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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

L’installazione immersiva di Gerhard Richter alla Gagosian di Roma

Patrizia Mania
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"Non credo nell'immagine assoluta. Possono esserci solo approssimazioni, esperimenti e inizi, ancora e ancora" (1). Queste parole di Gerhard Richter introducono efficacemente alla sua poetica consentendo un’immediata comprensione di un’ arte che da ormai sei decenni lo impegna nella produzione di immagini. Al centro della sua indagine è infatti l’essenza di un’immagine plurale mai data una volta per tutte ma in continuo divenire. Ed è attraverso la pittura, la fotografia, la scultura, la riproduzione digitale che ne ha incessantemente indagato il costituirsi e il trasformarsi.
L’immensa installazione Moving Picture (946-3) Kyoto Version (2019-2024) di Gerhard Richter, ospitata per la prima volta in una galleria (2), rende peraltro merito a Gagosian oltre che per la presentazione del lavoro in sé, perché conferma la qualità del sistematico lavoro sull’arte che la galleria porta avanti da ormai quasi un ventennio anche a Roma.
Tutta la ricerca di Richter può dirsi imperniata sull’esplorazione delle implicazioni materiali, concettuali e storiche della pittura che consequenzialmente lo hanno spinto a considerare la fotografia, la scultura, la riproduzione digitale. Ciò che in ogni caso e in primis ha a cuore è l’immagine pittorica, vera matrice di un flusso inesauribile di altre immagini che in molteplici accezioni lo ha spinto a colloquiare anche con le trasformazioni indotte dai tempi traghettandola, come è questo il caso, nel digitale. Delle sue immagini, mai una ma tante, mai fissate una volta per tutte ma geneticamente predisposte a trasformarsi, mai statiche ma sempre in movimento, per i modi e i tempi in cui si generano, si è detto, e quest’opera lo conferma, che sono portatrici di vita organica. Legate le une alle altre, si offrono con grande forza nel continuum di una catena temporale esistenziale. Ed è in questa complessiva visione che trova appunto posto Moving Picture (946-3) Kyoto Version in cui, anche qui, muove come primo incipit dalla pittura.
Il punto di partenza di questa imponente opera si situa nel progetto Strip le cui prime prove risalgono al 2010/2011 e consistono nella realizzazione di una serie di stampe digitali su carta in cui strisce giustapposte di colore occupano l’intera superficie del supporto quasi tassonomizzandone le variabili. Sia nelle Strip Paintings (2011-2016) che nei libri, stampe, arazzi, oltre che nelle sculture - come la Strip Tower (2023) attualmente esposta alla Serpentine Gallery di Londra - che ne sono derivati, ad attivare la sequenza è l’immagine fotografica di una tela via via progressivamente frammentata in porzioni sempre più piccole. Questa immersione in una micro cellula mutante dalle infinite possibilità si è conformata innanzitutto in composizioni caratterizzate da innumerevoli sottili bande orizzontali di diversi colori per poi confluire in figurazioni astratto ornamentali. Osservandole ci si rende tra l’altro conto di come sarebbe pressoché impossibile riprodurle a mano, il che in sé ne giustifica il ricorso alle prerogative del digitale decantando una nuova specifica qualità della pittura stessa che resta in ogni caso, è bene ribadirlo, la motivazione prima e l’approdo ultimo.
