Dallo spazio euclideo allo spazio topologico
Michele Espinoza
Mettere al centro lo spazio
In questo articolo consideriamo come lo spatial thinking si sia configurato come via privilegiata di lettura e analisi del nostro agire e delle realtà che abitano il Globo. Assumendo le nuove prospettive che il punto di vista della dimensione spaziale offrono - e sono una novità rispetto il retaggio analitico tradizionale che interpreta la storia comunitaria e l’esperienza individuale cucendola tipicamente sul fattore tempo - , possiamo aprire lo sguardo a scenari inediti. Possiamo cioè cogliere più efficacemente i fenomeni tipici del nostro contemporaneo. La mondializzazione ha infatti profondamente ribaltato le geografie umane e le sfide che essa ci pone devono essere considerate nel proprio campo di gioco: le nuove forme di spazializzazione della società e dell’abitare questo nostro mondo divenuto globo. Eppure, sembra essere irrappresentabile attraverso qualsiasi mappa e sistema di localizzazione. Nonostante sia Globo, il mondo sembra essere finito e illimitato insieme; superconnesso e irrimediabilmente scisso. La necessità di mettere al centro la questione spaziale ci permette di ripensare anche i paradossi dell’esperienza del nostro tempo e si è imposto, a ben guardare, come la condizione di possibilità del nostro agire, fattore costitutivo dell’esperienza del concreto stare-nel-mondo. Da ogni angolazione, d’altro canto, il mondo ci appare oggi come terribilmente saturo. La natura del territorio è evidentemente mutata. La nuova fisionomia della nostra vecchia Terra è lo scompaginamento dei parametri con cui configuravamo i suoi paesaggi: le coordinate spaziali si realizzano ora in una trama di connessioni fitte e dalla inedita densità che si sviluppano a diversi livelli moltiplicati anche dal pluriverso digitale. Gli spazi e i luoghi specifici non sono più solamente punti in cui vengono prese decisioni che poi hanno effetti e che, di rimando, li subiscono. Essi vengono piuttosto ad assumere, nel nostro presente, una recuperata valenza simbolica in cui si verificano i “giochi di reciprocità”, tra effetti secondari e insieme istanze preterintenzionali dell’agire tanto collettivo quanto individuale. “Quanto più la pervasività del contemporaneo è forte, tanto più la nostra coscienza del reale si spazializza, tanto meno si inscrive nel tempo”(1) - tuona Lionel Ruffel. Per affrontare questo difficile tornante e tentare una interpretazione più efficace del mondo che viviamo cercheremo una lettura del concetto di spazi che assume su di sé elementi “alieni”, al fine di contaminare le aspettative dei singoli confini disciplinari. Per dare profondità simbolica al concetto di spazio, sperimenteremo inoltre alcuni sconfinamenti anche nella configurazione “spaziale” della psiche , al fine di una coscienza “spazializzata” tanto al-di-là (il mondo) quanto al-di-qua di noi (il nostro Io). La sfida è cogliere quella dinamica flessibile della rete di relazioni interattive che prende forma, all’interno del “dominio globale”, in dinamiche di aggregazione e disgregazione, di attrazione e di esclusione. L’intenzione è una apertura alle qualità topologiche che contraddistinguono ogni spazio. Le voci chiamate in causa sono quelle che considerano le nuove consapevolezze di questo mondo “post- topografico”.
