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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Riflessioni in itinere su Costellazione ’80 a Napoli e oltre

Brunella Velardi

Forse che tutta una parte,
e la più affascinante, del nostro lavoro di storici
non consiste proprio nello sforzo continuo
di far parlare le cose mute, di far dir loro ciò
che da sole non dicono sugli uomini,
sulle società che le hanno prodotte…?

Lucien Febvre, Vers une autre histoire, 1949[1]

 

Napoli, 1980. Museo di Capodimonte, 7 Marzo. Con i ringraziamenti all’artista giunge dal Ministero per i Beni Culturali e Ambientali il decreto di acquisizione del Grande Cretto Nero che Alberto Burri aveva donato l’anno prima, germe di quella che sarebbe diventata la prima sezione in Italia di arte contemporanea in un museo d’arte antica.

Galleria Lucio Amelio, 1° Aprile. Viene presentata la mostra Beuys by Warhol con i ritratti che il guru della Pop art fece dello Sciamano, opere che suggellano l’incontro a Napoli tra i due grandi artisti di cui resta oggi un bellissimo filmato trasmesso dalla Rai[2] .

23 Novembre. Il terremoto da tragica potenza devastatrice si trasforma in impulso creativo e “ricostruttivo” con l’avvio del progetto di Amelio per Terrae Motus.

Mentre infaticabile prosegue l’attività delle gallerie, iniziano qui le vicende delle prime due grandi collezioni pubbliche d’arte contemporanea della città, suggerendo fatidicamente una data di inizio per una mostra e per un primo passo nella ricognizione documentale sull’arte a Napoli negli ultimi decenni.

Lo scenario artistico degli anni ’80 si dispiega in queste fredde settimane d’inverno a Napoli, città che ne fu ambientazione di importanza cruciale e che oggi celebra il suo recente passato con tre mostre in contemporanea. L’operazione, dislocata in più sedi, porta il nome di Costellazione ’80[3] , come il filo rosso che le connette idealmente e concretamente: un archivio digitale consultabile attraverso touchscreen situati in ogni luogo della costellazione, modello e prima tappa di un processo che è in fieri e tale potrebbe rimanere, nell’ottica auspicabile di un ampliamento e di un continuo aggiornamento. Da un lato le mostre, dunque, dall’altro una rete virtuale[4], i cui reciproci confini spesso si confondono fino a diventare le une estensione dell’altra e viceversa.

L’idea di un archivio sull’arte a Napoli negli ultimi decenni raccoglie le redini di una esperienza precedente: la proposta – siamo alla fine degli anni ’80 – di Anna Caputi di una raccolta documentale sulle vicende artistiche dal dopoguerra. Presentata alla mostra Fuori dall’Ombra. Nuove tendenze nelle arti a Napoli dal ’45 al ’65[5] , non ebbe poi seguito, ma rinasce oggi a partire da alcune ricerche sulla collezione d’Arte contemporanea del Museo di Capodimonte e inserendosi nel più ampio progetto di Rete del contemporaneo divenendone una prima, embrionale messa in pratica[6]. Ha poi trovato la sua forma preliminare proprio in occasione di questa “mostra diffusa” e in particolare nell’ambito di Rewind. Arte a Napoli 1980-1990 aCastel Sant’Elmo.

La scelta delle opere qui esposte si è basata su un principio fondamentale: presentare ciò che a Napoli era stato prodotto o proposto dalle maggiori gallerie in quegli anni, purché nella città fosse rimasto fino ad ora, per aprire uno spaccato sulle persistenze nel territorio delle esperienze artistiche degli anni Ottanta. Un criterio per certi versi anomalo, rispetto alle più frequenti linee tematiche delle mostre, ma che potremmo definire estremamente trasparente nel mettere a nudo relazioni e disomogeneità, sperimentazioni linguistiche sulla linea del decennio precedente e nostalgici ritorni minimalisti e figurativi.