Significativamente, Gerhard Richter: Painting After All era il titolo di una mostra per la cura di Sheena Wagstaff e Benjamin Buchloch programmata per la primavera del 2020 presso l’allora Met Breuer di New York. La mostra fu vittima di quello che da noi venne chiamato lockdown e le opere restarono lì chiuse nel vuoto degli spazi a dialogare con loro stesse, tuttavia la fruizione on line che fu attivata non solo rappresentò uno di quei virtuosi casi di musei chiusi adoperatisi per restare aperti nell’unico modo possibile in quel momento, ma consentì anche di cogliere una sottesa vocazione a quella modalità che sebbene sempre limitata dalla bassa risoluzione delle immagini imposta dal web ne favorì un avvicinamento. Ma il punto asserito dal titolo di quella mostra e a cui ci si richiama ne sottolinea appunto e soprattutto l’inalienabile focus sulla pittura. Malgrado le traduzioni, gli slittamenti, gli sconfinamenti, l’impiego della digitalizzazione, la matrice originaria e il fine ultimo sembrerebbe restare comunque la pittura. Scomposta, fotografata, frammentata, digitalizzata è il noumeno irrinunciabile che l’artista ha deciso di setacciare in tutte le sue possibili forme in virtù di quel relativismo dell’immagine che lo ha spinto a perseguirne le trasformazioni e a farne materia esistenziale e visualizzazione di vita organica.
Tornando a Moving Picture (946-3) Kyoto Version, dura poco più di mezz’ora quello che di fatto è un film digitale proiettato su un grande schermo di 7 metri di larghezza. La sequenza di immagini, per la cui messa a punto Richter si è avvalso della collaborazione di Corinna Belz, complice anche la musica composta da Rebecca Saunders, immerge dentro un caleidoscopio in cui, quasi come fosse un frattale, ciascuna di essa si divide, si duplica, si riflette specularmente per suggestivamente conformare motivi astratto decorativi ispirati agli ornamenti orientali ma anche improvvisamente per dar vita a meravigliose o al contrario mostruose creature che si aprono e dilatano nello spazio per poi farsene inghiottire lasciando perennemente trionfare l’idea di un’astrazione molecolare nelle sue infinite possibilità. Una sorta di partenogenesi in continuo divenire.
Quasi stelle cadenti di una costellazione mutante, penetrano e restituiscono l’universo visivo nascosto nelle microscopiche celle delle immagini. Radicate in quella realtà pittorica cui l’artista mostra di non voler mai rinunciare, si configurano dunque come il suo sestante che oltre a innervare tutta la sua ricerca viene riproposto anche in questo straordinario viaggio, non foss’altro perché è proprio da fotografie di pitture che ha preso le mosse.
Di fronte a questa parete digitale che scompone e ricompone di continuo gli infinitesimali noumeni delle immagini, l’artista ci racconta dunque di un universo che si genera al e dal loro interno. Le molteplici suggestioni che ne derivano - partiture ornamentali, eccitazioni cromatiche, esplosioni di forme, giardini in perenne trasformazione - scorrono in un flusso apparentemente senza fine descrivendo un palinsesto di segni incontenibile e irrefrenabile. Sono lo spazio e il tempo della memoria e del presente a costituirne le coordinate.
Qualche anno fa, Richter si era già cimentato in analoghe sperimentazioni in cui combinava immagine e suono e che avevano preso forma nelle installazioni temporanee del Manchester International Festival at the Whitworth (nel 2015, con Arvo Pärt) e del The Shed di New York (nel 2019, sempre con Arvo Pärt e Steve Reich).  In entrambe esplorava le profondità di un linguaggio condiviso tra pittura e musica e l’incidenza del loro impatto sull’esperienza sensoriale. Da questo punto di vista, Moving Picture (946-3) Kyoto Version aggiunge a questi precedenti un’ulteriore energia di resa quasi ipnotica.
E se nulla è fermo, tutto è un flusso, in questo perenne dinamico divenire, Richter in fondo sembrerebbe volerci dire che anch’essa, la pittura, come forse Galileo disse della Terra, vive. …e pur si muove… infatti, ancora e ancora con incessanti approssimazioni, esperimenti, inizi.

Gennaio 2025

1) “Conversation with Jan-Thorn Prikker concerning the 18 October 1977 cycle, 1989” in, Richter, Gerhard, Dietmar Elger, and Hans Ulrich Obrist, Writings, Interviews and Letters: 1961–2007, London: Thames and Hudson, 2009, p. 235.
2) Gerhard Richter. Moving Picture (946-3) Kyoto Version. Gagosian, Roma, 6 dicembre 2024 – 1° febbraio 2025.