La reciprocità del mondo
Il mondo non è altro che un sistema di eventi e di relazioni. Il mondo non è una sostanza. Per la fisica quantistica non ci sono in realtà sostanze, ma dinamiche relazionali. Il tempo non esiste se non in questo imprevisto ritaglio dell’universo. Esso può darsi solo in questa regione del cosmo per il fatto che qui è avvenuta (e avviene) la trasmissione del calore e il tempo può esserci solo se c’è passaggio di calore. Un simile ambiente può aver luogo in una condizione climatica in cui non ci sia né eccesso di entropia (ambiente cristallizzato e troppo freddo), né una entropia troppo bassa, dove ciò che avviene non può essere trattenuto e pertanto non si potrebbero formare strutture di elementi e di organismi viventi. È necessaria “un'oasi” in cui ogni elemento può godere di una sufficientemente bassa entropia, per cui la trasmissione di calore può far sviluppare sistemi duraturi e forme di vita. L’ordine del Tempo - che evidentemente ha una sua direzionalità - è legato alla direzionalità altrettanto logica della trasmissione di calore: così come il passaggio di calore avviene da un corpo più caldo ad uno più freddo e va dal basso verso l’alto, allo stesso modo il tempo si direziona da un passato ad un presente, come ci rendiamo conto in ogni istante dall'esperienza concreta. Il tempo, in sintesi, non è una sostanza e non è quindi possibile definirla una categoria universale. Basta infatti uscire dal recinto culturale e tecno-economico occidentale, sebbene pare estendersi su tutto il globo (per Occidente si intende anche tutto l’Oriente che si costruisce sui medesimi dispositivi), e - per indicare l’universo - è subito Yu-zhou. “L’equivalente cinese della parola universo è Yu-zhou: dove yu “comprende tutti i differenti luoghi” e zhou “comprende tutti i differenti tempi”. Il significato proprio di yu-zhou è dunque spazio-tempo. Ma ancor più significativo è il modo in cui il Canone di Mo Tzu imposta la relazione tra l’universo, in quanto composto inestricabile di tempo e spazio, e il moto (...)”(2). Lo spazio-tempo ha il suo moto espandendosi e nella misura in cui “lo spazio muta dimensione dal Nord al Sud e dall’alba al tramonto, così il moto comprende spazio e tempo”(3). Esaustiva la visione della dimensione spaziale in Baudelaire, finalmente ricucita e anzi portata al centro della prospettiva. “A Baudelaire non interessa affatto stabilire una identità essenziale del tempo, ma piuttosto suggerire che la profondità dello spazio fa tutt’uno con l’allegoria della profondità del tempo. (...) Il tempo baudelairiano si è spogliato di tutte le sue prerogative squisitamente temporali (successione, cambiamento, discontinuità, irreversibilità), per assumere proprietà propriamente spaziali. (...) Tutta l’esperienza vissuta appare come spazializzata. Anzi: identica allo spazio”(4).
Ludwig Binswanger individua nello spazio timico una delle forme spaziali fondamentali e con cui si ha maggiormente a che fare nel quotidiano così come nell’esperienza clinica e analitica. Si tratta di una forma spaziale “snobbata” - per usare le parole di Binswanger - dalla scienza della natura e considerata anche con disprezzo. Ma “questo disprezzo, tuttavia, non affatto dovuto ad un elemento di forza, ma ad una debolezza, vale a dire all’incapacità di comprendere con categorie scientifiche questo ambito tematico”(5). Ma è proprio nello spazio timico che si dimostra “quanto l’individualità sia ciò che il mondo è come mondo proprio”(6). In questa relazione “nulla è geneticamente primario o geneticamente secondario, nulla è causa o effetto, condizione o condizionato, inducente o indotto, e neppure ragione o conseguenza, piuttosto, proprio ciò che noi chiamiamo “stretta del cuore” consiste nella restrizione del mondo e del cielo e - viceversa - la restrizione del mondo e del cielo consiste nel restringimento del nostro cuore”(7). Tempo e Spazi si dilatano insieme al movimento dello spirito sensibile. In momenti di maggiore profondità, il senso dell’esistenza accresce.