In un incedere tanto dinamico e differenziato, il touchscreen, se non impensabile quantomeno futuristico per quell’epoca, si inserisce all’interno del percorso espositivo quasi confondendosi tra la variegata messe delle opere esposte, visivamente quanto concettualmente. Se infatti ogni opera è esposta, oltre che come espressione di un sentire individuale o corale, in quanto testimonianza della cultura artistica di un periodo circoscritto, allora è lecito parlarne in termini di documento.

Lo spirito con cui l’archivio virtuale si colloca all’interno della mostra è dunque quello di un ampliamento e arricchimento del racconto di un decennio dipanato dalle mostre della Costellazione. Un documento tra e sui documenti, tutti elementi imprescindibili di un intenso lavoro che ha avuto nella ricca messe di mostre, eventi, costituzione di collezioni il suo esito più manifesto e per molti versi esemplare. Se d’altronde l’intento è quello di ripercorrere le tappe di un periodo in cui la città fu reale scenario di alcuni tra gli accadimenti più significativi della cultura artistica internazionale, sono anche i carteggi e le comunicazioni d’ufficio a restituirne un’immagine tra le più vivide. Tasselli, quindi, schierati a concorrere in pari misura alla restituzione di un panorama più ampio perché osservato da più prospettive.

Ogni oggetto prodotto è il culmine di un processo: lo si può dire di un utensile, di un romanzo, così come di una mostra o di una collezione d’arte. Al fruitore, al lettore, al visitatore viene presentata la versione finale, un po’ come la bella copia di un tema, ripulita da ogni ripensamento, da ogni errore, da ogni sbavatura nella grafia. Nella storia dell’arte il primo a rompere consapevolmente e volutamente questa consuetudine è stato Auguste Rodin con i suoi volumi grezzi, irregolari, incompiuti, lasciandoci assistere al procedimento della fusione in bronzo, alla consistenza del marmo, alla scelta nelle rifiniture. Ciò facendo Rodin ha arricchito e irrorato di nuova linfa il discorso sulla scultura, poiché ne ha messo in luce aspetti prima nascosti. Rivelare il “dietro le quinte” di un processo produttivo ha, nel nostro caso, lo stesso significato. Non l’esibizione della carta d’archivio come mera ‘curiosità’ (sebbene anche la più semplice curiosità sia spia di un’intravista possibilità di scoprire qualcosa di inesplorato), ma in quanto ulteriore prospettiva appunto, per la ricostruzione di un contesto, di un discorso, di un oggetto. Guardati in quest’ottica infatti, i documenti assumono a loro volta valore di testimonianza al pari delle opere stesse, instaurandovi un dialogo prolifico e incessante all’interno dell’allestimento, reale o virtuale che sia, che richiama in causa più o meno indirettamente, e talvolta riporta a nuova vita avvenimenti, dettagli, passaggi che con il passare del tempo erano andati perduti o erano stati accantonati. Ci riferiamo ad esempio al caso della sezione di Arte contemporanea di Capodimonte, costituitasi in seguito alle mostre che si tennero a partire da quella storica di Alberto Burri nel 1978, alla cui chiusura gli artisti hanno donato opere esposte o in qualche caso realizzate in situ, alcune delle quali, risistemate nel 1996 dopo i lavori di ristrutturazione del museo, hanno subito trasformazioni a volte parziali, altre volte radicali, fino alla realizzazione di un nuovo lavoro, come Indizi di Daniel Buren, i walldrawings di Sol LeWitt, Modus Operandi di Joseph Kosuth. La loro musealizzazione ha comportato cambiamenti che, evidentemente, solo la ricerca e l’archivio possono documentare. Si è scelto quindi di ripercorrere le tappe intermedie di quei processi di trasformazione mostrando al visitatore fotografie, lettere, inviti che, almeno in parte, spiegano i mutamenti intervenuti nel corso dei decenni successivi. Nella stessa ottica divengono di fondamentale importanza quei documenti relativi a lavori che pur essendo stati cruciali nello svolgersi di quelle vicende, hanno poi avuto sorti differenti e oggi non sono parte della collezione permanente di Capodimonte: Palazzo Regale di Joseph Beuys, Senza titolo di Gino De Dominicis, Signore e Signori… di Giulio Paolini.

