Bardaouil e Till Fellrath, apre su uno scenario immaginifico, peculiare dei sogni, capace pertanto di sottrarsi al ristretto perimetro della nominazione.
In realtà si tratta di un lavoro strutturato su tematiche chiaramente politiche, che l’artista sviluppa, da sempre, in maniera mai didascalica o retorica.
Per Sedira, nata in Francia da genitori algerini e residente in Gran Bretagna, il personale è politico perché, come afferma: “ogni opera è politica”. L’attenzione alle questioni della colonizzazione e del post-colonialismo, della discriminazione razziale, della immigrazione passata e presente proveniente da più parti del mondo e l’assunzione metodologica della ricerca d’archivio e della documentazione sul campo, informano il suo procedimento.
L’argomento identitario, motivo ricorrente in molti altri Padiglioni nazionali, nonché nell’esposizione al Padiglione centrale Il latte dei sogni, è il motore della sua installazione multimediale presentata in questa occasione. Infatti la storia dell’Algeria, che solo nel 1962 dopo la guerra di liberazione contro la Francia ha conquistato la sua indipendenza, è il centro concettuale da cui si dipana la narrazione.
In un gioco di rimandi, Sedira conduce il visitatore in un mondo fatto di convivenze tra reale e fittizio, come accade nel cinema, tra racconti di memorie individuali e collettive, tra differenti culture e lingue nazionali, tra cinema letteratura e musica, tra frammenti di pellicole degli anni Sessanta e Settanta del Novecento e loro rielaborazione.
Chi entra nel Padiglione si trova immerso in una sorta di metalinguaggio cinematografico e nel percorso, via via, incontra una serie di set: una stanza arredata con gusto degli anni Cinquanta -Sessanta con mobili, tappeti, libreria, giradischi e vinili, quadri alle pareti, divani e poltrone su cui potersi accomodare, mentre in un altro spazio una maquette documenta il processo di sviluppo del progetto; si imbatte in  un locale con bancone, tavoli  e sedie  con la pista da ballo su cui danzeranno un tango due ballerini (evidente omaggio a Ballando Ballando di Ettore Scola), in vari oggetti di scena, in un vano per i costumi e in  un altro per gli strumenti musicali;  si trova di fronte a una bara,  a una stanza di registrazione con la raccolta dei rulli.
Alla fine del tragitto il visitatore giunge in una sala di proiezione, spettatore di un film che è anche una sorta di summa di quello che ha visto, dove una voce narrante fuori campo racconta in francese e inglese la storia personale e familiare dell’artista.
Il film, dalla struttura narrativa non lineare, procede attraverso un racconto in cui si susseguono scene di remake di pellicole che hanno trattato la lotta di liberazione dell’Algeria e fotogrammi del suo “making of”, in un continuo slittamento di piani e di spazi temporali, dove la musica, la canzone e il ballo diventano attori principali.  
Il montaggio sapiente incolla lo spettatore allo schermo, gli innesti testuali che si interpongono tra le scene generano un puzzle di emozioni diverse.
Per la composizione del film l’autrice ha svolto un’indagine negli archivi cinematografici italiani alla ricerca di coproduzioni italiane francesi algerine e ha riportato alla luce il lavoro del regista Ennio Lorenzini Le mani libere (o tronco di fico) del 1964-1965, dimenticato e considerato una pietra miliare tra le pellicole militanti di quegli anni; ma si è ispirata anche a film famosissimi prodotti dai tre Paesi, quali Lo straniero di Luchino Visconti (1967), film franco-italiano girato in Algeria, La Battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo (1966), coproduzione italiana e algerina, Ballando Ballando di Ettore Scola (1983), produzione franco-italo-algerino. In quest’ultimo film, privato dei dialoghi, Scola aveva inscenato, attraverso cinquant’anni di canzoni scritte tra il 1936 e il 1983, la storia politica e sociale della Francia attraverso quella individuale dei protagonisti, che nel tempo, di generazione in generazione, si incontrano in un locale per “ballare e ballare”, unica possibilità di resistenza alla durezza della vita e tentativo di raggiungere momenti di felicità.
Il film di Zineb Sedira, che si era aperto sulla questione nodale dell’autenticità, ovvero della veridicità di chi scrive la storia e per chi questa viene scritta (come aveva fatto Orson Welles in F come falso (1973)), si chiude su una scena di ballo e invita infatti al ballo come forma di resistenza, come luogo del sogno, individuale ma anche collettivo, impossibile da racchiudere entro un titolo.
Omaggio al cinema, come testimonia la scelta di allestire una vera sala cinematografica, l’opera si inserisce nella lunga storia che ha segnato il rapporto tra arte visiva e settima arte a partire dal Novecento, nel tentativo di restituire senso alle immagini attraverso il mixage e la voce fuori campo di debordiana memoria. Sedira ci ha offerto un lavoro, a cui la Giuria ha tributato una menzione speciale, dove la complessità - di temi, di immagini, di parole -  appare nella sua potenza, capace di sedurci.

Aprile 2022