La reciprocità è alla base anche del pensiero sociologico di Georg Simmel ed è il principio interpretativo con cui affronta il tema della metropoli intesa come luogo fisico di intensificazione e nodo cruciale in cui si rintracciano tutte le forme e tutte le logiche della contemporaneo: “Il concetto di Wechselwirkung è la chiave di volta del pensiero di Simmel, e della sua sociologia”(8). La sua analisi si articola sul rintracciare corrispondenze. Cogliere il simile nel dissimile ha l’obiettivo di prendere consapevolezza che i nessi che si rintracciano nella realtà non sono del tipo causa-effetto: la loro causazione è invero reciproca o - per usare la terminologia di Simmel - “retroattiva”. “Non solo ogni fenomeno è legato ad innumerevoli altri in una infinita rete di causazione, ma ciascuno retroagisce anche su quelli che - visti da una certa prospettiva - appaiono esserne causa”(9). Lo scenario più fertile di indagine per cogliere gli sviluppi del contemporaneo è in particolare la metropoli. Qui andranno rintracciate le questioni e le disfunzionalità che impattano tanto sull’individuo quanto sulla società occidentale, ed è qui l’humus migliore in cui testare il fatto che se “si fa scendere uno scandaglio nelle profondità della psiche a partire da un punto qualunque della superficie dell’esistenza, e per quanto questo punto possa apparire legato solo a tale superficie, i tratti più banali appaiono infine connessi direttamente con le scelte ultime che riguardano il senso e lo stile della vita”(10). La questione, in particolare, è la doppia esposizione, apparentemente contraddittoria, che si mette in atto nella metropoli. Da un lato una cultura dell’individualismo, che fa della libera espressione e del libero movimento individuale la propria bandiera, dall’altro, di pari passo, la crescente dipendenza del singolo da un mondo di apparati e di tecnica che lo sovrasta. Nel profondo i problemi della modernità “scaturiscono dalla pretesa dell’individuo di preservare l’indipendenza e la particolarità del suo essere determinato di fronte alle forze preponderanti della società, dell’eredità storica, della cultura esteriore e della tecnica”(11). La metropoli è lo spazio dell’economia monetaria globale e qui possiamo sperimentare quanto "economia monetaria e dominio dell’intelletto si corrispondono profondamente. A entrambi è comune l’ atteggiamento di mera neutralità oggettiva con cui si trattano uomini e cose, un atteggiamento in cui giustizia formale si unisce spesso ad una durezza senza scrupoli”(12). Per intelletto Simmel intende esattamente la pura razionalità calcolante. Tra entità calcolanti le relazioni tendono ad essere rapporti tra maschere. Ecco perché l’atteggiamento formale con cui ci si tende a riportare nella metropoli sembra essere la riservatezza, quando in realtà “Il versante interiore di questo riserbo esteriore non è soltanto indifferenza ma, più spesso di quanto non siamo disposti ad ammettere, una tacita avversione, una reciproca estraneità, una repulsione che al momento del contatto ravvicinato (..), può capovolgersi immediatamente in odio e in aggressione”(13). Questo è il riflesso soggettivo dell’economia monetaria quando le logiche sono assunte come fondanti da una società e quando esse penetrano nell’intimo (tenendo sempre presente che lo spirito della metropoli e dell’economia monetaria sono non solo causa ma anche effetto reciproco degli sviluppi sociali). D’altro canto infatti, l’ideale delle scienze naturali è quello di “trasformare il mondo intero in un calcolo, di fissarne ogni parte in formule matematiche, e corrisponde all'esattezza calcolatrice della vita pratica che l’economia monetaria ha generato: ridurre valori qualitativi a valori quantitativi”(14). La problematica della misurabilità geometrica e della riduzione valoriale degli spazi mediante un “equivalente universale” è rintracciata da Franco Farinelli a partire dalla cartografia e dagli sviluppi della geografia a partire dal moderno. Possiamo anche qui rintracciare contenuti inconsci che si sono sedimentati nel nostro rapporto del mondo e della realtà nella sua spazio-temporalità in generale.
La realtà non è il linguaggio, la mappa non è il territorio.