Giocando il ruolo di retroscena, cui attingere per la costruzione/interpretazione di storie, per la comprensione dei fatti passati e i possibili sviluppi futuri e il cui spettacolo sono le opere esposte, l’archivio è al contempo esso stesso scena di cui la mostra costituisce il risvolto. Tuttavia, in assenza dell'opera, l’archivio diviene protagonista e unico attore. Così al prezioso filmato in cui Beuys, ripreso nel Salone dei Camuccini, afferma che jeder mensch ein König ist, ogni uomo è un re e come tale è celebrato nel suo Palazzo Regale, si affiancano le corrispondenze dell’allora Soprintendente Nicola Spinosa con Lucio Amelio sull’allestimento e lo smantellamento dell’installazione e con gli eredi dell’artista sulla lunga (e dolorosa) trattativa che si concluderà con il definitivo trasferimento dell’opera a Düsseldorf; così come una cospicua cartella chiarisce i termini delle accese polemiche con le eredi di De Dominicis che riusciranno a ottenere la restituzione dello Scheletrone, la cui donazione da parte del maestro a Capodimonte pure era stata sancita da un atto notarile.

Questa ripresa di tracce non più visibili nel museo e apparentemente marginali non si esaurisce quindi nella loro esposizione fine a se stessa, ma tradisce il bisogno di recuperarne il senso più fertile, come energia riemessa da segnali di kubleriana memoria. Lungi dall’essere qualche sorta di voyeurismo, la necessità di ‘svelare i retroscena’, o meglio di trovare nuovi punti d’osservazione, ha strettamente a che fare con il nostro modo di interagire con il mondo attuale, ed è l’abbondanza di tecnologie e neologismi preceduti da “multi”, “poli”, “inter” a dimostrare quel desiderio sempre più esplicito di essere qui e altrove, di guardare il dritto e il rovescio di ogni medaglia, ma anche di manipolare l’oggetto, possederlo, risemantizzarlo e riutilizzarlo a nostro piacimento. In altre parole, il dinamismo della società contemporanea, la simultaneità e molteplicità delle esperienze quotidiane, lo stesso emergere di una filosofia della complessità sono sostanzialmente aspetti di un medesimo orientamento di ricerca, ed entro questa temperie si inserisce anche l’esigenza di ampliare il campo visivo sull’oggetto in questione – nel nostro caso le vicende artistiche di un decennio – attraverso strumenti di natura diversa. Proprio l’immaterialità dell’entità virtuale, infatti, le permette una versatilità che è sempre stata carattere del tutto antitetico all’”oggetto” archivio, nei fatti come nell’immaginario comune. Non è allora utopico immaginare un luogo che da “buio e polveroso” diviene interattivo, alla portata di tutti, addirittura attrattivo anche per i non addetti ai lavori[7] .

Che si consideri la documentazione come traccia di eventi irripetibili, come fonte per la loro riproposizione[8] , o come chiave fondamentale di interpretazione, le ragioni della scelta di inserire materiale documentale in mostra sono intimamente connesse con le due funzioni che all’archivio sono state attribuite fin dal principio, vale a dire quelle di ricognizione storica e di strumento conservativo, nella convinzione che solo la ricostruzione di un quadro quanto più fedele e globale possibile permette una consapevole lettura dell’opera e di conseguenza la sua rilettura in ambito museografico, imprescindibile punto di partenza e di arrivo di ogni riflessione sull’arte di oggi.


[1]Cit. in J. LeGoff, Documento/monumento, in Enciclopedia Einaudi, Vol. V, p. 41.

[2]Il filmato è pubblicato sul sito web della Rai al link: http://www.arte.rai.it/articoli/andy-warhol-una-giornata-come-tante/13640/default.aspx, pagina consultata il 9 gennaio 2015 alle 12.00.