Ne La critica alla ragione cartografica Farinelli rende molto bene il limite segnato a partire dalla cartografia nei confronti di come concepiamo lo spazio. Per andare subito al nocciolo, la questione è che la mappa, innanzitutto, rende piatto il territorio. In questa piattezza, la prima cosa che salta è che il globo non si gioca più sulla curva, ma sulla linearità. Ma è proprio la curvatura la figura centrale per considerare il fenomeno del nostro mondo. Lo spazio topologico, infatti, è lo spazio visto nelle sue curvature sviluppate dai corpi. Non esiste spazio indipendente dai corpi e dalle relazioni che tra essi hanno luogo, così come non esiste tempo che sia scindibile dalle dinamiche che in quello spazio si svolgono. La nozione di campo che si apre, seguendo questa ottica, è quindi sempre un sistema spazio-tempo specifico di relazioni tra corpi e dinamiche. Lo spazio è sempre una questione qualitativa, topologica appunto, non topografica. La scienza moderna, invece, nella sua ascendenza newtoniana, postula lo spazio e il tempo come i contenitori universali. La spazialità che ne deriva è omogenea e separata dai corpi che in essa sono posti. Spazio e tempo moderni sono infatti stati sostanzialmente segnati dalla sostituzione con la cartografia, tuttavia la globalizzazione, nelle sue implicazioni non programmate, è venuta a significare che la terra deve essere trattata per quello che è: un globo e non una mappa. Nella mappa gli elementi e i corpi perseverano in un moto uniforme. Le coordinate della fisica classica non potevano però non sfumare nel momento in cui è diventato cristallino l’ equivoco dei presupposti euclidei come paradigma interpretativo del mondo. “Per gli storici della matematica, gli Elementi di Euclide costituiscono qualcosa a metà strada tra un sistema assiomatico formale e un sistema assiomatico materiale. La differenza consiste in questo: nei primi i termini primitivi (come “punto” o “linea retta”), e di conseguenza anche gli assiomi e i teoremi, sono privi di significato, nel senso che non possono applicarsi al mondo e perciò non sono né veri né falsi, anche se possiamo convenire di trarne deduzioni; nel secondo, invece, i termini primitivi sono “interpretati”, sono cioè forniti di spiegazione (definizioni) che fanno uso di concetti esterni al sistema, e che perciò si riferiscono al mondo reale. Proprio su tale ambiguità riposa l’intera natura della modernità, che si costituisce attraverso una traduzione del sistema formale in quello materiale”(15). L’effetto della costruzione del cosmo in chiave organicistica definita da Copernico, risponde alla necessità della misurabilità su ogni aspetto della Terra (così come di tutti i corpi celesti). Da questo punto di vista il sistema copernicano è una traduzione in termini cartografici - cioè in termini quantitativi astratti, indicabili quindi attraverso i numeri - del modello tolemaico.
Lo spazio inteso in senso tolemaico equivale infatti ad un “intervallo lineare standard tra due punti geometrici”(16) e funziona come un equivalente generale. Per usare una terminologia marxista, come la moneta sostituisce il valore d’uso di ogni merce, così il valore d’uso di ogni luogo tende a sparire ad opera della mappa cartografica. “La comparsa a metà Cinquecento della scala grafica sulle carte segnala l’inizio del sistematico funzionamento dello spazio come forma fenomenica del valore delle merci, cioè così come merce universale nei confronti delle merci particolari”(17). La spazialità che emerge dalla cartografia moderna funziona in parallelo con la filosofia del denaro: la cartografia sul territorio, il denaro sul mercato, puntano entrambi verso l’equivalenza di ogni cosa ed esercitano una forza tanto importante quanto inconscia che ha spinto nella direzione delle generalizzazioni e dei presupposti interpretativi che guidano il nostro cattivo rapporto che abbiamo con il mondo. “Il ruolo delle carte geografiche non consiste soltanto nella localizzazione e nell’individuazione dei lineamenti terrestri, ma prima ancora nella loro trasformazione in merci”(18) perché la loro messa in opera è la stessa. Riprendendo le formulazioni marxiste per cogliere direttamente la questione, così come le merci ottengono il proprio valore e possono essere messe sul mercato perché simultaneamente tutte le altre merci sono espresse mediante lo stesso equivalente - e si differenziano soltanto nei loro valori di scambio - , parallelamente le cose sulla mappa possono essere l’una accanto all’altra per mezzo di uno stesso regime ed è solamente alla luce delle definizioni così assegnate che esse si distinguono. Le conseguenze epistemologiche sono notevoli. Notiamo come, ad esempio, tra Sei e Settecento avviene una mutazione semantica riguardo l’idea di città: “da insieme di uomini e donne, da complesso di relazioni, da stile di rapporti passa a significare esattamente il contrario: le cose, le case, tutto ciò che di ingombrante si può toccare e sta fermo, perché la mercificazione presuppone la cosificazione”(19).
Nel Medioevo, invece, le mappe del mondo raffiguravano lo Spazio e il Tempo. Circa fino al Duecento le mappe europee del mondo includono l'immagine del paradiso terrestre. L’Eden era posto tipicamente ad oriente e in posizione più rialzata. L’immagine del paradiso era visualizzata in termini temporali come l’origine, l’esistente “fin dal principio”(20); mentre altre visualizzazioni descrivevano invece il concetto in termini spaziali: “ad oriente”(21). Agostino d’Ippona insiste sull’ interpretazione concreta spazializzata e, in quanto tale, trovava spazio anche nelle mappe del mondo. Oriente e inizio possono essere la stessa cosa e “la coincidenza cartografica fra termine temporale e ubicazione comporta che per tutto il Medioevo o quasi ogni mappa fosse un sistema in grado di raffigurare insieme, proprio in virtù della presenza del paradiso, non soltanto spazio e tempo, ma passato presente e futuro. E ciò in virtù del fatto che essa non si limitava all’inventario di quel che esisteva, ma rappresentava la complessiva natura del reale e al tempo stesso ne dettava la prognosi”(22). La scomparsa in età moderna di queste rappresentazioni del mondo rende poco consapevole il carattere in qualche modo profetico e prescrittivo che l’immagine geografica invece possiede. Anassimandro (allievo di Talete) nel VI secolo a. C. disegnò la terra conosciuta su una tavoletta e il fatto fu accolto negativamente dai contemporanei(23). “Per i greci la natura non era un insieme di cose ma un perpetuo processo e movimento, sicché lo scandalo dell’ operazione consisteva appunto nell’ immortalare la vita della Terra in funzione della conoscenza (del dominio) della Terra stessa. (...) Anassimandro è il primo in occidente a celebrare tale riduzione in forma geometrica e, assolutizzandola, a proporla come complessiva visione del mondo”(24). La necessità di misurazione può essere massimamente esercitata su un oggetto da vivisezionare e in questo senso il rigore scientifico figura il mondo nella maniera più rigida, attraverso la rappresentazione geometrica, affinché si possa esercitare la sua più minuziosa (e distaccata) misurazione. Ovviamente la mappe esistevano ben prima di Anassimandro, ma la sua opera è considerata la prima “globale” e non solo locale. Alfred Korzybski nel suo lavoro di indagine dei limiti strutturali del linguaggio nella conoscenza (e nel rapporto che possiamo avere con il mondo), ci fornisce indirettamente, ma in maniera estremamente efficace, una critica alla ragione cartografica e alla configurazione spaziale che deriva. Korzybski va all’origine dell’impostazione del pensiero occidentale e rintraccia nelle linee aristoteliche il nocciolo dei limiti che un linguaggio così fondato produce. “Secondo Korzybski la struttura aristotelica del linguaggio si fonda su quattro principali caratteristiche”(25):
- la riduzione compiuta dalla formulazione di espressioni del tipo soggetto-predicato, ovvero far pensare che ogni cosa sia qualcosa che ha certe qualità. Nell’enunciato “la rosa è rossa” attribuiamo al fiore qualità prodotte dal nostro sistema nervoso: se fossimo daltonici le rose sarebbero verdi.