[3] Castel Sant’Elmo ospita Rewind. Arte a Napoli 1980-1990 (19 dicembre 2014 – 8 febbraio 2015), Villa Pignatelli Blow Up. Fotografia a Napoli 1980-1990 (20 dicembre 2014 – 8 febbraio 2015), l’Accademia di Belle Arti di Napoli inaugurerà prossimamente una retrospettiva sull’attività degli anni ’80. Alla Reggia di Caserta e a Capodimonte le collezioni Terrae Motus e Arte Contemporanea rappresentano due tra le testimonianze più significative in Italia sulla cultura artistica di quel decennio; il Museo Madre ospita, in occasione della mostra Lucio Amelio. Dalla Modern Art Agency alla genesi di Terrae Motus, due opere provenienti da Caserta.

[4]Il software, elaborato contestualmente alla realizzazione della mostra da Gabriella Pennasilico, ha lo scopo di raccogliere informazioni e documenti relativi alle opere esposte e allo stesso tempo costituisce un punto di partenza sulla base del quale procedere in fasi successive alla ricerca e all’ampliamento. Il visitatore può scegliere come muoversi all’interno del sito seguendo determinati “canali”: luoghi, gallerie, collezioni permanenti, cronologia. L’intento è quello di dare la maggior libertà possibile nell’accesso ai dati a seconda delle informazioni che si posseggono o di quelle che si stanno cercando.

[5]Vd. M. T. Penta, Attività delle istituzioni, in A.A. V.V., Fuori dall’Ombra. Nuove tendenze nelle arti a Napoli dal ’45 al ’65, catalogo della mostra tenuta a Napoli, Castel Sant’Elmo 9 novembre 1991 – 19 gennaio 1992, Elio de Rosa, 1991, p. 102 e ibid., R. De Caro, Per la costituzione di un archivio informatizzato sull’arte napoletana dall’ultimo dopoguerra ad oggi. Un’idea di Anna Caputi, pp. 127 – 131. Il software realizzato in quell’occasione prevedeva la possibilità per il visitatore di effettuare ricerche a partire dal nome dell’artista, dalla mostra a cui aveva partecipato o dalla testata che l’aveva recensita.

[6]La Rete del contemporaneo, avviata dal 2012 a cura di Maria Grazia Bellisario e Angela Tecce nell’ambito del Piano Arte Contemporanea della Direzione Generale per il Paesaggio, le Belle Arti, l’Architettura e l’Arte contemporanee, si propone di avviare una interconnessione tra i luoghi dell’arte contemporanea a partire dalle regioni del Sud Italia per poi estendersi a tutto il territorio nazionale, così da favorire la conoscenza e la valorizzazione di tale patrimonio. Cfr. I Luoghi del contemporaneo, a cura di M. G. Bellisario e A. Tecce, Gangemi, 2012 e A. Tecce, Una Rete per il Sud in Economia della cultura, Anno XXIV, 2014, n. 1.

[7]Ci piace qui ricordare la proposta di Oreste Ferrari, che nella seconda metà degli anni ’70 auspicava la realizzazione di Centri di documentazione a dimensione regionale che, oltre a coinvolgere istituzioni educative, Università e componenti sociali, avrebbero dovuto superare la funzione di semplici depositari di archivi e cataloghi per adempiere a una funzione civile e collettiva, interpretando ed esaudendo le richieste dei potenziali fruitori (Cfr. O Ferrari, Catalogo e centro di documentazione come servizio pubblico; L’Istituto Centrale per il Catalogo e le Regioni; I centri di documentazione come forma di cogestione del Catalogo dei beni culturali, in id., Catalogo documentazione e tutela dei beni culturali. Scritti scelti (1966-1992), a cura di Claudio Gamba, Iacobelli, 2007).

[8]Cfr. F. Valentini, Prevenzione del’arte contemporanea: l’archivio in atto in Arte e memoria dell’arte, a cura di M. I. Catalano e P. Mania, Gli Ori, 2011.