- Il verbo essere tende a perpetuare relazioni di identificazione, accentua similitudini e tende a sopprimere differenze. Causa quindi danni notevoli se consideriamo l’impoverimento che comporta, tanto nella comprensione quanto nell’ azione.
- Orientamento bivalente: strutturazione tipo o…o… da cui risulta una conoscenza e una interpretazione inadatte alla vita reale che, invece, si gioca tutta nelle sfumature e che richiede una flessibilità che sfugge alla rigidità di questo pensiero binario.
- Elementarismo - nel senso di separatività -, ovvero la separazione, arbitraria e virtuale, operata dal linguaggio verbale di ciò che sul piano empirico non può essere separato. Corpo e spirito. Spazio e Tempo.
L’esistenza si inscrive in un rapporto originario con lo spazio e la sua correlazione con la temporalità non si dissocia neppure nel pensiero.
Ancora una volta, “la mappa non è il territorio”. Lo spazio può essere compreso solo in riferimento al mondo, non alla mappa. Nell’indagine analitica in Ludwig Binswanger il presupposto primario cui considerare l’esistenza umana è esattamente il Sein und Zeit di Heidegger e quindi riconosce il carattere intrinsecamente spaziale del Dasein umano, non nel senso che lo spazio è nel soggetto o che il mondo è nello spazio, ma nel senso che L’esser-ci è spaziale. Rispetto all’idea che si è venuta ad affermare a partire dalla modernità circa la natura dello spazio, “la spazialità non si configura, secondo Heidegger, come una sorta di estensione “vuota” e “assoluta”, che precede da sempre l’esistenza delle cose (nel senso di Newton), né come la realtà sostanziale del mondo (secondo la prospettiva cartesiana), o ancora come la condizione soggettiva della nostra capacità di rappresentazione del mondo esterno (come sosteneva Kant). Piuttosto, essa viene inquadrata nei termini di una determinazione fondamentale dell’ essere-nel-mondo, che in virtù della sua capacità di orientamento e della sua "vocazione" alla vicinanza, è colui che fa spazio”(26).
Il Mondo divenuto Globo
Qual’è a questo punto il nuovo ordine di relazione che intercorre tra spazio e tempo nel nuovo quadro della mondializzazione? Il presente - la nostra realtà - si muove su un paradossale intreccio di eventi. Due forze agenti, distinte e autonome quanto anche - paradossalmente - contrastive. La globalizzazione tende a standardizzare da una parte, dall’altra induce alla particolarizzazione proprio per cercare di adattarsi al paradigma del dominio globale. Alla base, però, il gioco si regge su un equivoco: la questione della Rappresentazione. Per essere precisi, la problematica della rappresentazione sta nella credenza che la logica del globale stia proprio nel dominio della rappresentazione. I risultati non potevano che essere una conflittualità endemica e capillare, sia a livello delle società sia nell’identità del singolo. A partire dal punto di non ritorno del cogito cartesiano, il moderno si è fondato sulla riduzione del mondo ad immagine per cui “il dominio del soggetto interdipende in modo diretto con un dispositivo di riduzione del mondo a mero oggetto di rappresentazione”(27). Il mondo andrebbe cioè dominato attraverso il suo rispecchiamento - riduzione ad immagine - che la coscienza può oggettivare poiché, solo con tale immagine, come un quadro rinascimentale, esso può essere messo in prospettiva e ridotto al suo rigore geometrico. A questo punto è però evidente il prezzo da pagare. Lo spazio così inteso si presta sì a porsi come oggetto di conoscenza razionale - calcolabile e di conseguenza assoggettabile - ma l’esperienza viene totalmente sacrificata nella sua immanenza e non può che ritirarsi nella sfera separata della conoscenza scientifica e dell’operare tecnico e produttivo. Dal canto suo, la standardizzazione in termini geo-metrici dello spazio e della geografia è esattamente ciò che concorre a “fare a pezzi il mondo”, affinché possa essere vivisezionato. Il tipo di conoscenza che si produce è all’insegna della compartimentazione. Eppure, proprio di fronte ai parametri di questa rappresentazione e del tipo di conoscenza, il nostro presente è venuto ad applicare una incrinatura sempre più ineludibile. Nel nostro presente globale, così saturo e tutto attraversato da flussi informazionali e comunicazionali, le dinamiche relazionali e le conflittualità si sono fatte talmente evidenti da sfuggire al riduzionismo della mappa, così limitata nelle sue misurazioni tanto standardizzate quanto astratte. Il fenomeno della globalizzazione si presenta infatti come una singolare compressione spazio-temporale. Per un verso “schiaccia” sul versante spaziale culture e forme di vita. Per l’altro verso, sul piano temporale, mette in atto una forza centrifuga che spinge alla diaspora. “Marines americani e popolazioni indigene in Iraq o in Afghanistan, europei e immigrati africani o asiatici in Italia o in Germania o in Francia si trovano sì compressi nel medesimo spazio, ma vivono esperienze del tempo radicalmente diverse”(28). E così come il mondo si configura su questa logica antinomica, analogamente - e non può essere altrimenti - il nostro Io è profondamente scisso e conflittuale. La globalizzazione non ha condotto all’omologazione universale, ma alla segregazione e alla disparità. È ciò che sperimentiamo continuamente nel nostro presente caratterizzato da stati di emergenzialità e di crisi economica perenne. Il nostro Sé è multiplo e incapace di una conduzione virtuosa della sua frammentazione intima. Il fatto è che il nostro Io ha permeato in profondità le logiche del dominio globale. Al modello capitalistico che si esaurisce tutto all’insegna della crescita illimitata, sull’orizzonte sociale, corrisponde, sul versante interiore, il dramma inestinguibile della cumulatività eternamente insoddisfatta.
Ottobre 2022
1) Lionel Ruffel, Brouhaha. Les mondes du contemporain, Verdier éditions, 2016, Lagrasse.
2) Giacomo Marramao, Minima Temporalia. Tempo spazio esperienza, Bollati Boringhieri, 2022, Torino, p. 118.
3) Ivi, pp.118- 119.
4) Ivi, pp. 122 - 123.
5) Ludwig Binswanger, Aurelio Molaro (a cura di), Il problema dello spazio in psicopatologia, Quodlibet editore, 2022, Macerata, p. 126.
6) Ivi, p. 131.
7) Ivi, 132.
8) Georg Simmel, Paolo Jedlowski (a cura di), La metropoli e la vita dello spirito, Armando editore, 2012, Roma, p. 12.
9) Ivi, p. 13.
10) Ivi, p. 41.
11) Ivi, p. 35.
12) Ivi, p. 38.
13) Ivi, p. 45.
14) Ivi, p. 40.
15) Franco Farinelli, La crisi della ragione cartografica, Giulio Einaudi Editore, 2009, Torino, p. 130.
16) Ivi, p. 29.
17) Ibidem.
18) Ivi, p. 28.
19) Ivi, p. 34.
20) San Girolamo utilizza l’espressione “fin dal principio” nel testo Vulgata, sua traduzione in latino della Bibbia dalla versione ebraica.
21) Nella versione della Bibbia dei Settanta e nella Bibbia di Gerusalemme.
22) Franco Farinelli, La crisi della ragione cartografica, Giulio Einaudi editore, 2009, Torino, p. 21.
23) Come riportato in Agatemero (III secolo d. C.), geografo di età imperiale.
24) Franco Farinelli, La crisi della ragione cartografica, Giulio Einaudi editore, 2009, Torino, pp. 26 -27.
25) Ivi, p. 6.
26) Ivi, pp. 34 - 35.
27) Giacomo Marramao, Dopo il Leviatano. Individuo e comunità, Bollati Boringhieri, 2013 Torino, p. 457.
28) Ivi, p. 460.